L`art. 696 bis cpc: uno strumento di conciliazione?

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L`art. 696 bis cpc: uno strumento di conciliazione?
Avv. Antonio Cimmino
contributo al convegno “Contrazione del credito e conciliazione”
Grosseto, 19 giugno 2009
L’art. 696 bis c.p.c.: uno strumento di conciliazione?
L’introduzione della figura della consulenza tecnica preventiva ai fini della
composizione della lite di cui all’art. 696 bis c.p.c. è da inquadrarsi nel novero delle
importanti ed imponenti modifiche al codice di procedura civile apportate dal legislatore
con la legge 14 maggio 2005 n. 80, che ha convertito il decreto legge 14 marzo 2005 n.
35 (c.d. decreto competitività), a ben dieci anni di distanza dalla precedente riforma del
processo civile realizzata dalla l. n. 353/90 e dai decreti legge risalenti ai cinque anni
successivi.
In particolare la suddetta legge, entrata in vigore a decorrere dal 01 marzo 2006,
ed applicabile ai procedimenti instaurati successivamente a tale data, è intervenuta
apportando modifiche al preesistente istituto dell’accertamento tecnico, introducendo,
anche a seguito degli interventi della Corte Costituzionale del 1990 e del 1996 (sent. n.
471 e 257), la possibilità di esperire accertamenti ed ispezioni sulla persona dell’istante
(o della controparte se consenziente), ed estendendo altresì l’oggetto dell’accertamento
tecnico preventivo anche a valutazioni in ordine alle cause ed ai danni relativi all’oggetto
della verifica. Al contempo è stato introdotto, con l’aggiunta dell’art. 696 bis c.p.c., il
nuovo istituto della consulenza tecnica preventiva in funzione conciliativa.
La nuova norma, caratterizzata da interessanti profili di novità che la
differenziano sia dai provvedimenti di natura cautelare che dai provvedimenti di mera
istruzione preventiva, ponendola altresì al confine tra strumenti puramente stragiudiziali
di risoluzione delle controversie e strumenti giurisdizionali veri e propri, è
sistematicamente collocata nel capo III, Titolo I, dedicato ai procedimenti sommari, alla
sezione IV in materia di procedimenti di istruzione preventiva, del libro IV del Codice,
rubricato “Dei procedimenti cautelari”.
Al riguardo, tuttavia, deve sin da subito precisarsi come, nonostante la
collocazione sistematica dell’istituto, lo stesso non possa annoverarsi tra i procedimenti
propriamente cautelari, essendo indubbiamente concepito come strumento alternativo di
risoluzione delle controversie piuttosto che come strumento (cautelare) di costituzione
preventiva di un mezzo di prova. L’espressa portata della norma, poi, che al primo
comma riconosce la possibilità che “l’espletamento di una consulenza tecnica, in via
preventiva, possa essere richiesta anche al di fuori delle condizioni di cui al primo
comma dell’art. 696 (rectius: periculum in mora) ai fini dell’accertamento e della
relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di
obbligazioni contrattuali o da fatti illeciti” conferma inequivocabilmente come la
consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite debba necessariamente
inserirsi nel novero dei procedimenti di natura non cautelare. (In tal senso, in dottrina:
Asprella, Nardo, Romano. Contra: Besso; in giurisprudenza, cfr. Trib. Torino, 31.03.08)
risultando espressamente non richiesta, ai fini dell’ ammissibilità della consulenza, la
sussistenza di qualsivoglia requisito di urgenza (Trib. Trapani 10.10.06; Trib. Savona,
09.07.07).
L’ambito di applicazione dell’istituto, invece, così come espressamente indicato
dallo stesso primo comma dell’art. 696 bis c.p.c. è limitato ai soli “fini dell’
accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o
inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito”. Ne consegue pertanto
che, stante il palese richiamo della norma alle fonti delle obbligazioni di cui all’art. 1173
c.c., debba ritenersi esclusa l’esperibilità della a.t.p. ai fini della composizione della lite
oltre che per la tutela di diritti reali e della persona, anche per le obbligazioni da
negotiorum gestio, arricchimento senza causa, soluti retentio, ed in generale per tutti i
diritti che non trovino la propria fonte in un contratto o in un fatto illecito (sulla
tassatività di tali ipotesi cfr. Tribunale Trani del 12.02.09 e Trib. Reggio Calabria del
28.12.07).
