Guida alla mostra

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Guida alla mostra
CHIUSURA PROROGATA AL 27 LUGLIO 2008
LA COLLEZIONE
Quanto esposto rappresenta una scelta di tessuti, accompagnati da ceramiche e altri materiali,
provenienti dal Perù, che spaziano dal I sec. a.C. all’epoca della Conquista (sec. XVI) ed alla
parte iniziale del successivo periodo Coloniale.
I tessuti, come per quasi tutti i manufatti non provenienti da scavo archeologico, sono privi di
documentazione relativamente al sito, al contesto in cui sono stati scavati ed all’insieme del
corredo funerario di cui facevano parte.
In mancanza dei dati archeologico-stratigrafici, si è reso necessario un esame approfondito
delle tecniche impiegate nella tessitura/decorazione, dei motivi decorativi e del relativo
simbolismo.
Le attribuzioni cronologiche spesso solo indicative, derivano quasi esclusivamente dalle analisi
stilistico-comparativa, tecnologica ed iconografica. Sia pure con i dovuti limiti, queste analisi
hanno permesso di collocare cronologicamente questi materiali assai difficili da classificare, la
cui apparente omogeneità difficilmente dissimula una derivazione da culture diverse nel tempo
e nello spazio.
Come è possibile apprezzare lungo il percorso, i materiali tessili non mostrano ad un primo
sguardo una visibile “evoluzione” nell’arco del tempo, al contrario, spesso i manufatti più antichi
esprimono una qualità ed una perfezione assai più alte, sia dal punto di vista della tecnologia
impiegata che dell’iconografia.
I manufatti sono tutti di provenienza ipogea e costituivano il corredo per il defunto che veniva
inumato in posizione distesa o rannicchiata (fetale), rivestito ed avvolto con tessuti semplici o
preziosissimi e circondato da varie offerte anch’esse tessili, oppure ceramiche, lignee,
metalliche, ecc.
Il particolare clima asciutto del Perù costiero, soprattutto nell’area centro-meridionale, ha
permesso la splendida conservazione di moltissimi tessuti che possono essere ammirati in molti
casi totalmente integri, in altri mancanti di alcune parti a causa del decadimento del materiale
organico cui erano a contatto.
I tessuti donati al Museo Internazionale delle Ceramiche provengono dalla collezione Gabriella
Laffi-Petrachi e sono stati integrati con reperti dello stesso Museo e del Museo degli Sguardi di
Rimini.
LA DONATRICE
Graziella Laffi Petrachi discende da cinque famiglie fiorentine di artisti famosi nel campo della
pittura, della scultura, dell’oreficeria e dello smalto artistico. Terminate a Firenze le scuole
magistrali, viene iniziata dal padre, professore di oreficeria e smalto artistico presso la scuola di
Belle Arti di Porta Romana, al disegno e alla pittura per dare continuità alla tradizione familiare:
perfezionatasi presso la stessa scuola in disegno e pittura, si dedica quindi all’architettura
presso l’Accademia di belle Arti.
Nel 1947 la famiglia Laffi si trasferisce a Lima, dove il padre apre una fabbrica di argenteria
artistica di stile italiano e fiorentino, la “Fábrica Laffi”, dotata successivamente di grandi
laboratori e sale mostra. Nel 1950, Graziella vi aggiunge un edificio di tre piani a scopo
espositivo, comprendente anche un piccolo museo.
Attratta fino dagli inizi del suo soggiorno peruviano dalle antiche culture locali, Graziella aveva
infatti scoperto per la prima volta le meraviglie esposte nel Museo Archeologico di Magdalena:
una grande varietà di ceramiche, tessuti e sculture. Persona dai molteplici interessi, decide
quindi di raccogliere oggetti precolombiani anche sulla base dei suoi interessi stilistici e, nel
contempo, di perfezionare le sue conoscenze nel campo storico-archeologico. Iniziano così sei
anni di viaggi attraverso tutto il paese, visitando città antiche, rovine, luoghi ed edifici sacri
(huacas), ammirando il deserto costiero, le Ande e l’Amazzonia, conoscendo la popolazione
andina. Conquistata dalle meravigliose testimonianze dell’antico Perù, decide di portare la sua
arte a conoscenza di tutto il mondo. Seguono quindi anni di studio e di disegno degli oggetti
esposti in tutti i musei peruviani. Nel contempo, Graziella ha iniziato ad ispirare la produzione
della sua fabbrica agli antichi motivi precolombiani, però stilizzati per la fruizione di un mondo
moderno, avvalendosi di artigiani locali ai quali insegna il lavoro e le tecniche “totalmente a
mano”.
Nei primi anni ’90 matura in Graziella la volontà di cedere una parte delle sue collezioni tessili e
lignee possedute in Italia ad un Museo che ne possa esaltare l’importanza, assicurandone nel
contempo il restauro e la conservazione: la scelta cade, tramite conoscenti comuni, sul Museo
Internazionale delle Ceramiche il quale riceve in donazione i materiali qui parzialmente esposti.
L’AMERICA PRECOLOMBIANA
L’ America Precolombiana è una fucina culturale unica che, per essere rimasta a lungo isolata
dal Vecchio Mondo, segue, nella sua fioritura, un percorso anomalo, pur appartenento all’ Evo
Antico che però passa bruscamente all’ Evo Moderno, a seguito delle scoperte e conquiste
del XVI secolo. Presenta civiltà che hanno costruito grandi città usando solo la pietra come
strumento da taglio. Quando si scoprono i metalli (oro, argento, rame, bronzo), si usano prima
a scopo ornamentale e poi per scopi pratici, non si utilizza la ruota ma se ne conosce il principio
che applica però ad oggetti rituali. Si pratica l’ allevamento (tacchini e llama) più per il
piumaggio e per il vello che per la carne. Si conosce la matematica di posizione fin dal I secolo
a.C. ma nelle transazioni si usa il baratto. La società è stratificata in nobiltà e popolo ed è di
stampo teocratico in cui tutto, anche il più piccolo atto quotidiano, è sacro. La cellula base è il
gruppo (clan), mentre il dualismo maschio/femmina, alto/basso, luce/ombra pervade e
organizza l’ intera cosmogonia in cui tutto è passibile di raddoppiarsi, di quadruplicarsi e così
via per cui l’ individualità degli esseri
soprannaturali è soggetta ad un rapporto
trasformativo continuo di stampo olistico
tendente verso un’ entità unica che però non è
monoteistica ma è la somma di tanti esseri sacri.
Di rimbalzo pure le persone della nobiltà sono
trasformabili e identificabili nel loro cosiddetto
doppio, cioè l’ alter ego animale che
accompagna ogni persona di rango sotto forma
non solo di uno ma almeno due animali che
fungono da vettore nelle relazioni con il divino.
Relazioni che si svolgono in forma di “voli”
sciamanici più o meno evidenti. Il paesaggio e il
mondo circostante sono sempre sacri: però non
si tratta né di panteismo né di animismo ma
compartecipazione di forze sacre cosmiche nel governo del mondo. I defunti sono esseri che
permangono “vivi”, cioè pieni di energia sacra e quindi trasmettitori della stessa agli uomini e al
mondo circostante. Il mondo e il tempo sono considerati parte di grandi processi ciclici.
