Gli Investimenti nel contesto del Decentramento

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Gli Investimenti nel contesto del Decentramento
DECENTRAMENTO E DEMOCRAZIA IN MAROCCO: UNA BREVE PRESENTAZIONE DEI
PROCESSI E DELLE QUESTIONI DI FONDO
di Battistina Cugusi (CeSPI)
Introduzione
Nei paesi arabi, il basso riconoscimento di cui godono le libertà civili e politiche, e la scarsa qualità
del quadro istituzionale, costituiscono, alcuni tra i principali ostacoli interposti allo sviluppo umano,
così come evidenziato dallo stesso Arab Human Development Report1 (Allegato I). Il
raggiungimento di più alti livelli di sviluppo, dunque, non può prescindere dall’introduzione di
riforme atte a migliorare la partecipazione, ed assicurare il pluralismo politico, la separazione dei
poteri, e l’alternanza politica per mezzo di elezioni libere e corrette.
In questo contesto, un contributo significativo potrebbe provenire dal rafforzamento della
governance democratica locale, attraverso l’avvio di processi di decentramento.
Il decentramento, infatti, favorisce non solo un maggiore sostegno popolare al processo decisionale,
ma contribuisce, nel contempo, a stimolare la realizzazione adeguata ed efficace dei compiti dello
Stato.
D’altra parte l’esito del percorso, non è scontato, e da esso potrebbero derivare effetti indesiderati in
termini di sviluppo economico e sociale e quindi di stabilità e sicurezza dell’area. Gli organi subnazionali, potrebbero non essere in grado di svolgere al meglio le nuove funzioni e competenze loro
riconosciute in virtù dell’avvio di un percorso di decentramento dei poteri dallo stato alle autonomie
locali. A ciò si aggiunga la minaccia rappresentata dall’avanzamento dei movimenti islamici, i quali
potrebbero trovare nella democratizzazione del sistema politico, un fertile terreno d’azione e
diffusione.
È necessario, dunque, approfondire il dibattito e comprendere con maggiore chiarezza le
opportunità ed i limiti del decentramento politico ed istituzionale, e la natura dei processi
attualmente in corso nel mondo arabo, con particolare riguardo ai paesi della sponda sud del
mediterraneo, in vista di una loro sempre maggiore integrazione all’Unione Europea.
Al fine di approfondire queste tematiche, il Marocco, rappresenta un caso studio particolarmente
interessante. Esso, infatti, vanta un’esperienza pluridecennale di decentramento, avviato sin
dall’indomani dell’indipendenza, e che ha raccolto intorno a sé l’appoggio unanime della corona e
delle forze politiche. Tuttavia, la sua portata è stata limitata dalla presenza di alcuni fattori, quali la
sussistenza di pratiche di centralismo, l’insufficienza delle risorse finanziarie ed umane, e la
mancanza di un effettivo pluralismo politico.
Il Seminario su “Democrazia e decentramento nel Maghreb: il caso del Marocco”, vuole,
rappresentare, dunque, un’occasione di approfondimento della tematica in oggetto, apportando un
contributo aggiuntivo al dibattito in corso.
Le considerazioni e gli approfondimenti che emergeranno dal seminario saranno oggetto di un
apposito paper, prodotto dal CeSPI, e del quale la seguente presentazione costituisce
un’anticipazione. Quest’ultima vuole essere un utile strumento per la comprensione del contesto di
riferimento. A tal fine, dopo un breve excursus delle principali tappe del decentramento in Marocco,
ne verranno approfonditi gli aspetti di carattere amministrativo e politico attraverso la descrizione
dell’organizzazione e del funzionamento delle collettività locali marocchine, nella fattispecie i
comuni, le province e prefetture e le regioni. L’analisi verrà in seguito focalizzata sui limiti
presentati dal processo di decentramento, individuati nell’insufficienza delle risorse finanziarie a
1
UNDP, 2002, Arab Human Development Report, http://www.undp.org/rbas/ahdr/
disposizione delle collettività locali e nel mantenimento, al livello locale, di pratiche di
centralizzazione. L’ultima parte, infine, verrà trattati gli aspetti legati alla rappresentatività politica
ed al ruolo della società civile.
Il processo di decentramento in Marocco
L’avvio del processo di decentramento marocchino si fa risalire al periodo immediatamente
successivo al raggiungimento dell’indipendenza (1956).
Permettendo di avvicinare le istituzioni ai cittadini ed assicurando un maggiore sostegno
popolare al processo decisionale, il decentramento veniva unanimemente indicato dalla corona e
dalle forze politiche come soluzione all’esigenza di modernizzazione dello Stato su basi
democratiche, rinnovando, nel contempo, la tradizione politica di autogoverno delle antiche
comunità tribali, risalente al periodo precoloniale (Allegato IV).
Numerosi, infatti, sono i discorsi politici dell’epoca che annunciavano la riorganizzazione del
nuovo Marocco indipendente attraverso l’instaurazione di un regime democratico, di cui il
decentramento rappresentava una tappa fondamentale. Si tratta, in realtà, di un percorso dalle
caratteristiche mutevoli, espressione di esigenze dettate dallo stesso potere centrale. Sarà
quest’ultimo a determinarne l’evoluzione, preferendo optare per un rafforzamento progressivo
delle attribuzioni delle collettività locali e per un ampliamento graduale della loro autonomia, pur
sempre limitata dalla presenza di meccanismi di controllo mantenuti dall’autorità centrale.
Le principali tappe del decentramento del Marocco post –indipendenza coincidono con
l’adozione dei testi legislativi che dal 1960 hanno stabilito l’organizzazione e funzionamento
delle diverse collettività locali. Su tale base, è stato possibile individuare tre tappe principali:
I.
