La tutela dei consumatori tra diritto antitrust e pratiche

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La tutela dei consumatori tra diritto antitrust e pratiche
Convegno “I principali sviluppi nel diritto della concorrenza comunitario e nazionale”
Sorrento, 20-21 maggio 2011
La tutela dei consumatori tra diritto antitrust e pratiche commerciali scorrette
Ginevra Bruzzone
Introduzione
Da quando all’Autorità garante della concorrenza e del mercato sono state attribuite le
competenze in materia di pratiche commerciali scorrette il tema della centralità della tutela
dei consumatori nell’attività istituzionale è stato oggetto di molti approfondimenti. Non voglio
riproporre qui queste analisi1, ma piuttosto prenderne i risultati come punto di partenza per
alcune riflessioni di taglio prospettico sulle modalità che dovrebbe assumere la tutela dei
consumatori nel diritto antitrust e nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette nei
prossimi anni.
E’ generalmente riconosciuto che la tutela della concorrenza e la disciplina delle pratiche
commerciali scorrette non hanno nel contesto giuridico europeo un medesimo fine diretto.
L’obiettivo della disciplina antitrust è rimuovere le distorsioni al processo concorrenziale;
perseguendo questo obiettivo si ottengono importanti benefici per i consumatori, ma ciò
avviene in via indiretta. La tutela dei consumatori è invece obiettivo diretto della normativa
sulle pratiche commerciali scorrette. Nella disciplina questo obiettivo è definito non
1
Tra i molti contributi, cfr. Luigi Fiorentino (2009), Autorità garante e interventi a tutela dei
consumatori, in “Antitrust tra diritto nazionale e diritto comunitario- VIII Convegno UAE”, a cura di E. A.
Raffaelli, 306-336; Alberto Pera (2009), Tutela della concorrenza e protezione dei consumatori: quali
complementarietà?, in “Antitrust tra diritto nazionale e diritto comunitario- VIII Convegno UAE”, a cura
di E. A. Raffaelli, 337-360; Ginevra Bruzzone e Marco Boccaccio (2010), Il rapporto tra tutela della
concorrenza e tutela dei consumatori nel contesto europeo: una prospettiva economica, relazione al
Convegno Agcm- Luiss- Università degli Studi ‘Roma Tre’ su “Il diritto dei consumatori nella crisi e le
prospettive evolutive del sistema di tutela”, pubblicato in Note e studi Assonime n. 1/2010.
1
genericamente, ma in modo specifico in relazione alle pratiche che tramite l’inganno, la
coercizione o comunque in contrasto con la diligenza professionale alterano le decisioni di
natura commerciale del consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento e
avveduto. Contrastando le condotte che possono alterare significativamente i processi di
scelta dei consumatori, le regole sulle pratiche commerciali scorrette favoriscono,
indirettamente, il processo concorrenziale.
Il diritto antitrust e la disciplina delle pratiche commerciali scorrette non sono quindi strumenti
succedanei, ma sistemi normativi complementari. In un contesto, come il nostro, basato sulla
rule of law, i paradigmi applicativi delle due discipline sono e devono restare distinti.
Fatta questa premessa, quello che mi sembra oggi interessante discutere – in una prospettiva
non solo italiana, ma europea – è quale debba essere all’interno di ciascuno dei due paradigmi
il ruolo affidato alla valutazione dell’impatto sul consumatore. Per entrambe le discipline,
infatti, la situazione non è consolidata. Per il diritto antitrust l’analisi della giurisprudenza
europea evidenzia che siamo ancora in pieno processo di ricerca di una sintesi tra il pensiero
austriaco-tedesco in materia di concorrenza e l’approccio economico-giuridico della cultura
anglosassone. Per le pratiche commerciali scorrette, in una fase di primi bilanci
sull’applicazione della direttiva 2005/29/CE, sta emergendo l’esigenza di modalità applicative
che, oltre a proteggere i consumatori, siano funzionali a rimuovere gli ostacoli alla
realizzazione di un mercato unico europeo che ancora derivano dalle incertezze e dalle
divergenze applicative tra Stati membri.
