La tragedia del diavolo - LUISS University Press

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La tragedia del diavolo - LUISS University Press
Sadik al-Azm
La tragedia del diavolo
Fede, ragione e potere nel mondo arabo
Per la presente edizione italiana
© 2016 LUISS University Press – Pola Srl
Tutti i diritti riservati
ISBN 978-88-6105-224-6
Titolo originale Naqd al-fikr ad-dini
Edizione inglese Critique of Religious Thought © 2015 Gerlach Verlag
Traduzione di Michele Bocchiola
LUISS University Press
Viale Pola 12
00198 Roma
Tel. 06 85225485
E-mail [email protected]
www.luissuniversitypress.it
Editing Spell s.r.l.
Progetto grafico e impaginazione HaunagDesign
Questo libro è stato composto in ITC Charter
e stampato su carta Favini Shiro Eco White da 80gr
presso Geca Industrie Grafiche
Via Monferrato 54, 20098 San Giuliano Milanese (Milano)
Prima edizione febbraio 2016
La Nota di Stefan Wild è stata letta in occasione del conferimento a Sadik al-Azm del
Goethe-Medal (Weimar, 28 agosto 2015). (c) 2015 Stefan Wild e Goethe-Institut. Si
ringraziano l’autore e l’istituto per l’assenso alla riproduzione.
Le citazioni dal Corano sono tratte dall’edizione italiana a cura di Hamza Roberto Piccardo (Saggio di Traduzione Interpretativa del Santo Corano inimitabile, Imperia, Al Hikma, 1994).
La traduzione dell’opera è stata realizzata grazie al contributo del seps
segretariato europeo per le pubblicazioni scientifiche
Via Val d’Aposa 7 - 40123 Bologna
[email protected] - www.seps.it
titolo capitolo - testatina
Nota
stefan wild*
I. All’inizio del 1969 ero arrivato da poco in Libano, ma già avevo sentito
molto parlare di un siriano di nome Sadik Jalal al-Azm. I quotidiani libanesi riferivano polemicamente di questa “testa calda di Damasco”, e l’allora corrispondente da Beirut della Frankfurter Allgemeine Zeitung mi mise
in guardia da “questo tizio di sinistra, questo irriducibile marxista”. Superai
i miei timori e cercai di mettermi in contatto con Sadik nel piccolo appartamento dove abitava, proprio di fronte all’American University di Beirut,
scoprendo tuttavia che Sadik era stato arrestato.
Le cose erano andate così: di ritorno da Yale, Sadik insegnava filosofia europea all’American University di Beirut. Nel 1968 e nel 1969 scrisse due libri, che lo resero famoso all’istante – famigerato, secondo alcuni – in tutto il mondo arabo. Il primo dei due si chiamava “Autocritica dopo la sconfitta”. La sconfitta a cui si riferiva era quella delle truppe egiziane, siriane e giordane sbaragliate da Israele nel giugno del 1967, che prese di sorpresa i regimi arabi, nonostante la loro propaganda altisonante. Fu proprio
Sadik il primo ad analizzare questa sconfitta come un vergognoso fallimento
auto-inflitto e non come un contrattempo momentaneo, come riteneva la
maggior parte dei suoi colleghi arabi. Gli studiosi musulmani che si trinceravano dietro allo slogan “l’Islam è la soluzione” – intendevano: a tutti
i problemi del mondo moderno – diventarono i più feroci oppositori di Sadik. Nel 1968 uno dei suoi più acerrimi nemici, un fondamentalista arabo [Salah-ad-Din al-Munaggid, n.d.r.], riuscì a pubblicare in Germania un
libro intitolato Wohin treibt die Arabische Welt? (“Dov’è diretto il mondo arabo?”). Secondo lui, gli arabi erano stati sconfitti nella guerra dei sei gior-
* Professore Emerito Università di Bonn
viii
la tragedia del diavolo
ni perché i musulmani non erano stati abbastanza pii e ammiravano il comunismo e il bolscevismo. Era proprio contro questa forma di oscurantismo velato di religione che Sadik avrebbe combattuto per tutta la vita.
Il secondo libro di Sadik lo portò dietro alle sbarre per un breve periodo.
Il titolo originale era Naqd al-fikr ad-dini [“Critica del pensiero religioso”,
oggi La tragedia del diavolo n.d.r.] ed era scritto in arabo per i lettori arabi. Divenne un bestseller, ancora oggi letto in quasi tutti i paesi arabi, anche se regolarmente messo al bando. Il Mufti di Beirut, offeso dalle critiche mosse da Sadik al Corano e all’Islam, lo accusò di incitamento alla “discordia confessionale”. Il pubblico ministero lo accusò di aver messo in dubbio e in ridicolo l’esistenza di angeli, demoni e djinn come insegnata dal
Corano. In Libano – ancora oggi il paese arabo con maggiore libertà di stampa – Sadik venne scarcerato dopo una settimana.