1956 – 1976. In questa fase vengono poste le basi dell’organizzazione amministrativa
attraverso l’adozione di alcuni testi fondamentali, quali la Carta comunale del 1960, e la
legge del settembre 1963 relativa all’organizzazione ed il funzionamento delle prefetture e
province. In questo periodo non si può parlare di vero e proprio decentramento. Sebbene la
carta del 1960 avesse riconosciuto importanti prerogative ai comuni, dotandoli, tra l’altro, di
un’assemblea rappresentativa ad elezione diretta, e dell’autonomia finanziaria, esse non sono
state sfruttate in pieno dagli stessi. La causa di ciò è da rintracciare soprattutto nella
mancanza di preparazione e nel disinteresse dimostrati degli eletti e funzionari nella gestione
degli affari locali, al quale fece seguito un aumento crescente dell’intervento delle autorità
deconcentrate (wali/ governatore, chef de cercle, pacha e caid), emanazione del potere
centrale.
Le province e le prefetture, al contrario, costituivano un mero livello deconcentrato, seppur
dotato alla stregua dei comuni della personalità giuridica e, per lo meno sulla carta, di una
certa autonomia finanziaria.
Rientra in questa fase, inoltre, la creazione delle sette Regioni economiche, istituite nel 1971.
A differenza delle precedenti, esse non costituivano collettività locali, trattandosi di semplici
circoscrizioni territoriali di pianificazione economica e di gestione del territorio.
II.
1976 – 1992. Si tratta di una fase caratterizzata da un rilancio significativo del processo
di decentramento, inizialmente giustificato dalla necessità della Corona di raccogliere
consensi intorno alla questione del Sahara occidentale. La riforma Comunale del 1976,
rappresenta la principale novità di questo periodo, avendo consentito di assottigliare il
controllo di tutela esercitato dal potere centrale sui comuni, ed il riconoscimento ad essi di
nuovi funzioni in materia d sviluppo economico e sociale.
III.
1992 – 2004. In questa fase sono stati molti i cambiamenti apportati, in risposta alle
pressioni esercitate a livello internazionale a favore di una maggiore apertura democratica del
2
sistema politico marocchino, ma anche in seguito all’acquisita consapevolezza
dell’importanza assunta dal decentramento ai fini dello sviluppo economico e sociale.
In particolar modo, le riforme introdotte hanno riguardato, la Regione, elevata al rango di
collettività locale dalla Costituzione del 1992, e oggetto del Dahir del 2 aprile 1997, il quale
oltre ad accrescerne il numero delle regioni da 7 a 16, ne ha ridefinito caratteristiche ed
organizzazione. Particolarmente rilevante, inoltre, l’adozione, nel 2002, della nuova Carta
comunale (legge 78 /00), e delle Province e prefetture (79/ 00).
I comuni rurali ed urbani
L’organizzazione e funzionamento dei comuni rurali ed urbani è stato oggetto di numerose riforme,
nel corso del tempo, contribuendo a farne i maggiori protagonisti del decentramento marocchino.
L’avvio del processo di decentramento nel Marocco indipendente, infatti, si fa risalire all’entrata in
vigore della Carta Comunale del 1960.
Pur distinguendo tra comuni urbani e rurali, la legislazione ha previsto un regime giuridico unico
per entrambi, malgrado la presenza di un evidente divario di sviluppo economico e sociale tra gli
stessi. Dalla loro creazione ad opera del decreto del 2 dicembre 1959, il numero dei comuni ha
conosciuto una considerevole evoluzione, passando da 801 (28 comuni urbani; 38 centri autonomi e
735 comuni rurali), agli attuali 1547 (249 urbani, 1.298 rurali), previsti dal decreto del 30 giugno
1992.
Il consiglio comunale, organo deliberativo del comune, è eletto, per un periodo di 6 anni.
L’elezione dei suoi membri avviene a suffragio universale diretto sulla base di modalità differenti a
seconda che si tratti di comuni con un numero di abitanti inferiore o superiore a 25.000:
maggioritario uninominale, nel primo caso; scrutinio di lista a rappresentanza proporzionale, ad un
turno2, nel secondo.
Il numero dei consiglieri che lo compongono non è fisso, ma varia a seconda del numero di abitanti,
da 11 (< 7.500), a 131 (≥2.000.001).
Esso dispone di una competenza di carattere generale nella gestione degli interessi comunali. Tale
principio, consacrato per la prima volta dall’art. 30 del Dahir del 30 settembre 1976, è stato poi
ripreso e ampliato dalla nuova Carta Comunale 78/00.
Le competenze del Consiglio, dunque, ricoprono ambiti differenti. Dal punto di vista finanziario,
compete al Consiglio l’esame e la votazione del bilancio e dei conti amministrativi, la gestione dei
beni comunali oltre alla loro conservazione e mantenimento; la fissazione dell’aliquota fiscale delle
tasse locali, dei canoni e dei diritti percepiti a profitto del comune; la decisione sui prestiti da
contrattare e sui doni e legati.
Vaste sono le sue competenze in materia di sviluppo economico e sociale, la maggior parte delle
quali sono state riconosciute dalla Carta del 1976. In particolare, rientra in questo ambito la
definizione del Piano di sviluppo economico e sociale del comune, in conformità con gli
orientamenti fissati in ambito nazionale, a cui fa seguito la preparazione dei Piani di servizi e la
possibilità di proporre all’amministrazione azioni da intraprendere per lo sviluppo del comune, nel
caso la loro attuazione non rientri nelle competenze proprie dello stesso, o ecceda le risorse a sua
disposizione. Quest’ultima funzione rientra nei poteri consultivi del consiglio, i quali si estendono,
in aggiunta, alla possibilità di dare pareri o fare raccomandazioni tutte le volte che questo è richiesto
dalla legge, dai regolamenti o domandato dall’amministrazione riguardo questioni di interesse
comunale, e all’obbligo di essere preventivamente informato su ogni progetto da realizzare sul
territorio del comune, per conto dello stato, di altre collettività, o organismo pubblico.
A ciò si aggiungono le attività di promozione e di sviluppo dell’economia locale e del lavoro, tra
cui: l’adozione di misure atte a contribuire alla valorizzazione del potenziale economico in campo
2
Novità introdotta dalla legge elettorale 64/02.
