DIO, IL SISMA E LA LEZIONE DELLA NATURA
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DIO, IL SISMA E LA LEZIONE DELLA NATURA
PIAZZA GRANDE Martedì 8 Novembre 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO | IDENTIKIT VOTATE SÌ, SE NO WASHINGTON PIANGE P iù ci penso e meno riesco a rassegnarmi al fatto che sia stato archiviato come normale quanto si è svolto a Washington nei giorni scorsi (e non mi riferisco al voto Usa di oggi). Colui che, nel bene e nel male, è il presidente del Consiglio del mio Paese, è riuscito in un colpo solo a coinvolgere il presidente degli Stati Uniti, per la verità più che consenziente, in un’operazione elettorale italiana che ha come posta in gioco la nostra Costituzione ma che, al di là della sua virata a U, egli continua a considerare la condizione per la sua sopravvivenza politica. Dopo avere subito, in tempi mediaticamente lontani, senza proferire parola – diversamente dalla pur prudente Merkel – l’umiliazione della sorveglianza telefonica di nostri rappresentanti istituzionali da parte della National Security Agency, egli ha esibito come un trofeo l’endorsement della sua riforma costituzionale prima dell’ambasciatore Phillips e, successivamente, di un presidente che ha appena, e con buone ragioni, denunciato le interferenze della Russia nella campagna elettorale del proprio Paese. Con l’aggravante che qui non si tratta “soltanto” di una scelta di governo, come avvenne nelle pur drammatiche circostanze delle elezioni del 1948 e altre successive, ma dell’assetto costituzionale di un popolo sovrano di un paese alleato. T erremoti, maremoti, tifoni, vulcani in eruzione, catastrofi che, come nei tempi antichi, possono in alcuni suscitare lo spettro della punizione divina. Prima il viceministro israeliano Ayoub Kara, ha sostenuto che il terremoto italico è una punizione divina perché non si è votato contro la mozione dell’Unesco, adesso si è aggiunto Padre Cavalcoli a Radio Maria: il terremoto sarebbe un “castigo divino” a maledizione delle unioni civili. La colpa tuttavia non è delle richieste “peccaminose” dei gay, quanto del governo che le ha soddisfatte autorizzandole! PADRE CAVALCOLI davvero crede a quello che va dicendo, o in qualche modo sa di ricorrere a un trucco, per mascherare il proprio odio verso chi ha legittimato costumi a lui inaccettabili? Un laico religioso e un teologo credono a un Dio così sadico da infliggere un terremoto a una popolazione che per di più non ha nulla a che fare con le decisioni del governo italiano? Un Dio degno di fede si lascerebbe andare a simili orrori? Questo forsennato atteggiamento tra fanatici di attribuire tanta ferocia a Dio, in realtà per nascondere la propria nei riguardi di ciò che non si tollera, è una tragicommedia che nei secoli è dura a estinguersi. Il celebre racconto di Heinrich von Kleist del terremoto di Santia- » GIAN GIACOMO MIGONE * Tutto ciò nel contesto di una regia in cui personalità importanti e variegate – dal commissario anticorruzione Cantone e la sindaca di Lampedusa, Nicolini, a un regista Oscar come Sorrentino e a un attore indiscutibilmente grande, Benigni –venivano esibiti come figurine oltreché come testimonial del Sì, in un’atmosfera di tripudio provinciale italico e nel relativo silenzio della stampa statunitense. Lo scopo è quello di far credere al pubblico nostrano che bisogna obbedire alle indicazioni di Washington, che in realtà non è quella di una volta, e che ha i guai suoi. Al pur intenso dibattito referendario – persino al dotto scambio di vedute tra Zagrebelsky e Scalfari sui concetti di democrazia e di oligarchia – è quasi del tutto mancato un tentativo di analisi della sua dimensione internazio- nale. Eppure, sin dal 28 maggio 2013, la più antica e rilevante banca finanziaria degli Stati Uniti, JP Morgan and Co., sostiene pubblicamente che la salvezza dell’euro va cercata nella politica e che essa avrebbe dovuto concretizzarsi nella riforma delle costituzioni di alcuni paesi. “I SISTEMI POLITICI della periferia (dell’Europa) sono stati costituiti all’indomani delle dittature e sono stati definiti da