Le fonti sulle antiche civiltà precolombiane sono, per la parte più antica, mute iconografie
paletnologiche e archeologiche mentre, mano a mano che ci si avvicina ai sec. XV-XVI, le fonti
cronachistiche scritte dopo le conquiste per lo più da europei gettano un po’ di luce su nomi e
fatti degli ultimi tempi, seppure visti secondo gli occhi distorti dei conquistatori che non li
capirono. Fonti che comunque ci permettono di dividere le Americhe in 19 aree archeologicoculturali.
La scrittura, nelle Americhe Precolombiane esiste in varie forme di rappresentazione grafica
del pensiero tutte però legate al sacro: fra queste abbiamo la scrittura fonetica sillabica ma solo
per i Maya e per gli Inca. Esiste inoltre la scrittura materica, cioè i materiali scrittori e le
tecniche di lavorazione includono sempre un messaggio che di solito completa quello scritto
graficamente. Attualmente le scritture precolombiane sono in via di interpretazione.
L’AMBIENTE
L’area archeologico-culturale Peruviana che comprende il Perù, la Bolivia occidentale e
l’Ecuador meridionale, è suddivisa in tre differenti livelli ecologici:
1. una stretta pianura costiera sabbiosa e desertica solcata trasversalmente a tratti
dai principali corsi d’acqua lungo le cui sponde si allargano terreni fertili; le fredde
acque dell’oceano rigurgitano di vita e sono sorvolate da un gran numero di uccelli
guaniferi
2. la frastagliata Cordigliera delle Ande con il suo susseguirsi di vette, vallate e
altipiani
3. l’umida selva che dalle pendici orientali delle Ande digrada verso il bacino
amazzonico.
1) Nella
regione
settentrionale,
costiera
ciclicamente
una
corrente marina reca grandi piogge,
spesso torrenziali e dannose: in tali
occasioni il deserto esplode alla vita
con un incremento di flora e fauna,
per poi tornare gradualmente ad
essere una desolata distesa di
colline rocciose e dune sabbiose
prive
di
vegetazione.
meridionale
gode
di
La
costa
un
clima
maggiormente asciutto.
Il
clima
desertico
della
costa
rappresenta una condizione ideale per la preservazione dei materiali culturali, in particolar
modo di ceramica, tessuti e legni.
Le popolazioni costiere si svilupparono lungo il litorale e all’interno delle vallate fluviali, vere
e proprie oasi dove potevano essere coltivati, tra gli altri, mais, zucche, peperoncino, cotone.
Quest’ultimo (Gossypium barbadense) cresce e viene coltivato nelle sue vaste gamme di
colori naturali: bianco, beige, grigio-violaceo, nocciola, rosso-bruno e bruno. La sua fibra
domina i tessuti grezzi della collezione, come pure le tele operate, garze e tessuti a spazi
aperti, tele dipinte o stampate.
2) La regione montagnosa ha vette di 5-6000 m. , ma è abitabile sugli alti pascoli erbosi, la
cosiddetta puna, e nelle grandi vallate fertili che solcano le montagne con i loro corsi
d’acqua perenni.
Le antiche popolazioni andine vivevano nella vallate fluviali dove, grazie a complessi sistemi
irrigui, era possibile coltivare cotone, mais, zucche, patate, coca, utilizzando anche le zone
più scoscese grazie alla pratica del terrazzamento. Nelle alte terre erbose venivano allevati
grandi greggi di camelidi (Auchenidi) dai quali si ricavava il prezioso pelo: il lama (Lama
glama) fornisce un pelo lungo, ruvido e robusto, nei colori bianco, caffè e nero, di valore
inferiore alle altre specie; l’alpaca (Vicugna pacos) fornisce un pelo folto, segoso ed un
sottopelo molto fine e morbido, in una gamma di colori che va dal bianco al nero passando
per tonalità di rossi-brunastri, marroni, giallastri e grigi; la vigogna (Vicugna vicugna) fornisce
un pelo lungo, segoso ed un corto sottopelo fittissimo, morbidissimo, lucente e caldo, in una
gamma di colori dal rosso-mattone al rosato; il guanaco (Lama guanicos), più raro, fornisce
un pelo ordinario ed un sottopelo fine di colore marrone di poco inferiore a quello della
vigogna come qualità e finezza. Il filato poteva essere impiegato nelle sue tonalità naturali,
oppure tinto in sgargianti colori e delicate sfumature.
3) La regione dei bassipiani orientali, o montaña, è coperta da una fitta vegetazione ed è
solcata da profonde vallate con fiumi impetuosi. La sua popolazione era dedita alla caccia
ed all’agricoltura della giungla, che producevano principalmente frutta, cotone, coca e piume
colorate di uccelli esotici, queste ultime largamente impiegate nella decorazione dei tessuti.
PANORAMA STORICO DEL PERU’
Attorno al V° millennio prima della nostra epoca fioriscono in Perù l’agricoltura e la tecnica di
addomesticamento degli animali; la domesticazione dei camelidi, con la conseguente raccolta
del pelo, si ha a partire dal VI° millennio a.C., mentre la coltura del cotone è introdotta circa
duemila anni dopo. Attorno al II° millennio a.C. si ha l’introduzione del telaio a licci e dal 1°
millennio a.C. i tessuti si ispirano già alle più raffinate e varie tecniche di esecuzione e
decorazione: si sono intanto sviluppate l’economia, la metallurgia, l’architettura, all’interno di
culture già provviste di un apparato religioso e di una struttura sociale.
Orizzonte Antico (XIII - IV sec. a.C.)
Attorno al I° millennio prima della nostra epoca si manifesta già pienamente emancipata sulle
Ande una cultura, detta CHAVIN dagli archeologi, di stampo teocratico, che esercita
un’influenza religiosa e commerciale su un ampio tratto della costa. Crescono e si moltiplicano
templi e villaggi: vengono quindi a generarsi nuove culture tra le quali quella PARACAS
(Cavernas e Necropolis), della costa meridionale, la quale ha prodotto tra i più bei tessuti delle
Americhe, sviluppando contatti commerciali con l’altopiano e la selva.
Periodo Intermedio Antico (IV sec. a.C. – VIII sec. d.C.)
Vede nell’arco di un millennio il sorgere di importanti culture locali come quella NASCA (costa
meridionale) e quella MOCHE (costa settentrionale), i cui primi centri urbani ebbero lunga vita
fino al VI°-VII° secolo della nostra epoca: si costituirono in “regni” di varia estensione e potenza
i quali diedero impulso, anche se spesso in lotta tra loro per la supremazia territoriale, a opere
di idraulica a scopi principalmente agricoli, sviluppando altresì lo sfruttamento della fauna maria.
La loro produzione ceramica e tessile è spesso di una finezza ineguagliata.
Orizzonte Medio (VII – XI sec. d.C.)
Fiorisce il primo grande impero archeologico che denominiamo Huari-Tiahuanaco, con due
capitali o due imperi però collegati tra loro: sorgono città dai tratti architettonici complessi e una
rete stradale che collega le Ande, mentre alcuni centri esercitano funzioni amministrativo-militari
di controllo per conto dello stato centrale.
Periodo Intermedio Recente (XI – XV sec. d.C.)
Si affermano, sulle ceneri dell’impero Huari-Tiahuanaco, numerose culture locali fra le quali,
lungo la costa da nord a sud, CHIMU, CHANCAY e ICA-CHINCHA. Di alcune di esse, come il
regno di Chimor o Chimù, sappiamo il nome: era uno stato potente e guerriero, mentre
Chancay e Ica-Chincha sono particolarmente note per le necropoli e le mirabili tele decorate.
Orizzonte Inca (XV – XVI sec. d.C.)
