Stati gene_Layout 1 - Comune di Scandicci

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Stati gene_Layout 1 - Comune di Scandicci
SCANDICCI
PER LA PRIMA INFANZIA
Praticare la continuità educativa
da 0 a 6 anni
le foto a pag. 7 / 27 / 43 sono state realizzate all’interno dei centri 1 - 6 di Scandicci
in copertina disegni del progetto del nuovo plesso Turri servizio per l’infanzia 1 - 6 anni, centro gioco e ludoteca
impaginazione a cura di Marco Biondi - Comune di Scandicci
finito di stampare nel mese di gennaio 2011 presso Tipografia NOVA s.r.l.
Indice
Introduzione
Sandro Fallani - Assessore alla Pubblica Istruzione del Comune di Scandicci
pag. 5
PRIMA PARTE
LA CONTINUITÀ EDUCATIVA A SCANDICCI
pag. 7
Costruire percorsi educativi integrati
Andrea Citano – Responsabile Servizi socio educativi per la prima infanzia
e la famiglia del Comune di Scandicci
pag. 9
La storia dei servizi 1 - 6 a Scandicci
Romano Masini - Pedagogista
pag. 16
La continuità è bella!? Una prospettiva psicologica
Monica Toselli - Docente di Psicologia dello Sviluppo presso
la Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Firenze
pag. 24
SECONDA PARTE
ESPERIENZE EDUCATIVE E DIDATTICHE PER LA CONTINUITÀ A SCANDICCI pag. 27
L'alfabeto delle emozioni
Servizio 1- 6 Bruno Ciari
pag. 29
Giocare con l’arte. Un percorso che favorisce l’evoluzione espressiva
Servizio 1 - 6 Anton Makarenko
pag. 32
L’educazione scientifica nei progetti per la continuità educativa
Servizio 2 - 6 Turri
pag. 34
La continuità nido – scuola dell’infanzia a Scandicci
Plinia Morelli - Specialista in attività educative del Comune di Scandicci
pag. 38
TERZA PARTE
LA FORMAZIONE
Competenze e formazione degli educatori e degli insegnanti
Rossella Safina – Responsabile Agenzia Formativa Comune di Scandicci
pag. 43
pag. 45
Introduzione
Sandro Fallani - Assessore alla Pubblica Istruzione del Comune di Scandicci
Scandicci è un comune relativamente giovane che ha cercato di crescere tenendo
sempre alta l'attenzione ai cittadini più piccoli (una sorta di ginnastica rivolta al futuro).
Mettere al centro l'infanzia è infatti costruire una città in grado di parlare con freschezza e creatività a tutti; significa declinare i servizi sulla flessibilità, sulle relazioni,
sull'educazione e la cultura. Ma offrire servizi di qualità alla prima infanzia significa
pure sostenere la tenuta delle nuove famiglie, costruire reti di solidarietà, ampliare le
professioni immateriali, offrire opportunità di genitorialità, dare sicurezza alla scelta di
mettere al mondo dei bambini, favorire l'inserimento lavorativo delle donne (diffusione
dei servizi per l'infanzia e occupazione femminile sono processi che si sostengono a
vicenda, lo sappiamo bene essendo l'Italia uno dei Paesi meno attrezzati su entrambi i fronti.
Sono oltre 400 i cittadini da 0 a 3 anni inseriti nella strutture comunali o private
convenzionate e accreditate e oltre 1300 quelli tra 3 e 6 anni impegnati nelle scuole dell'infanzia (comunali, statali, private). Nel corso di quest'anno dunque una famiglia con figli piccoli su due sta toccando con mano la concretezza di questo investimento pubblico; una media che centra l'obiettivo di Lisbona per il 2011 di garantire
una “copertura di custodia e assistenza” per almeno il 33% dei bambini in età inferiore ai 3 anni.
Un investimento anche economico rilevantissimo e di cui va fiera la città di
Scandicci: su 33 milioni di euro di spesa corrente quasi 6 milioni e mezzo vanno in
educazione, istruzione e formazione.
In questi ultimi anni registriamo poi, accanto al presidio pubblico, un vivace protagonismo di soggetti privati che ampliano l'offerta con competenza e capacità manageriale. La legislazione toscana, tra le più avanzate in Europa, “ha definito precisi criteri d'accesso al mercato dell'offerta, individuando nel Comune il soggetto competente per l'esercizio delle funzione di controllo. L'effettiva attuazione dei procedimenti di
autorizzazione è anche, in una situazione nella quale la diversificazione dei soggetti
coinvolti nella gestione dei servizi si è fortemente realizzata, il principale elemento di
effettiva garanzia di qualità dei servizi per le famiglie”.
In questo quadro vi è l'esigenza di modificare l'attuale normativa nazionale che
considera ancora il nido un servizio a domanda individuale mentre occorre prevedere la generalizzazione dell'accesso a tutti i bambini e le bambine come già avviene per
la scuola dell'infanzia.
“La qualità costa”, si lamentano alcuni segnalando la odierna insostenibilità finanziaria. I servizi alla prima infanzia costano molto in quanto il dato rilevante, pari all'80%
5
delle spese generali, consiste nel personale educativo. Noi riteniamo che non si deve
lasciare nulla di intentato per mantenere proprio qui gli alti investimenti -messi a dura
prova dalla miopia di un governo che vede in queste iniziative una forma di spreco. E
intendiamo muoverci, per quanto ci sarà oggettivamente consentito, ragionare e agire
comunque in termini universalistici. Pensiamo che nel mentre si definisce una politica
effettiva di cittadinanza (che parte proprio dalla nascita) non si debbano creare barriere insormontabili alla fruizione di questo primo diritto; siamo per contenere quanto
possibile le tariffe per la partecipazione ai nostri servizi. E quando la crisi attacca i
livelli di ordinaria sussistenza di molte famiglie alto deve farsi sentire il nostro impegno perché non retroceda questa generalizzata partecipazione alla rete educativa
comunale.
Scandicci è stato da sempre in prima fila nello sperimentare servizi più efficaci e
aderenti alla domanda della popolazione; a Scandicci è generalmente riconosciuta la
capacità di proporre soluzioni innovative in vari campi del welfare locale. L'esperienza
Zerosei, qui raccontata, è una di quelle di cui andiamo maggiormente fieri, consci del
fatto che per consolidarla dovranno concorrere energie e risorse regionali e nazionali. Ci auguriamo che la discussione in atto sul federalismo e sulla riorganizzazione del
sistema scolastico italiano consideri questa nostra proposta degna di essere estesa e
finanziata.
Agli operatori che quotidianamente si spendono con passione nel mantenerla
appetibile agli occhi della cittadinanza il mio più sentito ringraziamento.
6
PRIMA PARTE
LA CONTINUITÀ EDUCATIVA A SCANDICCI
7
Costruire percorsi educativi integrati
Andrea Citano – Responsabile Servizi socio educativi per l’infanzia e la famiglia del Comune
di Scandicci
Il complesso intreccio di esperienze e di influenze che riguardano lo sviluppo del
bambino è il punto di riferimento perché i servizi educativi alla prima infanzia si pongano in continuità tra di loro. Questa continuità avviene in primo luogo tra il nido
d’infanzia e la scuola dell’infanzia, in modo da fornire sicurezza e stabilità all’identità di ciascun bambino.
I nidi e le scuole dell’infanzia costituiscono un patrimonio ricco di esperienze e di
risorse consolidato nel tempo. Non solo, essi hanno contribuito a diffondere sensibilità e cultura educativa nelle famiglie. Il percorso che ogni bambino compie nei servizi
è soggetto ad elementi di continuità che contribuiscono a rendere salda l’identità e
a elementi di discontinuità che consolidano la consapevolezza del cambiamento e
il rafforzamento delle proprie autonomie. La continuità educativa è finalizzata a coltivare le potenzialità dei bambini favorendone in particolar modo l’autonomia, le
capacità relazionali, le competenze comunicative e rappresentative.
Le esperienze di continuità educativa che coinvolgono bambini di età compresa tra
zero e sei anni possono avere due diverse modalità di realizzazione, entrambe sperimentate nel nostro territorio.
Con la prima modalità, argomento questo che viene approfondito nel contributo di
Plinia Morelli, si lavora alla realizzazione di un progetto di continuità (che coinvolge
nidi, centri gioco e nidi privati accreditati), che si propone di sostenere i bambini nel
processo di attribuzione di significati e di ricomposizione delle esperienze: il nido e la
scuola dell’infanzia si pongono degli obiettivi condivisi rispetto al percorso educativo
del bambino e, pur mantenendo la propria identità, lavorano in maniera congiunta al
raggiungimento di tali obiettivi. In quest’ottica, l’elemento di discontinuità è dato dalle
risorse, dagli strumenti e dai contenuti, attraverso cui le due tipologie di servizio si
adoperano per raggiungere una meta condivisa. Un progetto di continuità prevede
delle specifiche forme di interazione e comunicazione non solo tra gli adulti, ma anche
tra i bambini che frequentano il nido e quelli che si trovano già nella scuola dell’infanzia. Si definiscono, ad esempio, delle strategie di familiarizzazione, che possono prevedere momenti o giornate di visite, incontri o attività condivise, grazie ai quali i bambini dei due servizi possono entrare in contatto e co-costruire relazioni, significati e
conoscenze nell’ambito di un percorso definito di accompagnamento.
Con la seconda modalità le esperienze di continuità tra nido e scuola dell’infanzia
sono realizzate in veri e propri “centri 1 - 6” che, in un’unica struttura, accolgono i bam9
bini di questa fascia di età. I bambini sono ammessi a partire dal compimento del dodicesimo mese e rimangono nella struttura fino all’ingresso nella scuola primaria. In tal
modo i bambini interagiscono quotidianamente con i loro coetanei, ma anche con
bambini più grandi e/o più piccoli, all’interno di un contesto fisico e relazionale stabile
e familiare.
I servizi 1 – 6 anni a Scandicci.
Nel comune di Scandicci sono presenti, da tempo, numerosi servizi educativi per
la prima infanzia: attualmente si contano 3 nidi d’infanzia comunali a tempo lungo, 4
centri gioco (in due dei quali da quest’anno è stato introdotto il pranzo), 6 servizi educativi per la prima infanzia privati (nidi e centri gioco) in parte convenzionati con il
Comune, 3 servizi 1 – 6 anni, per una ricettività complessiva pari a 530 posti. I servizi nei quali è sperimentata la continuità del percorso educativo sono: gli 1 – 6 anni
Bruno Ciari e Anton S. Makarenko e il servizio 2 – 6 anni “Turri” (che dal prossimo settembre avrà una nuova sede e potrà attivare la sezione di 1 anno).