L’istituto in questione, altresì, pur annoverandosi nel filone dei mezzi di
conciliazione connessi al processo civile già in precedenza introdotti dal legislatore con
esiti non del tutto soddisfacenti (si pensi alla previsione di cui agli artt. 198, 199 e 200
c.p.c. che prevedevano il compito del consulente tecnico nominato di tentare la
conciliazione delle parti; al tentativo di conciliazione nel processo ordinario quale “esito”
dell’interrogatorio libero delle parti ex art. 185 c.p.c.; al preesistente tentativo
obbligatorio di conciliazione nella cause relative ai rapporti di lavoro subordinato; alla
conciliazione in sede non contenziosa innanzi al Giudice di Pace, nonché alla stessa
conciliazione societaria di cui al Titolo VI, capo II, sezione II del d.lgs. 17.01.03 n. 5)
presenta indubbi profili di novità e di interesse applicativo, sia in una logica di
realizzazione di quelle finalità deflattive e “privatizzatrici” del contenzioso proprie del
legislatore della riforma (c.d. Progetto Vaccarella), sia in una logica (tutta da verificare)
di rafforzamento e potenziamento delle facoltà e degli accertamenti, anche di natura
cognitiva, demandabili al consulente tecnico all’uopo nominato.
Lo sforzo del legislatore volto a favorire ed incentivare l’applicazione pratica
dell’istituto in oggetto risulta poi ancor più evidente nell’espressa previsione
dell’efficacia esecutiva (seppur limitata ai soli fini dell’espropriazione e dell’esecuzione
in forma specifica, oltre che per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale) riconosciuta
all’eventuale processo verbale di conciliazione redatto e, soprattutto, nell’esenzione
dall’imposta di registro espressamente prevista dal IV comma dell’art. 696 bis c.p.c.
(contrariamente a quanto, ad esempio, previsto con riferimento all’eventuale processo
verbale di conciliazione redatto innanzi al Giudice di Pace).
Per quanto concerne, in breve, la disciplina del procedimento di cui all’art. 696
bis c.p.c., deve evidenziarsi che l’atto introduttivo è costituito da un ricorso depositato
nella cancelleria del giudice che sarebbe competente per la causa di merito, per materia o
valore e territorio, secondo le disposizioni di cui agli artt. 7 e ss. c.p.c., non esclusa la
competenza del Giudice di Pace (rappresentando quest’ultimo aspetto un effetto
immediato e consequenziale della riconosciuta estraneità della consulenza di cui al 696
bis c.p.c. dal novero dei procedimenti di natura cautelare, che, come noto, non possono
essere concessi dai Giudici di Pace). In caso di competenza del Tribunale, il Presidente
fisserà con decreto l’udienza per il conferimento dell’incarico con contestuale nomina del
consulente, assegnando termine perentorio alla parte ricorrente per la notificazione del
decreto. All’udienza di comparizione, il giudice, verificata la sussistenza dei presupposti
processuali della domanda di merito indicata a norma dell’art. 693 comma III (sulla
necessaria sussistenza di tali presupposti cfr., tra le varie, TAR Puglia, sez. I, 01.09.03. e
Trib. Savona, 09.07.07), verificata la regolarità del contraddittorio, e risolte altresì
eventuali questioni di rito, ivi comprese quelle attinenti le chiamate in causa ai sensi
dell’art. 107 c.p.c., provvede ad ammettere o meno l’a.t.p., specificando eventualmente i
quesiti tecnici sui quali il consulente dovrà rispondere, ed indicando al contempo il
giorno ed il luogo di inizio delle operazioni peritali, assegnando altresì termine ai fini del
deposito dell’elaborato e provvedendo in merito all’acconto sul compenso spettante al
perito. Il giudice adìto, pertanto, è chiamato a compiere in questa prima fase una
valutazione, seppur sommaria, in merito alla ammissibilità, alla rilevanza ed utilità della
consulenza richiesta, in relazione alla materia del contendere. Le riserve in precedenza
mostrate da taluni sulla necessità di una siffatta valutazione da parte del giudice di merito
(anche al fine di negare carattere giurisdizionale allo strumento in esame), oltre a
risultare prive di concreto fondamento logico (dato che se la prova richiesta dovesse a
monte risultare inammissibile o irrilevante, la perizia si paleserebbe, ab origine, priva di