A partire dal secolo XIV il regno di Cuzco, acquisita maggiore potenza, inizia una vittoriosa
espansione in tutte le direzioni, portando alla nascita di un grande stato a carattere imperiale,
caratterizzato da un’organizzazione economica, politica, religiosa, burocratica e militare
fortemente centralizzata. Gli Inca giunsero così ad avere il pieno controllo di tutto il Perù
espandendosi a nord fino a parte della Colombia, a sud fino a buona parte di Cile e Argentina, a
est e sud-est comprendendo buona parte della Bolivia e una striscia di foresta pluviale
amazzonica.
Conquista (XVI sec. d.C.)
Con inizio sulla costa peruviana nel 1532, ha luogo la distruzione dell’impero Inca la cui cultura
però sopravvive, pur meticciata, fino ai giorni nostri.
I PRIMI TEMPI
Orizzonte Antico (XIII-IV sec. a.C.):
Lo stile tessile CHAVIN è dominato da una creatura con tratti felinici.
Nella costa meridionale sono presenti stoffe semplici di cotone, tessuti doppi e a faccia di
trama, frange ad intreccio e manti di grandi dimensioni ricamati con filato di auchenide o dipinti.
La cultura PARACAS (V-II sec. a.C.) è suddivisa in due epoche:
-
Cavernas: i tessuti si caratterizzano per essere di tipo geometrico e rigidi, predominando la
tecnica del tessuto doppio; sono decorati con felini o esseri antropomorfi geometrizzati,
volanti, con capelli serpentiformi;
-
Necropolis: i tessuti sono famosi per i ricchi ricami di personaggi che impugnano bastoni o
teste trofeo, queste ultime anche legate alla cintura e trasformantesi in serpenti bicefali, con
le acconciature terminanti in un coltello sacrificale; sono presenti ornamenti nasali e frontali;
in second’ordine sono presenti disegni naturalistici presi sia dalla flora che dalla fauna.
Periodo Intermedio Antico (IV sec. aC – VIII sec. d.C.):
i tessuti presentano in generale sia un simbolismo pittografico-descrittivo con scene complesse
paragonabili a quelle riprodotte sulle ceramiche, sia un simbolismo geometrico (scacchi, volute,
zigzag, motivi scalonati semplici o intrecciati) che con maggiori o minori variazioni
accompagnerà tutta l’arte tessile fino all’epoca incaica. Sono caratteristici stoffe e arazzi
decorati in tutte le modalità con una vastissima gamma di colori. Incrementano le relazioni con
gli altipiani.
La cultura NASCA (IV sec a.C. – VII sec. d.C.) sviluppa una cultura propria con le basi in quella
Paracas, con la quale vengono inizialmente condivise le tecniche ed i motivi tessili. A poco a
poco le due culture si distaccarono: i tradizionali elementi decorativi, la rappresentazione di
figure naturalistiche paracas, andarono trasformandosi in più grandi ricami di figure
tridimensionali.
Sono rappresentati nei tessuti specie che abitarono l’ambiente ecologico, collegate con il
mondo religioso e totemico: volpe, puma, condor, uccelli guaniferi, colibrì, falconidi, rondini,
pesci, orche, rane ed altri; sono altresì rappresentati personaggi mitologici quali il “portatore di
vegetali” che reca nelle mani piantine e semi di mais, fagioli, achira, peperoncini, jìquima,
yucca, camote ed altri, manifestando il grande rispetto per le ricchezze che la Madre Terra
(Pachamama) offriva loro. Era poi rappresentata una serie di Esseri Antropomorfi terrestri o
volanti riccamente addobbati con diademi, nariguere, manti, orecchini e vesti sontuose.
Durante l’apogeo nasca si manifestano cambiamenti radicali in quanto a disegno, composizione
e tecnica, con risalto di un’iconografia di immagini stilizzate complesse di tipo sia figurativo che
astratto (greche scalonate, volute, circoli, frange, motivi intrallacciati, ecc.).
La cultura MOCHE (II sec. a.C. – VII sec. d.C.) si sviluppa sulla costa settentrionale del Perù.
Le sue tecniche tessili sono il risultato di una lunga evoluzione che comincia dall’epoca Chavìn,
ma che non produrrà particolari cambiamenti fino all’epoca seguente. Il tratto distintivo dell’arte
tessile Moche è che viene comunque sempre impiegata la tecnica della trama supplementare
discontinua: tale tecnica permette di ottenere rappresentazioni antropo- o zoomorfe di carattere
geometrico sotto forma di bande decorative disposte l’una sull’altra.
Tra i motivi decorativi più comuni, figure “galleggianti”, figure di animali o di animali mitologici;
più tardi vengono enfatizzate le rappresentazioni geometriche zoomorfe per arrivare nell’ultimo
periodo ad elaborate rappresentazioni scenografiche che includono uomini, divinità e figure
antropomorfe di “demoni”.
I GRANDI IMPERI
Orizzonte Medio (VII-XI d.C.):
Aumenta l’impiego della fibra di auchenide, mentre la decorazione diviene più complessa.
Lo stile tessile di HUARI-TIAHUANACO (VI – XI sec. d.C.), che si sviluppa sulle Ande
meridionali per poi estendersi lungo l’area costiera, è caratterizzato da una forte
geometrizzazione delle raffigurazioni antropo- e zoomorfe (felini, serpenti, falconidi, condor,
personaggi alati e il dio Viracocha), fino a raggiungere una curiosa disgiunzione di alcuni
particolari che vengono geometrizzati (volti umani, musi di animali, occhi, denti) assumendo
l’aspetto di ideogrammi all’interno di cartigli rettangolari disposti in bande con diverse
combinazioni di colori. Si osservano pure stili periferici che da un lato riprendono la policromia
ed il senso non figurativo di quelli nasca, dall’altro seguono la logica strutturale e l’ordinamento
huari.
Periodo Intermedio Recente (XI-XV sec. d.C.):
Il cotone è la fibra maggiormente impiegata. Belli i tessuti con pittografie complesse di tipo
descrittivo, mentre la figura umana ed animale viene resa naturalisticamente, ma pe rlo più
sotto forma di un modulo che si ripete in colori diversi o che spesso si intreccia e si appoggia ai
disegni geometrici classici (scacchi, zigzag, linee spezzate).
La cultura CHANCAY (sec. XI-XV d.C.) sorge dopo il collasso di Huari nella costa centrale. Nel
suo territorio sono state ritrovate estese necropoli con involucri funebri (fardi) contenenti
mummie circondate di numerose offerte di tessuti, ceramiche, alimenti, sculture lignee, telai,
stendardi ed altri manufatti perfettamente conservati dal clima secco del luogo. L’arte tessile
raggiunse livelli di eccellenza, soprattutto con le finissime garze e le bamboline.
Nel regno di Chimor, la cultura CHIMU’ (IX – XVI sec. d.C.) evidenzia i motivi decorativi della
propria arte tessile anche con le tecniche del ricamo e della pittura, rappresentando uccelli
marini, guaniferi e pesci, come pure rappresentazioni stilizzate e naturalistiche di felini, cervi e
serpenti, esseri antropomorfi spesso all’interno di una cornice architettonica e, in assai minor
misura, specie vegetali. Un tema caratteristico è rappresentato dall’animale con appendici
cefaliche, corpo rannicchiato e coda crestata il quale, rappresentato di profilo o seduto, è
conosciuto come il “dragòn” e compare anche nei rilievi sulle pareti della cittadella di Chan
Chan.