La sperimentazione della continuità educativa a Scandicci parte da lontano (1993)
ed è descritta nel contributo di Romano Masini, Responsabile dei servizi educativi fino
al 2008, a cui si rimanda per un approfondimento dei presupposti teorici e organizzativi alla base della stessa.
I tre servizi sono così organizzati:
Ciari e Makarenko (servizi 1 – 6 anni)
Gruppi
Numero Numero Numero
Attività
bambini educatori personale
ausiliario esternalizzate
1 – 2 anni
(corrispondente gruppo
medi del nido)
14
2 – 3 anni
(corrispondente gruppo
grandi del nido)
14
2
1
3 – 4 anni
21
2
1
4 – 5 anni
21
2
1
10
3
Calendario
scolastico e orario
1
Cuoco per la
preparazione
pasti
Fornitura e
distribuzione
pasti
Pulizia locali
dopo la
chiusura
Seconda settimana di
settembre – 15 luglio
Dalle 7.30 alle 16,30
con prolungamento alle
17,30
Turri (servizio 2 – 6 anni)
Gruppi
Numero Numero Numero
Attività
bambini educatori personale
ausiliario esternalizzate
2 – 3 anni
(corrispondente gruppo
grandi del nido)
14
2
3 – 4 anni
14
2
4 – 5 anni
14
2
4 – 5 anni
14
2
Calendario
scolastico e orario
1
2
Fornitura e
distribuzione
pasti
Seconda settimana di
settembre – 15 luglio
Pulizia locali
dopo la
chiusura
Dalle 7.30 alle 16,30
con prolungamento alle
17,30
I principi ispiratori che caratterizzano questi servizi sono rappresentati da:
a) la centralità del bambino (nel periodo che va da 1 ai 6 anni gli elementi motori,
affettivi e cognitivi della crescita si intrecciano in uno sviluppo che se pur caratterizzato della differenze legate alle età, non procede necessariamente in modo
lineare presentando spesso notevoli differenze individuali. È pertanto indispensabile porre un’attenzione particolare alle fasi di sviluppo del singolo bambino);
b) la condivisione del progetto educativo da parte del gruppo di lavoro,
educatori/insegnanti/addetti di supporto, per armonizzare le finalità e gli obiettivi
pedagogici del nido con quelli della scuola dell’infanzia e garantire omogeneità di stili
educativi nel passaggio dai diversi livelli di età, attraverso riflessioni congiunte su:
▪ l’importanza dell’esperienza di continuità educativa;
▪ la conoscenza delle fasi di sviluppo dei bambini coinvolti e dei loro bisogni;
▪ la ricerca di linguaggi e significati comuni e la congruenza degli stili educativi
rispetto alla personalizzazione degli interventi;
▪ le modalità relazionali adulto – bambino;
▪ la predisposizione condivisa degli spazi;
▪ le modalità condivise dell’ambientamento e la programmazione di proposte ed
esperienze comuni a tutti il servizio;
▪ le routines, il gioco libero e strutturato;
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c) la continuità servizio educativo - famiglia, in quanto la positiva riuscita dell’esperienza non può prescindere dalla condivisione delle finalità, obiettivi e organizzazione con i genitori dei bambini frequentanti. A questo scopo sono programmati colloqui individuali, riunioni di sezione per informare sulle attività del gruppo,
riunioni con gli organismi rappresentativi della struttura, assemblee su temi di
carattere generale, il coinvolgimento dei genitori nei laboratori, feste (spesso con
la realizzazione di scene e costumi e la partecipazione attiva alle drammatizzazioni previste), uscite;
d) le attività di formazione e aggiornamento di tutto il personale inserito nei servizi,
di cui tratta Rossella Safina nel suo contributo. Preme in questo ambito sottolineare che sono previste attività di formazione e qualificazione non soltanto per gli educatori/insegnanti ma anche per il personale ausiliario a cui sono attribuite importanti “mansioni” di collaborazione con il personale educativo.
Tali principi evidenziano come ci si trovi di fronte ad un “sistema” organizzativo
e relazionale complesso, inserito a sua volta in un contesto altrettanto complesso (il
territorio, le altre organizzazioni ecc…), che si mantiene costantemente in equilibrio
con continui adattamenti e aggiustamenti che possono essere garantiti solo con un
approccio organizzativo che tenga contemporaneamente in considerazione tutte le
singole componenti del sistema.
Nella nostra esperienza il “presidio” di questo sistema comporta un notevole impegno di energie.
In ogni servizio sono individuati 2 referenti (inquadrati nella categoria D con la qualifica di Specialista in attività educative ed insegnamento) con funzioni di coordinamento e supervisione interna nonché di collegamento con il Responsabile dei servizi
educativi e con gli altri Uffici del Comune. Tali referenti compongono il Gruppo di coordinamento presieduto dal Responsabile.
Sono programmati i seguenti incontri:
▪ un incontro collettivo mensile di tutto il personale di ogni servizio per la programmazione delle attività;
▪ 3 o 4 incontri annuali di coordinamento di ciascun gruppo di lavoro con il
Responsabile;
▪ un incontro a cadenza bimestrale con i referenti di ogni servizio e il
Responsabile, per affrontare e approfondire aspetti organizzativi specifici di
ciascun servizio;
▪ 4 riunioni annuali del Gruppo di coordinamento, nelle quali si affrontano aspetti organizzativi che coinvolgono in modo trasversale tutti i servizi;
▪ 2 riunioni annuali degli operatori di supporto con il Responsabile per affrontare aspetti specifici del proprio lavoro;
▪ 3 intercollettivi annuali (con la presenza del personale di tutti i servizi educativi comunali), per affrontare temi e prospettive di interesse generale e per
offrire momenti di confronto collettivo su progetti ed esperienze significative
(nell’ultimo dei 3 incontri vengono illustrati, anche attraverso documentazio12
ne fotografica e video, la realizzazione di due progetti svolti in un nido e in
un servizio 1 – 6).
Ma… in pratica?
Una modalità attraverso cui viene concretamente praticata la continuità sono le
attività di intersezione o d’intergruppo a cui partecipano tutti i bambini e tutto il personale educativo.
I progetti d’intersezione (gli intergruppi) scaturiscono dall’esperienza di ciò che
nel tempo ha caratterizzato i servizi 1-6 con precise scelte organizzativo - didattiche
in funzione della continuità educativa che si articola sia in senso orizzontale che
verticale.
Il progetto per la continuità educativa ha una formula che consente di offrire occasioni di relazione ludica diversa dalle dinamiche della sezione e permette a tutti i bambini di uscire dalla propria realtà ed incontrare compagni d’età diverse, in situazioni stimolanti ed emotivamente coinvolgenti per imparare cose nuove.
L’attività degli intergruppi, oltre a permettere la conoscenza e l’affiatamento fra
bambini di diverse sezioni, consente anche la conoscenza di tutti gli ambienti e gli
adulti educatori presenti nella scuola e ai quali i bambini stessi si rapportano in modo
del tutto spontaneo, nelle più varie situazioni di incontro e di necessità.
In queste situazioni di asimmetria anagrafica e di competenze, da un lato si assiste ad una forte spinta imitativa dei bambini più piccoli nei confronti dei grandi, dall’altra questi ultimi manifestano atteggiamenti di “adozione del ruolo di cura” verso i primi,
stabilendo con loro una relazione privilegiata.
Nel corso degli anni, sulla base di un’attività di formazione assai ricca e articolata1, esperita dal personale in servizio, si sono individuate delle “linee” progettuali, corrispondenti ad altrettanti “linguaggi educativi per la continuità” (l’educazione al pensiero creativo e a quello razionale) che ciascun servizio 1 - 6 ha approfondito e sempre
più qualificato nel proprio progetto educativo, nel seguente modo:
1 - 6 BRUNO CIARI: il progetto educativo è finalizzato a favorire l’espressione di
emozioni, sentimenti, stati d’animo attraverso linguaggi verbali e non verbali.
Ogni anno viene attivato un progetto di intergruppo legato alla capacità di saper riconoscere, denominare e rielaborare le emozioni di base. L’obiettivo è quello di creare
nuove possibilità di scambio e di relazione tra bambini, tra bambini e adulti e fra adulti e adulti, di conoscere e utilizzare tutti gli ambienti scolastici.
1 - 6 ANTON MAKARENKO: il progetto educativo si basa sulla comunicazione
visiva secondo il metodo didattico di Bruno Munari. Obiettivo del progetto è quello di
far compiere ai bambini un itinerario che varia dal segno alla forma, al colore.
“Giocare con l’arte” con immagini, colori e dimensioni, favorisce infatti lo sviluppo
1
La storia e la documentazione di questa esperienza formativa è contenuta negli Atti del Seminario dal titolo “Scienza,
teatro e arte – linguaggi per la continuità” svoltosi a Scandicci nel novembre 2007, pubblicati nel Quaderno 4 della
Collana dei “Seminari itineranti” curata dalla Conferenza per l’Istruzione della Zona Fiorentina Nord – Ovest.
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espressivo e la creatività dei bambini. Le attività che coinvolgono tutte le sezioni
riguardano la scoperta e l’uso di diverse tecniche e la sperimentazione con i colori e
materiali.
2 - 6 TURRI: la specificità dell’approccio educativo del gruppo docente è quella di
promuovere nei bambini la curiosità, il ragionamento, il confronto di idee per
“capire” il mondo e sperimentare la gioia di risolvere i problemi con la propria testa.
In tal senso ogni anno vengono attivati dei progetti di intergruppo che hanno come
sfondo integratore la realizzazione di attività per riflettere e compiere elaborazioni che
favoriscano la formazione del pensiero scientifico.
Allora va tutto bene?
A fronte di una notevole ricchezza di spunti, di esperienze, documentazione, formazione realizzate dall’inizio dell’esperienza di continuità che porterà, attraverso la realizzazione di ulteriori attività, anche in collaborazione con l’Università, alla validazione di
un “modello” e alla valutazione della sua “qualità”, si deve evidenziare come al momento sussista la necessità di un approfondimento teorico e pratico rispetto ad alcune
modalità di lavoro che differenziano i nostri nidi d’infanzia “classici” dai servizi 1 – 6.
Un ampio dibattito sempre presente nel nostro ambito è quello relativo, per esempio, ai tempi e alle modalità di ambientamento e riambientamento, effettuato in modo
più rapido nei servizi 1 – 6 rispetto ai nidi, sia per le diverse esigenze organizzative
sia per la peculiare impostazione pedagogica dell’intero servizio.
Su questo e altri temi, legati alla continuità, è in corso una riflessione nell’ambito
dei tre servizi, in collaborazione con la Prof. Toselli, Docente di Psicologia dello
Sviluppo dell’Università degli Studi di Firenze.