3
agricolo, industriale, artigianale, turistico e dei servizi; l’implementazione delle azioni necessarie
alla promozione e all’incoraggiamento degli investimenti esteri; la decisione in merito alla
partecipazione del comune ad imprese o società miste di interesse comunale, intercomunale,
prefetturale, provinciale o regionale.
Il consiglio è chiamato, altresì, ad intervenire in materia di igiene, salubrità e ambiente; in ambito
sociale culturale e sportivo, oltre che dell’urbanistica e della gestione del territorio.
In aggiunta, compete al consiglio la creazione e la gestione di servizi pubblici locali3, e la scelta
della modalità di gestione: diretta o autonoma, per concessione, o altra forma di gestione delegata,
in conformità con quanto stabilito dalla legislazione in materia.
Accanto alle attribuzioni finora considerate, bisogna considerare le funzioni che lo Stato trasferisce
ai comuni. Esse consistono, in particolare, nella realizzazione e mantenimento di scuole,
ambulatori, parchi naturali, opere idrauliche di piccola e media dimensione; di centri di
apprendimento e di formazione professionale, oltre che in azioni di formazione del personale e degli
eletti comunali.
Il Consiglio Comunale è presieduto da un presidente, eletto tra i membri del consiglio all’inizio del
suo mandato e per tutta la durata dello stesso, il quale rappresenta l’organo esecutivo del Comune
(art. 45 della Legge 78/00).
Il presidente detiene poteri legati al funzionamento del consiglio comunale, nell’ambito dei quali:
convoca le riunioni ordinarie e straordinarie del consiglio; presiede le sessioni e le commissioni
permanenti ed esegue le deliberazioni del consiglio; stabilisce l’ordine del giorno, preparato dal
gabinetto del consiglio, completo delle eventuali proposte avanzate dalle autorità locali e dai
consiglieri stessi. Inoltre, rappresenta il comune in giudizio ed in tutti gli atti della vita civile ed
amministrativa, dirige i servizi comunali ed esercita un potere gerarchico sul loro personale.
Più propriamente, nell’ambito della sua funzione di organo esecutivo del comune (art. 47 della
Legge 78 – 00), il presidente, da esecuzione al bilancio; conclude gli appalti di lavori, fornitura e
servizi; procede, nei limiti fissati dal consiglio stesso, alla conclusione e all’esecuzione di contratti
di prestito; è responsabile della conservazione e dell’amministrazione dei beni comunali.
Ai poter del presidente del comune se ne aggiungono altri prima appartenenti alle autorità locali
(Pacha e Caid), e trasferitigli dal Dahir del 1976, in materia di polizia amministrativa comunale e di
ufficiale di stato civile.
A dispetto dei poteri trasferiti al presidente del consiglio comunale, le autorità deconcentrate restano
competenti in materia di mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, oltre a conservare la
funzione di ufficiale di polizia giudiziaria e quella di vegliare sull’applicazione della legislazione e
regolamentazione, intervenendo in materia di diritto di associazione; sindacati professionali;
elezioni; professioni liberali; requisizione di beni; ecc4.
La collettività prefetturale (Wilaya) e provinciale
La prefettura e la provincia rappresentano il secondo livello di decentramento territoriale.
Come per i comuni, il numero di prefetture e province è aumentato notevolmente dalla loro
creazione ad oggi: da 24 nel 1956, a 71 nel 1997 (26 prefetture e 45 province), allo scopo di
avvicinare lo stato ai cittadini, di favorire i servizi e di promuovere lo sviluppo economico e sociale
del territorio.
Il Dahir del 12 settembre 1963 è stato recentemente modificato dalla legge 79/00, la quale ne
stabilisce organizzazione e funzionamento, prevedendo al suo interno una assemblea prefetturale o
3
Approvvigionamento di acqua potabile; distribuzione di energia elettrica; Interventi di bonifica; raccolta, trasporto,
deposito e trattamento dei rifiuti; trasporto pubblico urbano; illuminazione; circolazione e segnaletica stradale; trasporto
di malati e feriti; macellazione trasporto di carni e pesce;cimiteri e servizi funebri
4
Smires M’Faddel, 2001, Centralisation et décentralisation au Maroc, Université Sidi Mohamed Ben Abdellah
4
provinciale, quale organo deliberativo, affidando il potere esecutivo al wali/governatore,
rappresentante diretto dello Stato.
I membri della assemblea, eletti per un periodo di 6 anni, si suddividono in due categorie: quelli
eletti a suffragio universale indiretto tra i consiglieri comunali della prefettura e della provincia,
(scrutinio di lista proporzionale, al più alto resto); ed i rappresentanti delle Camere dell’agricoltura,
del commercio, dell’industria, dell’artigianato e della pesca (ogni camera elegge un rappresentante
fra i suoi membri, per ogni provincia o prefettura).
Mentre il numero dei rappresentanti di categoria è fissato dalla legge, il numero di consiglieri
componenti l’assemblea varia a seconda del numero di abitanti (da 11 membri per le prefetture e
province che hanno un numero di abitanti < 150.000; a 31 per quelle con un numero di abitanti >
1.000.000).
Bisogna tener presente la gratuità della funzione di consigliere prefetturale e provinciale, i quali
nelle svolgimento delle proprie funzioni percepiscono esclusivamente un’indennità di trasporto, di
spostamento e soggiorno.
Riguardo alle funzioni dell’assemblea prefetturale e provinciale, la legge 79/00 ha seguito la stessa
metodologia prevista per le altre collettività locali, suddividendo le competenze in proprie; trasferite
e consultive.
Allo stesso modo che per i comuni, all’assemblea prefetturale/provinciale compete l’esame e voto
del bilancio; il voto del piano di sviluppo economico e sociale della provincia o prefettura; la
decisione di contrattare prestiti e garanzie per la definizione del piano di servizi; prendere azioni
necessarie alla promozione degli investimenti e dell’impiego; l’assunzione di decisioni in merito
alla creazione e alla modalità di gestione di servizi; alla creazione e partecipazione a società miste;
ecc.