Orizzonte Inca (XV-XVI sec. d.C.):
Con la cultura INCA (XII-XVI sec. d.C.) viene prodotta un’accelerazione della produzione tessile
su larga scala. L’uso, la manipolazione e la distribuzione dei tessuti era assegnata allo stato,
riferendosi principalmente a due tipi di tessuto: quello più fine (cumbi) destinato alla nobiltà e
quello meno fine (abasca) di uso comune. Nella decorazione si manifesta un’accentuazione
della geometrizzazione, specie nel cosiddetto stile “Inca Imperiale” di cui il tocapu è l’esempio
più significativo, pur non mancando temi riferiti agli animali totemici (puma, condor, falco, alpaca
e lama). Tra i motivi geometrici, la stella a 8 punte, la scacchiera, la croce, il rombo, la greca
scalonata, ed altri ancora.
L’ARTE TESSILE NEI TEMPI
Assai prima di realizzare i primi tentativi di tessitura al telaio, l’uomo scoprì che poteva avvalersi
di fibre vegetali intrecciate per costruire corde, borse, ceste, reti: la torsione delle fibre verrà in
seguito impiegata nella filatura, mentre la tecnica dell’intreccio incrociato in direzioni opposte
per produrre superfici piene porterà alla scoperta della tecnica tessile.
La produzione tessile costituì, nell’antico Perù, la matrice principale di ogni forma di arte,
giocando un ruolo primario nella vita andina. Il tessuto era il prodotto finale di una catena
formata da agricoltori costieri, allevatori dell’altopiano, cacciatori amazzonici, centri per la
produzione dei filati e per la tessitura, artigiani per la creazione degli utensili d’uso.
Il pelo degli auchenidi e il cotone grezzo dovevano, una volta raccolti, essere puliti, lavati,
cardati, suddivisi per colore e quindi filati: l’abilità della filatrice permetteva di produrre filati
resistenti, di diametro e torsione uniforme, estremamente sottili.
Una tecnica di filatura è quella del cosiddetto “fuso a caduta”: la filatrice, in piedi, sostiene con
la mano sinistra la conocchia, mentre con la destra imprime la rotazione al fuso ottenendo un
lungo filo torto che viene a mano a mano avvolto sul fuso stesso. Se la filatrice è seduta, il fuso
viene fatto girare, in posizione verticale o diagonale, sul fondo di una ciotola o di una zucca.
A seconda della direzione destrorsa o sinistrorsa impressa alla torsione, questa viene
denominata rispettivamente a “S” oppure a “Z”. La prima è la più frequente lungo la costa
peruviana, mentre la seconda è abbastanza comune nell’altopiano e pertanto è maggiormente
collegata ai filati di auchenide. Prima di passare al telaio, il filo originario era raddoppiato per
ottenere maggiore regolarità nello spessore, a volte anche triplicato o quadruplicato, soprattutto
nel caso del cotone.
Come un pittore con la tela, il tessitore peruviano doveva iniziare il proprio lavoro con un
piano prestabilito di orditi in numero limitato in larghezza dalle dimensioni del telaio: difficilmente
la larghezza delle tele precolombiane supera i 75 cm, solo eccezionalmente si raggiungono i
120. Le tele di più ampia larghezza erano ottenute cucendo fra loro due panni, oppure
unendone due nello stesso telaio tessendo prima una tela e poi la seconda, lateralmente alla
prima.
Una tela antica, al di là della sua bellezza, ci fornisce dati importanti sulla società in cui
visse il tessitore e su alcuni aspetti dell’economia: lo studio delle tecniche impiegate ci rivela le
pratiche di manifattura; l’analisi delle fibre e delle tinte ci comunica informazioni sullo stato
dell’agricoltura, dell’allevamento e dello sviluppo ecologico; dal disegno strutturale possiamo
inoltre dedurre, fra le altre cose, informazioni circa il sistema numerico impiegato, poiché
l’ottenimento di un tessuto dipende moltissimo dal calcolo.
Gli artigiani peruviani sembrano infatti avere posseduto un’abilità quasi incredibile nell’avere
una visione anticipata del disegno a cui stanno lavorando, nel calcolare e nel ricordare le varie
fasi che debbono seguire nella produzione.
GLI STRUMENTI TESSILI
Gli strumenti ressili sono comuni alla fascia intertropicale delle Americhe.
Il telaio con il quale la tessitrice precolombiana fabbricò i suoi manufatti è un arnese semplice,
ma estremamente efficace quando usato con un’incredibile abilità manuale.
Tre erano i tipi di telaio usati in Perù:
-
a cinghia: la parte superiore viene legata ad un albero o tesa in senso verticale, mentre
la cinghia per tenerlo in tensione passa dietro la schiena della tessitrice che può
aumentare o allentare la tensione degli orditi semplicemente inclinandosi in avanti o
all’indietro;
-
verticale: montato addosso a una parete o sostenuto da due supporti, con il quale si
lavora in piedi; era impiegato per i tessuti più ricchi (cumbi);
-
orizzontale: posato in terra e sostenuto da supporti a forcella; principalmente per le
coperte.
Secondo gli studiosi, pare che la maggior parte dei tessuti rinvenuti provenga comunque dal
telaio a cinghia.
Il telaio era costituito da due paletti in funzione di “subbi”; due o più paletti orizzontali
costituivano i “licci” che comandavano i fili pari e dispari dell’ordito e che, sollevati
alternativamente, offrivano il passaggio alla trama.
La “spola” contenente la trama, probabilmente il fuso stesso, veniva fatta passare a
mano da un capo all’altro: potevano essere impiegate contemporaneamente più spole quanti
erano i colori del disegno.
Una volta passata, la trama veniva assettata e compressa con la mano, con un battitore
simile a una spada di legno o con l’aiuto di uno strumento d’osso liscio ed appuntito; il tessuto
veniva quindi avvolto sul paletto inferiore.
Per il ricamo potevano essere impiegati aghi più o meno lunghi e sottili di legno
durissimo o spine di cactus.
Per i disegni complessi il tessitore poteva basarsi su appositi campionari.
Nelle inumazioni troviamo spesso strumenti che venivano offerti per la vita spirituale quali
cesti intrecciati, telai in miniatura, bambole intessute e vari utensili da tessitore.
LE FIBRE TESSILI
Nella costa del Perù cresce e viene coltivato il COTONE (Gossypium
barbadense) nelle sue vaste gamme di colori naturali: bianco, beige,
grigio-violaceo, nocciola, rosso-bruno e bruno.
Il cotone richiedeva la semina sulla costa in campi irrigati, la sorveglianza
ed il raccolto.
Il cotone domina i tessuti grezzi della collezione, come pure tele operate, garze e tessuti a spazi
aperti, tele dipinte o stampate.
Data la difficoltà che presenta nel prendere le tinture, il cotone è raramente impiegato come
parte attiva in tessuti che per tecnica devono intessere filati multicolori (come ad es. l’arazzo): è
invece quasi costantemente impiegato per formare tra gli altri l’armatura invisibile dell’arazzo o
quale tela di fondo.