una concreta rilevanza pratica stante la carenza di qualsivoglia utilità nello stesso
instaurando giudizio di merito, come ad esempio nel caso di consulenze meramente
“esplorative”) sono state spazzate via dalla stessa portata di diverse pronunce
giurisprudenziali, anche recentemente intervenute, con le quali, in più occasioni, si è
dichiarata l’inammissibilità del ricorso per essere carente o l’ indicazioni della domanda
che si intendeva proporre nel separato ed eventuale giudizio di merito (cfr. Trib. Genova,
ordinanza 10 – 12 settembre 2008) - stante la pacifica non utilizzabilità dello strumento
della consulenza tecnica preventiva al fine di ottenere preventiva valutazione della
fondatezza giuridica della pretesa stessa (in senso conforme anche Trib. Nola, ordinanza
del 10.03.08) - o, diversamente, per essere comunque carente l’interesse ad agire nel
merito della parte istante, come ad esempio in ipotesi di consulenze tecniche richieste al
fine di far valere un accertamento negativo del credito o l’inesistenza di danni (il
richiamo della norma al concetto di “lite” lascia infatti supporre l’esigenza di una
controversia già in atto, imponendo pertanto la necessaria sussistenza di un attuale
interesse ad agire nel merito della parte istante).
L’ordinanza con cui il giudice si pronuncia in merito alla ammissibilità o meno
della consulenza, pur non pregiudicando la riproposizione dell’ istanza, deve ritenersi
non impugnabile, salvo il controllo demandato al giudice di merito eventualmente adìto
in merito all’esistenza a o meno delle condizioni di ammissibilità del ricorso. Per quanto
concerne segnatamente il regime delle impugnazioni, l’evidenziata estraneità della
consulenza preventiva di cui al 696 bis c.p.c. dal novero dei procedimenti cautelari
determina, senza dubbi, l’inammissibilità del reclamo (in tal senso cfr. Trib. Mantova,
03.07.08), così come il provvedimento che ammette la consulenza tecnica preventiva ai
fini della composizione della lite non è suscettibile di ricorso per cassazione ai sensi
dell’art. 111 Cost., né di regolamento preventivo di giurisdizione e/o di regolamento di
competenza (Cass. 29.05.08 n. 14187; Cass. 14.09.07 n. 19254; Cass. Sez. un. 20.06.07
n. 14301; cass. Sez. un. n. 7129 del 1998; tra le sentenze di merito, cfr. Appello Catania,
12.09.08), trattandosi di provvedimento connotato dal carattere della provvisorietà o
strumentalità. Unica eccezione potrebbe essere rappresentata dall’esperibilità del
regolamento di competenza, limitatamente al caso di conflitto negativo di competenza,
fattispecie che si realizza quando, dichiaratosi incompetente il giudice adìto, anche il
secondo giudice successivamente investito della questione abbia pronunciato analogo
provvedimento negativo della propria competenza (per l’ammissibilità in una tale ipotesi
Cass. 12.06.097 n. 5264). In caso di rigetto dell’istanza il giudice disporrà in merito alle
spese di giustizia, mentre in caso di ammissione della consulenza sarà il giudice del
merito a provvedervi qualora la conciliazione non riesca. Tuttavia, a parere di chi scrive,
sembrerebbe più corretto che, sia in caso di rigetto che di accoglimento, il giudice
provveda sin da subito sulle spese processuali, sulla scia della ratio delle stesse novità
normative introdotte dal recente disegno di legge n. 1141 bis /C approvato al Senato il 26
maggio scorso, laddove al settimo comma dell’art. 669 octies c.p.c. si è espressamente
previsto che il giudice, in sede di ordinanza di accoglimento dell’istanza cautelare, decida
anche sulle spese del procedimento cautelare, ed essendosi altresì prevista, tra le misure
introdotte dalla riforma al fine di contrastare lo stesso uso dilatorio e l’abuso del
processo, la previsione per cui, anche ove nel giudizio di merito venga accolta la
domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, il giudice dovrà
condannare la parte che l’ha rifiutata senza giusto motivo al pagamento delle spese
processuali maturate dopo la formulazione della proposta, salva solo la possibilità di
disporre la compensazione ove concorrano “gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente
indicate nella motivazione”.
