C redito alla famiglia e consapevolezza dei

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C redito alla famiglia e consapevolezza dei
C redito alla famiglia e consapevolezza dei consumatori:
una proposta operativa
Le persone sono sempre più
chiamate a compiere scelte
finanziarie importanti che
toccano aspetti essenziali
della vita. Ciò comporta
che si è in presenza di un gap
di conoscenza, di un
neo-analfabetismo che risulta
inabilitante rispetto alle esigenze
della vita quotidiana e che quindi
è necessario affrontare.
Le alternative possono andare
dall’individuazione di una figura
di carattere tutorio, che si faccia
carico degli interessi e delle
decisioni del consumatore,
alla costruzione di strumenti e
modelli che mettano,
al contrario, il consumatore
nella condizione di scegliere
da sé, grazie a un grado
di educazione e consapevolezza
finanziaria più elevato.
Umberto Filotto,
Gianni Nicolini
1 Premessa
In questo saggio parliamo di financial literacy , di sovraindebitamento e di modelli di
valutazione. Il primo termine ci rimanda a
una questione che, almeno nei paesi cosiddetti avanzati, si riteneva ormai superata ossia quella dell’alfabetizzazione; il sovraindebitamento, nella sua valenza negativa di ordine quadratico, evoca lo scenario, del tutto inusuale per l’Italia, di persone che, non
solo sono indebitate, ma lo sono addirittura
troppo (il che presupporrebbe di aver risolto in senso positivo, ed è tutto da dimostrare, il dubbio relativo al fatto che possa esistere un livello giusto di indebitamento); il
terzo elemento suggerisce l’idea, a prima vista, salvifica e illuminista che, per arginare
la marea montante del debito possa essere
sufficiente un modello, ossia uno strumento
razionale, laddove altri giudicherebbero assai più efficace e necessario il ristabilimento
di un ordine morale che la società moderna
sembra avere troppo in fretta accantonato.
Università di Roma “Tor Vergata”
2 L’alfabetizzazione
La prima delle questioni è senza dubbio
molto delicata: lo sviluppo dei saperi, l’evoluzione tecnologica producono sicuramente forme di neoanalfabetismo, per lo
più parziale; il problema è comprendere in
quale misura esso sia o meno inabilitante
rispetto alla vita quotidiana.
Il presente articolo riproduce sostanzialmente il saggio pubblicato nel volume G. Bracchi, D. Masciandaro (a cura di), Banche italiane: un’industria al bivio – Mercati, consumatori, governance. Dodicesimo Rapporto della Fondazione Rosselli sul Sistema
Finanziario Italiano, Edibank, Milano, 2007. Il saggio è frutto del
lavoro comune dei due autori, tuttavia i parr. 1,2,3,4 e 10 sono
da attribuire a U. Filotto, i parr. 5, 6, 7, 8 e 9 a G. Nicolini. Pur restando gli unici responsabili del contenuto del presente articolo, gli autori desiderano ringraziare Experian Italia per la collaborazione fornita.
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Ebbene, è chiaro che vi sono deficit culturali con i quali è del tutto normale convivere e che, salvo ragioni particolari, non
sono per nulla ostativi di una vita regolare
e di piena autosufficienza. Un esempio, assai utile ai nostri fini perché sotto un certo
profilo suggerisce la soluzione al problema,
ha a che fare con lo sviluppo dell’informatica: è ben vero che io, come quasi tutti gli
abitanti del mondo cosiddetto sviluppato,
sono in condizione di accendere e utilizzare un personal computer; tuttavia, come la
stragrande maggioranza delle persone, non
ho la benché minima nozione dei linguaggi di programmazione e devo onestamente
riconoscere che la mia conoscenza di come
funziona veramente un Pc è meno che superficiale. In questo caso, ed è in questa prospettiva che l’esempio è assai adatto alla fattispecie di cui si tratta, si può osservare come, ferma restando la complessità e dunque
l’inattingibilità delle logiche di funzionamento dei calcolatori, è stato creato un meta-linguaggio comprensibile a coloro i quali debbono diventare utenti di questa tecnologia.
Tutto ciò premesso, quanto sono diffuse
le conoscenze di natura finanziaria e quanto sono indispensabili? È difficile rispondere in modo positivo alla prima domanda.
Per quanto si sia abbondantemente parlato
di risparmiatori/consumatori indipendenti,
finalmente in condizione di decidere in
modo autonomo e sottratti al soffocante
proibizionismo finanziario delle banche del passato e di una
legislazione il cui obiettivo principale sembrava quello di rendere oltremodo rarefatta e monotona l’offerta di servizi per la
clientela retail, la verità è che pochi, anzi pochissimi, dispongono di nozioni meno che elementari (e talvolta nemmeno di
quelle). Il poco felice stato delle conoscenze finanziarie di base corrisponde però a una situazione in cui esse diventano sempre più necessarie: proprio l’arricchimento dell’offerta di servizi, la maggior competizione, l’innovazione, la globalizzazione dei mercati e tutte le altre connesse meraviglie rendono
sempre più evidente l’insufficienza di conoscenze e l’incapacità di comprensione che affligge la stragrande maggioranza
della popolazione.
Il problema è che sempre di più le persone sono chiamate a
compiere scelte finanziarie importanti che toccano aspetti essenziali della vita: la casa, la previdenza, la gestione dei propri
risparmi e l’integrazione del reddito. Se questo è vero siamo in
presenza di un gap di conoscenza, di un neo-analfabetismo che
risulta realmente inabilitante rispetto alle esigenze della vita
quotidiana e che è quindi necessario affrontare. Come? Si può
affermare che le alternative, se si esclude il ritorno al razionamento dell’offerta, sono quella dell’individuazione di una figura di carattere tutorio che nella sostanza si faccia carico degli interessi e, in ultima analisi, delle decisioni del consumatore, oppure della costruzione di strumenti, di percorsi di apprendimento, di metalinguaggi, che mettano il consumatore
in condizione di scegliere da sé. Qualora non fosse già evidente è doveroso esplicitare sin da subito che, per ragioni che verranno esposte in dettaglio successivamente, chi scrive è del tutto favorevole a questa seconda opzione.
3 Il sovraindebitamento
Veniamo ora alla questione del sovraindebitamento: si tratta
di un tema che le organizzazioni dei consumatori e alcuni esponenti politici, ansiosi di dimostrare che le politiche messe in
atto dalla parte avversa erano tutte sbagliate, hanno portato
negli ultimi tre o quattro anni all’onore delle cronache. Il teorema sarebbe il seguente: posto che il ricorso al credito da parte delle famiglie è aumentato considerevolmente negli ultimi
anni (ed è vero, il Cagr del credito al consumo negli ultimi
nove anni è stato il 15,4%, quello dei mutui il 19,9%), in funzione del fatto che varie fonti evidenziano la crescente difficoltà delle famiglie italiane a raggiungere livelli di reddito superiori alla mera sopravvivenza (dati Istat, ecc.) o a raggiungere la «quarta settimana», in relazione al fatto che il tema
del peso dell’indebitamento rappresenta un tema ampiamente discusso in alcuni paesi industrializzati (in particolare in
quelli anglosassoni), si è dedotto che anche in Italia esiste un
problema significativo di persone che «non facendocela più»
si aggrappano a un credito, più o meno facile, più o meno oneroso, per far fronte a quanto il reddito corrente non è in grado di soddisfare.