Un aspetto che mi preme evidenziare è quello delle positive esperienze di inserimento di bambini con disabilità nei servizi 1 – 6 anni. Non prescindendo naturalmente dal contributo professionale del personale abbiamo assistito a situazioni in cui il
senso di accoglienza, di protezione da parte dei coetanei e spesso da parte dei bambini più grandi ha consentito l’affacciarsi e il consolidarsi di competenze ritenute inizialmente quasi impossibili.
In sintesi…
L’esperienza dei servizi 1 – 6, realizzata in un’unica sede, è sicuramente positiva
se fondata su una progettualità ancorata a validi principi pedagogici.
Non può essere improvvisata, tanto meno realizzata senza sufficienti dotazioni
organizzative ed economiche.
Strutture che devono essere adeguate o realizzate ex novo, idoneamente arredate e attrezzate, personale, formazione, coordinamento, hanno un costo, spesso
(almeno per quanto attiene al personale) non riducibile.
Anche le entrate finanziarie derivanti dalle tariffe non compensano adeguatamente le spese sostenute: se infatti ai frequentanti le sezioni 1 e 2 anni vengono applica14
te le tariffe relative ai nidi d’infanzia, difficile pensare all’applicazione di una tariffa
significativa per la frequenza di sezioni corrispondenti a quelle della scuola dell’infanzia statale (gratuita).
A questo si aggiunga l’attuale situazione economico – finanziaria che rende impossibile in pratica la sostituzione del personale in pensionamento: fatto questo che crea
indubbie difficoltà in tutti i settori educativi e scolastici e le rende esponenziali in un
contesto che fa della condivisione, del continuo confronto, della formazione congiunta, della predisposizione di progetti educativi concordati, assunti di base per poter
operare efficacemente e offrire “continuità”.
Altra questione, altrettanto complessa è quella della continuità sperimentata fra
organizzazioni appartenenti a enti diversi (Stato e Comune), con personale inquadrato con contratti diversi (si pensi per es. al monte ore non frontale del personale comunale previsto contrattualmente), consuetudini, tradizioni, stili assai diversificati. In questi casi forse una reale esperienza congiunta è praticabile in realtà di piccole dimensioni; nei grandi e medi comuni andranno forse individuati appositi protocolli operativi
che stabiliscano modalità e tempi per una formazione congiunta e scambi periodici
delle sedi di lavoro e una contrattazione sindacale che possa incentivare la realizzazione dell’esperienza. Per esempio potrebbe essere molto interessante poter collocare nidi e/o centri gioco comunali all’interno di plessi scolastici della scuola dell’infanzia, cercando di realizzare le indicazioni sopra descritte e assumere congiuntamente
al Dirigente scolastico la responsabilità e la gestione dei servizi. In questo contesto,
oltre all’integrazione del personale educativo, potrebbe rappresentare una risorsa
importante l’utilizzazione del personale ausiliario comunale anche da parte delle
sezioni di scuola dell’infanzia. Potrebbe essere questo un elemento migliorativo
rispetto alla penuria di personale ATA che molte realtà registrano.
In questo contesto le Autonomie locali (Regione, Provincia, Comune) assumono
un ruolo strategico per la completa inclusione delle scuole statali in un sistema integrato territoriale dei servizi educativi e scolastici. In tale situazione un ruolo importante potrà essere svolto anche dall’ Università, con la quale, a livello locale, potrebbero
essere sottoscritti appositi accordi per la sperimentazione di master e percorsi formativi ad hoc per educatori e insegnanti che operano negli 0 – 6. Potrebbero essere previsti due percorsi: il primo, relativo alla formazione universitaria di base o post laurea,
con la previsione di appositi tirocini nei servizi 0 – 6; l’altro con la formazione in servizio rivolta a tutto il personale coinvolto, prevedendo anche crediti formativi che attestino la conseguita professionalità.
15
La storia dei Servizi 1 - 6 a Scandicci
Romano Masini - Pedagogista
L’idea di realizzare un servizio educativo che comprenda, nella stessa struttura,
bambini di età di nido e bambini di età di scuola dell’infanzia, ha iniziato a prendere
forma, nel Comune di Scandicci, già dal 1993.
In quel periodo il Comune gestiva, in forma diretta, quattro asili nido a tempo lungo
(7,30 – 17,30) per un totale di 150 bambini di età 3 – 36 mesi e tre scuole dell’infanzia che accoglievano 100 bambini ciascuna, distribuiti in 4 sezioni.
L’idea era di realizzare, con la necessaria gradualità, nelle tre scuole (Anton
Makarenko, Turri, Bruno Ciari) una gestione allargata alla fascia dei bambini più piccoli, trasformando alcune sezioni di scuola in sezioni di nido.
Questa ipotesi di nuovo servizio nasceva da una duplice motivazione:
▪ una di ordine politico: esigenza di aumentare la disponibilità di posti per
bambini al disotto dei tre anni a costi sostenibili per diminuire la lunga lista di
attesa presente nella graduatoria di accesso agli asili nido;
▪ l’altra di ordine pedagogico: sperimentare una effettiva continuità educativa
1 – 6 anni con l’intento di offrire un servizio con maggiori opportunità educative.
Si ipotizzava che, se un gruppo di bambini di età compresa tra 12 e 36 mesi – età
di asilo nido – avesse l’opportunità di iniziare e di compiere insieme il percorso educativo fino al quinto anno, in un quadro di continuità di adulti, di coetanei, di ambienti, di modalità di organizzazione delle routine e, contemporaneamente, potesse usufruire della possibilità di interagire con bambini più grandi e con altri adulti, questa
esperienza avrebbe potuto offrire più stimoli per la socializzazione, migliori occasioni
di apprendimento e più opportunità di stabilire relazioni significative rispetto ai bambini della stessa età che frequentano l’asilo nido o restano in famiglia.
L’importanza delle relazioni con i non coetanei, nella prima infanzia, è sostenuta
da vari studiosi e ricercatori all’interno della prospettiva ecologica, dalle cui ricerche
emerge come l’opportunità di una relazione precoce con un non coetaneo è fortemente strutturante per la maturazione della coscienza di sé come distinto dall’altro.
Occorre ricordare che siamo in un momento, i primi anni novanta, in cui è fortemente sentito il problema della continuità: nel ‘91 vengono emanati gli “orientamenti
per la scuola materna” che pongono attenzione al tema della continuità verticale e
orizzontale e nel novembre del ‘92 viene emanato un decreto ministeriale ed una circolare di accompagnamento (n. 339) che ne tracciano un percorso minuziosamente
articolato.
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Le linee guida che hanno sostenuto l’esperienza che viene descritta sono riconducibili alle seguenti:
▪ il carattere di sperimentazione: l’impegno a modificarla o a interromperla qualora se ne ravvisassero fondate ragioni;
▪ la gradualità di realizzazione: la scelta di iniziare da una scuola e poi nelle
altre, inserendo bambini di due anni per poi procedere all’inserimento dei bambini di un anno;
▪ la validazione scientifica: tramite la costituzione di un comitato scientifico composto da docenti universitari con competenza psicologica (Riccardo Luccio e
Giuliana Pinto dell’Università di Firenze), con competenza pedagogica
(Gastone Tassinari dell’Università di Firenze), competenza scientifica (Carlo
Bernardini dell’università “La Sapienza” di Roma), con lo scopo di monitorarne
l’andamento e accompagnare il personale in corsi di formazione specifica.
Questa impostazione ha consentito, in 18 anni, di fare un lungo percorso di trasformazione che si completerà nel 2011: nel ’93 inizia la scuola Anton Makarenko con
bambini 2 – 6 anni, nel ‘94 la scuola Bruno Ciari, nel ’96 la scuola Turri.
Nel 2000 la scuola Anton Makarenko accoglie anche bambini di un anno, nel 2003
è la scuola Vingone ad accogliere bambini di un anno, infine, la scuola Turri porterà a
compimento il progetto 1 – 6 inaugurando un nuovo plesso scolastico, appositamente costruito, con tutti i requisiti architettonici e di arredo, per far convivere bambini di
diversa età da 1 a 5 anni.
Le innovazioni più significative
Le innovazioni più rilevanti che la realizzazione del progetto ha prodotto sono riferibili all’ambito pedagogico, organizzativo e giuridico – istituzionale.
1 L’innovazione pedagogica
Essa ha riguardato soprattutto l’individuazione dei diversi ambiti di esperienza del
fare e dell'agire del bambino (corpo e movimento, comunicazione verbale e non verbale, ambiente fisico, pensiero logico, socialità e affettività) su cui costruire una
“mappa della continuità curriculare” fondata sulla variabilità individuale dei ritmi, dei
tempi, degli stili di apprendimento, delle motivazioni e degli interessi dei singoli bambini in relazione alla loro età.
Ciò ha impegnato le insegnanti a rivedere i propri schemi di riferimento, calibrati e
sperimentati su bambini di tre – sei anni, per rimodellarli ed integrarli su bambini più
piccoli giacché in questo periodo di sviluppo infantile la differenza di età, anche di pochi
mesi, presenta consistenti varietà di bisogno, di attenzione, di proposta educativa.
Da qui l’esigenza di predisporre un luogo educativo in cui, insieme ad un quadro
di continuità di adulti, coetanei, ambienti, contenuti didattici, modalità organizzative,
fossero presenti anche adeguate sollecitazioni di discontinuità e possibilità di interagire con bambini di diversa età ed altri adulti.
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Un ambiente che favorisca "l'area di sviluppo potenziale" come suggerisce
Vygostkij, cioè quelle attitudini psico-intellettive che si attivano tramite l'apprendimento favorito dalle interrelazioni con il gruppo dei coetanei e dei bambini più grandi, con
il sostegno dell'adulto.
Ciò avviene quando il bambino è messo in condizione, non solo di essere in relazione/vicino alle persone a cui è legato, avere cose familiari, fare attività che già
padroneggia, ma di essere messo in condizione di incontrare anche persone che non
conosce, scoprire ambienti nuovi, fare esperienze che non sa fare al momento, ma
che sarebbe pronto a incontrare, scoprire, fare, solo che qualcuno gliene offrisse l'opportunità.
Continuità/discontinuità sono le due coordinate che guidano il percorso dei bambini in questa esperienza.
Vivere “un continuum esperienziale” significa per il bambino poter contare su punti
di riferimento/ancoraggi certi anche quando si modificano i suoi contesti di vita, cioè:
famiglia, nido-scuola o altri.