Ammessa la consulenza, poi, il consulente provvederà, prima di effettuare il
deposito della relazione peritale, a tentare, ove possibile, la conciliazione delle parti.
In merito all’istruzione probatoria svolta dal consulente, la norma fa espresso
rinvio agli articoli da 191 a 197 del c.p.c., in quanto compatibili. Alcuna valenza
decisiva, poi, sembrerebbe potersi attribuire al mancato rinvio, operato dall’art. 696 bis
c.p.c., al richiamo della norma di cui all’art. 201 c.p.c., in ordine alla possibilità di
nominare in tale procedimento dei propri consulenti di parte, dato che la presenza di
questi ultimi sembrerebbe in ogni caso potersi ritenere garantita dal II comma dell’art.
194 pur espressamente richiamato dall’art. 696 bis c.p.c
All’eventuale verbale di conciliazione, come detto, sarà poi attribuita con
decreto del Giudice efficacia esecutiva, pur se ai soli fini dell’espropriazione,
dell’esecuzione in forma specifica e dell’iscrizione ipotecaria. Il titolo, infine, per
espressa previsione dell’ultimo comma dell’art. 696 bis c.p.c., è esente da imposta di
registro.
Qualora, invece, la conciliazione non riesca, ciascuna parte ha la facoltà, ai
sensi del V comma dell’art. 696 bis c.p.c., di chiedere che la relazione depositata dal
consulente venga acquisita agli atti del successivo giudizio di merito, tornando così ad
avere la relazione peritale valore di mero atto di istruzione preventiva, la cui assunzione
nel giudizio di merito sarà comunque subordinata al rispetto delle condizioni e delle
cautele di cui all’art. 698 c.p.c.
Descritta brevemente la disciplina dell’istituto in oggetto, deve evidenziarsi
come la particolarità della natura e della figura dell’istituto della consulenza tecnica
preventiva ai fini della composizione della lite, già desumibile prime facie da quanto
esposto, emerge palesemente in quella che, opportunamente, è stata definita essere la
“doppia anima” dell’istituto (detto anche “bifronte”) il quale, se da un lato si configura
indubbiamente e prevalentemente come strumento “di induzione” delle parti a
raggiungere soluzioni conciliative della lite, dall’altro costituisce altresì certamente un
mezzo di istruzione preventiva della prova, per lo meno in termini di ausilio istruttorio, di
quello che sarà il futuro ed eventuale procedimento giudiziario che le parti potranno
decidere di intraprendere, riservando ad esse l’art. 696 bis, V comma c.p.c., anche
qualora la conciliazione non riesca, la facoltà di chiedere che la relazione depositata dal
consulente venga acquisita agli atti del successivo giudizio di merito, evitando così al
contempo di perdere irrimediabilmente parte della istruzione anticipata già acquisita.
In altri termini, cioè, l’anticipazione dell’istruzione probatoria risulta, in primo
luogo, funzionale alla possibilità che, all’esito della medesima, le parti siano in grado di
effettuare valutazioni prognostiche in ordine a quella che potrà essere l’esito della stessa
causa di merito, consentendo in special modo alle stesse di superare quelle diversità di
vedute circa la ricostruzione dei fatti a monte della res litigiosa, consentendo solo in un
secondo momento, e come “soluzione di ripiego” rispetto alla mancata conciliazione, di
recuperare la fase istruttoria parzialmente già svolta.