Mai premesse tanto corrette portarono a conclusioni così
bislacche. I fatti: l’indebitamento delle famiglie italiane è il
più basso d’Europa e infatti il rapporto credito al consumo/Pil
è pari al 5,8% quando la media europea (Eu 15) è pari al 9,4.
Nello specifico si rileva come nel Regno Unito il rapporto raggiunge il valore del 16,5%, in Germania è pari al 9,9%, in Spagna al 9,4%, in Francia al 7,5%. Se si considera il credito immobiliare basta segnalare che il rapporto tra mutui immobiliari in essere e Pil ha raggiunto nel 2005 il 15,3% rispetto a
una media europea del 39,6. Nel dettaglio: il rapporto del Regno Unito è il 59,3%, quello della Spagna è pari al 49,3%, per
la Germania il valore è il 34,7%, in Francia è pari al 28,8%.
A un rapporto di indebitamento particolarmente basso si accompagna un livello di ricchezza familiare senza paragoni nel
mondo: le famiglie italiane hanno un patrimonio netto (ossia
dedotto l’indebitamento) per nucleo familiare pari a 2,7 volte il reddito disponibile contro una media di 2 volte dell’area
euro. Chi parla dunque di emergenza sociale, di una pandemia di debito che sta travolgendo le famiglie italiane, fa dell’allarmismo inutile e anche un po’ sciocco posto che, implicitamente, attribuisce a banche e finanziarie virtù alte e nobili, ma anche scarsissime capacità di carattere gestionale: fare credito a chi non è in grado di raggiungere la fine del mese fa accumulare meriti per il Regno dei Cieli, ma conduce
ben presto a portare i libri in Tribunale1. E infatti sono le famiglie del ceto medio quelle che fanno maggior ricorso al credito, che è invece una delle tante cose che purtroppo le fami-
1 Sullo sviluppo del credito alla famiglia in Italia cfr. Filotto (1999) (a cura di), con contributi di F. Cantoni, M. Di Antonio, P. Ferrari, U. Filotto, C. Giannasca, S. Iacobelli, A. Lo Monaco, D. Monti, L. Peccati, G. Piano Mortari, G.Tagliavini.
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glie più povere non possono permettersi. Si potrebbe proseguire a lungo: tutte le fonti dimostrano, senza ombra di dubbio, che a livello di statistiche macro il tema del sovraindebitamento delle famiglie italiane è un non problema.
Sarebbe tuttavia ottuso negare che vi siano situazioni di sovraindebitamento e che probabilmente esse stiano diventando più frequenti rispetto al passato2. Questo non è affatto in
contraddizione con quanto detto, occorre tuttavia riflettere
sull’origine della situazione di stress da cui scaturisce l’incapacità di far fronte agli impegni finanziari e alle uscite correnti: a mettere la famiglia in condizione di tensione finanziaria non è l’insufficienza del reddito corrente che spinge ad
accendere un numero eccessivo di finanziamenti, è quasi sempre il venir meno delle entrate su cui si pensava di poter contare (un licenziamento, un infortunio), o il verificarsi di uscite inattese (un divorzio, la necessità di sostenere spese mediche importanti). Per semplificare, riducendo una questione
complessa a un confronto di slogan, non sono l’impoverimento e tanto meno un’immorale deriva consumistica, come
invece sostiene con veemenza qualche Savonarola redivivo,
a causare il sovraindebitamento, è una società più fragile, con
meno garanzie, in cui sono diventate molto più larghe le maglie della rete di protezione pubblica che aveva sostituito quella delle comunità familiari e locali, in cui, in definitiva, è più
facile cadere a terra.
È in questa prospettiva che la questione di cui si sta trattando esce dall’alveo delle tematiche del credito e assume una
valenza di ordine generale; ci troviamo di fronte a fenomeni
nuovi, in alcuni casi provocati, anzi fortemente voluti, ma le
cui implicazioni a vasto raggio tendono a sfuggirci, o che è più
conveniente far finta di non vedere aspettando che sia qualcun altro a risolvere il problema.
La questione della flessibilità del lavoro è fra tutte la più rilevante: non ci possiamo permettere le garanzie e le rigidità
di un tempo, ma non siamo disposti ad accettare una riduzione della sicurezza sociale; non abbiamo però ancora sviluppato sistemi di protezione alternativi a quelli convenzionali e più
adatti a una situazione nella quale vi sono assai meno certezze. Da questo punto di vista la questione del sovraindebitamento diventa uno dei banchi di prova sui quali bisogna sa-
2 Su questi aspetti cfr. Cosma, Filotto (2003).
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per dimostrare la capacità di elaborare soluzioni nuove: se i
redditi diventano più incerti mentre diventano più probabili
le uscite la cui entità potrebbe essere destabilizzante, o si riduce l’importo del credito erogabile, o si individuano modalità di gestione del sovraindebitamento che facciano sì che,
pur restando raro ed eccezionale, esso non risulti un fenomeno così straordinario da non avere alcun tipo di contromisura. Già ma quale?
Vi sono da fare alcune constatazioni: la prima è che proprio perché è un fenomeno che tende a verificarsi per cause
che sopraggiungono rispetto al momento in cui il finanziamento viene richiesto, il sovraindebitamento è difficilmente
prevedibile; il secondo è che si tratta di un evento relativamente raro; il terzo è che poiché, almeno nella sua forma attuale, è l’effetto di trasformazioni recenti occorre adottare terapie d’intervento non convenzionali e coerenti con una situazione per certi aspetti sconosciuta. Sono dunque inadeguate e inefficienti quelle misure che si propongono l’ambizioso obiettivo di «prevenire il sovraindebitamento» sradicandolo all’origine. Questo significa definire misure atte a rimettere «in bonis» il sovraindebitato facendo sì che esso possa seguire un percorso che definisca e chiuda ogni pendenza
nei confronti dei creditori, consentendo di rimettersi nei binari di una vita normale.
Le risorse devono quindi essere concentrate sul recupero,
perché è impossibile scongiurare del tutto il verificarsi dell’evento; vi sono tuttavia alcune condizioni che rendono maggiormente vulnerabili l’individuo e la famiglia. Banalmente:
quando i flussi finanziari della famiglia siano quasi integralmente impegnati, variazioni anche ridotte delle entrate o delle uscite possono avere un impatto tale da far venir meno la
precedente condizione di equilibrio. Ancora: alcuni profili socio-demografici sono più vulnerabili a quelle situazioni che
possono sfociare in una condizione di stress.