In questi contesti il continuum che lega le varie esperienze del bambino è dato da
tre sistemi/fattori tra loro interagenti:
a) le cose: ambiente casa, oggetti personali a lui care, ambiente nido/scuola;
b) le persone: genitori o altri familiari, bambini coetanei e no, educatrici/insegnanti o
altri adulti;
c) le azioni/esperienze: l'agire dei genitori, l'agire dei bambini, l'agire delle educatrici/ insegnanti.
Tutto ciò nel senso assunto da Bronfenbrenner: “una determinata situazione
ambientale sarà valida se esistono delle interconnessioni con altre situazioni ambientali a cui il bambino partecipa e dipenderà dalla natura di queste interconnessioni”.
Il concetto di continuum esperienziale è, d'altra parte, già presente in Dewey per
il quale consiste nello scegliere "quel tipo di esperienze presenti che vivranno fecondamente e creativamente nelle esperienze che seguiranno"
Si ritrova, inoltre, nello strutturalismo costruttivista Piagettiano nel senso che "lo
sviluppo mentale del bambino appare globalmente come una successione di tre grandi costruzioni di cui ciascuna prolunga la precedente ricostruendola dapprima su un
nuovo piano per poi, in seguito, superarla sempre più ampiamente"
E si ritrova, infine, negli studi di Bruner sulle modalità di apprendere del bambino
che passano in modo progressivo dalla rappresentazione attiva (basata sull'azione)
alla rappresentazione iconica (basata sull'immagine), alla rappresentazione simbolico-linguistica (basata sulla rappresentazione del linguaggio)
In questo quadro orientativo, le educatrici e le insegnanti hanno individuato e condiviso alcuni obiettivi che hanno guidato l’attività didattica
Obiettivi generali
▪ consentire al bambino di costruire legami duraturi con adulti e compagni;
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▪ predisporre un luogo educativo in cui insieme ad un quadro di continuità di
adulti, coetanei, ambienti, contenuti didattici, modalità organizzative, siano presenti anche adeguate sollecitazioni di discontinuità e possibilità di interagire
con bambini di diversa età;
▪ individuare i diversi ambiti di esperienza del fare e dell'agire del bambino in
rapporto alla variabilità individuale dei ritmi, dei tempi, degli stili di apprendimento, delle motivazioni e degli interessi dei singoli bambini
Obiettivi specifici per i bambini più piccoli
▪ rapportarsi a nuovi oggetti e materiali e al loro modo di utilizzo rispetto all'esperienza casalinga;
▪ conoscere e esplorare l'ambiente circostante interno al plesso scolastico ed
esterno per scoprire i luoghi e le attività degli altri bambini ed adulti;
▪ frequentare progressivamente i bambini delle altre sezioni in attività ludiche
comuni.
Per il perseguimento di questi obiettivi, un filo conduttore che le educatrici ed
insegnanti hanno seguito per aiutare i bambini più piccoli a compiere esperienze di
gioco in un continuum crescente di nuove conoscenze e scoperte, è tracciato da
alcuni percorsi:
▪ scopriamo cosa c'è (come è l’ambiente, l’arredo, i materiali ludici delle altre
sezioni);
▪ scopriamo chi c'è chi sono i bambini e gli adulti delle altre sezioni);
▪ scopriamo cosa fanno (i giochi e le attività che vengono svolte dai bambini
delle altre sezioni);
▪ scopriamo cosa possiamo fare insieme (partecipare ad alcune attività di
gioco insieme).
Questi percorsi ludici sono stati pensati per dare concreta possibilità ai bambini di
scoprire, conoscere, collegare, in modo progressivo e rassicurante ambienti, cose,
persone, produzioni appartenenti ai tre contesti/sistemi sopra ricordati (le cose, le persone, le azioni della propria abitazione, della propria sezione, delle altre sezioni).
Ogni gioco è in qualche modo propedeutico al successivo e richiede che sia svolto, con la necessaria flessibilità, in scansioni temporali definite, avendo presenti i risultati di alcune ricerche da cui emerge che l'impatto con un nuovo ambiente è segnato
da tre tappe successive:
▪ periodo di smarrimento, che in genere si esaurisce in tre/quattro settimane ;
▪ periodo di adattamento, caratterizzato da un uso più attivo dell'ambiente circostante;
▪ periodo di integrazione, che avviene col crescere degli scambi spontanei tra
bambini.
Come poter dare ad ogni bambino un giusto supporto per facilitare il suo apprendimento è stato e rimane l’interrogativo costante delle educatrici e delle insegnanti, le
19
quali, per renderlo effettivo nella pratica educativa, si sono avvalse di uno strumento
di osservazione che fa riferimento ad alcuni indicatori proposti da Vygotskij e Bruner:
“Quando il bambino si trova nella situazione di “zona sviluppo
prossimo/potenziale” il sostegno più efficace è determinato da:
▪
▪
▪
▪
▪
▪
▪
J
l’incoraggiamento verbale dell’adulto
l’aiuto diretto dell’adulto (fare insieme) richiesto dal bambino
J
l’aiuto diretto dell’adulto (fare insieme) offerto spontaneamente
J
l’aiuto spontaneo di uno o più compagni
J
l’aiuto di uno o più compagni sollecitato dall’adulto
J
l’aiuto di uno o più compagni richiesto dal bambino
J
altro…………………………………………………………………………………
2 - L’innovazione organizzativa ha influenza soprattutto su tre coordinate: lo
spazio, il tempo, il gruppo educatrici/insegnanti.
Lo spazio: organizzazione e attrezzatura dell’ambiente
Sappiamo quanto gli ambienti costituiscano un elemento fondamentale per l’esperienza educativa che bambini e adulti fanno all’interno della struttura che li ospita:
▪ il progetto di ristrutturazione delle scuole è stato condiviso insieme tra tecnici
e personale insegnante;
▪ sono stati scelti arredi e materiali ludici funzionali alla configurazione di spazi
per il gioco guidato (es. laboratorio di pittura – musicale – di psicomotricità) e
spazi per gioco libero (angoli ben caratterizzati e facilmente individuabili dai
bambini all’interno della propria sezione (es. angolo simbolico – cognitivo –
relax – vita pratica);
▪ lo spazio per i genitori è caratterizzato da pannelli per le comunicazioni, arredo per l’attesa.
Il tempo: dare ordine temporale alle azioni della giornata
Sono stati condivise, tra educatrici ed insegnanti, le coordinate temporali di aspetti importanti della programmazione didattica:
▪ scansione della giornata educativa;
▪ tempi e modalità per l’accoglienza e l’ambientamento;
▪ valorizzazione delle routines (soprattutto il pranzo: svolto nella sezione a piccoli gruppi con la presenza dell’adulto al tavolo);
▪ scansione del tempo dedicato al gioco guidato e al gioco libero.
Il gruppo educatrici/insegnanti
Per facilitare la coesione tra educatrici e insegnanti ed affinare gli orientamenti teorici e le modalità operative, sono stati organizzati momenti di formazione e aggiorna20
mento comuni, riflettendo, in particolare su:
a) i presupposti per elaborare “una programmazione didattica in continuità nido
scuola”;
b) la congruenza degli stili educativi, tra educatrici ed insegnanti, soprattutto nel
rapporto con i bambini delle sezioni nido.
Programmazione didattica
Per la programmazione delle attività per i bambini della scuola dell’infanzia il quadro di riferimento è costituito dalle indicazioni nazionali emanate dal Ministero della
Pubblica Istruzione.
Esse confermano l’impianto dei campi di esperienza individuati nei seguenti:
▪ il sé e l’altro
▪ il corpo e il movimento
▪ linguaggi, creatività, espressione
▪ i discorsi e le parole
▪ la conoscenza del mondo
Questo impianto è utile anche per declinare il percorso educativo dei bambini in
età di nido, le cui finalità sono:
▪ il riconoscimento della propria identità (campo di esperienza: il sé e l’altro)
▪ la conquista dell'autonomia personale (campo di esperienza: il corpo ed il
movimento)
▪ il raggiungimento di nuove competenze (campi di esperienza: linguaggi, creatività, espressione, i discorsi e le parole, la conoscenza del mondo).
Per effettuare una progettazione aperta, flessibile, da costruirsi in progressione
per ognuno di questi campi di esperienza, entro i primi due mesi di apertura del servizio, le educatrici e le insegnanti procedono alla stesura del progetto educativo e
didattico, curando in particolare gli aspetti che descrivono come si concretizza l’integrazione tra il nido e la scuola d’infanzia.
3 - La partecipazione dei genitori
La famiglia di ciascun/a bambino/a è una risorsa significativa per cultura e competenze. È stato importante portare a conoscenza dei genitori il progetto educativo e le
sue finalità, per rendere la partecipazione delle figure genitoriali viva e fattiva, sia nella
pratica quotidiana di relazione che nella comunicazione diretta con le educatrici e le
insegnanti.
Il coinvolgimento delle famiglie connota la gestione partecipata del servizio e contribuisce a sostenerne la qualità, garantendo nel contempo l’integrazione coordinata
con l’azione educativa della famiglia.
In tal senso, particolare attenzione viene rivolta al momento di passaggio del/la
bambino/a dalla famiglia al nido, sia nel periodo di inserimento che nel quotidiano
ingresso.
21
La partecipazione dei genitori alla vita del servizio 1 – 6, viene sostenuta e caldeggiata proponendo varie occasioni di incontro:
▪ il colloquio prima dell’inserimento del/la bambino/a;
▪ i colloqui individuali durante l’anno di attività almeno 2: uno nella prima parte
ed uno alla fine dell’anno educativo/scolastico);
▪ almeno due incontri di sezione (uno per presentare il progetto ed uno per verificarne il percorso);
▪ la riunione annuale dell’assemblea dei genitori;
▪ l’elezione di rappresentanti di genitori nell’ organismo previsto;
▪ iniziative di feste ed incontri informali, attività di laboratorio comuni, per preparare materiali per attività con i bambini,e per organizzare recite.
4 - L’innovazione giuridico - istituzionale
Gli aspetti giuridico – istituzionali di maggior rilievo relativi all’implementazione del
progetto 1 – 6 che hanno determinato alcune criticità, riguardano:
la compresenza di educatrici e di insegnanti
il possesso dell’abilitazione all’insegnamento nella scuola dell’infanzia da parte del
personale educativo.
la diversità normativo - contrattuale dei due profili professionali.
a) La compresenza di educatrici ed insegnanti
L’ingresso di bambini di 1/2 anni nella scuola, ha imposto sia alle insegnanti che
alle educatrici, di riqualificare il proprio sapere professionale rimodellando su una
fascia di età dei bambini più ampia, quanto, fino ad allora, era stato loro istituzionalmente richiesto.