A mio giudizio, il motivo ricorrente dell’intera opera di Sadik è la parola
“critica”, nonostante ciò abbia in realtà poco a che fare con la critica della ragione di Kant, sulla quale Sadik aveva lavorato a Yale. La critica di Sadik era piuttosto basata sulla critica della religione di Karl Marx. In questo senso, il suo “marchio di fabbrica” è sempre stata la critica all’associazione tra le istituzioni religiose e la politica. “Dire la verità al potere” è sempre stato il motto di Sadik, che ha anche sempre creduto nella necessità di
rendere pubblico il dibattito. Sadik apparteneva – e ancora appartiene –
alla sinistra araba, tremendamente indebolita dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Per molti intellettuali arabi, quella del marxismo è sembrata a lungo l’unica via possibile per comprendere la loro realtà sociale. Il socialismo
sembrava fatto apposta per rendere più giuste le società arabe. Noi tedeschi abbiamo ottime ragioni per essere scettici riguardo allo stalinismo e
al socialismo reale, ma nei paesi arabi il secolarismo, il razionalismo, il femminismo, la ricerca indipendente e molte altre cose sembravano possibili
solo con uno “spostamento a sinistra” delle società arabe.
Nel 1990, Sadik scrisse, sempre in arabo, un altro libro provocatorio, intitolato “In difesa di materialismo e storia”. In un’epoca in cui molti intellettuali
arabi un tempo di sinistra iniziavano a simpatizzare con la Repubblica Islamica di Khomeini, o si spostavano verso il postmodernismo francese, egli si
appellava ancora una volta a un marxismo non dogmatico.
II. Dal momento che Sadik è stato insignito nel 2015 del Goethe-Medal, non
sembra inopportuno accennare brevemente al suo rapporto con la letteratura. Quando, nel mese di aprile, ricevette a Princeton la notizia che avreb-
nota
ix
be ricevuto il premio, mi scrisse di aver immediatamente richiesto alla biblioteca universitaria una copia del Faust. Aveva sempre considerato questo poema drammatico una pietra miliare della storia moderna: negli anni
’70 e ’80 del ventesimo secolo aveva tenuto corsi basati sull’opera di Goethe sia alla American University di Beirut che, più tardi, in arabo all’Università di Damasco.
La concezione della letteratura di Sadik ha sempre avuto sfumature politiche: quando il romanzo di Salman Rushdie, I versi satanici, opera del realismo magico, apparve nel 1988, Sadik colse subito l’unicità del libro che,
per la prima volta, costrinse l’oriente musulmano e l’occidente secolare a
un dibattito religioso, politico e letterario. Sadik vedeva in Rushdie il “musulmano dissidente”, l’erede letterario di François Rabelais e James Joyce,
che correggeva l’abusata citazione di Goethe sull’oriente e l’occidente “non
separabili”. Sadik fu tra i pochissimi autori arabi che osò lodare esplicitamente il libro e condannare la fatwa decretata dall’imam Khomeini.
III. Sadik era ed è giustamente celebrato in occidente. Non dobbiamo, tuttavia, dimenticare una cosa: i suoi libri sono stati e sono diffusamente letti nei paesi di lingua araba, ma il loro autore non è mai stato celebrato da
quelle parti. Nessun politico arabo ha mai sposato una sola delle sue tesi
e, per quanto ne so, nessuna università araba ha mai osato dargli un riconoscimento. Pochi anni fa, in un’intervista, Sadik dichiarò che avrebbe fatto qualsiasi cosa per non diventare “un intellettuale arabo in esilio”. Oggi,
tristemente, non possiamo che considerarlo tale. La patria di Sadik, la Siria, affonda nel fuoco e nel sangue. Persino in Libano la sua vita sarebbe
in pericolo. Esiste una luce alla fine di questo terribile tunnel? Sì, per quanto flebile: da qualche tempo, i più importanti saggi di Sadik sono disponibili in una bella edizione in traduzione inglese. Sadik sa, ovviamente, quello che sapeva il Candido di Voltaire, e cioè che il mondo non è il giardino
dell’Eden, né il migliore dei mondi possibili, ma è pieno di crudeltà. Nella frase conclusiva del libro di Voltaire, nonostante il fuoco e il sangue, Candido continua “a coltivare il suo giardino”. Sadik al-Azm forse non ha un
giardino da coltivare, ma di certo sta lavorando a un nuovo libro per tutti noi.