quell’esperienza. Le Costituzioni tendono a mostrare una forte influenza socialista, riflettendo la forza politica che i partiti di sinistra avevano guadagnato dopo la sconfitta del fascismo” (cfr. JP Morgan and Co., “The Euro Area Adjustment: about halfway there”, Europe Economic Research, 28 maggio 2013, pp. 12-13). Si tratta della stessa banca che in passato aveva contribuito in maniera essenziale a consolidare uno di quei fascismi, quello italiano, liberandolo di oltre l’80% del debito di guerra, organizzando un’ondata di crediti a suo favore e il ritorno della lira al Gold Exchange S ta nd ar d e che oggi, con l’appoggio del governo italiano, sta mangiandosi in un boccone la Monte dei Paschi di Siena. Dopo avere evocato i danni derivanti da questi eccessi di diritti, debolezza dei governi, DIO, IL SISMA E LA LEZIONE DELLA NATURA » TIZIANA DELLA ROCCA ria ancora maggiore, quella della natura, che aveva salvato loro, i presunti colpevoli, e inflitto agli accusatori un inferno di dolore. Ma la cosa non finisce qui, Kleist è implacabile nell’indicare l’empietà degli uDELITTI E CASTIGHI mani: i due innaPadre Cavalcoli a Radio morati vengono riacciuffati e masMaria ha usato un trucco sacrati dalla poinferoper mascherare il proprio polazione cita che attribuisce ai loro peccati odio verso chi ha il terremoto. Ansostenuto le unioni gay che qui quella del moralismo estenuato è la vera cere e lei con la macabra punizione perversione. Il terremoto si abbatmorte per decapitazione. Mentre i te all’improvviso, sta all’uomo poveretti scontano la loro pena, proteggersi in anticipo, prevenenecco che arriva il violentissimo dolo, spesso non lo fa, distraendosi terremoto che tutto distrugge. La con altro, o lo fa a metà a catastrofe fanciulla fugge, il giovanotto an- avvenuta, come spesso è accaduto, che, e si ritrovano per le strade di per incuria o affarismo, e non si asSantiago illesi non credendo ai sume interamente la responsabipropri occhi: sono scampati alla lità del disastro per tornaconto. O furia degli uomini grazie a una fu- come chi si crede troppo al sicuro, go del Cile nel 1647 è illuminante. Parla di una storia d’amore clandestina fra due giovani che, una volta scoperti, sono immediatamente condannati, lui con il car- » 11 Nati per soffrire: Andy Murray è il numero uno clientelismo politico, ostilità al cambiamento che ne deriverebbero, a novant’anni di distanza, essa così concludeva, quasi profeticamente: “La chiave nel prossimo anno sarà l’Italia, dove il nuovo governo avrà una chiara opportunità di impegnarsi in significative riforme politiche”. Qualcosa di più di un viatico. Quasi un ordine di scuderia che prelude ad altre prese di posizione sullo stesso tema di altri protagonisti e beneficiari della crisi economica del 2007. Merrill Lynch, per non parlare del Wall Street Journal che arriva persino a evocare il pericolo di un’altra Brexit, seguono a ruota. Il Financial Timesè più prudente, al punto di ospitare una critica che mette in dubbio la funzione salvifica della riforma. A queste voci si accompagnano le dichiarazioni di protagonisti politici, di volta in volta sollecitati dal presidente del Consiglio italiano. Senza entrare nel merito, Obama più che la Merkel, passando per Hollande, sono motivati dalla difesa di una stabilità politica sempre più precaria. Con Renzi sanno ciò che hanno in mano. Insomma, la difesa di uno status quo fondato su un’ineguaglianza in continua crescita che, invece, costituisce il vero motore strategico della protesta. Una riforma, nata e propagandata per snellire, riformare, cambiare, paradossalmente viene sostenuta per lasciare le cose come stanno. “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi. Mi sono spiegato?”, disse Tancredi al suo zione, il principe di Salina. * presidente della commissione Affari esteri del Senato, 1994-2001 © RIPRODUZIONE RISERVATA nelle mani di quel Dio che si onora e a cui totalmente ci si affida, ma in verità una profonda pulsione di morte lo tenta. Esemplare quanto nell’anno 1902 accadde alla popolazione della città di Saint-Pierre nell’isola della Martinica, e qui