Da qui l’esigenza di concordare un monte orario, circa 50 ore annuali, di aggiornamento e riflessione comune, per condividere una nuova ottica di lavoro, tramite:
▪ acquisizione di un linguaggio comune per la decodificazione dei bisogni dei
bambini e la scelta delle strategie di intervento didattico;
▪ capacità di gestire collegialmente i vari momenti della programmazione;
▪ conoscenze teoriche, capacità osservative scientificamente corrette e abilità
nell’uso di metodologie e strumenti idonei per la costruzione di un curriculum
1 - 6 anni dal nido alla scuola primaria.
La compresenza educatrici/insegnanti, che a rotazione, doveva accompagnare i
bambini nei cinque anni, poneva un ulteriore problema di ordine giuridico istituzionale: il possesso del titolo di studio richiesto.
b) Il possesso dell’abilitazione all’insegnamento nella scuola dell’infanzia da
parte del personale educativo.
Per accedere al servizio 1 - 6 anni, alfine di consentire l’accompagnamento dei
bambini da 1 a 6 anni, è necessario il possesso dei titoli di studio per l’insegnamento
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nella scuola dell’infanzia.
È, tuttavia, altrettanto indispensabile, per compiere un’azione educativa efficace
nel servizio 1 – 6 anni, che le insegnanti, in possesso del titolo per l’insegnamento
nella scuola, facciano propria la cultura educativa che è specifica delle educatrici che
hanno costruito, in anni di esperienza, una pedagogia del nido, anche in assenza di
“orientamenti” generali di cui dispone la scuola.
c) La diversità normativo - contrattuale dei due profili professionali
Pur essendosi, in questi anni, notevolmente attenuate le divergenze normativo contrattuali tra educatrici di asili nido ed insegnanti di scuola dell’infanzia, restano irrisolti ancora alcuni problemi di equiparazione contrattuale che potrebbero determinare qualche criticità.
5 - Una prospettiva di sviluppo auspicabile del servizio 1 – 6 anni
Dalla ricognizione storica di questo servizio, vissuto positivamente dal personale
della scuola e dalle famiglie, nella prospettiva di una sua ulteriore qualificazione nel
prossimo futuro, scaturisce uno auspicio: dare piena validazione scientifica sui benefici che questa sperimentazione può offrire.
La documentazione prodotta in questi anni nel servizio 1 – 6 ed il contesto educativo/scolastico scandiccese, dove sono presenti servizi di nido e scuole statali di ottimo livello e sicuramente disponibili alla collaborazione, possono costituire un terreno
adatto per la sperimentazione dell’esperienza 1 – 6 da effettuare in collaborazione fra
i servizi comunali e quelli statali.
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La continuità è bella!? Una prospettiva psicologica
Monica Toselli - Docente di Psicologia dello Sviluppo presso la Facoltà di Psicologia
dell’Università degli Studi di Firenze
Quando mi è stato chiesto di accompagnare in un percorso formativo alcune educatrici dei servizi dell’infanzia per la fascia 1 – 6 anni del Comune di Scandicci ho
impiegato molto tempo a capire il significato di questa formula: “1-6”, che esprime
appunto la continuità nei servizi offerti ai bambini di questa ampia fascia di età. Ancora
più tempo mi è però occorso per spiegarmi fino in fondo l’entusiasmo e la soddisfazione che traspariva nelle parole e negli sguardi degli operatori per questo tema, “continuità” e per l’ampiezza di disponibilità didattica nel tempo, che viene offerta ai bambini di Scandicci.
Due elementi, nella mia mente sembravano contrastare con questo entusiasmo:
la “continuità” non è un dogma, nello sviluppo, dove prevale invece il mutamento,
la variabilità degli scopi, delle variabili coinvolte, che sono tanto più mutevoli quanto
più piccoli sono i bambini.
La psicologia dello sviluppo si occupa del mutamento, è proprio il suo oggetto primario di studio, fornirsi di strumenti di analisi di qualcosa che è mutevole nel tempo.
Le ricerche che, ad esempio, cercano di esaminare le modalità educative delle
mamme hanno identificato quanto siano le mamme più attente ad essere sensibili ai
cambiamenti dei loro bambini nel corso del tempo e quindi ad adottare con loro modalità educative diverse a seconda dell’età e quindi discontinue.
Ancora: quando voglio studiare la percezione negli infanti (bambini cioè che non
sanno parlare), ma dei quali mi interessa capire cosa riescono a percepire, quali differenze colgono negli stimoli visivi, io propongo loro una figura, per esempio un quadrato, più e più volte, e osservo come il tempo dedicato a fissarla diminuisce progressivamente. Se però successivamente propongo loro un rettangolo, osservo che il
tempo che dedicano a fissare lo stimolo di nuovo aumenta. Questo significa che in
qualche modo percepiscono la differenza tra i due stimoli e…che sono interessati ad
uno stimolo nuovo, per cui lo fissano più a lungo. Il principio che si può ricavare da
questa situazione è: i bambini, anche molto piccoli, sono equipaggiati per reagire alle
novità, anche minime.
Questi due ragionamenti mi spingevano quindi a pensare che sarebbe bene offrire ai bambini un contesto di sviluppo che sia mutevole e che attivi la loro curiosità.
Quali vantaggi può offrire la continuità rispetto ad una stimolante novità discontinua?
Mi sono ricreduta, nel frequentare i luoghi dove la continuità viene applicata e vorrei spiegare perché.
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Nei primi mesi del 2010 ho svolto l’attività formativa con le educatrici. Il lavoro è
consistito in una ricerca-intervento, nella quale abbiamo esaminato la vita quotidiana
dei bambini che frequentano il servizio. Ricerca - intervento vuol dire realizzare un’
indagine su una situazione, intervenendo contemporaneamente su di essa, conoscere è infatti la premessa per riflettere e agire per migliorare.
Un carattere specifico della ricerca-intervento è il coinvolgimento diretto dei cosiddetti “soggetti” della ricerca, che non vengono passivamente esaminati da altri. In questo caso il coinvolgimento si è espresso nel creare insieme con le educatrici 3 griglie
osservative per raccogliere i dati su momenti diversi della vita quotidiana a scuola,
cioè il pranzo, l’intergruppo, le attività. L’osservazione sistematica, usando una griglia
osservativa, permette infatti di produrre risultati confrontabili e certo più affidabili di
quelli ricavati da un occhio pure esperto, ma privo di tracce precostituite.
La scelta delle situazioni da osservare è stata guidata dalle educatrici stesse, che
hanno voluto creare uno strumento per valutare più analiticamente quello che succede quando i bambini mangiano, quando seguono le normali attività “didattiche”guidate e quando si trovano tutti insieme, grandi e piccoli a partecipare, a piccoli gruppi, con
una originale mescolanza di età, a quella specie di “teatro delle emozioni”svolto con
la collaborazione di operatori teatrali, che periodicamente anima la vita della scuola.
Le educatrici non hanno solo definito i momenti in cui osservare la loro azione e quella delle loro colleghe, ma hanno anche fornito indicazioni indispensabili per rimpolpare la struttura delle griglie osservative che hanno avuto bisogno del racconto della loro
esperienza reale, per indirizzare l’attenzione:
▪ al contesto,
▪ alle relazioni sociali,
▪ alle regole,
▪ che caratterizzano quel contesto.
Solo le educatrici, testimoni dirette del comportamento dei piccoli hanno potuto
citare preventivamente le opzioni da indicare e confrontare nelle griglie, in maniera da
crearne di semplici e funzionali.
Dall’insieme delle osservazioni fatte sul pasto abbiamo potuto scoprire, ad esempio, quanto prevalga rispetto all’atteso rumore assordante un tranquillo suono di stoviglie e di voci. I posti a tavola non sono fissi, per i più grandi, ma prevedono turni di
vicinanza ai compagni preferiti. Abbiamo constatato la frequenza con cui i più grandi
commentano a tavola quello che hanno fatto in mattinata. Si tratta di un elemento che
offre un ottimo e soddisfacente quadro di un tempo sereno, di riflessione insieme, di
consolidamento del ricordo. Le dispute, d’altro canto sono risultate rare. Gli sguardi
dei bambini e le conversazione all’inizio rivolte prevalentemente all’insegnante, vengono invece,via via, tra i più grandi, rivolte prevalentemente ai compagni.
Considerando invece le attività proposte dalle educatrici emerge un numero molto
ampio di attività, non certo ripetitive. L’attenzione infantile è concentrata sullo svolgimento dell’attività proposta, prevale un’attenzione sostenuta, il lavoro è svolto in autonomia, i bambini sono capaci di imitare frequentemente i propri compagni, ma anche
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di adottare soluzioni nuove per svolgere l’attività, modesto è il numero di bambini che
rimangono isolati.
I risultati relativi all’intergruppo sono per ora insufficienti per potere ricavare delle
indicazioni, cui pure le educatrici avrebbero tenuto molto, per verificare l’efficacia di
questa formula di lavoro “trasversale”.
Tutti i dati raccolti hanno contribuito a creare un quadro di un ambiente produttivo
e vivace, nel quale prevalgono indizi di benessere per tutti i protagonisti, nel quale
situazioni routinarie si alternano a momenti nuovi e inattesi.
Tutto ciò mi ha mostrato che l’organizzazione “in continuità” è utile e non è certo
fissa.
Emergono infatti risultati diversi a seconda delle età dei bambini osservati. Le
diverse immagini, tutte fondamentalmente positive, risultano rispecchiare le specificità dei “piccoli” e dei “grandi”. La nostra osservazione ci ha presentato ad esempio
bambini più piccoli, meno competenti, più centrati sull’insegnante che sui compagni,
bambini “grandi” già capaci di negoziare con l’insegnante e con i pari su quello che
stanno facendo, in un quadro quindi di competenze crescenti.
A questo punto mi sono convinta che “continuo è bello”: stare in una scuola dove
gli stessi insegnanti seguono i bambini per tutto il percorso, dal nido alla “materna” e
quindi loro stessi si sperimentano su livelli variabili di età, conoscendo tuttavia bene il
singolo bambino, mi sembra abbia creato sia una rassicurante continuità (i bambini
adorano che le favole siano narrate sempre con le stesse parole!) sia un contesto flessibile di sviluppo ed evoluzione, che permette di far “crescere” bene i piccoli di
Scandicci.
26
SECONDA PARTE
ESPERIENZE EDUCATIVE E DIDATTICHE
PER LA CONTINUITÀ A SCANDICCI
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L'alfabeto delle emozioni
Servizio 1-6 Bruno Ciari
Il servizio sperimentale comunale per l’infanzia Bruno Ciari si caratterizza per
essere rivolto a bambini da 1 a 6 anni, con 2 sezioni di nido e 2 sezioni di scuola dell’infanzia. Tale peculiarità consente di avere una prospettiva longitudinale del percorso di crescita del bambino e di porre attenzione al suo processo di sviluppo globale,
attraverso una visione della crescita segnata da momenti di continuità e discontinuità. Favorisce inoltre la possibilità di godere di un tempo lungo in cui ogni bambino può
esprimere la propria identità sociale, affettiva, emotivo - cognitiva, costruire rapporti
significativi con adulti e bambini, promuovendo la nascita di nuove amicizie accanto a
quelle già instaurate.