Nell’ambito delle competenze di tipo consultivo, l’assemblea deve essere consultata, su richiesta
delle autorità centrali, su questioni di interesse provinciale/prefetturale o intercomunale, di carattere
amministrativo ed economico. L’assemblea, inoltre, può proporre ai ministri competenti, attraverso
il wali o il governatore, azioni da intraprendere al fine dello sviluppo economico e sociale della
provincia, o, al contrario, essere consultata su politiche e piani di gestione del territorio e urbanistici
proposti dallo stato o dalla regione.
Infine, rientrano tra le competenze trasferite dallo stato, la realizzazione ed il mantenimento di licei
ed istituti tecnici; di ospedali; la formazione professionale e degli eletti locali e del personale delle
collettività locali; le infrastrutture, i servizi ed i programmi di sviluppo e di valorizzazione
dell’interesse prefetturale e provinciale.
L’assemblea prefetturale/ provinciale, è presieduta da un presidente, il quale elabora il regolamento
interno e stabilisce l’ordine del giorno, in accordo con il governatore. In ogni caso, il Ministro
dell’Interno può iscrivere d’ufficio, all’ordine del giorno ogni questione sulla quale ritenga utile
dibattere. Il presidente, inoltre, rappresenta il consiglio in giudizio, e in tutti gli atti della vita civile,
amministrativa e giudiziaria.
La funzione esecutiva, invece, è esercitata dal wali o governatore, il quale esegue le deliberazioni
dell’assemblea, tra cui il bilancio, ed amministra i beni della collettività. Rispetto al passato, la
legge 79/00 ha introdotto un’importanza novità. Nel caso in cui il consiglio stimi a maggioranza
assoluta dei suoi membri che le misure di esecuzione non corrispondano alle proprie deliberazioni,
può inviare un avviso motivato al governatore, oltre alla possibilità di far ricorso, nell’ordine, al
Ministero dell’Interno, o in caso di mancata risposta, al tribunale amministrativo.
La Regione
La Regione è il terzo livello di decentramento. Istituita dal Dahir del 16 giugno 1971 come
circoscrizione territoriale di pianificazione economica e di gestione del territorio, è stata elevata al
rango di collettività locale, dalla costituzione del 1992.
5
La missione attribuita alla Regione dal legge 47/96, che ne stabilisce l’organizzazione ed il
funzionamento, consiste nello sviluppo economico, sociale e culturale della collettività locale
regionale.
Il Consiglio regionale è l’organo deputato alla gestione degli affari della Regione. Come per le
province e prefetture, anche in questo caso, esso si compone di due tipologie di membri, eletti per
un periodo di 6 anni: da una parte i rappresentanti delle collettività locali, dell’altra quelle delle
camere professionali e dei salariati. L’elezione5 avviene per il tramite di collegi elettorali,
utilizzando il sistema proporzionale, al maggior resto, senza panachage né voto preferenziale.
Inoltre, prendono parte alle riunioni del consiglio, pur non avendo diritto di voto, i membri del
parlamento, rappresentanti della regione6, ed i presidenti delle assemblee delle prefetture e province
che compongono la Regione.
Le competenze del Consiglio sono sia proprie, che trasferite dallo stato, e di carattere consultivo.
Le competenze proprie del consiglio sono molto vicine a quelle attribuite alle altre collettività
locali. In tal modo, il consiglio interviene nello sviluppo economico, sociale e culturale della
regione, attraverso l’elaborazione di un piano di sviluppo economico e sociale, in conformità con gli
orientamenti nazionali; elabora lo schema regionale di gestione del territorio; decide sulla
partecipazione della regione a società miste di interesse regionale; vota il bilancio preparato dal
wali/ governatore chef de lieu della Regione, ecc.
Le competenze trasferite alle regioni dallo stato, riguardano principalmente la realizzazione e al
mantenimento dei licei, delle strutture universitarie e degli ospedali, l’attribuzione di borse di
studio, interventi di formazione a favore dei quadri delle collettività locali, ed azioni finalizzate allo
sviluppo regionale, in collaborazione con lo Stato o con altra persona giuridica di diritto pubblico,
nel quadro di apposite convenzioni.
Il consiglio regionale, infine, fa delle proposte ed emette pareri riguardo alle politiche statali attuate
nel territorio delle regioni, in materia di investimenti pubblici, di gestione del territorio nazionale e
di pianificazione. Esso inoltre, può proporre, tramite il wali/ governatore chef de lieu della regione,
la creazione, le modalità di organizzazione e di gestione dei servizi pubblici regionali (a gestione
diretta, autonoma o per concessione). Ciò non avviene per via diretta. Ma sarà il governatore del
capoluogo di regione a trasmetterlo alle autorità governative interessate.
Il presidente presiede il consiglio regionale e fissa, con il suo gabinetto, l’ordine del giorno.
Quest’ultimo viene trasmesso al wali/ governatore, il quale può proporre al presidente entro otto
giorni l’iscrizione di questioni supplementari.
Allo stesso modo che nelle province e prefetture, la legge 47 /96 conferisce al governatore il potere
di esecuzione delle deliberazioni del consiglio, previo parere del presidente dello stesso, che ne
controfirma gli atti.
Limiti del processo di decentramento in Marocco
Nonostante la corposa legislazione in materia, il processo di decentramento marocchino è
sottoposto, ancora oggi, a numerosi limiti, primo fra tutti un deficit considerevole in termini di
risorse finanziarie ed umane.
Difatti, sebbene le collettività locali godano di autonomia finanziaria, esse non dispongono del
potere di creare autonomamente imposte, essendo le risorse della fiscalità locale individuate dalla
legge. Esse possono essere distinte in: risorse proprie delle collettività locali; sovvenzioni statali, e
altre entrate (AllegatoVI).
5
Art.147 del codice elettorale del 1997
I membri della camera dei rappresentanti sono eletti per i 3/5 dai rappresentanti delle collettività locali e per i 2/5 dai
rappresentanti delle camere professionali.
6
6
Le risorse proprie delle collettività locali comprendono circa 35 voci, tra cui si distinguono, alcune
imposte statali quali la tassa urbana, l’imposta sulla patente, e l’IVA.