In tale logica ne consegue che le finalità conciliative della norma possano essere
perseguite con maggior successo laddove le conseguenze in diritto che ciascuna della
parti faccia conseguire alla ricostruzione dei fatti controversi non siano anch’esse
opinabili dalle parti, stante il rapporto di proporzionalità inversa esistente tra complessità
della quaestio iuris e la connessa possibilità rimessa alle parti di poter validamente
valutare ex ante il possibile esito di un procedimento giudiziale pur parzialmente istruito.
(es: accertamento di un credito che, oltre ad essere incerto nel quantum, risulta altresì
incerto nell’an, stante una possibile eccezione di prescrizione breve che la parte debitrice
potrebbe far valere nell’instaurando giudizio di merito).
Potrebbe allora trovare spiegazione la scelta compiuta dal legislatore di
circoscrivere l’applicabilità dell’istituto al solo “accertamento” ed alla “determinazione
dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obblighi contrattuali o da fatto
illecito”, volendo con ciò indirizzare l’applicazione pratica della consulenza preventiva
in riferimento a quelle controversie che, per loro natura, più di altre si prestano a risultare
controversie sotto il profilo della esatta ricostruzione dei fatti storici piuttosto che in
punto di diritto.
Altro punto nodale della questione, strettamente connesso a quanto sopra
osservato, ed altresì funzionale a consentire una più precisa valutazione dell’effettivo
ruolo in chiave conciliativa attribuibile all’istituto esaminato, è senza dubbio
rappresentato dall’ampiezza e dai limiti delle funzioni e delle indagini cognitive rimesse
al consulente nominato all’uopo dal Tribunale, non registrandosi al riguardo precedenti
normativi che attribuiscano una tale autonomia conciliativa ad un tale “esperto”
nominato. In particolare, la diatriba dottrinaria e giurisprudenziale esistente riguarda la
possibilità o meno da riconoscere al consulente tecnico la facoltà (o meglio la legittimità)
di procedere non solo alla verifica, descrizione ed all’analisi dei fatti controversi tra le
parti, con conseguente valutazione economica degli stessi, ma anche di esprimere
apprezzamenti valutativi in merito all’an della controversia, “surrogando” così il giudice
in un’attività sostanzialmente ed istituzionalmente a lui riservata, ossia quella di stabilire
la rilevanza giuridica di tali fatti, dichiarando se essi integrino o meno la fattispecie di un
certo diritto soggettivo e per quale misura. In altre parole, si tratta di comprendere se
l’esperto nominato dovrà guardare esclusivamente alla quaestio facti, risultandogli
preclusa ogni valutazione strettamente di diritto o se, il legislatore, in un’ottica volta al
potenziamento ed alla ricerca di forme di soluzioni alternative delle controversie, nonché
in una logica di perseguimento di finalità chiaramente deflattive del contenzioso
giudiziario civile, abbia inteso voler riconoscere al consulente tecnico il compito di
svolgere attività valutative rientranti nelle prerogative esclusivamente giudiziali, quali ad
esempio l’accertamento del nesso di causalità tra gli eventi con relativa quantificazione,
sulla base di criteri normativi, dei danni, nonché l’imputabilità di un danno, la validità di
un’obbligazione e così via.
Al fine di dare una concreta risposta a tale interrogativo non forniscono ausilio
decisivo né la considerazione già esposta, per cui lo strumento in oggetto sembrerebbe
pensato per controversie rispetto alle quali le quaestiones iuris si presentano di agevole
soluzione, di guisa che una volta chiariti i fatti, le ragioni ed i torti delle parti in punto di
diritto risultino evidenti (già in sede dei Lavori Preparatori della Commissione istituita
per la riforma del processo civile, si evidenziava che “dalla realtà concreta dei processi
si ricava che nella maggior parte dei casi le parti controvertono in ordine a questioni
meramente de facto (…) per cui una volta acclarato il fatto controverso sarà possibile
raggiungere una soluzione conciliativa della lite”); né, d’altro canto, risulta decisivo in
senso inverso l’esplicito duplice riferimento compiuto dalla norma in esame sia all’
”accertamento” che alla “determinazione” del credito, tale da riconoscere l’indifferente
ammissibilità della consulenza tecnica preventiva sia in relazioni a fatti rilevanti sotto il
profilo dell’an di un diritto soggettivo sia in relazione a fatti rilevanti per il quantum del
medesimo o, anche, per fatti rilevanti per entrambi gli aspetti.