2. Prospettive della tutela del consumatore nel diritto antitrust europeo
In un recente discorso il Commissario Almunia ha osservato che la storia della politica della
concorrenza e della sua applicazione in Europa è “a story of resilience and adaptability”, di
capacità di ripresa e di adeguamento: gli articoli del Trattato restano immutati ma la loro
applicazione, sia nella sostanza che nella procedura, si adatta al mutare delle esigenze2.
Le regole sulla concorrenza sono state introdotte nel Trattato di Roma a tutela di un processo
concorrenziale non distorto, in vista della creazione di un mercato integrato e come
salvaguardia rispetto al rischio di un’evoluzione monopolistica in alcuni settori. I possibili
effetti positivi per i consumatori europei stavano solo sullo sfondo. Nella formulazione di quelli
che oggi sono gli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea vi sono
alcuni specifici richiami all’impatto sui consumatori (nell’articolo 101, paragrafo 3 e
2
Joaquin Almunia, Staying ahead of the curve in EU competition policy, GCLC’s Fifth Evening Talk,
Bruxelles, 19 aprile 2011.
2
nell’articolo 102, lettera b), ma esso non è indicato né come obiettivo della disciplina né come
criterio generale per distinguere i comportamenti vietati.
E’ dalla fine degli anni Novanta che nell’applicazione del diritto antitrust europeo l’attenzione
all’impatto sui consumatori è aumentata sino ad acquisire un’indubbia centralità. I motivi sono
principalmente due: il primo è la necessità di rafforzare il sostegno pubblico nei confronti della
politica europea di concorrenza; il secondo è l’esigenza di orientare l’applicazione delle norme
verso un’analisi più attenta all’impatto economico sul mercato.
L’opportunità di creare una constituency pubblica in favore delle regole di concorrenza è stata
un’intuizione del Commissario Monti, di cui anche i suoi successori hanno colto l’importanza.
Soprattutto in tempi di crisi economica le pressioni in favore di misure di sostegno pubblico e
protezione degli operatori dalla concorrenza sono forti e, in assenza di argomenti in senso
opposto, possono portare a un riorientamento del sistema economico verso logiche non di
mercato. Il rischio di un’Europa meno favorevole alla concorrenza è emerso in tutta evidenza
nel dibattito sul Trattato di Lisbona ed è stato ben presente quando si è trattato di gestire la
politica degli aiuti di Stato nei momenti più drammatici della crisi.
I successivi Commissari per la concorrenza hanno resistito sostenendo che la tutela del
mercato ha un’importante impatto esterno che va a beneficio, in ultima analisi, dei
consumatori europei. La via da seguire è stata successivamente proposta dallo stesso Monti
come strategia generale per il rilancio del progetto del Mercato unico: l’economia di mercato
non va abbandonata perché fornisce le migliori garanzie di un’efficiente allocazione delle
risorse; essa però deve essere accompagnata da misure attive volte ad accrescere la
sostenibilità, anche sociale, delle politiche per il mercato3.
In questo quadro, l’esigenza di rendere più evidente l’impatto positivo dell’applicazione delle
regole di concorrenza ha portato a una crescente enfasi sulla fissazione delle priorità
d’intervento nel public enforcement. La Commissione europea ha concentrato l’azione
antitrust sulle restrizioni da cui può derivare un maggiore pregiudizio per i consumatori, in
particolare i cartelli, e ha iniziato a condurre una serie di indagini conoscitive in settori ritenuti
cruciali per i consumatori europei (quali energia, settore farmaceutico, servizi finanziari),
tipicamente accompagnate da interventi in questi settori in applicazione delle regole del
Trattato. La focalizzazione del public enforcement delle regole antitrust sui casi più rilevanti per
i consumatori intesi come acquirenti finali (persone fisiche ma anche imprese) rimarrà
presumibilmente una caratteristica importante anche nei prossimi anni: resta infatti viva
l’esigenza politica di rendere la tutela della concorrenza vicina ai cittadini.
3
Mario Monti, Una nuova strategia per il mercato unico al servizio dell’economia e della società
europea, rapporto al Presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso, 9 maggio 2010.