Non sarebbe utile, anche se indubbiamente possibile, proseguire a lungo con le esemplificazioni; quello che è chiaro è
che queste condizioni di maggiore o minore vulnerabilità tendono a sfuggire al diretto interessato. Le ragioni sono molteplici: la prima è che vi è una strutturale e comprensibile tendenza a indulgere nell’eccesso di sicurezza nella valutazione
della propria situazione. La seconda, almeno altrettanto importante, è legata alle considerazioni svolte: quand’anche le
persone fossero disponibili a una obiettiva valutazione delle
proprie capacità, non è affatto detto che dispongano degli strumenti cognitivi adeguati ai bisogni. In altre parole: anche persone prudenti e in perfetta buona fede potrebbero, pur desiderandolo, non essere capaci di far bene i propri conti.
4 Modelli e strumenti
La questione propone una scelta che non è solamente di tipo
tecnico: da un lato vi è, infatti, una visione tutoria, in definitiva paternalistica, della società ove qualcuno, in quanto più
qualificato, si fa carico di scegliere e decidere per conto di coloro i quali non ne sono capaci, dall’altra parte milita l’idea di
un mondo nel quale tutti possono e devono essere titolari e
responsabili delle proprie scelte. Si tratta di una questione che
è, evidentemente, intrisa di significati anche ideologici e che
in quanto tale vede il prevalere dell’una o dell’altra prospettiva anche in funzione di fattori di contesto non necessariamente legati al tema specifico e anche, in qualche misura, a
prescindere da quale possa essere la soluzione ottimale.
Per questo motivo, l’affermarsi di una prospettiva sempre
più orientata al mercato, l’idea che ai consumatori debba essere messa a disposizione la gamma più ampia possibile di prodotti, spingerebbe a considerare più coerente e sostenibile
l’impostazione secondo la quale è il singolo che deve essere
messo in grado di formulare in modo consapevole, ma autonomo, le proprie scelte. Va tuttavia riconosciuto che, con specifico riferimento alla questione dell’indebitamento personale, così come per quella dei prodotti d’investimento più complessi, il dibattito non può considerarsi definitivamente risolto a favore della prospettiva sopraindicata; permane, di fronte al fallimento di alcune soluzioni di trasparenza che non hanno saputo impedire che venissero effettuate scelte avventate
e in alcuni casi estremamente negative, l’idea che debba essere l’intermediario finanziario ad assumersi l’onere di scegliere per conto del cliente3. Nel caso del credito, l’affacciarsi di questa impostazione si rileva nelle proposte in materia di
credito responsabile contenute in alcune proposte di norma-
tiva italiana ed europea; per quanto attiene l’investimento invece, le crisi finanziarie dell’inizio del decennio hanno portato a iniziative sia legislative sia stragiudiziali che tendono ad
addossare al professionista la responsabilità di scelte che si fossero dimostrate dannose per il risparmiatore.
L’introduzione di sanzioni a carico dell’intermediario finanziario che non si fosse comportato con particolare cautela nei confronti del consumatore, anche rifiutandosi di dar
corso alle richieste di quest’ultimo qualora le avesse ritenute
non idonee, prospetta una situazione tutt’altro che efficiente
ed evidentemente minata da un profondo conflitto d’interesse. Restando al caso del credito, che è quello che qui rileva, è
evidente che una volta risolta in senso positivo la questione
della valutazione del merito di credito del richiedente, l’incentivo per il finanziatore è quello di concludere l’operazione. Adottare un comportamento ancor più cauto nel timore
che, qualora si dovessero verificare situazioni di sofferenza,
possano essere applicate sanzioni ulteriori rispetto alla perdita totale o parziale del capitale, rischia di condurre a un’allocazione particolarmente restrittiva e perciò non efficiente del
credito. Dall’altro lato, il cliente non palesemente primario
potrebbe vedersi severamente razionato nell’ottenimento del
credito e finirebbe per perdere opportunità di investimento o
di consumo.
Per questo motivo, oltre che per coerenza con un quadro
circostante sempre più orientato a favorire il formarsi di decisioni assunte in piena autonomia, la prospettiva che pare più
opportuno esplorare è indubbiamente quella dell’individuazione di soluzioni capaci di mettere il cliente in condizione di
formulare scelte consapevoli. Parlare di individuazione di soluzioni mira a segnalare fin da subito che la questione non si
risolve rovesciando su un soggetto non dotato di competenze
specifiche una massa di informazioni palesemente ingestibili;
in questo caso non avrebbero torto coloro i quali considerano
questa prospettiva semplicemente come un modo attraverso
il quale il professionista si libera da ogni responsabilità ribaltandola interamente sul consumatore. La questione è più complessa e passa attraverso la ricerca di un linguaggio e di strumenti che rendano intellegibili e dunque fruibili anche al non
professionista le informazioni che servono per decidere.
3 Sul tema degli obiettivi e dei limiti della normativa in tema di trasparenza e sui processi
di scelta dei consumatori di servizi finanziari cfr. diffusamente Caratelli (2006) e la bibliografia ivi citata.
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Sarebbe velleitario pensare di poter portare tutti i consumatori al livello di conoscenza idoneo ad assumere decisioni
di una certa complessità, quali sono quelle necessarie alla scelta di un finanziamento e alla valutazione della propria capacità di sostenerne l’onere, se non si riuscisse a definire un linguaggio, un sistema di sintesi delle informazioni rilevanti, idoneo a essere compreso anche da chi non sia un professionista
della finanza. Riprendendo il paragone fatto con il personal
computer, si tratta di costruire un’interfaccia che abbia caratteristiche analoghe a quelle dei moderni software ossia sempre più user friendly e sempre meno asservita agli astrusi ed
esclusivi linguaggi dell’informatica. È in questo senso che si
affronta il tema delle modalità attraverso le quali si può costruire uno strumento di autovalutazione della capacità finanziaria che permetta alle persone di formulare scelte ponderate riguardo all’accensione di finanziamenti destinati a coprire le esigenze di consumo o di investimento della famiglia.
5 L’alfabetizzazione finanziaria tra
formazione e informazione
Si è già avuto occasione di sottolineare come il ricorso all’indebitamento per l’acquisto di beni di consumo da parte delle famiglie italiane sia un fenomeno recente, oltre che contenuto.
