Ettore Germano Winecult apr 2016 M Longo

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Ettore Germano Winecult apr 2016 M Longo
05 Aprile 2016
Sergio Germano: L’orgoglio e la responsabilità di
sentirsi … Viticultore in Serralunga
Il vino è una delle più grandi conquiste dell’uomo che ha trasformato un frutto perituro in
qualcosa di permanente. (Jean Arlott). ... e sicuramente qualcosa di permanente lasciano,
nella memoria e nell’anima, i vini di questo “Viticultore in Serralunga”.
Sergio è proprio come si vede nelle due foto che ho scelto per questa intervista; ma se proprio devo dirvi qual è,
per me, quella che ne cattura meglio lo spirito, pur condividendo con lui la passione per il Toscano (il sigaro,
ovviamente) è quella “di copertina”: lui con la moglie Elena. Non ci sarebbero i suoi vini, senza l’essenza di
quella foto, … o comunque non sarebbero così, ve lo posso assicurare!
Se di ognuno dei suoi vini volete conoscere, tipologia, ettari vitati, ceppi e rese per ettaro, esposizione, struttura,
terreno, produzione annua, etc. …, fermatevi pure e “cliccate” da un’altra parte; questo articolo non soddisferà
nessuna di queste curiosità! Se invece volete conoscere qualcosa dell’uomo e del vignaiolo, o se volete sapere
come si lega il Barolo con i Queen, con il tango di Estor Piazzolla, con Simon and Garfunkel, e magari anche con
Paolo Conte (ma per lui non solo Barolo) … allora continuate pure a leggere.
Com’è iniziato il tuo rapporto con il mondo del vino?
Nascere in Langa aiuta; se in più nasci a Serralunga e sei figlio di Ettore Germano ti ritrovi a mangiare
“pane&vigna” sin da bambino. Mi raccontavano che la mia prima vendemmia l’ho fatta a nove mesi (io sono di
febbraio e sarà stato ottobre); mi avevano infilato in una cesta da vendemmia, sai allora non c’erano ancora le
culle della Foppa Pedretti o diavolerie simili, e siccome non stavo mai fermo, ad un certo punto la cesta ha dato
il giro e abbiamo iniziato a rotolare io e lei giù per la vigna. Direi che il mio rapporto con il mondo del vino è
iniziato in questo modo. Poi da maschietto, passare da giocare con i trattori e salirci sopra è appassionarci è stato
un tutt’uno. Direi che ho sempre amato stare in vigna con mio padre; venivo qui con lui sin da piccolo; stavo
vicino al ciabòt (piccolo fabbricato caratteristico dei vigneti piemontesi, n.d.r.) , giocavo con la terra, facevo finta
di seminare, poi pian piano ho iniziato a dargli una mano con i lavori in vigna, d’estate, finita la scuola. Poi il
senso di libertà che ti dà venire in vigna la mattina presto, stare all’aria aperta, … libero dalla scuola: era una
sensazione impagabile. E pensa che all’epoca il vino non lo bevevo neppure; proprio non mi piaceva sentirne
l’odore.
Quando hai iniziato, allora, ad assaggiare il vino, e qual è il tuo “primo ricordo” di una bottiglia che ti ha
lasciato il segno?
Ho iniziato a bere vino quando mi sono iscritto alla Scuola Enologica ad Alba. Il primo ricordo risale all’estate,
al termine del primo anno. Io all’epoca non ero ancora appassionato dagli spumanti e dai “Metodo
Classico”. Avevamo appena terminato un corso di degustazione con un compagno di scuola e una sera ci siamo
ritrovati in un’enoteca ad Alba, abbiamo guardato nei nostri portafogli, e ci siamo comprati una mezza bottiglia
di Gaja Rey.
E la tua prima bottiglia di Barolo?
Quelli che mi hanno sempre dato soddisfazione e regalato emozioni sono stati i Brunate di Marcarini, parlo di
anni ’90, oppure i Barolo della Tenuta Cerequio ante ’89 (ora Gromis, di Gaja). Bevuti anche a 40 anni … grandi
bottiglie!.
Qual’è l’eredità più importante che ti ha lasciato tuo padre e che vorresti trasmettere con i tuoi vini?
La passione maniacale nel gestire il vigneto. Per lui era importante “fare le cose per bene”, come ripeteva spesso.
All’epoca noi vendevamo le uve, abbiamo iniziato a vinificare per imbottigliare insieme alla fine degli anni ’80.
Era molto ambizioso, e quindi voleva fare “grande uva”. Che poi è alla base di ogni grande vino.