3
Il destino del cosiddetto approccio economico, che ha portato dalla fine degli anni Novanta ad
attribuire un ruolo centrale all’impatto sui consumatori come criterio analitico per distinguere i
comportamenti leciti da quelli illeciti, può sembrare, almeno a prima vista, più incerto.
Ripercorrendo la storia di questo approccio, vi sono due momenti che possono essere indicati
come epocali. Il primo è la revisione della disciplina delle intese verticali nel 1999, che ha
determinato l’abbandono di un’analisi basata principalmente sul contenuto formale della
relazione economica tra le parti per passare all’analisi del’impatto dell’accordo sul prezzo, sulla
quantità e sulle altre variabili rilevanti del processo concorrenziale. Il secondo momento è
l’adozione, dieci anni dopo, degli Orientamenti sulle priorità della Commissione europea
nell’applicazione dell’articolo 102 agli abusi a carattere escludente. Anche per l’abuso, come
per le intese verticali, la spinta a meglio definire i criteri applicativi della disciplina è giunta
dall’insoddisfazione per le conseguenze di modalità di applicazione basate su un’analisi troppo
incentrata sulla forma e troppo troncata. Dagli Orientamenti del 2009 si evince che un
comportamento escludente dell’impresa dominante è anticoncorrenziale quando comporta, o
è probabile che comporti, un pregiudizio per i consumatori in termini di prezzi più elevati di
quelli che sarebbero altrimenti stati applicati o in qualche altra forma, quale una riduzione
della qualità o dell’innovazione4.
La Commissione europea ha ribadito anche di recente la scelta dell’approccio al diritto
antitrust basato sull’analisi dell’impatto effettivo o potenziale sul mercato. La maggiore
attenzione agli effetti economici delle condotte delle imprese, in particolare in materia di
abuso di posizione dominante, secondo il Commissario Almunia costituisce “forse il più grande
cambiamento nell’applicazione del diritto antitrust europeo avvenuto nel corso degli anni”.
Esso comporta infatti che “invece di guardare alla forma della condotta – è un accordo di
esclusiva? è una particolare forma di sconto? – la nostra analisi concorrenziale considera più
puntualmente il potenziale impatto sul mercato della condotta in questione. E questo è un
miglioramento: i casi non sono fine a se stessi, hanno un valore solo se ci consentono di
migliorare il funzionamento dei mercati e i benefici che ne derivano per i consumatori” 5.
In sostanza, il nuovo approccio è ‘più economico’ in quanto attento all’impatto esterno
dell’atto o della condotta, non nel senso di richiedere necessariamente una valutazione
quantitativa dell’effetto sui consumatori. Il percorso di valutazione resta, come deve restare, di
tipo giuridico. In pratica, sia l’articolo 101 che l’articolo 102 sono applicati attraverso un
percorso strutturato in base al quale un’intesa o la condotta di un’impresa dominante può
essere considerata illegittima solo se riesce a superare una serie di filtri volti a escludere un
4
Commissione europea, Orientamenti sulle priorità della Commissione nell’applicazione dell’articolo 82
del Trattato CE (ora articolo 102 TFUE) al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto
all’esclusione dei concorrenti, 2009/C 45/02, paragrafo 19.
5
Joaquim Almunia, 2011, cit.
4
impatto restrittivo sulla concorrenza, identificato in prima battuta con un aumento del prezzo
del prodotto o una riduzione della quantità venduta (con un chiaro nesso con la nozione
economica di surplus del consumatore).
Ciò che fa sorgere dubbi sul rilievo di questo paradigma applicativo negli anni futuri sono
alcuni orientamenti della Corte di giustizia che sembrano sostenere una visione diversa da
quella della Commissione. In molte sentenze recenti i giudici europei ribadiscono che gli
articoli 101 e 102 sono volti a “proteggere la struttura del mercato e quindi la concorrenza in
quanto tale (come istituzione); in questo modo, anche i consumatori ricevono indirettamente
protezione”. La questione cruciale è se ciò comporti che per dimostrare una violazione non è
necessario valutare se un atto o una condotta restringa la concorrenza in modo da
determinare, almeno potenzialmente, un pregiudizio per i consumatori.