Il cambiamento nei comportamenti finanziari dei consumatori, che vuole, nell’ambito della pianificazione degli acquisti, un passaggio implicito da logiche di accumulazione del
reddito verso logiche basate sul ricorso all’indebitamento, prevede da parte dei consumatori l’utilizzo di nuove forme tecniche o il ricorso a forme tecniche già conosciute, utilizzate però con finalità differenti. In presenza di un’offerta finanziaria
articolata i consumatori rischiano di non essere in grado di valutare correttamente le singole soluzioni loro proposte. A
preoccupare è in particolare il rischio che i consumatori non
siano pienamente consapevoli delle conseguenze che un nuovo finanziamento può avere sui rispettivi equilibri finanziari
di medio/lungo termine.
La questione dell’alfabetizzazione finanziaria, che sarebbe
forse più opportuno affrontare nell’ottica della «analfabetizzazione finanziaria», è già stata affrontata in diversi paesi an-
glosassoni. Sono soprattutto Usa, Uk, Australia e Nuova Zelanda ad aver già attuato politiche di intervento finalizzate a
ridurre il gap che separa i consumatori di prodotti e servizi finanziari dalla piena comprensione degli strumenti acquistati
e in generale dei contratti sottoscritti. In particolare l’ Fsa nel
Regno Unito, la Federal Reserve e diversi governativi o paragovernativi negli Usa4, hanno stimolato e supportato il lavoro di ricerca svolto in ambito accademico5.
A fronte di un aumento della complessità dei prodotti finanziari sono state proposte soluzioni tutte più o meno direttamente finalizzate ad aumentare le capacità cognitive ed elaborative dei consumatori. Di fronte a un incremento del grado di complessità degli strumenti si è quindi cercato di rispondere con un incremento delle capacità finanziarie dei
consumatori (knowledge and skills). Se gli investimenti in
cultura (in questo caso cultura finanziaria) sono un elemento
positivo per definizione e se un mercato in cui gli utilizzatori
sono maggiormente consapevoli delle proprie azioni tende più
facilmente all’efficienza, l’inserimento di contenuti finanziari nei programmi scolastici e il ricorso a soluzioni formative
di vario genere rischia di non essere l’unica soluzione praticabile e forse la meno efficace nel breve periodo.
Senza voler sminuire l’importanza del lavoro svolto in ambito di educazione finanziaria in senso stretto, in questo lavoro ci si muove su un piano parallelo, nel quale per ridurre la
distanza tra le capacità cognitive dei consumatori e le complessità degli strumenti finanziari non si agisce cercando di aumentare le prime bensì cercando di ridurre le seconde. L’idea
è di creare degli strumenti di supporto per i consumatori
(tools) in grado di selezionare e rielaborare le informazioni alla base delle decisioni finanziarie al fine di rendere il set informativo più idoneo alle capacità di valutazione del singolo
consumatore. Come si può intuire, la soluzione proposta, rispetto a quelle basate sull’aumento del grado medio di cultura finanziaria, non ha carattere alternativo ma integrativo. Un
soggetto con maggiori conoscenze finanziarie che si avvale di
strumenti in grado di semplificare la natura di specifiche scelte di investimento/finanziamento è doppiamente avvantaggiato rispetto a un soggetto inesperto che deve valutare soluzioni finanziarie articolate e complesse.
4 Il riferimento è in particolare al Nfer (National Foundation for Education Research), all’
IFIE (International Forum for Investor Education) e alla Jumpstar Coalition for Personal Financial Literacy.
5 Tra i principali contributi al tema della financial literacy ci sono i lavori di Noctor, Stoney,
Stradling (1992), Mason,Wilson (2000),Worthington (2004),Valins (2004), Mandell (2005),
Cakebread (2006), nonché i diversi contributi di Kempson.
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6 Un modello di stima della capacità
finanziaria: la difficoltà di semplificare
Se l’incapacità dei consumatori di utilizzare le informazioni a
loro disposizione, perché ecessive e/o scarsamente comprensibili, può trovare una soluzione attraverso un’opera di selezione e rielaborazione delle informazioni stesse, le scelte da
compiere nell’individuazione di uno strumento in grado di tradurre in un linguaggio comprensibile ciò che a causa delle conoscenze limitate rischia di non esserlo sono tutt’altro che prive di insidie.
Un modello che voglia avvicinarsi al linguaggio comune
dei consumatori si trova di fatto a dover semplificare una realtà complessa. Per far ciò è necessario che il modello consideri il comportamento dei consumatori e ne identifichi i tratti
essenziali. L’ergonomicità del modello dipende infatti dalla
sua capacità di capire le reali esigenze informative dei consumatori, identificate le quali, sarà possibile risalire alle informazioni rilevanti che costituiranno gli input del modello. La
definizione dell’obiettivo del modello consente inoltre di valutare quale sia l’algoritmo in grado di ottimizzare il processo
di elaborazione delle informazioni.
La diversità nel linguaggio che separa i consumatori dagli
altri operatori del mercato del credito limita la capacità di interazione con i consumatori stessi. Un modello si trova così a
dover compiere anzitutto un’opera di selezione delle informazioni elementari in base alle quali attivare un processo di elaborazione. Se il destinatario del modello è un consumatore incapace di compiere analisi finanziarie complesse, richiedere
come input informazioni raffinate rischia di vanificare ogni
sforzo di progettazione e di compromettere sul nascere l’utilità del modello stesso.
Sviluppare un’analisi che si basi su dati semplici, ma che
aspiri a migliorare in modo sostanziale la consapevolezza dei
consumatori in merito alla propria situazione finanziaria, rappresenta un’attività per definizione difficile6. La scarsità delle informazioni in input richiede un’attività di stima delle variabili rilevanti più complesse e non direttamente rilevabili,
ma tale attività di stima implica margini di errore per limitare i quali la complessità del modello tende ad aumentare. A
6 Utilizzando una metafora finanziaria si potrebbe affermare che un modello che utilizza
dati elementari per giungere a conclusioni elaborate rappresenta un investimento nel quale si pongono obiettivi di performance elevati in termini monetari assoluti da perseguire a
fronte di investimenti iniziali contenuti, richiedendo di fatto rendimenti percentuali eccezionali.
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rendere difficile il compito di chi voglia assistere nei suoi processi decisionali un consumatore non-evoluto c’è anche la necessità di risolvere la complessità dell’algoritmo utilizzato per
massimizzare il potere informativo dei dati elementari in input attraverso forme di comunicazione che, ancora una volta,
devono sottostare al vincolo di comprensibilità imposto dalle limitate capacità cognitive degli utilizzatori del modello.
Un ulteriore elemento di difficoltà è rappresentato dal voler definire un procedimento standardizzato che sia però in
grado di cogliere le singolarità di ogni utilizzatore. In questa
attività è infatti insita la gestione di un trade off tra standardizzazione del processo e personalizzazione del risultato.
Dato che gli sforzi in materia di financial literacy hanno finora orientato la ricerca verso soluzioni basate su un approccio
formativo, le proposte che si muovono nell’ambito di un approccio informativo e i relativi percorsi di ricerca si caraterizzano per avere natura esplorativa. Il presente lavoro, rientrando nel secondo dei due approcci, si trova nell’impossibilità di
basare le proprie considerazioni tenendo conto di risultati ottenuti in precedenti studi.