Sulle Ande crescono e vengono allevati i CAMELIDI andini (fam. Auchenidi) che offrono ampie
varietà di filati:
-
il lama (Lama glama) fornisce un pelo lungo, ruvido e robusto, di valore inferiore a
quello delle altre specie, nei colori naturali bianco, caffè e nero;
-
l’alpaca (Vicugna pacos) fornisce un pelo folto, segoso ed un sottopelo molto fine e
morbido, in una splendida gamma di colori naturali che vanno dal bianco al nero
passando per tonalità di rossi-brunastri, marroni, giallastri, grigi;
-
la vigogna (Vicugna vicugna) fornisce un pelo lungo, setoso ed un corto sottopelo
fittissimo, morbidissimo, lucente e caldo, in una gamma di tinte naturali dal rossomattone al rosato;
-
più raro, il guanaco (Lama guanicos) che fornisce un pelo ordinario ed un sottopelo fine
di color marrone di poco inferiore a quello della vigogna come qualità e finezza.
Lama
Alpaca
Vigogna
Guanaco
Lama ed alpaca dovevano essere allevati, custoditi in greggi e quindi tosati, mentre cacciatori
esperti e tosatori dedicati dovevano catturare e tosare i selvaggi vigogna e guanaco.
Il pelo di alpaca, vigogna e guanaco era riservato alla nobiltà, mentre quello del lama era
utilizzato dalla gente comune.
Il filato poteva essere impiegato nelle sue tonalità naturali oppure tinto in sgargianti colori e
delicate sfumature.
Le proprietà specifiche delle due fibre adoperate erano ben conosciute e sfruttate
convenientemente: il pelo dei camelidi prevalentemente nella trama per la sua natura soffice e
per i colori ottenuti con la tintura, il cotone nell’ordito che si preparava esclusivamente con i suoi
solidi fili.
LA TINTURA
Allo scopo di ampliare la gamma naturale dei colori, veniva effettuata la tintura in genere sulle
fibre o, più generalmente, sul filato. I colori potevano essere così ottenuti:
-
ROSSO: dalla polvere (chapichapi) delle radici dell’antanco (Relburnium hypocarpium),
dall’achiote (Bixa orellana), dal aliso (Alnus Jorullensis), dal brasil (Caesalpinia echinata),
dalla pianta muran (?), dal verme del fico d’India (magno, Dactilopius coccus) con l’aiuto
di un mordente minerale (silicato di calcio e alluminio), dal cinabro (solfuro di mercurio) in
tonalità rosso-arancione e dall’ematite in tonalità ocra-rossastro;
-
AZZURRO (vari toni): dall’indaco (Indigofera suffruticosa),dalla mullaca (Muehlenbeckia
volcanica), dalla patata nera (Solanum spp.), dall’erba quesna (?);
-
GIALLO: da terre ocracee, dalle foglie di chilca (Baccharis polyantha e latifolia) e dal
molle o falso albero del pepe (Chimus molli o Schinus molle);
-
VERDE: dalle foglie di chilca (Baccharis latifolia) unite al molle (Schinus molle)
-
NERO e BRUNO: dal charan o paipai (Caesalpinia paipai), dal jagua (Genipa
oblonguifolia), dall’albero hubramba (?), dal tara (Caesalpinia tinctoria), dal calamaro
(Sepia officinalis), dal fango;
-
MARRONE: dall’achiote (Bixa orellana), dal carrubo (Prosopis chilensis) e dalla tara
(Caesalpinia tinctoria);
-
VIOLETTO: dal chanque (Concholepas concholepas) e da altri molluschi (Murex
brandaris e Murex trunculus), dall’airampo (Opuntia soehrensii) in tonalità chiara, dal
mais morato (Zea mays) e dal magno (Dactilopius coccus) in tonalità color mora.
L’ampia gamma di colori ottenibile (tra i tessuti di Paracas Necropolis ne sono state contate 190
tonalità) limitava però l’uso delle tinture alle fibre di auchenidi, in quanto non erano disponibili
mordenti adatti al fissaggio sul cotone: come mordenti potevano essere impiegati vegetali acidi,
prodotti tanninici, cenere, urina, fango nero fermentato ricco di sali di ferro e tannino, allume,
solfato di rame. Al contrario, i filati animali prendevano rapidamente la tintura con sfumature da
brillante a opaco.
La difficoltà di tingere il cotone portava i popoli della costa a importare dagli altipiani le
fibre di auchenidi per ampliare la gamma dei colori dei propri tessuti; a loro volta, le genti degli
altopiani importavano dalla costa il cotone per la sua alta resistenza.
Nelle tecniche tintorie non mancavano quelle applicate al tessuto, quali l’ikat e il tritik,
caratterizzate dall’applicazione indiretta di liquidi coloranti allo scopo di comporre un motivo
decorativo.
TECNICHE E DECORAZIONE TESSILE
Nell’ ambito delle scritture materiche, il tessuto, con i suoi incroci di ordito e di trama riunisce
non solo l’ hanan (gli orditi) e l’ hurin (le trame) ma esprime, attraverso le tecniche, anche la
geometria dello spazio sacro: è cioè una sorta di scrittura attraverso le tecniche stesse che,
secondo i casi, indicano se la geometria nello spazio è a prevalenza hanan , hurin
o se
esprime il raggiunto l’ equilibrio fra i due mondi hanan e hurin.
L’incrocio dei fili di ordito tesi verticalmente, con un filo di trama introdotto trasversalmente,
produce una varietà enorme di strutture o tipologie di intrecci, cioè di messaggi, che dividiamo
in:
-
tessitura e decorazione strutturale (facente parte della tessitura)
-
decorazione non strutturale (applicata indipendentemente dalla tessitura)
Tecniche tessili e decorazione strutturale:
a. tela: la trama passa una sola volta sotto gli orditi pari e, nel giro successivo, sotto
quelli dispari
i. t. bilanciata: trame e orditi sono uniformi; i motivi decorativi sono
generalmente costituiti da bande orizzontali o verticali, oppure da riquadri,
ottenuti con i colori di ordito e trama: esprime l’ equilibrio fra l’ hurin e l’
hanan.
ii. t. a faccia di ordito: gli orditi, in maggior numero, nascondono le trame: l’
hurin prevale sull’ hanan.
iii. t. a faccia di trama: le trame, in maggior numero, nascondono gli orditi: vi è
compresa l’ampia categoria degli arazzi, le cui trame sono parziali e
agiscono per spazi limitati a seconda del motivo che devono realizzare; il
disegno, con o senza rovescio, è evidenziato da sottili fenditure lasciate
aperte o chiuse: indica che le figure realizzate appartengono all’ hurin
b. tela a trame o orditi supplementari: vengono aggiunte delle trame o degli orditi
colorati a una tela di fondo per formare il disegno sul dritto della stoffa (broccato): il
disegno si riferisce all’ hurin,, nel primo caso e all’ hanan nel secondo.
c. tessuto a orditi o trame complementari: non vi è tela di fondo, vengono impiegati fili di
ordito o di trama di colore contrastante nella medesima direzione, ciascuno dei quali
si incrocia con l’altro in modo da produrre, nelle due facce della stoffa, lo stesso
disegno, ma a colori invertiti. I disegni sono da proiettare rispettivamente nell’
Hananpacha e nella Pachamama.
d. tessuto doppio: vengono tessute contemporaneamente due tele sovrapposte i cui
orditi e trame si incrociano a formare la decorazione che risulta uguale nelle due
facce della stoffa, ma a colori invertiti: e’ riferibile ad una particolare tipo di governo
del II Orizzonte che ha visto l’ interazione fra gruppi appartenenti ad una stessa metà.
e. tessuto tubolare: vengono intessuti due strati di orditi con un’unica trama a spirale:
esprime la geometria dell’ Hananpacha a spirale: esprime la geometria a vite e
amebiforme dell’ Hananpacha.
f. garza: gli orditi sono incrociati tra loro al passaggio delle trame, conferendo elasticità
al tessuto; può essere ricamata con vari motivi
g. tessuto a spazi aperti: gli orditi sono a gruppi separati l’uno dall’altro e vengono legati
dalle trame in modo da formare degli spazi con effetto merletto.