Nel caso GlaxoSmithKline, relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, a limitazioni
del commercio parallelo formalmente rientranti nella categoria delle restrizioni per oggetto, la
posizione della Corte a questo riguardo è stata esplicita. Si trattava di un accordo verticale tra
un produttore di farmaci e grossisti che prevedeva l’applicazione di prezzi di rivendita più
elevati per i prodotti esportati (dual pricing). Il Tribunale di primo grado (ora Tribunale) aveva
cercato di mantenere la possibilità di verificare, a fronte di una restrizione formalmente per
oggetto, se l’utilizzo di una presunzione irrefutabile di violazione dell’articolo 101, paragrafo 1,
fosse giustificata alla luce del contesto giuridico ed economico di riferimento, in ragione delle
circostanze del caso concreto. In particolare, il Tribunale aveva sostenuto che “dal momento
che i prezzi dei medicinali di cui trattasi sono sottratti, in ampia misura, al libero gioco
dell’offerta e della domanda a motivo della normativa applicabile e sono fissati o controllati
dalle pubbliche autorità, non può essere dato automaticamente per scontato che il commercio
parallelo mira a farli diminuire e ad accrescere così il benessere dei consumatori finali”. In tale
specifica situazione, secondo il Tribunale, il carattere restrittivo della concorrenza della
limitazione del commercio parallelo non avrebbe potuto essere presunto e sarebbe stato
necessario considerare gli effetti dell’accordo6. La Corte di Giustizia, tuttavia, non ha accolto
l’argomento e ha continuato a seguire un approccio più formalistico: “Nel settore del
commercio parallelo la Corte ha già avuto occasione di dichiarare che, in linea di principio,
accordi volti a impedire tale commercio sono diretti a impedire la concorrenza (…). Per quanto
attiene all’affermazione del Tribunale secondo cui, se è pacifico che un accordo diretto a
limitare il commercio parallelo deve essere considerato, in linea di principio, diretto a
restringere la concorrenza, ciò è vero nella misura in cui possa presumersi che l’accordo privi i
consumatori finali dei benefici di una concorrenza efficace in termini di approvvigionamento e
di prezzi, si deve rilevare che né il tenore dell’articolo 81, n. 1, CE, né la giurisprudenza
consentono di avvalorare tale affermazione (…). Ne consegue che, subordinando l’esistenza di
6
Trib. CE, 27 settembre 2006, causa T-168/01, GlaxoSmithKline, (2006) Raccolta II- 2969, par. 147.
5
un oggetto anticoncorrenziale alla prova che le condizioni generali di vendita implichino
inconvenienti per i consumatori finali ed escludendo l’esistenza di tale oggetto nelle condizioni
medesime, il Tribunale è incorso in un errore di diritto”7.
Nel caso Glaxo, quindi, a fronte di restrizioni considerate tradizionalmente gravi
nell’applicazione dell’articolo 101, la Corte ha mostrato una ritrosia a collegare la nozione di
restrizione della concorrenza all’impatto, effettivo o probabile, sui consumatori.
Per l’applicazione dell’articolo 102 non ci sono stati, dopo la pubblicazione degli Orientamenti
del 2009, disconoscimenti netti da parte dei giudici europei, anche se nel caso Tomra il
Tribunale non si è discostato da alcuni approcci tradizionali alla valutazione delle politiche di
sconto dell’impresa dominante8. Anzi, si può osservare che nei casi di applicazione dell’articolo
102 successivi a British Airways, compreso Microsoft, i giudici europei hanno considerato con
grande attenzione l’analisi compiuta dalla Commissione delle caratteristiche del mercato e
dell’impatto della condotta dell’impresa in posizione dominante. Riguardo alle ipotesi di
margin squeeze, sia nella sentenza Deutsche Telekom del 14 dicembre 20109 che nella
pronuncia pregiudiziale sul caso TeliaSonera del 17 febbraio 201110 la Corte ha espressamente
accettato il test del concorrente almeno altrettanto efficiente proposto dalla Commissione
negli Orientamenti sull’articolo 102 ed ha sottolineato la necessità di dimostrare che tale
pratica produce un effetto anticoncorrenziale almeno potenziale sul mercato al dettaglio;
rileva, a questo fine, se il prodotto all’ingrosso sia o meno indispensabile per operare nel
mercato al dettaglio.