7 Gli obiettivi e le caratteristiche del modello
Nel definire una proposta per un modello di valutazione della capacità finanziaria di un generico consumatore, l’obiettivo è mettere a disposizione della clientela degli intermediari
creditizi uno strumento di supporto che fornisca loro un’indicazione in merito alle conseguenze finanziare associate all’accensione di un nuovo finanziamento e in generale consenta
di stimare la sostenibilità della propria esposizione debitoria e
quindi il rischio di sovraindebitamento.
Nel costruire il modello si è partiti dalla considerazione che
una delle principali cause di sovraindebitamento delle famiglie è l’incapacità di gestire i propri flussi finanziari, soprattutto in un’ottica prospettica. A rendere maggiormente impegnativa l’attività di gestione del budget familiare ha contribuito l’abbandono di logiche di acquisto basate sull’accantonamento preventivo del reddito a favore di logiche fondate sul ricorso al credito. In presenza di una conoscenza degli
strumenti di credito inadeguata, il rischio per i consumatori è
di sottostimare le conseguenze delle proprie scelte di indebitamento. Soprattutto nei casi in cui il ricorso all’indebitamento veda l’utilizzo simultaneo di diverse linee di credito, si
concretizza il rischio che l’impegno richiesto dal servizio del
debito diventi insostenibile nel medio/lungo termine.
I ragionamenti e le considerazioni fatte in precedenza hanno
contribuito in modo sostanziale alla definizione delle caratteristiche generali del modello. La prima caratteristica è la semplicità degli input. Al consumatore deve essere richiesto un
numero limitato di informazioni, per le quali si deve avere una
ragionevole certezza in merito alla conoscenza delle stesse da
parte del consumatore. Mentre sulla necessità di basare il modello su informazioni semplici e di facile determinazione si è
già avuto modo di ragionare, la scelta di utilizzare un numero
ridotto di input è basata sulla convinzione che un numero elevato di input richieda al consumatore uno sforzo eccessivo, sia
in termini di tempo che di impegno, che potrebbe scoraggiarlo dall’utilizzare il modello stesso se non in presenza di una forte motivazione.
La necessità di basare l’analisi su un set informativo adeguato ha portato ad associare alle informazioni direttamente
inserite dall’utilizzatore informazioni desunte tramite indagini statistiche campionarie sulla popolazione della quale fa parte il consumatore al quale il modello viene rivolto.
La proposta è quindi di un modello che concilia un approccio fortemente personalizzato, ottenuto grazie all’interazione diretta con il consumatore che fornisce in prima persona i dati in
input, con un approccio statistico che consente, da un lato, di
stimare alcune variabili che altrimenti andrebbero ad appesantire la fase di input del modello, e dall’altro di valutare il comportamento del consumatore in un’ottica previsionale. La possibilità di verificare il comportamento passato di soggetti con
profili socio-demografico-comportamentali simili a quelli del
consumatore analizzato consente infatti di stimare il rischio di
sovraindebitamento abbinato a uno specifico profilo.
In particolare, mentre i dati relativi a fattori chiave quali
il reddito, l’entità dei finanziamenti in essere, la composizione del nucleo familiare, la condizione lavorativa del soggetto,
la natura proprietaria o meno dell’abitazione di residenza sono richiesti direttamente al consumatore, in quanto ne iden-
tificano i suoi tratti tipici, altre informazioni, relative per
esempio alle uscite periodiche per i bisogni elementari (alimentazione, vestiario, trasporti, ecc.) possono essere stimate
partendo dai dati inseriti. Il ricorso a indagini statistiche limita l’applicabilità del modello alla popolazione di riferimento delle indagini stesse. L’impossibilità di estendere i risultati
di un’indagine a popolazioni differenti rispetto a quelle considerate impedisce quindi un’applicazione universale del modello stesso. Dall’altro lato esso riesce in tal modo a cogliere
le differenze di comportamento dovute alla diversa distribuzione territoriale dei debitori, già evidenziate in letteratura7.
Seguendo la stessa logica anche per gli output del modello, è richiesto che questi vengano comunicati al consumatore in modo chiaro e comprensibile.
8 Gli aspetti considerati
Per stimare le capacità del soggetto di far fronte agli impegni
presi nell’ambito di rapporti di finanziamento si sono anzitutto considerati i flussi finanziari periodici in entrata e uscita.
La prima condizione di equilibrio finanziario di medio-lungo
periodo, necessaria per la sostenibilità di un finanziamento, è
infatti che le uscite trovino un’adeguata copertura finanziaria
nelle entrate. Situazioni in cui il budget di cassa di un soggetto mostri uscite finanziarie superiori alle entrate devono necessariamente rappresentare eventi eccezionali.
Dal confronto delle uscite finanziarie con le entrate finanziarie è possibile stimare il reddito netto disponibile. Inserendo nel computo delle uscite finanziarie anche gli impegni relativi al rimborso dei debiti in essere, il reddito netto disponibile rappresenta una prima stima delle capacità finanziarie
del soggetto in base alle quali valutare la sostenibilità del debito in essere e, soprattutto, la sostenibilità di un nuovo finanziamento. Maggiore è il reddito netto disponibile minore
sarà il rischio che eventi straordinari portino a una situazione
di difficoltà finanziaria. Si può quindi interpretare il reddito
netto disponibile come una forma di ammortizzatore finanziario in grado di assorbire shock esogeni quali una riduzione
delle entrate o un incremento delle uscite.
La prevalenza delle entrate finanziarie rispetto alle uscite
7 May,Young, (2005).
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non è però da sola sufficiente a quantificare il grado di stabilità finanziaria del soggetto valutato. Essa rappresenta infatti un
andamento medio che, in quanto tale, può essere utilizzato solo se abbinato a una misura di dispersione. L’analisi dei flussi
di cassa periodici di fatto cristallizza, in quella che si potrebbe
definire «un’istantanea», la situazione finanziaria di un soggetto. L’eventualità che questa situazione subisca mutamenti
peggiorativi (diminuzione delle entrate o aumento delle uscite) richiede di correggere le valutazioni fatte in precedenza
considerando la possibilità che eventi straordinari modifichino la struttura dei flussi spingendo il soggetto in situazioni di
sovraindebitamento. Il reddito netto disponibile è quindi una
forma di ammortizzatore tanto più efficace quanto minore è la
probabilità che si verifichino gli shock esogeni che è chiamato a fronteggiare. All’analisi dei flussi finanziari, che si caratterizza per una forte componente di personalizzazione, va quindi abbinata un’analisi delle probabilità di sovraindebitamento, che conferisce al modello un fondamento empirico, nonché una componente previsionale. Il modello non rappresenta quindi un semplice, per quanto efficace, budget finanziario,
ma assume così una natura maggiormente articolata.