Al riguardo, pertanto, accanto a coloro che (Crocini, Nardo) ritengono che il
carattere fortemente ambiguo del dettato normativo debba essere chiarito con riferimento
ai principi generali, sottolineando la funzione meramente ausiliaria del consulente
rispetto all’attività del giudice, nonché l’espresso rinvio operato dall’art. 696 bis c.p.c.
all’applicazione delle norme di cui agli artt. 191 .- 197 c.p.c., concludendo nel senso che
la determinazione del quantum rappresenterebbe, di per sé, il sufficiente substrato
fattuale per una corretta e fruttuosa dialettica tra le parti, tenuto altresì conto della
mancanza di qualsivoglia minima indicazione fornita dal legislatore in merito alle
richieste competenze specialistiche del consulente nonchè in merito alle eventuali
modalità di individuazione e selezione dei soggetti chiamati a svolgere detti compiti, altri
(Giallongo; Ansanelli) obiettano che al consulente non possa che essere demandata la
stessa possibilità di effettuare valutazioni di carattere eziologico circa l’individuazione
delle cause e la relativa quantificazione dei danni, estendendo così l’ambito delle
valutazioni richieste al consulente tecnico d’ufficio.
Indubbiamente la diversità dei ruoli attribuibili al consulente, nonché l’esatta
delimitazione dell’indagine cognitiva rimessa allo stesso, costituiscono fattori
determinanti al fine di poter valutare la reale portata “innovativa” di un istituto
ontologicamente ibrido quale quello in oggetto, nonché la compiuta realizzazione di
quella tendenza “privatizzatrice” propria degli intenti della Commissione Vaccarella, con
la connessa possibilità di attribuire una maggiore autonomia e capacità gestoria a soggetti
estranei alla magistratura ordinaria, o comunque privi di competenze specialistiche tali da
poterne legittimare un coinvolgimento diretto nello stesso ambito processuale.
Sul punto, pur ritenendo personalmente come “culturalmente stimolante” ed
apprezzabile lo sforzo compiuto dal legislatore della riforma, deve tuttavia, almeno allo
stato, registrarsi come la giurisprudenza formatasi, sin da subito, si sia maggiormente
orientata verso una interpretazione restrittiva dell’indagine ricognitiva devolvibile al
consulente, sanzionando in più occasioni con l’inammissibilità la richiesta di consulenze
nel caso in cui fosse risultato che le parti non controvertano solo sulla misura
dell’obbligazione risarcitoria bensì anche sulla effettiva sussistenza della stessa, oltre che
sulla individuazione del soggetto ad essa eventualmente tenuto (in tal senso cfr. Trib.
Milano, 17.04.07; in senso analogo ancora Trib. Milano 23.01.07. Analoga anche Trib.
Trapani 10.10.06 che ha dichiarato l’inammissibilità di un ricorso sottolineando che la
lite debba vertere su questioni eminentemente tecniche, nonché Trib. Forlì 04.02.08 il
quale, chiamato a pronunciarsi sull’ammissibilità di un ricorso proposto per
l’accertamento tecnico preventivo relativo ad una questione di nullità dei contratti
conclusi per ritenuta violazione di norme imperative, ha dichiarato l’inammissibilità del
ricorso evidenziando come il thema decidendum involgeva questioni di carattere
prettamente giuridico, in riferimento alle quali l’apporto tecnico è risultato pressoché
inesistente. Anche recentemente Trib. Pavia 14.07.09 ha dichiarato l’inammissibilità di
un ricorso proposto a norma dell’art. 696 bis sull’assunto che la decisione della causa di
merito implicava la soluzione di questioni giuridiche complesse nonchè l’accertamento di
fatti che esulavano dall’ambito delle indagini di natura tecnica che potevano essere
rimesse al consulente) e manifestando così in modo inequivocabile di voler evitare quello
che evidentemente viene individuato quale uso distorto ed abnorme dell’istituto in
oggetto, non conforme ad una corretta lettura ed interpretazione del dato normativo
espresso dal legislatore, pur in presenza di chiare ed evidenti finalità deflattive
perseguite, anche in sede di riforma, dal medesimo legislatore.