Resta, anche nelle pronunce più recenti della Corte, la costanza nel ribadire che l’obiettivo
diretto degli articoli 101 e 102 è la struttura del mercato e quindi la concorrenza in quanto tale
(come istituzione) e non la protezione dei consumatori. Anche se chiaramente ispirata a una
visione ordo-liberale che ha portato in passato a modalità di applicazione della disciplina
diverse da quelle prospettate nei documenti della Commissione, questa posizione della Corte
non è necessariamente antitetica a un approccio che esamina l’impatto effettivo o probabile
della condotta sulle variabili, tra cui in primis il prezzo, rilevanti per gli acquirenti finali.
Senz’altro, la Corte sta ribadendo qual è l’oggetto della disciplina della concorrenza. Ma anche
nelle statuizioni della Commissione, che non possono prescindere dal Trattato, l’approccio
basato sull’impatto non è mai presentato come la massimizzazione diretta del benessere dei
consumatori.
7
Corte di giustizia, 6 ottobre 2009, cause riunite C-501/06 P, C-513/06 P, C- 515/06 P e C-519/06 P,
GlaxoSmithKline, (2009) ECR I-9291, paragrafi 59, 62 e 64.
8
Trib. CE, 9 settembre 2010, causa T-155/06.
9
Causa C-280/08 P.
10
Causa C-52/09.
6
Solo se il richiamo alla ‘concorrenza come struttura’ compiuto dalla Corte viene inteso come
paradigma operativo esso risulta effettivamente incompatibile con un approccio basato
sull’analisi dell’impatto sugli acquirenti finali.
Ma, se questo fosse lo scenario, esso presenterebbe gravi controindicazioni. Con particolare
riguardo alla valutazione delle condotte unilaterali delle imprese in posizione dominante,
infatti, se il criterio per distinguere tra comportamenti leciti e illeciti si limita all’impatto in
termini di struttura di mercato, ossia sulla posizione concorrenziale delle altre imprese, diventa
estremamente difficile distinguere tra la protezione del processo concorrenziale e quella dei
singoli concorrenti. Un simile approccio finisce per tradursi in una regola di valutazione
indefinita, che si presta ad applicazioni arbitrarie e rende assai arduo l’esercizio dei diritti di
difesa da parte dell’impresa dominante.
Solo un’applicazione delle regole di concorrenza attenta all’impatto economico sul mercato e
in ultima analisi ai consumatori finali risponde all’esigenza di avvicinare la tutela della
concorrenza ai cittadini. Come sottolineava Mario Monti nel 2004, “la politica della
concorrenza è uno strumento per incoraggiare la crescita economica, promuovere una buona
allocazione delle risorse e rafforzare la competitività dell’industria europea a beneficio dei
cittadini. Questi obiettivi sarebbero raggiunti solo casualmente, e a costo di numerosi errori, se
ignorassimo il ragionamento economico e le dinamiche di mercato”11.
Correttamente quindi, a mio parere, la Commissione dichiara di voler continuare a seguire una
policy di attuazione della normativa guidata dalla “probabilità di un impatto negativo sui
consumatori – preoccupazione chiaramente riconosciuta dal Tribunale anche nella sentenza
Tomra” e ridimensiona gli indizi di una contrapposizione radicale tra una Commissione fautrice
di un approccio “effects-based” e una Corte di giustizia favorevole a un approccio
formalistico12.
Il compito della Corte di conciliare gli sviluppi del pensiero economico e giuridico con i principi
che sottostanno alla precedente giurisprudenza è un compito di lunga lena. Molte pronunce
dei giudici europei mostrano ampia disponibilità a considerare l’analisi dell’impatto degli atti e
delle condotte sulle variabili rilevanti per i consumatori purché l’approccio sia proposto in
termini compatibili con l’esigenza di consentire il controllo giurisdizionale. Ciò che i giudici
europei richiedono, anche a fronte di fattispecie complesse dal punto di vista economico, non
è tanto un’analisi formale, quanto un’analisi idonea a fornire una storia chiara e convincente
11
Mario Monti (2004), A reformed competition policy: achievements and challenges for the future,
Centre for European Reform, Bruxelles, 28 ottobre , Speech/04/477.