Nella sua componente statistica il modello stima la probabilità che, data una determinata condizione (profilo) sociodemografico-finanziaria, da una situazione iniziale di equilibrio si passi a una situazione di difficoltà finanziaria. La necessità di non stimare le probabilità che si realizzino fenomeni di sovraindebitamento considerando separatamente le singole caratteristiche che danno vita al profilo analizzato (ad
esempio età, reddito, importo del debito in essere, ecc.), bensì valutando contemporaneamente i diversi fattori che identificano lo specifico profilo, è dettata dalla considerazione che
non si possa ipotizzare la natura indipendente dei vari fattori
di rischio.
Sarà quindi l’abbinamento dei risultati del primo step del
modello (analisi dei flussi) con i risultati del secondo step (stima del rischio) a fornire le indicazioni in merito alla situazione finanziaria complessiva del consumatore.
Quello descritto, pur nella sua completezza, può essere considerato un modello di base sul quale è possibile intervenire al
fine di raggiungere livelli di approfondimento superiori.
In particolare, il modello può essere potenziato prendendo
in considerazione tre aspetti: il profilo socio-demografico-finanziario del consumatore, il suo stato patrimoniale (asset-liabilities) e la sua propensione al rischio. Sul primo aspetto, laddove analisi del mercato dovessero evidenziare probabilità di
sovraindebitamento particolarmente elevate per specifici profili socio-demografici, sarebbe interessante valutare la probabilità che per un consumatore che parte da un profilo a basso
rischio possa avvenire una migrazione verso profili considerati invece a rischio elevato. Con il secondo aspetto la considerazione degli asset consentirebbe di includere nel modello
valori di stock (attività e passività) rispetto ai valori di flusso già considerati (entrate e uscite finanziarie periodiche). In
particolare di fronte a squilibri di cassa, la possibilità per il
consumatore di coprire tali squilibri ricorrendo a risparmi accumulati nei periodi precedenti ridimensionerebbe la gravità
della situazione. Con il terzo aspetto infine il rischio di trovarsi in situazioni di sovraindebitamento verrebbe stimato tenendo conto anche dell’attitudine del consumatore a prendere decisioni in modo impulsivo o a porsi in situazioni di rischio. Come evidenziato da diversi studi in letteratura8, un’analisi comportamentale del consumatore, finalizzata a verificare fenomeni di impulsive shopping o la tendenza al gambling, può fornire indicazioni preziose in merito alla capacità
del soggetto di tenere sotto controllo la propria situazione finanziaria.
9 Verso un indicatore: prime proposte e
questioni aperte
Definiti gli obiettivi, le caratteristiche generali e gli aspetti
considerati del modello di valutazione, è possibile formulare
una proposta di un indicatore di capacità finanziaria. Il contesto di riferimento nel quale il modello potrà essere utilizzato è il mercato italiano. La componente previsionale del modello infatti si fonda su basi statistiche relative al mercato nazionale.
Le informazioni richieste dal consumatore come dati di input sono: sesso; età; reddito mensile; professione; regione di
residenza; stato civile; figli a carico; importo mensile destina-
8 Chien, Devaney (2001), Hilgert, Hogart (2003), Kamas et al. (2006).
11
CONTRIBUTI
to al rimborso dei debiti; condizione abitativa; richieste di
nuove linee di credito negli ultimi 6 mesi; presenza di altre linee di credito attive; ritardi registrati negli ultimi 12 mesi.
Nella prima fase del modello, finalizzata a ricostruire il budget finanziario del consumatore, si è scelto di chiedere esplicitamente al consumatore l’importo relativo alle entrate medie mensili. La possibilità di stimare tale valore partendo dalle altre informazioni e avvalendosi di statistiche ufficiali è stata scartata considerando l’importanza di tale informazione e la
natura piuttosto eterogenea della composizione di tale voce.
Si è ricorso al processo di stima basato su dati Istat9 per i
valori relativi alle uscite finanziarie medie mensili. In base alla composizione del nucleo familiare, all’età del capofamiglia,
alla professione e alla regione di residenza si giunge a una prima stima delle uscite medie mensili. Il processo di stima prevede che, per ognuno dei criteri identificati, si quantifichi la
tendenza del dato misurato a scostarsi dalla media di riferimento. Profili per i quali il soggetto mostri una tendenza a posizionarsi sopra la media per ognuno dei criteri considerati
condurranno a una stima delle uscite superiore alla media. Un
soggetto che si trovi in una regione con livelli di spesa media
più elevati rispetto alla media nazionale, che svolga una professione che consente tenori di vita (e quindi livelli di uscite
finanziarie) più impegnativi e che si trovi in una fascia di età
mediamente caratterizzata da esigenze più elevate, vedrà attribuirsi una spesa stimata superiore rispetto a un soggetto che
risiede in una regione nella quale il costo medio della vita è
più contenuto, che svolge una professione alla quale è associato un livello di uscite finanziarie mensili più basso e che si
trova in una fascia di età caratterizzata da bisogni di spesa più
elementari. L’approccio adottato consente di stimare le uscite finanziarie di un particolare profilo socio-demografico partendo dai valori relativi ai singoli fattori che danno vita al profilo. Al fine di considerare la possibilità che il soggetto valutato voglia correggere le stime, in quanto non corrispondenti
alla realtà10, tutte le stime verranno di fatto presentate come
proposte che l’interessato potrà modificare qualora lo ritenesse opportuno.
La stima dei valori relativi alle uscite correnti destinate al
soddisfacimento dei vari bisogni riconducibili allo stile di vi-
ta del consumatore (alimentazione, abbigliamento, trasporti,
comunicazione, tempo libero, ecc.) esclude per ovvi motivi le
uscite finanziarie mensili destinate al rimborso dei debiti in
essere. Sottraendo alle entrate medie mensili le uscite medie
mensili si ottiene il reddito netto disponibile. Sarà tale misura a essere confrontata con l’impegno finanziario legato ai finanziamenti in essere. Un valore negativo, indicando che il
consumatore ogni mese spende mediamente più di quanto
guadagna, porterebbe a concludere che il soggetto analizzato
è di fatto già in una condizione di tendenziale sovraindebitamento. Valori positivi richiederebbero invece un approfondimento di indagine finalizzato a verificare la possibilità che, dato lo specifico profilo socio-demografico-finanziario, l’equilibrio finanziario attestato dal reddito netto disponibile possa
essere compromesso in futuro da un peggioramento strutturale delle voci di entrata o di uscita, con un effetto «deriva» che
può spingere il consumatore verso situazioni di sovraindebitamento.