In questo contesto appare fondamentale, da parte del gruppo di lavoro
(educatrici/insegnanti/operatori), garantire una coerenza educativa che accompagni i
bambini e sappia dare significato ai cambiamenti che si troveranno a vivere.
Ciascun bambino per affrontare il proprio percorso di crescita nel migliore dei
modi, ha necessità di acquisire un bagaglio educativo indispensabile che coinvolga
intelletto, corpo ed emozioni.
In questi ultimi anni si assiste ad un incremento dell’interesse per la dimensione
affettiva del bambino; non a caso gli ultimi Orientamenti della scuola dell’infanzia
danno risalto alle variabili di natura emozionale che entrano in gioco nel processo
educativo.
Scopo di un’educazione affettiva è di favorire nel bambino la conoscenza e la consapevolezza delle emozioni.
Il percorso educativo adottato dal nostro servizio e le esperienze proposte e vissute in questi anni, si è riferito/rifatto all’opera dello statunitense D. Goleman sulla
“intelligenza emotiva” attraverso programmazioni educativo/didattiche di “allenamento emotivo”.
Quella che Goleman, definisce “intelligenza emotiva” non è solo un insieme di
competenze psicologiche, ma anche un complesso di abilità sociali, motivazionali ed
operative.
In questo ambito la capacità di capire, identificare ed esprimere le proprie emozioni correlate ai bisogni, diventa necessaria per acquisire la consapevolezza di sé, l’autocontrollo e consapevolezza sociale ed ambientale.
Capire le emozioni significa saper rielaborare a livello cognitivo il proprio e l’altrui
“sistema emozionale”, gestirle significa saper utilizzare e convivere (e/o condividere)
con le emozioni proprie e degli altri, identificarle significa saperle “vedere” nel proprio
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stato fisico e nel proprio vissuto riconoscendo anche la relazione tra pensiero – emozione - comportamento.
Il percorso educativo basato su tale concetto, accompagna ed aiuta il bambino a
scoprire, accettare, comprendere e trasformare il proprio dialogo ed universo interiore e permette lo sviluppo e la buona gestione delle relazioni interpersonali, valorizzando sempre e comunque la diversità individuale.
Il lavoro sull’intelligenza emotiva è stato ed è comune a tutte le sezioni, e consente di tenere uniti i saperi, le competenze, le metodologie, le potenzialità, in un’ottica di
interdisciplinarietà trasversale a tutte le fasce d’età che si susseguono all’interno del
plesso.
Con l’intento di permettere ai bambini di costruire legami duraturi con adulti e compagni e dare l’opportunità alle famiglie di conoscere e co-partecipare ai processi educativi dei loro figli, sono stati attivati progetti di intergruppo come metodologia di lavoro. Essi hanno l’obiettivo di garantire una continuità d’esperienze ed un patrimonio
comune per facilitare i vari passaggi nelle sezioni ed i cambiamenti nel corso dello sviluppo del bambino.
I bambini di tutte le sezioni, le educatrici/insegnanti, gli operatori, le famiglie: sono
tutti coinvolti “dentro” lo stesso percorso con l’obiettivo formativo di creare nuove possibilità di scambio e relazione tra bambini-bambini, bambini-adulti, adulti-adulti, di
conoscere ed utilizzare gli ambienti scolastici e far partecipare le famiglie a progetti
condivisi. È infatti convinzione condivisa che i bambini, gli operatori e le famiglie costituiscono un sistema di relazioni complesse che determinano la qualità del servizio
stesso.
Le programmazioni pensate e sostenute hanno utilizzato canali e prospettive
diverse nel corso degli ultimi anni: l’educazione alimentare, l’educazione emotiva ed
espressiva, l’alfabeto delle emozioni, l’educazione musicale.
Educazione alimentare
Il rapporto con il cibo è un rapporto profondo, intimo e personale in cui si rispecchiano emozioni, affetti, caratteristiche individuali psicologiche e fisiche ed al tempo
stesso tale rapporto viene sempre più condizionato dal ruolo dei mass-media con i
loro stereotipi e modelli culturali proposti. Cibo – corpo - emozioni ma anche cultura,
modo di educare, libri. Questi temi che funzionano con modalità dinamiche costituiscono un modello circolare al cui centro troviamo i bambini, le loro famiglie e gli
ambienti culturali in cui vivono. Le varie programmazioni di sezione hanno cercato di
approfondire alcuni temi di questo complesso sistema di relazioni che ci lega al cibo,
con l’uso delle fiabe nei libri dell’infanzia, con l’arricchimento del linguaggio, con la
scoperta dei sensi, del corpo, dei bisogni e delle emozioni.
Educazione emotiva ed espressiva attraverso il teatro
La capacità di simulazione della realtà è lo strumento primario di conoscenza di
cui il bambino è assoluto interprete, è la condizione affinché egli possa crescere come
persona autonoma e comunicativa, capace di un linguaggio personale e ricco, nella
comprensione che il linguaggio è uno strumento espressivo. L’evento teatrale è stru30
mento educativo ed esperienza in senso corporeo, in cui il bambino (e l’individuo) sperimenta le proprie emozioni, sensazioni, pensieri e tipo di relazione con gli altri, traducendoli nel linguaggio del corpo. Il teatro coinvolge nel bambino la sua globalità psicofisica. L’esperienza del laboratorio di espressione teatrale si è sviluppata in un percorso dinamico, ludico e creativo che ha stimolato i bambini aiutandoli a conoscere ed
elaborare i propri mezzi espressivi: intuito, capacità di ascolto e di sintesi, percezione, espressione degli stati d’animo, comunicazione. L’espressione teatrale, attraverso i suoi giochi di ruolo, le improvvisazioni e le simulazioni, attraverso l’uso creativo
del corpo e della voce, può essere filo conduttore per elaborare e sviluppare l’intelligenza emotiva.
Alfabeto delle emozioni
Nei bambini c’è tutto quello che un adulto ancora vorrebbe: spontaneità, gioia profonda, gioco, stupore attraverso cui conoscere il mondo, meraviglia per il nuovo che
viene scoperto. I bambini sono stati accompagnati alla scoperta delle proprie emozioni e dei propri sentimenti, anche quelli negativi, per conoscerli, comprenderli, accettarli e trasformarli. È stato un viaggio attraverso il corpo, le parole, i racconti, ma
anche i ricordi che rappresentano punti di partenza che suscitano emozioni profonde.
Una cassetta contenente “tesori” per la meraviglia e lo stupore, uno specchio, una
valigia per il viaggio alla ricerca delle proprie emozioni, un diario personale, che partendo dal proprio autoritratto conduca alla scoperta dell’unicità della propria storia.
Educazione musicale
La musica è un canale ed uno strumento educativo che agevola la lettura delle
emozioni. Attraverso progetti educativi differenziati per età i bambini vengono condotti alla scoperta della discriminazione dei suoni, la percezione attiva delle fonti sonore,
la scelta consapevole dei contenuti musicali. Gardner scrive che, fra tutti i doni che gli
individui possono sviluppare, nessuno emerge prima del talento musicale.
Infatti la competenza musicale si manifesta fin dalle prime settimane di vita; già a
2 mesi i bambini sono in grado di imitare tono, intensità e melodia dei canti della loro
madre e i bambini di 4 mesi sanno imitare anche strutture ritmiche. I bambini piccoli,
in particolare, sono più sensibili a cogliere le strutture ritmiche della musica prima
ancora del linguaggio.
Il canale della musica permette di valorizzare le diversità delle emozioni e allo
stesso tempo di accoglierle.
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Giocare con l’arte. Un percorso che favorisce l’evoluzione espressiva
Servizio 1-6 Anton Makarenko
Il servizio comunale Anton Makarenko accoglie bambini di età compresa fra gli 1
e i 6 anni all’interno di quattro sezioni, due di scuola dell’infanzia con bambini di 3 - 4
anni e 4 - 5 anni, una sezione per i bambini di 2 anni e una sezione per quelli di 1
anno.
In un’ottica di continuità educativa il nostro servizio privilegia l’apprendimento
come processo individuale e di gruppo. Ogni bambino è costruttore attivo di saperi,
competenze e autonomie, attraverso personali processi di apprendimento che si realizzano con modalità e tempi soggettivi nella relazione con i coetanei, gli adulti, gli
ambienti.
Nel processo di apprendimento si privilegiano le strategie di ricerca, confronto e
partecipazione, la motivazione e il piacere di apprendere attraverso dimensioni diverse (ludica, estetica, emozionale, relazionale) che si intrecciano e si alimentano.
L’incontro con l’arte è per i bambini un momento di gioco fortemente stimolante,
perché permette loro di cimentarsi in creazioni proprie dopo aver provato sensazioni
ed emozioni. Gioco e arte si arricchiscono reciprocamente.
Su questo assunto si basa parte del percorso educativo e didattico realizzato nel
nostro servizio.
L’esperienza artistica ha preso il via nella nostra scuola negli anni novanta. I
momenti più significativi di questo particolare percorso educativo e didattico sono stati
documentati attraverso mostre, come ad esempio quella itinerante dal titolo “Il cielo
non è sempre blu” che riprende un pensiero illuminante di Bruno Munari: “Un bambino che impara che il cielo non è sempre blu è un bambino che in futuro saprà trovare più soluzioni creative ad un problema, sarà più pronto a discutere e a non subire.”
Nel corso degli anni il concetto di arte applicato alla didattica educativa è andato
incontro, all’interno delle nostre programmazioni, a progressive trasformazioni: partendo dalla scoperta, dall’osservazione e dalla riproduzione delle opere d’arte soprattutto moderne e contemporanee, siamo giunte quest’anno a focalizzare la sperimentazione sulla rappresentazione emotiva attraverso l’uso dei colori. Il progetto educativo e didattico che stiamo realizzando nel presente anno scolastico si rivolge ai bambini da 1 a 5 anni, ed utilizza come protagonista unico il colore quale elemento che
32
struttura forme riconducibili a elementi naturali e non, osservati dal vero o attraverso
immagini e fotografie. Scopo del nostro lavoro sull’espressività infantile è quello di
avvicinare in modo ludico i bambini alla teoria dei colori, partendo dalla tracciabilità del
segno attraverso l’uso dei gessetti colorati per i bimbi più piccoli fino a sperimentare
con i più grandi la mescolanza di due o più colori stimolando così il loro desiderio di
conoscere.