Quali sono i caratteri/valori distintivi che vuoi comunicare con i tuoi vini?
Vorrei che fossero vini capaci di comunicare il vitigno e il territorio da cui provengono; vini con una loro
personalità, ovviamente data da me e dalla persona che è comparsa nella mia vita vent’anni fa: mia moglie. La
persona che ha subito, sopportato e supportato le mie passioni. Nel vino, poi, lei è il mio “naso-di-riferimento”!
… alla fine, ognuno dei nostri vini, riflette la personalità e il gusto di entrambi.
Barolo, Riesling, Alta Langa: in che modo sei legato a questi 3 vini?
Sono senz’altro i vini ai quali, per un motivo o per un altro, sono più intimamente legato. Barolo per “tradizione”,
perché siamo a Serralunga, e se nasci qui diventi duro come i tannini di questi Barolo.Barolo perché è la passione
della vita. In queste zone Alta Langa e, soprattutto, Riesling, sono un po’ delle anomalie. Meno forse l’Alta
Langa, che riprende una antica tradizione piemontese, che risale quasi al tempo del Barolo, e di cui sono molto
convinto.
Il Barolo deve essere “monumentale”, … nel senso buono! È il motivo per cui la gente si sposta e viene fin qui.
Il Riesling è stato pura passione per il vitigno. Amo i bianchi, e tra i bianchi il Riesling è al primo posto, per
complessità e per piacevolezza. Poi le “bollicine”. Anche questa passione. Sono 3 vini per me paragonabili, perché
tutti e tre importanti, eleganti ed estremamente gastronomici, vini che non ti stufi mai di bere. E alla fine il
godimento è la voglia di bere ancora, e non fermarti ad un bicchiere.
Qual è quello in cui ti riconosci di più come carattere?
Nell’Alta Langa non sono ancora riuscito a vedere quello che ho in mente, perché devo ancora fare strada, sto
ancora studiando: mi riconosco, ma non sono ancora arrivato dove vorrei. Nel Riesling sono un po’ più avanti.
Non voglio dire di aver completamente capito come si comporta il Riesling in Langa, ma ho fatto già un po’ più
di percorso, e comincia già ad assomigliare al vino che ho in mente. Il Barolo è il vino dove abbiamo un’esperienza
più lunga, pur ritenendo che anche con il Barolo si possa sempre migliorare. Dal 2000, anno dopo anno, i miei
vini si sono caratterizzati sempre più per finezza ed eleganza, che per potenza e struttura, e oggi posso dire che
riflettono maggiormente la mia idea di Barolo.
Cosa è cambiato?
Mi sono concentrato di più sulle macerazioni. Queste, contrariamente a quanto si possa pensare, se hai dell’uva
matura, più le fai lunghe e più il vino risulta elegante.
Come caratterizzeresti/descriveresti questi 3 vini?
L’Alta Langa lo vedo come uno champagne importante, ma piacevole e soprattutto gastronomico. Noi certamente
non riusciremo mai ad ottenere delle “lame”, come riescono loro, ma è anche il bello di questi vini. È comunque
un vino di carattere, anche per via della natura calcarea dei nostri terreni, e quindi risulta più corposo, ma con
un’acidità comunque di tutto rispetto (può arrivare anche oltre ai 10-11 di acidità).
Relativamente al Barolo, io sono figlio, da un punto di vista tecnico, dell’idea prevalente che andava per la
maggiore nella seconda metà degli anni ’80. Anni in cui andavano di moda la grassezza, la pienezza, i vini di stile
“californiano”, ispirati dalle Guide Italiane di allora e dagli “opinion leader” d’oltre-oceano. Vini da contrapporre
allo squilibrio, fatte poche eccezioni (Mascarello, Rinaldi, Conterno, Marcarini, Tenuta Cerequio e pochi altri),
della maggior parte dei Barolo di quei tempi, vini che potessero essere approcciabili fin da subito, con tannini
meno ostici. Era il periodo in cui sono state introdotte le barrique, i roto-maceratori e qualunque pratica portasse
ad avere vini più concentrati, grassi e colorati. Io ho iniziato a lavorare in una cantina in cui, per contro, si è
rimasti più ancorati alle tecniche tradizionali. E mi sono sempre più convinto che l’eleganza vince sulla potenza;
pertanto ho sempre cercato di sperimentare in modo da privilegiare la prima rispetto alla seconda, rendendomi
conto che allungando le macerazioni si riusciva ad andare in quella che per me era la direzione giusta. Ho iniziato
con macerazioni di 10-15 gg e oggi sono arrivato a 35-40 sui cru. Ma non c’è una regola, è una decisione che va
valutata di vendemmia in vendemmia, a secondo dell’annata e di ogni singola vasca. Quindi il Barolo deve essere
un vino che pur essendo ricco e potente, deve rimanere fine ed elegante.