12
Alexander Italianer, The interplay between law and economics, Charles River Associates Conference, 8
dicembre 2010.
7
dell’impatto effettivo o probabile della condotta sul mercato, che soddisfi lo standard
probatorio richiesto13.
3. La tutela del consumatore nel diritto europeo delle pratiche commerciali scorrette
Per la disciplina delle pratiche commerciali scorrette, la tutela del consumatore è l’obiettivo
diretto e, quindi, non è certo in discussione, ma è in corso un processo volto a precisarne e
affinarne le modalità. Entro giugno 2011 la Commissione europea deve presentare al
Parlamento europeo e al Consiglio un primo rapporto sull’attuazione della direttiva
2005/29/CE; il Parlamento europeo ha già adottato due risoluzioni sul tema, nel gennaio 2009
e nel dicembre 201014. L’occasione è propizia per interrogarsi sui risultati che sono stati
conseguiti e sulle linee evolutive che possono essere auspicate.
La direttiva 2005/29 fornisce un quadro di regole più sistematico e coerente e ha un campo di
applicazione più ampio della precedente normativa europea sulla pubblicità ingannevole.
L’obiettivo della direttiva, peraltro, non è solo assicurare un’elevata tutela dei consumatori, ma
anche quello di rimuovere gli ostacoli al mercato interno derivanti da differenti discipline
nazionali sulle pratiche commerciali15. A questo fine, come noto, essa introduce una clausola
generale che vieta le pratiche commerciali scorrette (articolo 5), e indica le circostanze in cui
una pratica commerciale è scorretta in quanto ingannevole (articolo 6 e 7) o in quanto
aggressiva (articoli 8 e 9). Due liste nere individuano le pratiche commerciali per le quali il
carattere ingannevole o aggressivo viene presunto. La direttiva segue un approccio di
armonizzazione totale, basato su un elevato livello di tutela del consumatore: gli Stati membri,
salvo che nel settore dei servizi finanziari, non possono introdurre disposizioni più restrittive di
quelle contenute nella direttiva negli ambiti da essa disciplinati.
Ciò ha già portato la Corte di Giustizia a dichiarare in via pregiudiziale l’incompatibilità con il
diritto europeo di varie leggi degli Stati membri che vietavano di per sé determinate pratiche
commerciali relative alle vendite congiunte o collegate: per le pratiche non incluse nelle liste
nere, la direttiva richiede infatti una valutazione caso per caso, sulla base dei criteri in essa
contenuti16.
13
Cfr. ad esempio Corte di Giustizia ( Grande Sezione), 10 luglio 2008, causa C-413/06 P, Bertelsmann AG
e Sony Corporation of America c. Independent Music Publishers and Labels Association (Impala).
14
GU C 46 E, 24 febbraio 2010; T7-0484/2010.
15
Direttiva 2005/29/CE, articolo 1.
16
Corte di giustizia, 23 aprile 2009, cause riunite C-261/07 e C- 299/07, VTB-VAB NV; 14 gennaio 2010,
causa C-304/08, Zentrale zur Bekämpfung; 11 marzo 2010, causa C- 522/08, Telekomunikacja Polska; 9
novembre 2010, causa C-540/08, Mediaprint. I giudici francesi, alla luce dell’orientamento della Corte di
Giustizia, interpretano il divieto di tying/bundling contenuto nel loro codice del consumo (art. L.122-1) in
8
Per le vendite congiunte o collegate c’è quindi stato un chiaro effetto di armonizzazione del
diritto degli Stati membri. Per il resto, l’esperienza relativa all’applicazione della direttiva indica
che, se la protezione dei consumatori è indubbiamente stata rafforzata, l’obiettivo di
rimuovere gli ostacoli al mercato unico non è stato ancora raggiunto in misura soddisfacente.
Come sottolineato dal Parlamento europeo nella risoluzione del 15 dicembre 2010, “le
differenze nell’interpretazione e nell’attuazione a livello nazionale hanno impedito di
raggiungere il livello desiderato di armonizzazione, creando incertezza giuridica e
pregiudicando gli scambi transfrontalieri nel mercato unico”17.