“Le opere” dei bambini rappresentano la loro personale interpretazione della realtà filtrata dall’emozione tanto da diventare quasi astratta, perdendo così le caratteristiche di una copia fine a se stessa e perciò eliminando i consueti parametri di valutazione sul “bello e brutto”: i bambini sono messi così in grado di lavorare liberi da
ansie da “prestazione”.
Nell’era della multimedialità è importante stimolare il bambino nello sviluppo del
senso critico e supportarlo nella sua capacità di comprendere messaggi, tradurli e rielaborarli in codici differenziati verso una produzione di elaborati che superino gli stereotipi legati alla comunicazione mass-mediale tendente alla omologazione dell’immaginazione infantile.
Obiettivo del percorso intrapreso è la piena valorizzazione di forme di pensiero
immaginativo e creativo quali elementi essenziali per un migliore sviluppo affettivo e
cognitivo. L’arte intreccia il cognitivo e l’immaginativo; i bambini per esprimersi utilizzano l’empatia, le mani e il pensiero e l’arte è in sintonia con questo approccio alla
realtà, parla la stessa lingua dei bambini.
Il linguaggio artistico diventa pedagogico laddove non risulti essere solo una mera
attività aggiuntiva ad altre ma si trasformi in essenza della conoscenza e in attivatore
dell'apprendimento. Il bambino osserva la realtà, la conosce, se ne appropria, la interiorizza per poi provare a riprodurla non come copia esatta bensì come processo artistico creativo ed immaginativo. Da un lato l'insegnante coinvolge attivamente il bambino nell'osservazione dell’ambiente che lo circonda, indirizza il suo sguardo per indicargli cosa guardare e come guardare, lo stimola sul porre e porsi delle domande.
Dall'altro l'osservazione e la documentazione diventano i compiti “passivi” dell'insegnante: annotare i frammenti del processo creativo dei bambini per capire le strategie
messe da loro in atto permette all'adulto di non prevaricarli e di avvicinarsi alla loro
visione del mondo.
Il servizio si apre al territorio attraverso una mostra che si svolge nel periodo della
festa di primavera, consentendo a tutti, e non solo alle famiglie dei bambini frequentanti, di conoscere il lavoro che viene svolto nel nostro servizio. L'esposizione dei
lavori dei bambini non è solo un semplice e riduttivo accostamento dei prodotti da loro
creati ed elaborati ma, attraverso un'accurata documentazione ricca di didascalie, foto
e video che illustra e chiarisce i processi creativi che hanno permesso la realizzazione delle varie “opere”.
33
L’educazione scientifica nei progetti per la continuità educativa dei bambini da 2 a 6 anni
Servizio 2 - 6 Turri
Premessa
Il servizio comunale 2 – 6 anni Turri accoglie bambini di età compresa fra i 2 e i 6
anni all’interno di quattro sezioni, tre di scuola dell’infanzia con bambini di 3 - 4 anni
e 4 - 5 anni e una sezione per i bambini di 2 anni.
“Scienziati si nasce” potrebbe essere l’assunto dal quale prende vita il lavoro compiuto nell’arco di molti anni e che, attraverso un percorso didattico sperimentale, ci
porta a fare quest’affermazione.
La curiosità innata dei bambini e la loro voglia di sperimentare sono già, di fatto,
caratteristiche da “scienziati” che li stimola ad avvicinarsi ai problemi cercando di trovarne la soluzione.
Se pensiamo per un momento che il bambino già dai primi mesi sperimenta la
“legge di gravità” gettando ripetutamente gli oggetti dal seggiolone oppure “il principio
di Archimede” giocando con giocattoli galleggianti nel bagnetto e ancora “la velocità”
girandosene tranquillamente in bicicletta con il padre, allora non è difficile supporre
che i bambini abbiano, in virtù di queste esperienze, una rappresentazione “scientifica” della realtà, anche se allo stato embrionale, alla quale dobbiamo dare il giusto
valore.
Da queste premesse nasce l’attività didattica che ancora oggi contraddistingue
l’approccio all’educazione scientifica del nostro servizio
Le prospettive metodologiche
Gli obiettivi dell’azione educativa sono quelli di valorizzare le conoscenze già esistenti nei bambini, stimolare il loro ragionamento attraverso la curiosità e la voglia di
scoprire.
L’educazione “alla razionalità” non si ferma quindi all’osservazione del mondo, a
semplici attività di classificazione, ma tenta di fornire i bambini di strumenti per interpretarlo, per risolvere i problemi inventando soluzioni anche fantasiose ma creative e
appassionanti, da verificare e modificare attraverso l’alternarsi di tentativi ed errori.
La problematizzazione di semplici eventi stimola nei bambini la voglia di“proporre
una soluzione”, in una sorta di gara a chi risolve il problema, facendo ricorso alla creatività ma anche alle conoscenze acquisite in precedenza.
Le attività fortemente legate all’esperienza quotidiana dei bambini li motivano e li
avvicinano a concetti scientifici solo apparentemente lontani dal loro vissuto, come la
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velocità, il peso, il galleggiamento, ecc.
La forte valenza dell’attività senso-percettiva, la discussione che l’accompagna, il
confronto tra le esperienze e le conoscenze acquisite dai bambini nella vita quotidiana, le proposte e le verifiche delle soluzioni, consentono loro di essere protagonisti
della propria crescita, capaci di organizzare le informazioni per elaborarle.
Il ruolo dell’insegnante assume quindi la funzione di regista: non fornisce nozioni,
non presenta soluzioni “confezionate” da una logica adulta non riconoscibile dai bambini, ma guida questi ultimi al ragionamento attraverso la sperimentazione, il fare, il
toccare, al confronto delle proprie esperienze con quelle altrui, li invita a proporre ipotesi e soluzioni plausibili, da verificare poi insieme.
L’attività didattica si realizza tenendo conto delle seguenti tipologie di esperienze
che rispettano i criteri minimi di scientificità:
a) esperienze che stimolano il ragionamento e prevedono situazioni problematiche in cui l’insegnante non risponde direttamente ma utilizzando confronti con
altre esperienze la cui correlazione porti alla concettualizzazione e quindi
all’astrazione;
b) esperienze schematiche con poche variabili in modo da non ostacolare con
troppi elementi il ragionamento dei bambini;
c) esperienze inserite nella programmazione didattica che s’innestano in una
situazione condivisa e che evitano improvvisazioni, non sempre positive;
d) esperienze che consentono una verifica immediata in modo che non rimangano nella mente del bambino risposte errate che vengano fissate come conoscenze;
e) esperienze che non utilizzano il numero e il contare ma che si avvalgono di
confronti, di comparazioni, per abituare i bambini a non usare procedimenti
automatici di spiegazione ma a inventare loro stessi soluzioni autonome.
La continuità 3-6 anni.
L’attività con i bambini mette in evidenza due aspetti importanti:
▪ le fasi dello sviluppo intellettuale del bambino sono estremamente variabili e
legate alla maturazione individuale.
▪ i contenuti del lavoro devono essere strettamente legati all’esperienza di vita
del bambino per risultare interessanti e stimolanti.
Alla luce di quanto sopra esposto, si rendono essenziali alcune condizioni:
▪ le esperienze devono essere semplici, con poche variabili;
▪ ci deve essere una gradualità nella difficoltà della proposta;
▪ è importante utilizzare giochi e materiali, possibilmente di recupero, usuali ma
in situazioni diverse.
Durante il lavoro con i bambini di 3-4-5 anni, emerge con chiarezza il fatto che la
capacità propositiva di indicazioni, soluzioni e previsioni, è parimenti efficace sia nei
bambini di 5 anni che in quelli più piccoli. In qualche caso si nota che i bambini più
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grandi sono messi in difficoltà proprio da pregiudizi e timori che nei più piccoli non
compaiono.
Ciò che invece sembra costituire una reale difficoltà per i più piccoli è la ridotta
capacità verbale e grafica, che non consente loro di esprimersi compiutamente.
Viene così avviato un notevole lavoro di ricerca per identificare mezzi e strumenti
utili a consentire ai più piccoli di rendere manifesto il proprio pensiero: ad esempio, se
al bambino di 4/5 anni viene richiesto di disegnare l’ombra dell’albero, al 3enne viene
consegnata la sagoma dell’ombra da incollare, e così via.
In questo modo anche i bambini più piccoli, oltre che a partecipare al gioco sensopercettivo, riescono a fissare l’esperienza attraverso una modalità semplificata di rielaborazione.
L’inserimento della sezione “sperimentale”
Nell’anno 1994 l’Amministrazione comunale compì la scelta di creare un percorso
di continuità educativa per i bambini dai 2 ai 6 anni e venne così inserita nella struttura una sezione “sperimentale” di bambini dai 24 ai 36 mesi.
Da subito emerse un’evidente peculiarità nell’approccio educativo e un corso di
formazione specifico ci fornì gli strumenti per un’attività didattica idonea ed efficace,
fino a quel momento non padroneggiati da un corpo insegnante con una formazione
specifica per la fascia 3/6 anni.
L’organizzazione della sezione “sperimentale” ci offrì l’occasione per una riflessione che coinvolse anche le sezioni di bambini dai 3 ai 6 anni; ci colpì favorevolmente
l’attenzione nell’organizzazione degli spazi che offrivano l’occasione per esperienze
diversificate, l’autonomia dei bambini nella scelta delle attività del mattino, la continuità nell’uso di materiali e di strumenti anche non semplici messi a disposizione nella
sezione, la possibilità assai frequente di lavorare in una dimensione di piccolo gruppo.
Questi aspetti della nuova realtà ci stimolarono ad attuare un cambiamento nelle
modalità organizzative delle sezioni di bambini più grandi e ci aiutarono ad identificare aspetti di continuità nella metodologia educativa e momenti di interazione fra bambini di varie età e adulti educatori.
L’osservazione dei bambini ci fornì gli elementi per affermare che, a partire dal mese
di gennaio, essi raggiungevano una certa autonomia nelle routines, erano sereni e propositivi nella relazione con le educatrici e il personale di supporto, sufficientemente
autonomi nell’uso di materiali e strumenti e nello svolgimento di semplici attività.
I progetti per la continuità 2-6 anni
In questo contesto presero corpo i progetti per la continuità educativa dei bambini
da 2 a 6 anni e si realizzarono mediante laboratori che coinvolgevano i bambini di tutte
le sezioni.
Modalità operative:
I progetti nacquero per offrire ai bambini di tutte le età momenti d’interazione e di
condivisione di esperienze insolite e interessanti che li stimolassero ad osservare,
agire sulle cose, ragionare sul come e sul perché di certi fenomeni, insomma ad
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osservare il mondo cercando di “capire”.