Come deve essere un grande Barolo?
Deve mantenere sempre una traccia di freschezza di aromi fruttati, con tannini importanti ma ben calibrati e
maturi. Non intendo dire “tannini setosi”, quelli no; li preferisco sempre un po’ più “rustici” piuttosto che
“piallati”! Non deve concedersi subito; deve farsi scoprire lentamente, specialmente al naso. Deve essere un vino
che lo bevi a 7 anni e ti entusiasma, … poi lo bevi a 30 anni e ti “capotti”! Quando un Barolo è buono, lo è da
subito. Magari non avrà ancora svelato tutta la complessità dei suoi terziari, ma se è buono, lo capisci subito. È
come con le persone: lo capisci già da giovani, dove possono arrivare, poi con gli anni acquistano esperienza,
maturano e migliorano.
Quand’è secondo te il periodo migliore per bere un Barolo?
Dai 10 ai 15 anni. Da lì in avanti potrà magari anche migliorare e magari no; diventa la storia di ogni singola
bottiglia. Però se un tannino è amaro o acido quando il vino ha 5 anni, stai pur certo che nel tempo non migliora.
Se c’è tanto tannino, però maturo, che ha solo bisogno di tempo per ricomporsi, stai certo che quel vino col tempo
migliora.
Un Barolo per tutti, o tutti per un Barolo?
Dico una cosa che potrà risultare presuntuosa ma: il Barolo non è e non deve essere un vino per tutti. Tutti inteso
come tutti quelli che vogliono bere vino. Non credo agli “amori a prima vista” quando si tratta di Nebbiolo. Certo,
ci sono sempre le eccezioni ma credo che al Barolo ci devi arrivare. Il consumatore mediamente all’inizio è
affascinato da vini facili e un po’ piacioni, il Barolo (come il Barbaresco o certi Pino Noir), a mio avviso, è il
punto di arrivo di questo percorso. Il Barolo è uno di quei vini che quando riesci ad apprezzarlo ha pochi eguali;
non ce ne sono molti altri che riescono a emozionarti allo stesso modo. Non può e non deve piacere a tutti; il
rischio sarebbe di snaturarne le caratteristiche distintive. Pertanto, non può essere “Un Barolo per tutti”, quanto
“tutti per un Barolo”! Con questo, ci tengo a chiarirlo, non voglio dire che il Barolo debba essere un vino
“inavvicinabile”, semplicemente che va capito e apprezzato per quelle che sono le sue caratteristiche.
Che cosa dovrebbe aspettarsi uno che apre una bottiglia di Barolo?
Innanzitutto deve regalarsi tempo, rilassatezza e pazienza per poterlo apprezzare. Poi, come diceva un famoso
enologo di questa zona: ci vuole tanta umiltà. Non devi avere preconcetti. Perché devi essere predisposto e avere
voglia e tempo per ascoltarlo. Aprire una bottiglia di Barolo vuol dire predisporsi a vivere tante emozioni diverse,
tutte insieme.
Qual è la tua idea di “cru”? O se vogliamo, conta più l’uomo o il territorio, nell’espressione di un vino? Come
si fa a far emergere le differenze tra un cru ed un altro /il cru?
Innanzitutto credo che la sensibilità e la personalità del produttore sia sempre importante e da questa non si possa
prescindere. Ho sempre pensato che in un vino ci sia un 30-40% del vitigno, 30-35% del terroir, 25-30% il
produttore. Io i miei cru li vinifico tutti nello stesso modo; la differenza che senti è tutta del terroir. Ad esempio
nel Lazzarito trovo una leggera tendenza alla riduzione che non trovo nel Cerretta. Non ho ancora capito perché
ma è così! È la differenza tra le vigne, e riuscire a riportarla nel bicchiere è il nostro compito. Io sono convinto
che esista la differenza tra i cru e che questi determino la “tessitura” del vino. È chiaro poi che se uno fa una
macerazione di 5 giorni e uno di 50; se uno usa barrique e l’altro botti da 50 Hl vengono poi fuori due vini
“abbastanza” diversi, senza dimenticare poi la conduzione del vigneto (e qui è ancora l’uomo con le sue scelte,
che porta a dei risultati differenti, nell’uva prima e quindi nel vino).