Per la stima del rischio di futuro sovraindebitamento di coloro che si trovano al momento della valutazione in una situazione di equilibrio finanziario (più o meno stabile) ci si è
avvalsi del contributo di un credit bureau11. L’indagine ha considerato un campione di circa 206.000 consumatori rappresentativi della popolazione italiana. Come indice di sovraindebitamento è stata utilizzata la presenza di importi dovuti e
non pagati per periodi superiori a 90 giorni dalla data di scadenza del pagamento.
Tenendo conto dei fattori analizzati, comprendenti sia elementi socio-demografici (sesso, età, professione, ecc.) sia elementi comportamentali (ritardi nei pagamenti, numero di linee di credito attivate, ecc.), si è proceduto a stimare un modello di regressione di tipo logit ottimizzato (anche) tenendo
conto di una stima di rischiosità precedentemente calcolata
dal credit bureau fornitore dei dati, basata però esclusivamente su informazioni di natura finanziaria12. L’analisi di significatività delle singole variabili utilizzate ha consentito di definirne i pesi, nonché di calibrare il modello.
La mancanza di dati circa altre informazioni potenzialmente rilevanti (ricorso alle carte di credito per prelievi contante presso Atm, rimborso di debiti tramite accensione di
9 Istat (2006).
10 È ragionevole ipotizzare che all’interno del medesimo profilo i consumatori si distinguano per una diversa propensione al consumo che può in alcuni casi rendere la stima delle uscite medie mensili distante dal reale dato del consumatore.
11 I dati sono stati gentilmente messi a disposizione da Experian Italia, che da diversi anni ha
un accordo di collaborazione con il Dottorato in Banca e Finanza la cui sede amministrativa
è presso l’Università di Roma Tor Vergata. Gli autori, che svolgono la loro attività accademica
e di ricerca nell’Università di Roma Tor Vergata, desiderano ringraziare Experian Italia per la
disponibilità e per la collaborazione fornita anche nella fase di elaborazione dei dati.
12 L’indice di rischiosità Experian è denominato Cdi (Credit default index) e rappresenta una
misura di scoring costruita sui dati raccolti nell’ambito dell’attività professionale della società.
Il modello qui proposto tiene conto dei fattori di Cdi stimati da Experian, prendendo però in
considerazione anche variabili socio-demografiche non comprese nel modello del credit bureau. La maggiore numerosità dei dati e la diversa natura delle variabili utilizzate nella stima
del modello Cdi non consente di interpretare i risultati del modello qui proposto come una
misura di merito creditizio. La considerazione delle stime di Cdi Experian all’interno del modello, pur offrendo la possibilità di tener conto dei risultati di un processo di stima del merito
creditizio di tipo professionale proposto in ambito operativo, non implica un perfetto allineamento dei risultati del modello Experian con il modello qui proposto in quanto i valori di Cdi
sono inseriti in un processo valutativo che prende in considerazione anche altre variabili rilevanti. La considerazione che i due modelli condividano diverse variabili fa si comunque che il
modello qui proposto presenti un elevato grado di compliance con il modello Experian.
12
CONTRIBUTI
BANCARIA n. 10/2007
nuovi finanziamenti, ecc.) ne ha impedito l’inclusione nella
definizione dei profili oggetto di indagine.
Disponendo quindi dei risultati sia dello step 1 (analisi dei
flussi) sia dello step 2 (analisi del rischio) è stato possibile aggregare le due informazioni per giungere a un’unica misura di
capacità finanziaria. In previsione della necessità di rendere il
risultato del modello di facile e immediata comprensione, i risultati numerici delle due fasi dell’analisi sono stati ricondotti a una scala di valori a intervalli discreti.
Il valore del reddito disponibile viene rapportato al totale
delle entrate finanziarie al fine di ottenere una misura percentuale. In base a una griglia di conversione si trasforma poi
il peso percentuale del reddito disponibile rispetto al reddito
complessivo in un valore numerico da 0 a 5. Ai valori più bassi del punteggio corrispondono situazioni di minore allerta,
mentre a valori più elevati sono associate situazioni di maggiore preoccupazione (tavola 1).
Le stime della rischiosità vengono anch’esse ricondotte a
classi. A ogni classe viene abbinato un valore numerico da
zero a cinque, in modo tale che a valori più bassi corrispondano stime della probabilità di sovraindebitamento più contenute.
Sommando i punteggi dei due step del modello si giunge
a una misura complessiva sul grado di stabilità finanziaria di
uno specifico consumatore. Le indicazioni fornite dal modello prevedono quindi un intervallo di variazione da 0 a 10,
dove a valori più elevati corrispondono gradi di allerta per il
consumatore (livelli di potenziale rischio sovraindebitamento) maggiori.
Se gli estremi dell’intervallo sono probabilmente associati a situazioni chiare, dove il consumatore tramite il model-
Tavola 1
Definizione del punteggio per l’analisi dei flussi (step 1)
Reddito netto disponibile in percentuale del reddito complessivo
< 5%
5%-10%
10%-15%
15%-20%
20%-25%
> 25%
14
CONTRIBUTI
BANCARIA n. 10/2007
Punteggio
5
4
3
2
1
0
lo trova conferma di evidenze che, nel bene e nel male, sono piuttosto palesi, è nelle fasce di voto intermedie che il
modello riesce a far emergere situazioni di difficoltà latente
di non altrettanto facile constatazione. Come si è già avuto
occasione di sottolineare in precedenza, il modello vuole fornire un supporto a soggetti che comunque sono chiamati a
maturare decisioni in autonomia. Le risposte del modello dovrebbero quindi migliorare la qualità di un set informativo
di un soggetto il quale, grazie a una migliore cognizione in
merito alle proprie reali capacità finanziarie, dovrebbe prendere decisioni maggiormente consapevoli. Il modello quindi è, e deve rimanere, uno strumento di supporto ad un processo decisionale autonomo del consumatore. Ciò che si vuole scongiurare con queste ultime considerazioni è un utilizzo distorto del modello stesso che veda in esso, anziché uno
strumento, qualcosa di diverso; qualcosa che sia in grado di
sostituire, anziché integrare, un processo decisionale o, ancor peggio, qualcosa al quale affidare l’intera responsabilità
delle proprie decisioni.
10 Conclusioni: l’utilizzo del modello
Non sarà sfuggito che il criterio che ha guidato la definizione
del modello e la scelta delle variabili il cui input sia affidato al
consumatore è quello della massima semplicità. Sarebbe, infatti, del tutto contraddittorio lavorare per la costruzione di uno
strumento il cui fine dichiarato è quello di colmare il gap tra la
complessità delle scelte da formulare e le cognizioni in materia
finanziaria del consumatore, se la quantità e il tipo di informazioni con cui alimentare gli algoritmi di calcolo della capacità
di indebitamento fossero ampi e reperibili solo a fatica.