Risorse Fiscali Locali (in %)
1995
1996/97
1997/98
1998/99
40,7%
35,6%
33,6%
28,6%
Tasse Urbane
3,5%
3,9%
3,3%
4,1%
Imposte sulle Patente
15,2%
12%
11,3%
11,3%
40,5
48,4%
51,8%
47,8%
TASSE LOCALI
IVA
Fonte: Ministero delle Finanze, Ottobre 2001
L’IVA rappresenta la voce più rilevante delle finanze locali (47,8%, nel 1998/99) seguita dalle tasse
locali, con il 28,6% delle entrate. Il contributo al bilancio delle tasse locali, dunque, appare alquanto
limitato, nonostante esse costituiscano più dell’80% delle voci componenti le risorse finanziarie
delle collettività locali.
L’insufficienza delle risorse finanziarie locali, e la preponderanza delle spese per funzionamento,
hanno diminuito considerevolmente la capacità di spesa per investimenti delle collettività,
limitandole nell’esercizio delle nuove funzioni ad esse attribuite.
Di conseguenza, le collettività si sono trovate nel tempo a dover ricorrere ad un sistema di
finanziamento esterno, rappresentato, in particolare, dalle sovvenzioni statali e dai prestiti7. Ciò ha
ridotto notevolmente l’autonomia delle collettività locale, provocando una marcata dipendenza delle
stesse dai trasferimenti statali, che rappresentano a tutt’oggi la principale fonte di entrata.
L’autonomia finanziaria, inoltre, è limitata dal controllo esercitato da parte dell’autorità centrale sul
bilancio, essendo richiesta l’approvazione da parte del Ministero dell’Interno, previa visione da
parte del Ministero delle Finanze, o nel caso di parere negativo, del Primo Ministro. A ciò si
aggiunge l’obbligo di approvazione espressa sulla maggior parte degli atti aventi carattere
finanziario assunti dalle assemblee delle collettività locali.
Oltre a problemi di carattere finanziario fin qui presentati, il decentramento ha dovuto fare i conti
con risorse umane impreparate ad affrontare le nuove sfide che esso poneva, sia dal punto di vista
delle capacità che dell’effettivo interesse dimostrato nei confronti della gestione degli affari locali.
Gli eletti locali, infatti, continuano a presentare un debole livello di istruzione, sebbene nel corso del
tempo siano stati raggiunti progressi significativi in tal senso.
Guardando alle ultime elezioni, infatti, osserviamo come i candidati che hanno frequentato
l’università siano passati dal 10% nel 1983, al 22% nelle elezioni del 1997.
La nuova carta comunale del 2002, inoltre, non ha portato innovazioni significative in tal senso,
avendo previsto l’obbligo di istruzione primaria, limitatamente al solo presidente del consiglio.
Mantenimento di pratiche di centralizzazione
In Marocco, l’attuazione del decentramento si scontra, inoltre, con il mantenimento di pratiche
centralizzatrici a livello locale, particolarmente evidente con la presenza, accanto agli organi eletti
delle collettività locali, di organi deconcentrati, espressione del potere centrale.
7
Le collettività locali sono autorizzate a richiedere prestiti. A tal fine sono stati istituiti degli appositi organismi, tra cui
il FEC (Fonds d’équipement communal). Si tratta di un organismo pubblico, dotato della personalità civile e
dell’autonomia finanziaria, la cui gestione amministrativa è stata affidata alla Caisse des Dépot et de Gestion (C.D.G.).
7
Gli agenti di autorità, nominati per dahir su proposta del Ministro dell’Interno, sono rappresentanti
del potere centrale nelle differenti circoscrizioni amministrative del regno8. Tra di essi il
governatore rappresenta la principale autorità amministrativa.
Rappresentante dello Stato e del governo nelle prefetture, province e regioni, al governatore
compete, tra l’altro, la direzione, sotto l’autorità del ministero dell’Interno, dei “chefs de cercle”, o
“Super Caid”. Come il governatore, anche il Super Caid, rappresenta il potere esecutivo nel
territorio di riferimento. Egli deve assicurare, sotto il controllo del governatore, l’esecuzione delle
leggi e regolamenti, il mantenimento dell’ordine, della sicurezza e della tranquillità pubblica.
Inoltre, fa parte delle sue competenze il coordinamento dei differenti servizi amministrativi e tecnici
presenti sul territorio del cercle, oltre al controllo, limitatamente al suo campo d’azione, delle
attività dei chef di circoscrizione urbani e rurali, rispettivamente, i Pacha ed i Caid.
Le attribuzioni dei Pacha e Caid hanno subito un importante ridimensionamento in seguito alla
riforma comunale del 1976 e all’entrata in vigore della Carta comunale del 2002, trasferendo ai
presidenti dei consigli comunali, la funzione di polizia amministrativa e altre funzioni speciali, in
precedenza riconosciute loro. Ciò nonostante, ad essi compete tuttora il mantenimento dell’ordine e
della sicurezza pubblica, e restano investiti della funzione di ufficiali di polizia giudiziaria. In
aggiunta essi svolgono una funzione di assistenza amministrativa agli eletti locali, soprattutto in
ambito rurale9.
L’esistenza di pratiche centralizzatrici si manifesta, inoltre, attraverso l’esercizio da parte
dell’autorità centrale di uno stretto controllo di tutela sulle collettività locali, al fine di
salvaguardare l’unità dello Stato, ed assicurare il rispetto della legalità al livello locale.
La tutela si esercita sia sulle persone e sugli organi decentrati, che attraverso un controllo di legalità
sugli atti emanati dagli stessi.
La tutela sulle persone può esercitarsi, con decreto del Ministro dell’Interno, attraverso la
sospensione, la dimissione d’ufficio dei consiglieri delle assemblee locali, o nella loro dissoluzione.
Il controllo di legalità sugli atti rappresenta l’aspetto più rilevante della tutela. Esso può ricoprire
tre differenti aspetti: l’approvazione delle deliberazioni; l’annullamento delle deliberazioni; la
sostituzione d’ufficio dell’autorità di tutela all’autorità sotto tutela.