Stai parlando dei diradamenti?
Qui l’argomento è più complesso di quanto possa sembrare. La scelta delle produzioni per ettaro è veramente
importante, per rispettare l’equilibrio della vigna e dell’uva, soprattutto con i cambiamenti climatici cui stiamo
assistendo. Più che diradamento, parola che ha fatto “figo” per molto tempo (ma mio padre lo faceva anche ai
suoi tempi, per “buon-senso”), io preferisco parlare di bilanciamento, per garantire la migliore espressività del
vitigno. Perché il nebbiolo è grande? Perché è un vitigno che ama l’escursione termica, e per poter sfruttare questa
caratteristica lo devi portare a maturare in un periodo in cui di notte faccia già più fresco, e ci sia quindi maggior
escursione tra giorno e notte. Se diminuiamo troppo la produzione per ettaro, non facciamo altro che anticipare
la maturazione, perdendoci così il “meglio” da un punto di vista climatico, per questo vitigno. Coi climi di oggi,
non voglio arrivare a dire che non si debba più diradare, ma poco ci manca. Pensa che per far digerire meglio i
diradamenti a mia mamma, che essendo di origine contadina non ha mai compreso “tutto quello spreco di uva”,
mi sono inventato un vino (un rosato spumante da uve nebbiolo, n.d.r.), che mia moglie ha voluto che dedicassimo
a lei e che, essendo anche un “rosato”, lo chiamassimo Rosanna come lei. Per la sua gioia.
Sul sito ti presenti come: “Viticultore in Serralunga”. Spiegaci cosa vuol dire per te “viticultore” e “viticultore
in Serralunga!”
Ho voluto legare quella che è la storia della mia famiglia, di viticultori appunto, con la fortuna che ho avuto di
essere qui, a Serralunga, in uno dei posti più vocati per fare Barolo. Una fortuna, ma anche la dichiarazione
d’impegno e di passione nel voler fare vini di qualità.
Qual è la soddisfazione maggiore che hai avuto in questi anni, e qual è stata la tua delusione più grande?
Innanzitutto essere riuscito a condividere la mia passione per questo lavoro con mia moglie e con la mia famiglia.
Poi, certamente, aver ottenuto dei riconoscimenti a livello nazionale e internazionale, per i nostri vini. Iniziando
con il Riesling e ora anche con i Barolo.
Pensi che un connubio tra Vino e Mondo della Cultura possa essere efficace, nella promozione e nella
comunicazione di un territorio e dei suoi prodotti?
Direi che è fondamentale. Perché il vino è cultura; è espressione della storia di un territorio e quindi, a mio avviso,
si “sposa” bene con la cultura in tutte le sue forme. Riuscire anche, in queste manifestazioni, ad accoppiarlo al
cibo è la sintesi perfetta per promuovere un territorio e le sue tradizioni.
Cosa vorresti che comunicasse una tua bottiglia di vino?
La passione con cui abbiamo prodotto quella bottiglia.
Come avvicineresti i giovani che non conoscono il vino al mondo del vino?
Dire che il vino (bevuto in modo consapevole) è una bevanda sicura, trasparente. Non ci sono coloranti, eccipienti
e altre “diavolerie”, come nella maggior parte dei “soft-drink” o nei “drink-alcolici” che vanno per la maggiore.
Dovremmo riuscire a spiegare, e a far “provare”, che bere un buon bicchiere di vino (alla giusta età), possa dare
soddisfazioni molto maggiori di qualsiasi altra bevanda alcolica (o pseudo-tale). Ed è anche un modo per
avvicinarsi e conoscere la cultura di un territorio.
Quanto è difficile fare “sistema”, nel mondo dei produttori di vino?
Non è assolutamente facile. Conciliare esigenze di così tante aziende, diverse tra loro per dimensioni, storia e
obiettivi, è molto complicato. Quello che ho potuto notare è che, piuttosto che un’unica squadra è più facile fare
tante “piccole squadre”, aggregandoci per “affinità” (personali e di filosofia aziendale). Io credo fortemente
all’importanza e alla necessità di fare squadra. Se vogliamo comunicare e far conoscere con forza il nostro
prodotto singolarmente abbiamo poche possibilità. Unirsi sempre più per comunicare in modo migliore e più
efficacemente è l’unica strada possibile.
Se Collisioni fosse un vino, che vino sarebbe?
Per la natura dell’evento dovrebbe essere uno spumante. Un Alta Langa.
Che caratteristiche deve avere il tuo vino ideale?