non si tratta della fantasia con cui Kleist dipinge la tragedia cilena ma di dura realtà. Successe che la popolazione di Saint-Pierre, pronta alla festa dell’Ascensione, sicura della divina protezione, non dette retta ai primi rigurgiti del sovrastante vulcano La Pelée, se ne stava tranquilla e beata. E sì che sconsolato il console americano quei giorni scriveva a Theodore Roosevelt: “Qui nessuno è capace o disposto a guardare in faccia la realtà ”. Le autorità rassicuravano, nonostante che negli ultimi tempi la splendida città fosse stata invasa da voraci serpenti fuoriusciti dal vulcano infiammato e uccidevano i bambini. TUTTI E 30 mila gli abitanti peri- rono nella nube infuocata, tutti tranne uno: l’assassino che stava nel fondo del carcere attendendo l’impiccagione, un certo Auguste Ciparis. Grazie alla profondità e alle mura della prigione si salvò, per misericordia e orrore gli fu abolita la pena e divenne ricco raccontando nel Circo Barnum la sua storia, senza dimenticarsi di ringraziare il Buon Dio per la grazia ricevuta. © RIPRODUZIONE RISERVATA » ANDREA SCANZI S iamo nati per soffrire. Dolore e sangue sono le cifre di ogni esistenza. La felicità ci è sostanzialmente negata. Lo sappiamo tutti, ma qualora non ce lo ricordassimo c’è sempre qualche iattura a darci piena contezza del presente. Nello specifico, la iattura è Andy Murray. Di per sé. La iattura al quadrato è poi trovarselo, da ieri, addirittura numero uno al mondo. Tennista tra i più noiosi, smodatamente brutti e fieramente antipatici di tutte le galassie conosciute, comprese quelle di Star Trek e Nathan Never, Murray – per chi non lo ha mai visto, e non sa quanto sia per questo fortunato – è una sorta di hooligan scozzese. Nazionalista e dai denti drammaticamente aguzzi, pieno di tic (sgrana gli occhi, allarga la bocca tipo pesce, parla da solo), la chierica spelacchiata in testa e una propensione raggelante all’urlo belluino. È spesso accompagnato dalla di lui madre, persino più hooligan di lui. Prim’ancora che tennista, Murray è un muro che ribatte tutto. Pallettaro postmoderno, divertente come un monologo di Siani e meno vario di Wilander, è sempre stato dei Fab Four – Federer, Nadal, Djokovic – il meno dotato. Una sorta di eterno secondo, anzi quarto. La sua età dell’oro pareva essere stata quella a cavallo tra 2012 e 2013, quando vinse Us Open e Wimbledon. E pure le Olimpiadi di Londra. Invece l’esplosione non era ancora avvenuta: la stiamo vivendo, proprio ora, proprio qui. Murray è tanto insopportabile (in campo, per carità) quanto forte. MERITA APPIENO la posizione ottenuta. In cinque mesi, dal 5 giugno 2016 (quando ha perso in finale al Roland Garros contro Djokovic) al 5 novembre, quando è stata certa la sua posizione di numero uno al mondo, Murray ha recuperato 8.035 punti a Djokovic. Incredibile, impensabile. Oltretutto, dopo aver ottenuto il Roland Garros (l’unico Slam che gli mancava), Djokovic pareva lanciato verso quel Grande Slam che nel tennis maschile latita dal 1969. Invece il serbo si è perso, tra crisi matrimoniali e pure mistiche (ultimamente si fa accompagnare da un guru). Murray, invece, non ha perso più. Una sistematica macellazione di qualsivoglia avversario, con rarissime eccezioni: la sconfitta agli Us Open con Nishikori, quella con Del Potro in semifinale di Davis. Poco altro. Murray ha vinto anche il Master di Bercy due giorni fa. Per lui otto titoli stagionali, compreso Wimbledon. Venti vittorie consecutive e un presente da dittatore efferato. Sanguinario. Spietato. Nessuno come lui gode dei dolori (sportivi) altrui e grida “c’mon!” quando l’avversario sbaglia. È una macchina da guerra che non conosce pietà. Ogni epoca tennistica ha il suo cattivo, e in questo senso Murray è perfetto come erede di Ivan Lendl, che lo ha peraltro allenato in passato. Complimenti a lui: se lo merita. Ora però, per il bene del tennis e di noi tutti, l’auspicio è che le nuove leve –da Thiem a Zverev, da Kyrgios a Khachanov – crescano sul serio e comincino a mazzolarlo. Sistematicamente. Sarebbe bello. Di più: sarebbe divertentissimo. © RIPRODUZIONE RISERVATA