Nel caso dei comuni, l’approvazione riguarda, sia gli atti del presidente, che del consiglio. Nel
primo caso, la legge comunale 78/00 viene esercitata sui decreti assunti dal presidente in esecuzione
di deliberazioni di carattere fiscale (la fissazione dell’aliquota fiscale, delle tariffe, dei canoni, e dei
altri diritti) del consiglio, e ai poteri di polizia amministrativa in materia di igiene, tranquillità
pubblica, sicurezza. Relativamente agli atti del consiglio, la nuova Carta comunale ha apportato
delle modifiche rispetto al regime previsto dalla carta del 1976, alleggerendo il controllo di tutela
(riduzione del limite di tempo in cui l’autorità di tutela è tenuta a rispondere), e riconoscendo un
maggiore coinvolgimento degli organi deconcentrati, nella fattispecie del wali o del governatore,
limitatamente ai comuni rurali.
Nel dettaglio, si richiede l’approvazione espressa entro 45 giorni da parte del Ministro dell’Interno,
e di 30 giorni del governatore o wali nel caso dei soli comuni rurali per tutte le deliberazioni del
consiglio portanti su una serie di materie esplicitamente indicate (art. 69 della Legge 78/00)10,
aventi soprattutto carattere finanziario.
8
Ouazzani Chadi Hassan, 2003, Droit Administratif
Ibidem.
10
Bilancio, conti speciali e conti amministrativi; apertura di nuovi crediti, rilevamento dei crediti; prestiti, garanzie;
fissazione delle aliquote fiscali, dei canoni fiscali ; creazione e modalità di gestione dei servizi pubblici comunali;
creazione o partecipazione ad imprese e società ad economia mista; convenzioni di associazione o di partenariato;
accordi di cooperazione decentralizzata, e di gemellaggio con collettività locali estere; acquisizione, alienazione, scambi
e altre transazioni aventi ad oggetto i beni del demanio comunale; denominazione di piazze e vie pubbliche; creazione,
soppressione o cambiamento di posto o data dei souk rurali.
9
8
Per le deliberazioni aventi ad oggetto materie differenti rispetto a quelle previste dall’articolo 69, si
attua un controllo di tipo tacito. Esse, infatti, vengono trasmesse dal presidente all’autorità
competente, ed eseguite nel caso in cui essa non avanzi opposizione.
Lo stesso sistema è previsto per le altre collettività locali. Più precisamente, nel caso delle
Assemblee prefetturali e provinciali, esso è effettuato dal Ministero dell’Interno per le deliberazioni
per le quali è richiesta approvazione espressa (art. 59 della Carta provinciale e prefetturale del
2002), e dal wali o governatore per tutte le altre. Rispetto ai consigli regionali, invece, bisogna
rimarcare un’unica differenza, consistente nella possibilità per il consiglio di rifiutare il riesame
della deliberazione oggetto dell’intervento dell’autorità di tutela, e di adire al tribunale
amministrativo.
Per quanto concerne l’annullamento delle deliberazioni, esso può determinare: la nullità, per quelle
deliberazioni il cui oggetto non rientra nelle competenze del consiglio o che sono prese in
violazione della legge o regolamentazione in vigore; o l’annullabilità, per tutte le deliberazioni del
cui oggetto un consigliere è interessato a titolo personale o come mandatario.
Per ultimo la sospensione. Questa consiste nella possibilità per l’autorità di tutela di sostituirsi
all’autorità sottotutela nel caso in cui quest’ultima abbia rifiutato, illegalmente, di assumere una
determinata decisione, andando contro i suoi doveri.
Tuttavia gli organi decentrati dispongono di strumenti legali a difesa della loro autonomia. Possono,
infatti, ricorrere in giustizia per l’annullamento delle decisioni prese in seguito all’esercizio del
controllo di tutela. Possono, inoltre, ricorrere in indennizzo (en indemnité) nel caso in cui gli atti di
tutela abbiano recato loro pregiudizio.
Elezioni e rappresentatività politica
L’attuazione del processo di decentramento in Marocco, continua a mostrare un’evidente
discordanza tra la volontà politica espressa nella legislazione e dai discorsi del sovrano, e ciò che
effettivamente avviene nella pratica.
Questo è particolarmente vero con riferimento alla relazione tra decentramento e democrazia.
Nell’idea del legislatore, infatti, il decentramento avrebbe dovuto consentire tramite l’elezione di
organi locali eletti a suffragio universale, una maggiore partecipazione dei cittadini alla presa delle
decisioni, contribuendo, in tal modo, all’instaurazione di un regime democratico su un duplice
livello, locale e nazionale.
In realtà, ciò non è avvenuto nella pratica: le manovre del Makhzen11 e della monarchia sul “jeu
politique” hanno impedito negli anni lo svolgersi di elezioni libere e corrette.
Il carattere democratico del sistema politico è affidato al dettato costituzionale, il quale oltre a
dichiarare l’interdizione del partito unico, affida l’organizzazione e la rappresentanza dei cittadini ai
partiti politici, alle organizzazioni sindacali, ai consigli comunali e alle camere professionali (art.3).
Sebbene pluripartitico, il sistema politico marocchino non può essere qualificato come pluralista,
essendo la rappresentatività politica limitata dall’intervento costante dell’amministrazione centrale,
preoccupata di legittimare il proprio potere, influendo negli esiti delle differenti operazioni
elettorali.