La decorazione non strutturale può essere presente con varie tecniche ognuna delle quali
sembra sottolineare un ulteriore legame con la geometria dello spazio:
-
ricamo: riferito a singoli motivi, simulante l’arazzo, eseguito a filza, a punto erba, ecc.
-
pittura: applicazione diretta di liquidi coloranti sulla stoffa a mano libera o a stampo
-
pittura “resist” (in negativo): applicazione indiretta di liquidi coloranti sulla stoffa per
comporre motivi decorativi (tecniche ikat e tritik): è spesso associata alla Luna e ai suoi
raggi ritenuti non penetrare nella terra.
-
simil velluto: inserimento di fili che vengono poi rasati con effetto simile al velluto
-
applicazione sulla tela di fondo di elementi d’argento o d’oro, di piume multicolori, ecc.
L’ABITO
Le stoffe e i capi di abbigliamento erano, al di là dell’uso quotidiano, oggetto di tributo, di bottino
di guerra, di baratto e di dono, di offerta rituale presso le antiche popolazioni andine. La
massima umiliazione era l’essere denudato in pubblico, trattamento riservato ai nemici.
Gli antichi abiti peruviani si differenziavano in tipologia, qualità, colori, materiali e
decorazione: ogni qualità indicava status sociale, politico e religioso; l’abito era anche distintivo
del villaggio di appartenenza soprattutto durante il periodo incaico.
Quale segno di riconoscimento di una vita spirituale dopo la morte, era cura seppellire il
defunto avvolto in numerose stoffe o manti decorati, accompagnato da un abbondante corredo
funebre di offerte che evidenziava il rango, la personalità e anche la professione.
Le vesti erano tessute in forma e se si doveva rompere il filo lo si faceva bruciandolo, mai
tagliandolo, essendo considerato come il “filo che trasmette lo spirito vitale”.
Gli uomini vestivano una tunica o camicia (uncu) di diversa lunghezza, a volte a forma di
poncho, tenuta unita da cinture, cordoni e fasce avvolgenti (chumpi) e un perizoma (wara)
legato ai fianchi; sulle spalle recavano manti lunghi o corti (llacolla), sul capo copricapi di lana,
turbanti spesso formati dall’avvolgimento di una fionda (waraka), o bande frontali (wincha)
spesso abbellite da piume colorate di uccelli amazzonici; sopra la camicia veniva indossata a
tracolla una borsina (chuspa); i soldati in battaglia vestivano armature di legno e tessuto
imbottite di cotone, mentre presso gli inca i soldati portavano una tunica a scacchi bianchi e
neri.
Le donne vestivano in genere una lunga tunica rettangolare (anacu o acsu) drappeggiata
sul corpo, aperta lateralmente e appuntata ad una o entrambe le spalle, tenuta unita con una
larga fascia (chumpi); portavano anche un piccolo manto o scialle sulle spalle (lliclla) appuntato
sul petto da una spilla (tupu); i capelli erano trattenuti da una banda (wincha) spessa un dito,
decorata, passante sulla fronte; il capo veniva coperto da un panno di ricco tessuto
(pampacona).
Sulla costa le vesti erano più corte, mentre sull altopiano potevano raggiungere le
caviglie.
Assai notevoli le camicie incaiche per la ricca ornamentazione che spesso le
caratterizza: più registri sovrapposti o diagonali recano motivi grandi o piccoli di croci, rombi,
spirali, greche e molte altre varianti, racchiusi entro rettangoli multicolori. Si tratta dei cosiddetti
tocapu i quali, come pure alcuni motivi Huari-Tiahuanaco dell’epoca precedente, potrebbero
racchiudere una scrittura logografica o ideografica.
IL TESSUTO COME SCRITTURA
La scrittura precolombiana delle Ande è realizzata su supporto ceramico, ligneo, metallico e
tessile: può essere di tipo pittografico (a figure che descrivono un fatto), ideografico (a simboli),
numerologico ( numeri espressi con cerchietti o con ideogrammi) ma anche materico (il
messaggio lasciato dai materiali e dalle tecniche di lavorazione dell’ oggetto). Era cioè leggibile
concettualmente e in qualsiasi lingua e, tranne la scrittura pittografica e quella materica, era di
uso esclusivo della nobiltà. Sui tessuti si scrive inoltre, sui mazzi di fili annodati (quipu), in
forma numerologica ma anche fonetica-sillabica: questa sembra essere usata solo in epoca
Inca e dall’ alta nobiltà ed era effettuata su di un particolare tipo di quipu, il quipu regale, il cui
testo è inamovibile e leggibile solamente nella lingua di scrittura (il quechua).
Fra i supporti scrittori, il filo e il tessuto sono i preferiti perché, rispetto alla ceramica (che
collega il supporto con la Pachamama) e al legno (che lo collega con l’ Hananpacha) possiede
una chiave di comunicazione in più: la tridimensionalità che evidenzia se il filato e i suoi incroci
nel tessuto sono a Z o a S. Il che inquadra, con una sola lettura il “testo” nella reciprocità fra le
due grandi suddivisioni che reggono il mondo andino e la sua complessa teocrazia: il Mondo a
Z e il Mondo a S.
Il Mondo filato a Z = Hananpacha, cioè la parte hanan (o di sopra, il cielo) dell’ universo che è
considerata propria degli dei: in essa il tempo
è inteso procedere secondo un movimento
amebiforme e a vite cui sono legate quella curiosa geometria e aritmetica sacra che chiamiamo
olistiche. Aritmetica che porta gli dei-numero ad espandersi e a moltiplicarsi o a frazionarsi in un
turbinio continuo e in divenire che però costituisce, nel suo insieme, una sorta di ampia divinità
unica.
Il Mondo filato a S= Pachamama, è la parte hurin, (o di sotto, la terra) dell’ universo che è la
terra ordinata dall’ uomo in cui viviamo. Qui il tempo è concepito procedere linearmente e si
usa l’aritmetica decimale per la contabilità e la geometria di stampo euclidea per ordinare la
terra.
Ai sacerdoti, la cui formazione pur nelle scuole della nobiltà rimane sempre a base sciamanica,
sta il compito di attivare un’ interazione costruttiva tra le due parti dell’ universo che fin dai primi
tempi della storia andina era realizzata attraverso il tessuto ma, a partire circa dal secolo VII,
risulta essere stata effettuata in modo ancor più specifico attraverso la numerologia.
Hanan e hurin che pervadono pure l’ interno delle due stesse grandi suddivisioni: per es., nel
mondo della Pachamama, l’ uomo è hanan e la donna è hurin così come la luce del sole, il
giorno sono hanan mentre la notte, l’ ombra e la luna sono hurin. Gli stessi Inca appartengono
a due casati, l’ uno hanan e l’ altro hurin che governano in una sorta di diarchia.
Un filo, filato a Z e ritorto a S, esprime quindi l’ unione costruttiva, equilibrata e dinamica dei
due mondi: cioè “scrive” in sé stesso il principio della cosmologia andina e pure dell’ Impero
degli Inca. Se il filo appartiene a indumenti della nobiltà, è anche ritenuto capace di portare e
trasmettere lo spirito vitale di chi indossava l’ abito: la ragione principale della guerra era infatti
catturare e arricchirsi con lo spirito vitale del nemico che si riteneva fosse contenuto in ognuno
dei guerrieri così come nei loro abiti.