Si pone quindi l’esigenza di riflettere su come migliorare il quadro giuridico anche per questo
profilo. Molti degli elementi su cui lavorare sono in realtà già contenuti nella disciplina: la
direttiva del 2005 è infatti ispirata a un ben preciso equilibrio tra l’esigenza di tutelare i
consumatori e quella di non ostacolare ingiustificatamente l’azione commerciale.
La direttiva, così come le norme del Codice del consumo che l’hanno recepita, delineano le
regole di divieto attraverso alcuni requisiti ben precisi, anche se definiti in termini generali ed
astratti. La stessa nozione di consumatore medio, inteso come consumatore normalmente
informato e ragionevolmente attento e avveduto, è stata introdotta dalla giurisprudenza
europea e recepita nella direttiva, in applicazione del principio di proporzionalità. Calibrando la
tutela (con l’eccezione dei soggetti particolarmente vulnerabili) sul consumatore medio, si
tiene conto dell’impatto delle regole sugli incentivi dei consumatori; in particolare, si evita che
la normativa induca i consumatori a un abbassamento delle soglie di attenzione o a un
atteggiamento sprovveduto nei confronti delle proposte commerciali che ricevono sul
mercato.
Le disposizioni che definiscono la nozione di pratica scorretta, ingannevole e aggressiva
pongono come requisito della scorrettezza l’idoneità a falsare ‘in misura apprezzabile’ il
comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio e come requisito
dell’ingannevolezza o dell’aggressività l’’idoneità a indurre il consumatore medio ad assumere
una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso’. Ciò richiede che
nell’applicazione della disciplina sia valutato se la pratica comporti un impatto economico,
attuale o potenziale, significativo.
In termini sistematici è importante che la regola sul divieto delle pratiche scorrette contenuta
nell’articolo 20 del Codice del consumo sia stata interpretata come norma generale, rilevante
per l’interpretazione delle disposizioni più specifiche, e non come norma puramente residuale.
modo conforme al diritto UE come divieto non ‘di per sé’: esso va applicato in relazione ai criteri di
scorrettezza indicati dalla direttiva. Cfr. Corte d’appello di Parigi, 14 maggio 2009, France Telecom; Corte
di Cassazione 13 luglio 2010, Freehand c. France Telecom.
17
Cfr. anche Note e studi Assonime, n. 4/2011.
9
La prassi decisionale e la giurisprudenza degli Stati membri chiariscono progressivamente
come applicare queste nozioni generali nei casi concreti. In Italia si è avuta inizialmente
l’impressione che l’esigenza di una diffusa applicazione delle nuove regole prevalesse su quella
di un’attenta valutazione dell’impatto delle pratiche sul comportamento economico del
consumatore medio. Sono quindi particolarmente apprezzabili, anche come segnali, quelle
decisioni in cui il carattere scorretto di una pratica è stato escluso dall’Autorità perché essa
non era idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del
consumatore18. Molti importanti sono anche quegli orientamenti giurisprudenziali che
richiedono di individuare lo standard di diligenza richiesto agli operatori nel quadro di una
condotta concretamente esigibile e proporzionata, in un’ottica di bilanciamento di interessi.
Al di fuori dei confini nazionali, è ancora molto difficile ottenere informazioni sull’applicazione
della disciplina negli altri Stati membri e questo certamente non facilita l’attività
transfrontaliera delle imprese. La Commissione europea ha da tempo annunciato la creazione
sul proprio sito di un data-base sulla prassi applicativa e la giurisprudenza degli Stati membri.
La realizzazione di questo progetto sarebbe di grande utilità.
Nei prossimi anni c’è da attendersi un importante ruolo della Corte di giustizia, in sede
pregiudiziale, per fornire una linea interpretativa comune agli Stati membri riguardo alle
nozioni generali della direttiva, quale ad esempio quella di contrarietà alle norme di diligenza
professionale. Anche la Commissione europea, peraltro, può svolgere un ruolo per favorire la
convergenza degli orientamenti applicativi sostanziali. Nel 2009 la Commissione ha pubblicato
un documento contenente linee guida sull’applicazione della direttiva, che sarà rivisto
periodicamente19. In questa sede la Commissione potrebbe utilmente ricordare che la
disciplina non è solo a tutela del consumatore, ma è anche volta a rimuovere gli ostacoli al
mercato interno: l’applicazione negli Stati membri deve quindi valorizzare le nozioni della
direttiva volte a dare applicazione al principio di proporzionalità.