11
“Il Majzen è un concetto scivoloso,ambiguo e difficile da definire.Assente nel linguaggio giuridico e politicamente
corretto,ci si presenta però costantemente nella dinamica politica e nella cultura politica popolare.Etimologicamente
significa «magazzino » ed originariamente questo termine fu impiegato per designare il cofano dove si raccoglievano le
imposte religiose destinate al tesoro della Umma.Nel secolo XII, Majzen designava il tesoro della Umma ed in
seguito,fino alla fine del secolo XIX,passò a indicare il complesso del governo marocchino,comprensivo dell
’amministrazione e dell ’esercito.Dopo l ’indipendenza,in pieno secolo XX,il termine Majzen perse il suo uso ufficiale,
ma ha continuato a persistere come sistema di rappresentazione del potere con riferimenti specifici al potere,allo stato,al
governo,al sistema politico,ad uno stile e ad una pratica di governo”, Pereira &Fernandez, 2000, Istituzioni Politiche e
processi elettorali in Marocco, http://www.iue.it/RSCAS/RestrictedPapers/
9
Come evidenziato da Sehimi12, infatti, «les élections n’ont pas pur objet de porter au pouvoir tel
parti bénéficiant de la faveur de l’électeur, mais ce de valoriser la monarchie», in ragione del
particolare status religioso e politico ad essa riconosciuto. In qualità di commandeur des croyants, il
sovrano possiede un ruolo di arbitro, che lo pone al di sopra di ogni altro potere e dei partiti stessi.
In Marocco, dunque, il contesto politico è stato dominato dall’intervento del potere centrale, che ha
fatto del “jeu politique” uno strumento teso ad ostacolare la formazione di qualsiasi contropotere
che avesse potuto rappresentare un’opposizione forte alla monarchia, oltre a raccogliere consenso
intorno alle scelte da essa operate, permettendo di aumentarne il prestigio.
In tal senso, negli anni immediatamente successivi all’indipendenza, molte delle manipolazioni del
sovrano per assicurarsi il controllo del potere, sono state rivolte alla marginalizzazione dei partiti
del movimento nazionale13 (Istiqlal, UNFP- Unione Nazionale delle Forze Popolari), favorendo la
costruzione di solide maggioranze intorno a coalizioni vicine al sovrano. Questa strategia,
inaugurata negli anni ’60 con la formazione del MP (Movimento popolare) e del FDIC (Fronte per
la difesa delle Istituzioni costituzionali), ha trovato poi conferma in gran parte delle consultazioni
elettorali successive allo stato di eccezione (1965 – 1970), attraverso la creazione di ulteriori partiti,
come il RNI (Raggruppamento Nazionale degli Indipendenti) nel 1977, il PND (Partito Nazionale
Democratico), la UC (Unione Costituzionale) nel 1984 ed il MNP (Movimento Nazionale Popolare)
nel 1993.
Al fine di assicurare il consenso alle formazioni politiche da esso appoggiate, il potere centrale è
ricorso a diversi meccanismi, di carattere essenzialmente tecnico.
Si fa riferimento in particolare, a tutti quegli interventi aventi come effetto la restrizione della
competizione elettorale, tra cui l’adozione per le elezioni dirette di un sistema maggioritario
uninominale, la manipolazione delle liste elettorali da parte degli stessi agenti locali, e la creazione
delle circoscrizioni elettorali. Relativamente a quest’ultimo aspetto, infatti, l’indice di competitività
(numero di candidati/numero di seggi) delle diverse operazioni elettorali mostra una sproporzione
significativa a favore delle zone rurali, roccaforte del potere centrale, a discapito di quelle urbane,
maggiormente soggette all’influenza dei partiti politici di opposizione.
Numerosi sono gli esempi che potrebbero essere addotti a conferma. Particolarmente eloquente, il
caso della città di Rabat presentato da Lopez14, in cui in occasione delle elezioni comunali del 1976
si prevedeva l’elezione di un consigliere comunale ogni 11.850 abitanti, contro i 1.200 abitanti dei
comuni rurali. Lo stesso autore, inoltre, riprendendo un articolo apparso su “Libération”, quotidiano
marocchino in lingua francese, in merito alle elezioni legislative del 1977, ha mostrato come la
nuova divisione elettorale introdotta nel maggio dello stesso anno avesse attribuito, per ogni
consigliere, una percentuale maggiore di popolazione alle città rispetto alle campagne, riducendo, in
tal modo, il raggio di azione dei partiti di opposizione (USFP, PPS ed Istiqlal).
La relazione che lega questi ultimi alle zone urbane, trova ulteriore conferma nella maggiore
concentrazione nelle grandi città della percentuale di voti nulli e di astensionismo, in linea con le
denunce dell’opposizione, tradottasi il più delle volte nella mancata presentazione di candidati alle
elezioni, o in un appello al boicottaggio delle stesse.
In particolare, dietro l’aumento progressivo della percentuale di voti nulli, è possibile riscontrare un
“voto cosciente”15, tramite il quale l’elettorato esprime la propria scarsa fiducia nel sistema
elettorale marocchino, soprattutto in considerazione del carattere inversamente proporzionale della
12
M.SEHIMI, 1991, «Maroc:Partis politiques et stratégies électorales »,in Elecciones,participación y transiciones
politicas en el Norte de Africa
13
Movimento in cui si raggruppavano i partiti antagonisti della monarchia negli anni immediatamente successivi
all’indipendenza del Marocco
14
Lopez Garcia Bernabé, 2000, Marruecos polìtico : Cuarenta anos de procesos electorales (1960 – 2000), Centro de
Investigationes Sociologicas
15
Ibidem
10
relazione che la lega alla partecipazione (al diminuire dei voti nulli, aumenta la partecipazione) e al
carattere rurale della circoscrizione.
Bisognerà attendere le elezioni legislative del 1997 affinché il vantaggio ottenuto dal blocco
dell’opposizione (la Kutla) sul blocco pro – governativo (Wifaq), renda possibile la formazione di
un governo d’alternanza guidato da A. Yousoufi, leader del USFP.
L’alternanza politica avviata a partire dalle elezioni legislative del 1997, è in realtà il risultato di un
percorso intrapreso sin dalla seconda metà degli anni ’70. Da allora, la monarchia, indebolita dai
diversi colpi di stato (golpe militare di Sjirat nel 1971; colpo di Stato dell’Agosto 1972) subiti e alla
ricerca di un consenso nazionale sul tema del “Sahara Occidentale”, ha assunto un atteggiamento di
maggiore apertura nei confronti dei partiti politici, come dimostrato, tra l’altro, dalla legalizzazione
del gruppo Bouadid (il quale assumerà la denominazione di UNFP, e l’eredità del precedente partito
di Ben Barka) e del PPS, di Ali Yata, oltre alla concessione dell’amnistia a un buon numero di
oppositori politici.