SIMBOLISMO, TRASFORMISMO E SCRITTURA
I tre tipi di scrittura dell’ antico Perù sono sacri e pervasi di simbolismo e di trasformismo , come
tutto il mondo dell’ antico Perù ove la distinzione tra ciò che è reale e ciò che ne è il suo simbolo
è praticamente inesistente. La scrittura era considerata equilibrare l’hanan e l’hurin e formare
un universo congruente, così come i fili, una volta ordinati negli orditi e nelle trame, formano la
stoffa.
La stoffa che simboleggia e nel contempo è il mondo ordinato dall’ uomo, la Pachamama,
sarebbe stata donata all’ uomo dagli antenati mitici attraverso il loro alter-ego ragno, per
“scrivere” non solo attraverso i fili hanan (a Z) e hurin (a S) che la compongono ma anche
attraverso i simboli che la decorano: simboli che, oltre ad esprimere un messaggio ideografico
esprimono l’ appartenenza di uno stesso ideogramma all’ hanan con il colore chiaro e all’ hurin
con il colore scuro.
Il quipu, cioè una serie di cordicelle annodate pendenti da una corda maestra, simboleggia ed
è l’ espressione dell’ Hananpacha e sarebbe stato donato dal Sole a suo figlio, il primo Inca,
Manco Capac, per mettere in comunicazione l’ Hananpacha con la Pachamama.
I numeri annodati sui quipu sono ritenuti essere le sacre vette delle Ande –che a loro volta
sarebbero i sacri Antenati e i colori sarebbero il sacro Arcobaleno. I numeri espressi sotto forma
di nodo sarebbero anche l’ espressione numerologica degli dei dell’ Hananpacha che il
sacerdote sciamano tenta di catturare e portare nella Pachamama: ciò dopo complessi calcoli
olistici che gli permetteranno di fissarli, sotto forma di tocapu, nel luogo sacro (huaca) che
compete ad ognuno di essi.
Tocapu è un cartiglio intessuto con disegno ideografico cui, in epoca Inca, corrispondeva un
numero: cioè è un numero sacro che,
con una sola lettura, prospetta il numero e il
suo significato mitico (es.
si legge: 2
forze opposte, hanan e hurin, maschio e
femmina. Quanti più numeri-dei riesce
a contare il sacerdote nell’ Hananpacha e
trasferire nella Pachamama tanto maggiore ritiene essere la forza dell’ Impero Andino degli
Inca: il che spiega l’ affanno contabile di questa grande cultura dell’ Evo Antico.
UOMINI E DEI
Il mondo precolombiano esprimeva il proprio sacro e le funzioni della nobiltà spesso
attraverso il rispettivo alter ego animale che nell’ arte tessile è rappresentato più o meno
stilizzato: animali disposti ordinatamente in file o intrecciati, attorcigliati o incastrati fra di loro
fino a tramutarsi in forme geometriche; sono altresì rappresentati esseri umani spesso
accompagnati da particolari attributi o da ornamenti che richiamano l’ alter ego animale.
SERPENTE: custode della fertilità del mondo sotterraneo (ukupi) e di quello di qua (chawpi) per
quanto concerne la crescita delle piante e l’acqua rigeneratrice. Secondo il mito andino nel
mondo inferiore vivevano due serpenti giganteschi: lo yacumana , con una testa, generatore e
custode dell’acqua; lo sachamana, con due teste, generatore e custode delle piante. Quando
escono sulla terra, uno si trasforma in un grande fiume, l’altro in un grande albero; quando poi
salgono in cielo, il primo diviene il lampo, il secondo diviene l’arcobaleno che feconda la natura
con i suoi colori: sono fenomeni meteorologici entrambi favorevoli all’agricoltura, il lampo
fertilizza la terra, mentre l’arcobaleno è la fionda degli dei per produrre la pioggia. Il serpente è
anche il mostro siderale che periodicamente appare in cielo, personificato nella costellazione
delle Pleiadi.
UCCELLI GUANIFERI: il dio del guano era personificato dall’aquila marina i cui attendenti
erano gli uccelli guaniferi, associati con i riti di fertilizzazione della terra: cormorano, pellicano,
airone e anatidi vari, i quali concorrono alla formazione del prezioso fertilizzante e lo
custodiscono. Sono tra le raffigurazioni più frequenti nell’arte tessile, data l’importanza del
guano per l’agricoltura.
SCIMMIA: animale strettamente legato all’acqua e alla pioggia; è spesso raffigurato in
associazione con la Luna fecondata dal Sole, spesso nell’atto di raccogliere e trasportare
sementi. Personificazione della fertilità e della luna.
FELINO: alter-ego animale del grande sciamano-sacerdote di cui è anche il mezzo per
raggiungere l’Hananpacha e il sole notturni . Nelle culture della costa risulta poco aggressivo e
selvaggio, forse perché la Luna vi è più importante del Sole. E’ un animale anch’esso
considerato protettore dell’agricoltura, collegato con il cielo notturno, e si ritrova spesso
associato con rituali di fertilità o in particolari scene a carattere astrologico dove assume le
sembianze di un animale crestato, “felino lunare” o “dragone”, che agisce assieme al serpente
bicefalo dell’arcobaleno: il suo ruolo è di portare il lampo e la grandine ed è la raffigurazione
della costellazione dello Scorpione che annuncia l’arrivo dell’estate.
RAPACE: è l’ altro alter –ego animale del gran sciamano-sacerdote ed è collegato con l’
Hananpacha, il cielo e il Sole diurni, il Sole fertilizzatore delle piante e degli animali Nelle
culture degli Altipiani si identifica anche con il gran astronomo e astrologo, con il capo politico
e con l’ Inca stesso.
SACERDOTE:così chiamiamo la figura umana o antropomorfa, presente in atteggiamento
orante o comunque rituale. Presso i Moche e i Nasca ha le caratteristiche del guerriero, dello
sciamano, del portatore di vegetali o dell’agricoltore. Può essere caratterizzato da vari elementi,
ornamenti, abiti o copricapo; è spesso una creatura associata a elementi fecondatori, a divinità,
ad eventi di carattere astronomico o calendariale; può subire incarnazioni, metamorfosi,
capovolgimenti, oppure possedere elementi zoomorfi dei suoi alter-ego che lo ricollegano con il
culto della fertilità del suolo e del mare. La raffigurazione di esseri umani può anche
simboleggiare il prigioniero dalle cui membra germogliano le piante commestibili.
PACHAMAMA: è la Terra ordinata dal lavoro dell’ uomo: raffigurata con il volto di colore rosso,
simbolo della forza vitale dei vivi e dei defunti, della fertilità delle piante e degli animali allevati
dall’ uomo.
MOTIVI GEOMETRICI
Il mondo precolombiano delle forze impersonali e delle divinità, è espresso mediante volute,
spirali, linee ondulate o spezzate, greche, segni scalonati, simboli geometrici vari e loro
combinazioni e varianti cromatiche.
MOTIVI GEOMETRICI:
Le linee a zig-zag rappresenterebbero il serpente-lampo yacumama , come pure la linea
spezzata diagonale.
La voluta potrebbe rappresentare il vento fertilizzatore e, quando in associazione con la
spezzata diagonale, significherebbe la fertilità dell’acqua e del vento fuse assieme.