È per rispettare questi vincoli che diventa necessario operare alcune semplificazioni di grande rilievo che non sono certamente prive di conseguenze anche sull’affidabilità del modello. La prima: proporre una stima per le voci di uscita ricorrenti (spese alimentari, utenze, sanità, divertimenti, ecc.)
basandosi su profili tipo certamente alleggerisce l’onere di reperimento dell’informazione per il consumatore ma non rischia in qualche modo di deresponsabilizzarlo/la? E ancora,
non vi è il timore che le stime proposte, riferendosi a situa-
zioni normali, producano risultati inappropriati ove ci si trovi in presenza di circostanze non in linea con la media e non
opportunamente evidenziate dal consumatore? Passando poi
a ragionare della componente predittiva o dinamica, che come si è visto è sviluppata sulla base dell’analisi di regressione
di alcuni comportamenti di pagamento e a partire da determinati profili finanziari e creditizi, la questione diventa ancor
più delicata. Per consentire al consumatore di alimentare il
modello è indispensabile che gli/le sia richiesto di reperire poche e semplici informazioni; ciò limita severamente la capacità previsionale del modello perché alcune variabili, né immediatamente reperibili e neppure di evidente comprensione
(una fra tutte: il grado medio di utilizzo delle linee di fido) e
che per questo motivo è necessario escludere, hanno invece
un forte potere predittivo. Di nuovo si propone una questione delicata: quanto è appropriato correggere il risultato dell’analisi dei flussi con algoritmi previsionali che non possono,
per definizione, essere ottimali e che dunque sono suscettibili di generare un certo livello di errori?
La questione potrebbe essere risolta ricordando banalmente che il meglio è nemico del bene e che tra il nulla e qualcosa di imperfetto dovrebbe essere preferibile la seconda opzione; qui però non si tratta di scegliere tra zero torta o poca torta, qui il problema è quello di decidere se affidarsi a uno strumento di misura inevitabilmente imperfetto. Si tratta di una
scelta che riguarda tutti i soggetti coinvolti, siano essi consumatori, creditori o altri.
La prima questione riguarda le responsabilità legali di chi
dovesse proporre lo strumento: è evidente che, una volta segnalati con chiarezza i limiti di significatività dei risultati, è
necessario essere al riparo da qualsiasi rivalsa proposta dal consumatore che avesse stipulato un nuovo prestito e si fosse poi
trovato in condizione di non essere in grado di restituirlo, ovvero che, a fronte di un risultato negativo, avesse rinunciato
a ricorrere al finanziamento perdendo magari interessanti opportunità di investimento o consumo. Poiché, anche con dati più puntuali e modelli di analisi più sofisticati, non è mai
possibile ottenere la certezza assoluta quanto all’esito di un
credito è indispensabile che, fermo l’impegno a proporre il modello migliore possibile e opportunamente calibrato, il pro-
ponente possa essere certo di godere di una manleva totale e
definitiva.
Ciò premesso, il dilemma da sciogliere resta quello di come far trattare in sede di risposta le situazioni suscettibili di
ricadere nell’area in cui il modello può facilmente errare. Posto che la prospettiva è quella di evitare il manifestarsi di situazioni di sovraindebitamento, potrebbe essere ovvio propendere per soluzioni cautelative che cioè collochino tutte le
situazioni dubbie nell’area delle risposte negative. È chiaro come una soluzione di questo tipo rischierebbe di dimostrarsi eccessivamente restrittiva, poco accettabile dai finanziatori che
vedrebbero la domanda contrarsi in modo eccessivo, ma anche frustrante per i consumatori che vedrebbero messa in dubbio con eccessiva severità la propria capacità di ricorrere al
credito. All’estremo opposto, risolvere in senso positivo tutte
le situazioni dubbie spingerebbe i mutuatari a scelte forse avventate e metterebbe in difficoltà i finanziatori i cui sistemi
di valutazione del merito di credito fossero tarati in senso più
prudenziale.
Per questo motivo la risposta più corretta finisce per essere quella più ovvia: il modello, qualsiasi modello, dovrebbe essere onesto nell’indicare i propri limiti, nel dar conto dell’esistenza di fattispecie non equivocabili, in un senso o nell’altro, ma anche della presenza di un certo numero di situazioni
(augurabilmente non eccessivamente frequenti) per le quali
occorre adottare cautela ed effettuare qualche supplemento di
analisi. Si potrebbe temere che questo significhi il fallimento
del modello: nella misura in cui le situazioni dubbie siano relativamente contenute sarebbe una critica del tutto fuori luogo in quanto comunque un buon numero di casi sarebbe risolto. Ma c’è di più: è paradossalmente meglio che il modello
non sia quel magico marchingegno capace di dare risposte certe e assolute a qualsiasi tipo di domanda; esso è un supporto,
un attrezzo che semplifica la comprensione di problemi e che
richiama l’attenzione del consumatore su grandezze e circostanze alle quali, lasciato solo, forse non avrebbe neppure pensato. In questo senso esso si inserisce in modo positivo e stimolante nel processo di educazione finanziaria che risulta tanto più facile quanto più riferibile a situazioni concrete e d’interesse diretto e immediato delle persone.
15
CONTRIBUTI
Un’ultima questione riguarda la scelta del formato di comunicazione con l’utente del modello: è chiaro che proprio in
quanto ha una finalità di tipo educativo, perché si propone di
essere concretamente utile ad assumere decisioni, perché vuole essere fruibile e deve essere onesto nell’evidenziare i propri
limiti, la scelta del tipo di interfaccia deve essere la più immediata e comprensibile possibile. Per questo la scelta del modo in cui rendere le istruzioni per l’uso, la verbalizzazione dei
caveat, la definizione del formato dei dati con cui va alimentato il modello, e la messa a punto di come debbano essere
rappresentati i risultati, devono avere come riferimento costante le capacità cognitive e di espressione dell’utente e non,
come troppo spesso accade, quelle di colui o colei che ha disegnato la «macchina».
Se gli strumenti tecnologici di cui quotidianamente ci avvaliamo richiedessero, per essere utilizzati, la conoscenza dei
linguaggi specialistici che sono familiari ai soli progettisti, ne
risulterebbe ben rarefatto l’utilizzo. Così, se si vuole realmente mettere il consumatore di servizi finanziari in condizione di
comprendere i termini delle problematiche sulle quali è chiamato a effettuare delle scelte è necessario affidare la questione della modalità di rappresentazione delle informazioni fornite e richieste agli specialisti di comunicazione, agli esperti
del linguaggio e agli studiosi di semiologia. E poiché chi scrive non è nulla di tutto questo, è necessario fermarsi qui con
un’ultima riflessione relativa al fatto che, se un atteggiamento simile fosse stato adottato in occasione della definizione
delle regole di trasparenza, forse si potrebbe essere un poco più
ottimisti riguardo all’utilità delle informazioni che la normativa prescrive di fornire alla clientela.
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17
CONTRIBUTI