Per quanto concerne, infine, i settori e le tipologie di controversie con
riferimento alle quali l’istituto in oggetto è in grado di risultare di maggiore utilità,
devono senza dubbio annoverarsi quello inerenti le liti in ordine alla esatta
determinazione rata mutuo, la verifica e la sussistenza di vizi occulti con relativa
determinazione dei costi di ripristino; la determinazione dei danni patrimoniali o
biologici derivanti da sinistro stradale (per lo meno laddove non vi sia contestazione in
tema di responsabilità), nonché in materia delle c.d. “scorrettezze contabili” compiute
dalle banche nelle operazioni di finanziamento collegate ai conti correnti bancari (es.
anatocismo; commissione massimo scoperto; danni derivanti dalla tardiva esecuzione
dell’ordine di acquisto azionario, ecc.). Da ultimo, poi, un interessante profilo di
applicabilità dell’istituto potrebbe individuarsi con riferimento alla materia
dell’accertamento delle perdite sui derivati. Al riguardo, recentemente il Tribunale di
Verona sembrerebbe aver riconosciuto la possibilità di applicare l’art. 696 bis c.p.c. in
una controversia intrapresa da una società del Nord contro Unicredit Banca relativa a
sette operazioni sui derivati compiute in quattro anni per un valore di circa 7.000.000 di
euro, con perdite stimate per la società di circa 1.000.000,00 di euro. Ovviamente la
banca, a conferma di quanto sin qui esposto, ha da subito eccepito la carenza della
possibilità per il perito di stabilire, in primis, l’effettiva sussistenza di un danno
risarcibile, affermando che con la consulenza tecnica preventiva de qua si partirebbe già
dall’erroneo assunto dell’inadempimento della banca e/o della cattiva condotta di una
delle parti, evidenziando invece come dette situazioni, anche alla luce della complessità
dell’intera vicenda, non potrebbero che essere oggetto di accertamento in via giudiziale.
Ma su tali ultimi aspetti, nonché sulla “propensione” in generale manifestata
delle banche nei confronti dell’istituto della conciliazione non mi resta che cedere il
testimone a chi, sul punto, potrà essere ben più esaustivo e chiaro di quanto non lo possa,
nelle migliori delle ipotesi, essere io.
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Antonio Cimmino si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Pisa “La
Sapienza”, con votazione 110/110 e lode (tesi in diritto civile). E’ iscritto presso il Consiglio dell’
Ordine degli Avvocati di Napoli.
E’ assegnatario di borsa di studio Master Ipsoa in “Contratti d’Impresa” 2007 e borsa di studio
Master Ipsoa in “Contabilità e bilancio” 2008.
Presta collaborazione professionale presso lo Studio specializzato in diritto commerciale e civile dei
Proff. Andrea Zoppini e Francesco Astone in Roma. E’ procuratore in giudizi di grandi imprese in
amministrazione straordinaria.
Ha collaborato con la Cattedra di Diritto Commerciale e di Diritto delle Imprese in Crisi presso
l’Università degli Studi del Molise, con la cattedra di Diritto Civile – Elementi presso l’Università
degli Studi di Siena .
Collabora attualmente con la cattedra di Istituzioni di diritto privato presso l’Università degli Studi di
Siena – Facoltà di Economia e del Turismo – sede di Grosseto con il Prof. Gianluca Navone e
Piergiorgio Palomba.