In cambio, i partiti politici hanno proceduto all’approvazione della costituzione del 1972, in un
primo tempo osteggiata, ed accettato di entrare nel gioco politico, reclamando maggiore trasparenza
e l’organizzazione di elezioni libere e corrette.
Tuttavia, il cambiamento di rotta avvenuto con le elezioni legislative del 1997, è anche frutto della
conversione ideologica operata in senso all’USFP e avviata in occasione del suo terzo congresso
nazionale (1978). A partire da questo momento, infatti, l’UNFP abbandonerà il suo tradizionale
atteggiamento critico nei confronti dei principi alla base della legittimazione del potere, per
intraprendere un percorso di integrazione politica, culminata con l’abbandono del riferimento al
socialismo, e l’adesione tacita all’economia di mercato16.
Secondo Santucci, l’integrazione dell’opposizione nel campo politico, ha comportato, in realtà, la
«délégitimation et marginalisation de leur rôle naturel, en les faisant apparaître comme les
bénéficiaires momentanés des scrutins plutôt que comme des acteurs décisifs17».
Egli, inoltre, inserisce l’alternanza marocchina nella più generale crisi dei partiti che ha investito e
caratterizza ancora il sistema politico marocchino, come dimostrato dal crescente tasso di
astensionismo registrato nelle ultimi confronti elettorali, sia legislativi che comunali.
Il clima di sfiducia è presente, in particolare, nelle fasce più giovani della popolazioni, soprattutto
urbane, scoraggiate dalla presenza di un deficit sociale crescente, e che non trovano nei partiti
politici interlocutori adeguati cui riconoscersi e affidare le proprie rivendicazioni.
Esiste il rischio, dunque, che tale malcontento si traduca in un aumento considerevole del consenso
a favore dei movimenti islamici, considerati un fenomeno particolarmente presente nelle realtà
urbane e peri – urbane, ed inseriti a detta di Tozy nella “modernité”, per la presenza di leader
relativamente giovani (molti di essi non superano i quarant’anni) ed istruiti18.
Ciononostante, Tozy ritiene che l’attuale configurazione del sistema politico, ed il peso
preponderante della monarchia nella formazione del governo, dovrebbero contribuire a contenere
gli effetti di una loro eventuale ascesa al governo (Allegato VIII).
In ogni modo, nelle ultime elezioni legislative del 2002, si è assistito ad un considerevole successo
del PJD (Parti de Justice et Développement), diventata la terza formazione politica del regno,
avendo ottenuto 43 seggi al Parlamento. Apparentemente, le elezioni comunali del settembre 2003,
hanno mostrato una situazione in decisiva controtendenza rispetto al 2002. Secondo i dati diffusi dal
ministero dell’Interno, infatti, solo il 2,5% dei voti sarebbe andato al PJD. In realtà, i risultati
16
Santucci J.C., 2001, Les partis politiques marocains à l’épreuve du pouvoir, Remald
Ibidem
18
Lagarde D., 2002, Où vont – ils les islamistes ?, L’Express
(http://www.lexpress.fr/formatimp/default.asp?idarticle=420158&url=http://www.lexpress.fr/Express/Info/Monde/Doss
ier/maroc/dossier.asp?ida=420158)
17
11
elettorali non mostrano l’effettiva configurazione politica del paese, avendo il PJD, in accordo con
le autorità, presentato candidati solo in un limitato numero di circoscrizioni.
La società civile
Il Marocco è stato interessato, sul finire degli anni ’80, da un rafforzamento considerevole dei
movimenti della società civile, che ha portato, nel corso di un decennio, a 30.000 il numero le
associazioni operanti.
Le chiavi di lettura possibili, restano molteplici. Se da un lato la diffusione dell’associazionismo
affonda le sue radici nella tradizione comunitaria e nelle forme di solidarietà proprie della
civilizzazione marocchina, dall’altra esso risponde all’esigenza emersa in seno alla società civile di
nuove modalità di espressione e di soluzioni adeguate ai suoi problemi.
Alla base di questo fenomeno, troviamo una rivoluzione di carattere ideologico, che permette di
passare dalla critica e contrapposizione verso le istituzioni statuali, all’adozione di un atteggiamento
di collaborazione e supporto delle stesse. Ad esso è corrisposto un mutato atteggiamento da parte
del potere centrale, manifestatosi nella concessione alla società civile di spazi più ampi di
rappresentatività e di intervento, in risposta alle numerose pressioni internazionali che reclamavano
una maggiore apertura democratica da parte del sovrano. Ciò ha condotto, nel breve periodo, al
nascere di numerose associazioni, operanti in diversi settori quali la protezione dei diritti
fondamentali (con particolare riguardo ai diritti umani, delle minoranze, e al miglioramento delle
condizioni di vita delle donne), la beneficenza e lo sviluppo economico e sociale19. Queste ultime,
in particolare, costituiscono la maggioranza delle organizzazioni presenti sul territorio marocchino.
La loro azione si dispiega soprattutto in quei settori quali la salute, l’istruzione, la formazione o lo
sviluppo rurale, in cui lo Stato ha ridimensionato il ruolo da esso tradizionalmente svolto in seguito
all’adozione del Piano di Aggiustamento Strutturale (PAS), avviato dal Marocco, nel 1983, su
raccomandazione del Fondo Monetario Internazionale. Le associazioni a vocazione economica e
sociale, dunque, si pongono come intermediarie tra il cittadino e lo Stato, sostituendosi ad esso
laddove il suo intervento risulti carente.
Lo Stato, da parte sua, ha favorito questo processo, considerandolo funzionale alla limitazione del
disagio sociale causato dal processo di liberalizzazione economica, oltre che all’intercettazione
delle risorse finanziarie degli organismi e delle organizzazioni internazionali.
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