I gradoni, spesso espressi in forma di scala semplice, starebbero ad indicare il tempio, l’offerta
agli dei e richiamano anche la simbologia riferita alle montagne.
La greca o voluta a gradoni (scalonata) indicherebbe lo spirito vitale che agisce sulla Terra, il
culto del vento fertilizzatore unito a quello della fertilità dell’acqua; richiama
altresì,
nella
combinazione della greca simbolo dell’acqua e dei gradoni simbolo delle montagne, il
riferimento alle acque fluviali che da queste ultime provengono.
Linee arrotondate con motivi di ganci o motivi a “S” sono spesso associati alla raffigurazione dei
raggi solari e della volta del cielo.
Le linee ondulate, spesso arricciate alla sommità, sono associabili al mare ed alle sue onde,
con riferimento al culto della fertilità marina.
Spirali, svastiche, linee spezzate o ondulate, greche più o meno arrotondate o scalonate, sono
altresì espressioni del movimento quale elemento riferibile direttamente alla natura: sole, luna,
stelle, acqua, terremoto, spostamento, ecc.
Questi motivi si fondono nei TOCAPU, disegni multicolori tessuti che decorano il vestiario di
rango o regale, presenti anche in fasce decorative sulle pareti esterni dei bicchieri cerimoniali
troncoconici lignei (kero) prodotti nel periodo coloniale subito dopo la caduta dell’impero incaico.
I tocapu, già presenti anteriormente all’epoca incarica, sono costituiti da disegni geometrici
multiformi entro campi rettangolari o quadrati che si giustappongono in file semplici, doppie o
multiple, con colori differenti e combinati in specifiche sequenze. La loro presenza è
riconducibile ad un sistema di scrittura ideografica (parole e numeri) di carattere sacro ancora
non completamente decifrato.
IL QUIPU
La nobiltà andina scriveva di contabilità, di mitologia, poesie, calendario, ordinamenti sociali per
mezzo dei mazzi di cordicelle annodate detti “quipu” (nella lingua quechua = conto, numero,
nodo) .
Erano diffusi in Perù da tempi antichissimi, ma come molte altre invenzioni raggiunsero la
perfezione presso gli Inca che lo usarono per le loro particolari necessità.
Il quipu consiste in una corda principale (o maestra) di spessore più grosso che può misurare
in lunghezza da pochi centimetri a parecchi metri. Da essa pendono una serie di cordicelle (di
cotone o di lana con aggiunte di piccoli oggetti di tessuto, metallo e legno) su cui vengono
intrecciati dei nodi. Il gran numero di variazioni possibili che su questo strumento si ottengono
con i colori, con la posizione delle cordicelle, con la natura e la posizione dei nodi, con quanto
rappresentano i piccoli oggetti inclusi, permettono di usare il quipu sia come registratore
numerico sia per la scrittura di testi.
I quipu di scrittura: questi ultimi erano considerati particolarmente sacri perché usati dai
sacerdoti e dall’ alta nobiltà Inca per cogliere, attraverso i curiosi calcoli olistici, gli dei numeri
che si riteneva corressero in forma difficilmente controllabile nell’ Hananpacha (il cielo) e fissarli
sulla terra, la Pachamama nei luoghi sacri, huaca, in modo da renderli favorevoli all’ uomo. I
quipu di scrittura erano costituiti di cordicelle annodate con inserti ideografici tessili la cui lettura
era principalmente fonetica.
Il quipu regale era usato dall’ alta nobiltà per “scrivere” canti di mitologia fondante l’Impero e
come tale i suoi inserti tessili, detti parole chiave, si leggevano in modo fonetico-sillabico, cioè
gli scritti che riportava erano inalterabili.
Il
quipu calendariale, un calendario luni-solare che scandiva il tempo cosmico, cioè dell’
Hananpacha e della Pachamama presi assieme, era formato da 13 cordelle: ognuna delle quali
portava un ideogramma tessile in testa per indicare i rituali che vi si dovevano svolgere. Le
prime 12 cordelle, contano i “mesi” luni-solari di 29 o 30 nodi, cioè giorni ognuna, mentre la 13°
cordella computa i nodi, per raggiungere i 365 giorni del calendario solare. Lungo le cordelle
altri inserti tessili indicavano invece in forma fonetica le fasi lunari, i solstizi, gli equinozi, le
eventuali eclissi, i passaggi del sole allo zenit, ecc. cioè “avvisavano” l’ astronomo-astrologo
quando doveva effettuare i suoi calcoli in cielo e trasferirne i risultati nelle rispettive 328 huaca
della terra.
Il cequecuna è un particolare geoquipu di scrittura le cui cordelle si dipartivano a raggiera dal
tempio del Sole di Cuzco per unirlo simbolicamente con i 328 santuari (huaca), sancendone la
custodia ai singoli gruppi etnici: 328 huaca che, secondo l’aritmetica olistica (3+2+8=13=1+3=4)
corrisponde a 4, il numero sacro della Pachamama. Cioè il geoquipu univa l’ Hananpacha con
la Pachamama attraverso i gruppi etnici di Cuzco.
I QUIPU NUMERICI
Il quipu numerico di posizione è un registro assieme qualitativo e a partita doppia che era
usato dalla nobiltà per la contabilità dell’ antico Perù fin dal XII secolo (cioè prima che si
inventasse a Venezia, nel sec. XV, il registro a partita doppia su carta): fu lo strumento base
per i conteggi dell’ Impero degli Inca. In epoca Inca era tenuto dai contabili, formati nelle scuole
della nobiltà, che dovevano riferire due volte all’anno sullo stato delle entrate e delle uscite, sull’
età dei cittadini, sul numero dei guerrieri, ecc.
La corda maestra porta al termine l’ indicatore di classe che permette di leggere il significato
dei colori delle cordicelle pendenti. Se, per es., l’ indicatore è una pannocchia, sappiamo che il
quipu si riferisce alla classe agricola: in questo caso la cordicella rossa indica che computa il
peperoncino, la gialla il mais.
I numeri sono scritti con gruppi di nodi che partendo dal basso contano: le unità, le decine, le
centinaia, le migliaia, ecc.
Unità: 1= un nodo semplice
I numeri fra 2 e 9 sono designati con nodi più lunghi, (nodi alla francescana) nei quali la corda
viene fatta girare da 2 a 9 volte a seconda del numero che si vuole esprimere, prima di essere
stretta e fermata.
Lo zero è indicato dall’assenza di nodi.
A sua volta il nodo, allacciato a Z (cioè con la mano destra) o a S (con la mano sinistra)
conferisce al quipu il valore di registro a partita doppia : i nodi a Z, indicano che la merce è
entrata, se sono invece a S che era prevista ma non è entrata.
La cordicella se è torta a Z indica inoltre che la merce che registra è di buona qualità, se è a S
che è avariata. La cordella totalizzante riporta il totale insiemistico di quanto computa il totale
dei numeri annodati sul quipu pur tra materiali diversi (es. masi + peperoncino), però
appartenenti alla stessa classe.
Il quipu ordinale è un quipu semplice di uso popolare per registrare, per es. il numero dei lama
contati proiettandoli concretamente nel terreno ove si era verificata la conta: un fiocchetto di
lana di lama applicato sui nodi che indicano il gregge, marcava infatti gli animali contati nelle
loro rispettive file e scelti.
Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza
Viale Baccarini 19 – tel 0546.697311
www.micfaenza.org – [email protected]