Le linee guida della Commissione possono svolgere un’ulteriore importante funzione: è ormai
evidente che l’attuazione della direttiva si sviluppa per filoni d’intervento. La Commissione può
aiutare a individuare tempestivamente i filoni prioritari di attenzione e favorire l’emergere di
best practices per le imprese, in una logica di prevenzione.
La direttiva 2005/29/CE lascia liberi gli Stati membri di scegliere un modello amministrativo
e/o giudiziario di enforcement, purché siano assicurati mezzi adeguati ed efficaci di attuazione,
le autorità siano dotate di un insieme minimo di poteri e siano rispettate determinate
garanzie.
18
Cfr. ad esempio Nike Ipod Sport Kit, provv. 23 settembre 2009.
Staff Document, Guidance on the Implementation/Application of Directive 2005/29/C on Unfair
Commercial Practices.
19
10
Le scelte degli Stati membri riguardo agli assetti istituzionali non sono state uniformi. In alcuni
Stati l’attuazione è affidata all’autorità amministrativa (oltre all’Italia, anche altri paesi tra cui il
Regno Unito, i Paesi Bassi e la Polonia hanno affidato il compito all’autorità di concorrenza); in
altri l’autorità amministrativa ha funzioni d’indagine mentre la decisione e l’irrogazione delle
sanzioni spetta al giudice (Francia); in altri ancora l’applicazione è affidata ai giudici (Germania,
Austria).
Ai diversi modelli corrispondono modalità di attuazione della disciplina non omogenee. Anche
all’interno del sistema di attuazione amministrativa vi sono stili diversi. L’Autorità italiana è
stata molto attiva, per alcuni aspetti esemplare, con un numero di procedimenti e di sanzioni
elevato rispetto ad altri paesi. L’Office of Fair Trading, pure molto attivo, segue un approccio
diverso basato su un minor numero di procedimenti istruttori (tra marzo 2009 e aprile 2010
sono stati chiusi solo 11 procedimenti) e su un’intensa attività di formazione, consultazione,
dialogo e orientamento delle imprese per prevenire le violazioni20.
La varietà non è necessariamente negativa ed è improbabile che si possa adottare una
normativa europea di forte armonizzazione dei sistemi di enforcement senza violare il principio
di sussidiarietà. Si può però immaginare che, con il tempo, emergerà una maggiore
convergenza tra le prassi applicative, anche attraverso gli scambi di esperienze tra autorità, e si
ridurranno quelle disomogeneità applicative che ancora segmentano il mercato unico in tanti
mercati nazionali.
Per l’enforcement da parte delle autorità amministrative il percorso di convergenza sarà
condizionato, in un contesto in cui le risorse sono scarse, dall’esigenza di scegliere le priorità di
intervento. Nella prassi italiana si è già assistito a una progressiva focalizzazione dell’attività
dell’Autorità su casi non sporadici e a una crescente disponibilità a utilizzare, quando possibile,
strumenti idonei ad assicurare l’interesse pubblico alternativi alla sanzione (moral suasion e
decisioni con impegni). Nella risoluzione del 15 dicembre 2010 il Parlamento europeo ha dato
alcune indicazioni agli Stati membri sulla linea da seguire: gli Stati che hanno scelto il modello
amministrativo dovrebbero promuovere la funzione di guidance, ispirandosi all’approccio
seguito nel Regno Unito che vede l’intervento repressivo come soluzione residuale; tutti gli
Stati devono verificare i loro sistemi giuridici per rimuovere le sovrapposizioni della disciplina
con le regole preesistenti, di fonte nazionale e europea; bisogna agevolare lo sviluppo di forme
di autoregolazione complementari all’intervento pubblico.
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Cfr. la guida Consumer Protection from Unfair Trading Regulations: a Basic Guide for Businesses, 2008;
lo studio sull’impatto dei codici di condotta del 2010; la recente consultazione sulla tutela dei
consumatori in internet e su come le imprese possono migliorare la compliance.
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