Nella sua “facilità-di-beva” deve essere elegante e profondo; mai banale, un vino che sappia regalarti emozioni.
Qual’è il tuo vino preferito?
Sono combattuto tra il Barolo e il Riesling (che io amo definire il “Barolo Bianco”).
“Vino e arte” o “vino è arte”?
Entrambe. Come ho già detto, per me il vino è arte, e quindi cosa c’è di meglio che poter accompagnare una
degustazione di vini con un bel sottofondo di swing?!
E adesso parliamo un po’ di vino e “cultura”. Collisioni è vino, letteratura e musica! Se questo vino fosse
musica quale tipo di musica sarebbe?
Se il Riesling fosse musica sarebbe Jazz caldo, alla Armstrong, o blues. Il Barolo invece me lo vedo come musica
classica, penso al Concerto di Capodanno e ai valzer di Strauss.
Se questo vino fosse letteratura quale libro/autore sarebbe?
Il Barolo è Beppe Fenoglio, perché parla di Langa, delle radici del territorio di questo vino. Il Riesling, invece, è
narrativa.
Qual è la tua musica preferita?
Mi piace la musica “a-ritmata” ma melodica, da Paolo Conte ai Queen.
Se fossero vino che vini sarebbero?
Paolo Conte è Barolo, perché chi più di lui riesce a trasferire la sua personalità ai suoi brani.
I Queen potrebbero essere i vini bianchi di Borgogna.
Qual è il tuo genere letterario preferito?
Gialli alla “Maigret” di Simenon.
Se fosse vino che vino sarebbe un giallo di Maigret?
Barolo.
Ultima domanda, in tema con Collisioni 2015 e il suo motto: “Message in a Bottle”?
Più umiltà e rispetto verso la vita e per il mondo che ci circonda. Così come per apprezzare un vino, quando lo
stappi, devi “ascoltarlo” e dedicargli del tempo, così fate con le persone. Dedicategli attenzione, rispetto e provate
ad ascoltarle.
Se tu per un giorno fossi l’Assessore Regionale all’agricoltura, cosa faresti per prima cosa?
Io andrei a investire risorse nella promozione “integrata e coordinata” del nostro territorio e dei nostri prodotti, a
livello nazionale. A mio avviso si stanno sprecando risorse in mille piccole iniziative, che se fossero coordinate
si otterrebbero risultati migliori. Una maggior tutela dei nostri prodotti.
E adesso … i tuoi vini e la tua musica:
Se il tuo Alta Langa fosse musica sarebbe?
Sing Sing Sing , Benny Goodman
Se il tuo Brut Rosè Rosanna fosse musica sarebbe?
Ci vuole orecchio, Jannacci
Se il tuo Langhe Riesling Hérzu fosse musica sarebbe?
Via Con Me , Paolo Conte
Se il tuo Binel fosse musica sarebbe?
Sweet Home Chicago, Blues Brothers
Se il tuo Nascetta fosse musica sarebbe?
Lowe Me Or Leave Me, Nina Simone
Se il tuo Dolcetto Lorenzino fosse musica sarebbe?
Spoonful, Howlin Wolf,
Se il tuo Barbera Serralunga fosse musica sarebbe?
Hit The Road Jack, Ray Charles
Se il tuo Barbera Vigna della Madre fosse musica sarebbe?
The Sleeping Beauty Op.66 (Ballet) - Full Suite, Pyotr Ilyich Tchaikovsky
Se il tuo Bàlau fosse musica sarebbe?
Por una Cabeza (Original) – Tango, Carlos Gardel
Se il tuo Langhe Nebbiolo fosse musica sarebbe?
My Baby Just Cares For Me, Nina Simone
Se il tuo Barolo Serralunga fosse musica sarebbe?
Libertango, Piazzolla
Se il tuo Barolo Prapò fosse musica sarebbe?
Besame Mucho, Cesaria Evora
Se il tuo Barolo Cerretta fosse musica sarebbe?
Boemian rapsody, Queen
Se il tuo Barolo Lazzarito Riserva fosse musica sarebbe?
The Sound Of Silence, Simon And Garfunkel
Questo è Sergio. I suoi vini sono da provare, magari sedendosi in poltrona e mettendo nello stereo (sarebbe
meglio, ma anche i moderni strumenti/app di riproduzione musicale possono andare) la musica scelta lui. Ma se
proprio volete farvi un regalo, andate a trovarlo in cantina, così oltre ai vini conoscerete l’uomo, non vi
deluderanno entrambi.