Ad un primo momento in cui i bambini toccavano, osservavano e sperimentavano,
seguiva la riflessione e il tentativo di rispondere ai perché con ipotesi e proposte di
soluzioni anche fantasiose.
I bambini più piccoli dimostrarono una grande curiosità verso questo tipo di attività e partecipavano attivamente, i più grandicelli assumevano il ruolo di tutor e sostenevano i loro compagni più piccoli durante l’attività dando loro la mano, accompagnandoli nella sperimentazione, aiutandoli negli spostamenti, suggerendo loro a volte
un proprio parere, aiutandoli infine nell’uso dei materiali.
La rielaborazione finale venne differenziata a seconda dell’età dei bambini ed
estremamente semplificata per quelli di due anni.
Alcuni accorgimenti resero più efficace l’attività di laboratorio come, ad esempio,
la rimozione di oggetti inutili o che potevano distrarre l’attenzione dei bambini, l’uso di
materiali “poveri” ma molto stimolanti.
L’ambiente fu preparato in modo accogliente e semplice, con materiali a portata di
mano, con l’allestimento di un angolo un po’ defilato per presentarsi, parlare, confrontare pareri e opinioni e uno per la rielaborazione dell’attività.
Si costituirono 6 gruppi di 12/13 bambini di 2-3-4-5 anni che venivano seguiti da
due insegnanti/educatrici e una operatrice.
Le attività furono suddivise in due fasi: la prima più semplice ed esplorativa, la
seconda di approfondimento, con maggior spazio per il confronto e la riflessione.
Le insegnanti segnavano sul “diario di bordo” le relazioni tra pari e con l'adulto, le
modalità di svolgimento delle esperienze, aspetti positivi o negativi del lavoro di cui
tenere conto per approntare le attività della seconda fase.
Conclusioni
Le esperienze elaborate sin qui hanno contribuito all’acquisizione di atteggiamenti più mirati e attenti delle insegnanti nell’attività educativa di tipo scientifico e ci suggeriscono le seguenti conclusioni:
▪ i bambini si dimostrano assolutamente curiosi e interessati nei confronti dei
problemi a loro proposti. È evidente il desiderio di compiere esperienze di questo tipo, che sembrano scarseggiare nel loro vissuto;
▪ i bambini più piccoli evidenziano una certa difficoltà nella concentrazione e verbalizzazione ma non nella capacità di intuire soluzioni e di proporre idee creative, capacità che si dimostra pari a quella dei compagni più grandicelli;
▪ il coinvolgimento dei genitori crea una sinergia tra la famiglia e la scuola, l’instaurarsi di un clima di fiducia che contribuisce alla realizzazione di un progetto educativo, rivolto ai bambini, motivante e condiviso.
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La continuità nido – scuola dell’infanzia a Scandicci
Plinia Morelli
Ogni esperienza che possa definirsi educativa
"riceve qualcosa da quelle che l’hanno preceduta e
modifica in qualche modo la qualità di quelle che
seguiranno"
(J. Dewey “Esperienza e educazione” 1949)
Il passato e il presente della continuità
Il tema della continuità nido–scuola dell’infanzia ha ricevuto un’attenzione sistematica all’interno dei progetti e delle programmazioni educative dei servizi educativi
comunali già negli anni ’90 attraverso la sperimentazione di diverse pratiche di accompagnamento dei bambini nel passaggio fra le due istituzioni. I percorsi intrapresi si
sono nel tempo sempre meglio definiti e hanno coinvolto bambini, genitori, educatori
e insegnanti. L’esigenza sentita era da una parte quella di aiutare i bambini e le famiglie a vivere questo passaggio nel modo più sereno possibile, e dall’altra quella di
favorire un continuum di esperienze nella crescita dei bambini mettendo in dialogo i
due diversi contesti.
La presenza di nidi e scuole per l’infanzia all’interno del nostro Comune ha rappresentato una premessa favorevole per la realizzazione di percorsi condivisi, della
conoscenza reciproca fra educatori e insegnanti, ma anche di una familiarità con
ambienti e proposte educative diverse. I primi approcci alla continuità hanno coinvolto quindi soprattutto la rete dei servizi comunali (nidi e scuole dell’infanzia, oggi trasformatesi in servizi 1-6 anni) con le occasioni diverse di confronto, di scambio e di
condivisione di programmi pedagogici e percorsi formativi. Conoscere ad esempio
attraverso la messa in rete delle programmazioni educative e didattiche, i diversi scenari educativi e comprenderne alcune affinità e diversità, attività in continuità e aspetti di discontinuità, ha reso possibile una certa conoscenza del “prima” o del “dopo” dei
percorsi compiuti dai bambini e una coerenza maggiore nella scelta delle attività da
proporre loro.
Più complessa si è rivelata la possibilità di un contagio tra le due pedagogie, quella del nido e quella della scuola dell’infanzia. Molte sono state le occasioni dedicate
al confronto delle prassi educative e delle metodologie di inserimento dei bambini,
all’interno dei diversi servizi comunali, sia nel gruppo di coordinamento che nei diversi momenti formativi condivisi, con l’obiettivo di realizzare un reale avvicinamento di
stili e posizioni nel diverso approccio al bambino: al nido più individualizzato e “affettivo”, legato al rispetto dei suoi ritmi e ad un apprendimento che può compiersi in liber38
tà; alla materna più legato alla didattica, all’autonomia e ad una visione del gruppo e
del rapporto fra pari più che del singolo bambino. Si tratta di un percorso conoscitivo
e formativo auspicabile per tutti gli educatori e insegnanti che lavorano con i bambini
della fascia da 0 a 6 anni e che trova oggi un contesto ideale di realizzazione soprattutto all’interno dei servizi comunali 1-6 anni, che condividono gli spazi e la quotidianità con i bambini, le riflessioni legate alla programmazione educativa e didattica, ma
anche alcuni percorsi di formazione.
Le esperienze e le strategie sperimentate in questi anni per aiutare i bambini e le
famiglie ad affrontare il cambiamento hanno orientato via via le azioni successive rendendole più efficaci e allargate ad un numero sempre più ampio di servizi educativi e
scuole.
Con le scuole statali del territorio, divenute negli ultimi anni le maggiori referenti e
interlocutrici nel dialogo sulla continuità, sono state realizzate alcune iniziative significative. Se è vero che la domanda di continuità è partita quasi esclusivamente “dal
basso”, è altrettanto vero che le risposte sono divenute puntuali ed efficaci all’interno
di una collaborazione reale fra le diverse istituzioni, quando le prassi della continuità
hanno assunto una maggiore sistematicità e hanno ricevuto una più ampia cornice di
riferimento coinvolgendo il personale educativo/insegnante di un numero sempre più
ampio di servizi.
Obiettivo complesso è risultato quello di creare una rete di rapporti e di modalità
organizzative che, mantenendo fermo il valore dell’identità individuale di ogni servizio,
potesse realizzare una conoscenza e uno scambio reali fra le diverse realtà pedagogiche, attraverso incontri e scambi di presenza tra nido e scuola.
Ciò che oggi si realizza in collaborazione con le scuole statali sono prevalentemente le pratiche di accompagnamento dei bambini più che l’insieme di incontri di
approfondimento pedagogico e di scambio di esperienze, soprattutto per la difficoltà
concreta di insegnanti e educatori di dilatare tempi già saturi di impegni didattici programmati nella seconda parte dell’anno scolastico.
Ciò che appare necessario è un percorso formativo comune che possa portare ad
una maggiore conoscenza e ad una cultura pedagogica sempre meno discontinua, o
meglio, sempre più consapevole e attiva nelle proprie proposte in continuità, ma
anche in discontinuità, a favore della crescita e della formazione dei bambini.
Negli ultimi anni alcune pratiche per la continuità sono state sperimentate e adottate con successo anche dai servizi educativi privati accreditati e in appalto presenti
sul territorio comunale. La domanda è venuta dalle educatrici e dalle famiglie che a
loro si rivolgevano alla ricerca di informazioni, rassicurazione, consigli per meglio
affrontare questo passaggio vissuto come delicato e importante.
Le azioni della continuità
Conoscersi e conoscere in parte le rispettive realtà ha facilitato negli anni la collaborazione nell’ambito dei percorsi legati alla continuità ed è ormai consuetudine prendere contatto con le insegnanti delle scuole per coordinare gli interventi e gli incontri
futuri. Vengono stabiliti i momenti di dialogo con loro, sul gruppo e sulle attività svolte
al nido, necessari per fornire informazioni e indicazioni sullo sviluppo raggiunto dai
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bambini (competenze, autonomie, capacità relazionali) e in generale sulla loro “storia”
al nido. Si prendono accordi sull’organizzazione della visita alla scuola dell’infanzia,
nei mesi di maggio o giugno, da parte dei bambini che compiranno il passaggio, perché possano trascorrere alcune ore nella nuova struttura. In compagnia delle proprie
educatrici e operatrici, spesso anche di alcune mamme “volontarie”, i bambini possono incontrare le insegnanti che li accolgono e mostrano loro spazi e giochi, possono
conoscere i bambini più grandi e con loro condividere attività, giochi all’aperto, una
merenda o un pranzo. Non importa se quella non sarà proprio la scuola che tutti frequenteranno, sarà comunque molto simile al nuovo ambiente che li accoglierà a settembre.
Questa esperienza, che nelle sue motivazioni vede coinvolte anche le famiglie,
risulta molto significativa per i bambini che cominciano a costruire immagini, aspettative, racconti al nido e a casa, così da prepararsi concretamente al cambiamento.
Altra esperienza significativa, proposta al nido da molti anni, è quella legata al pranzo o alla cena in pizzeria con i bambini più grandi che andranno alla scuola dell’infanzia. A pranzo si va a piedi, tenendosi con le manine alla corda e anche in questo caso,
se i bambini sono tanti, si coinvolgono le mamme e i babbi disponibili a partecipare. Se
si opta per la cena invece sono i genitori ad accompagnare e riprendere i bambini in
pizzeria. +- davvero emozionante per i piccoli (ma anche per gli educatori) vivere un
momento così particolare, vivere qualcosa “da grandi”; è un privilegio e una festa, una
sorta di ingresso in società che conferma la loro autonomia e segna il passo di una crescita e di un cambiamento reali. Crescere è bello e un bambino può sentirlo concretamente nell’emozione di una conquista vissuta insieme agli amici del nido.
Le attività di intergruppo programmate all’interno dei nidi, oltre ad avere una valenza pedagogica nel loro svolgersi, rappresentano un tassello importante per una buona
continuità. Creare occasioni di scambio e di conoscenza fra i bambini dei diversi gruppi sezione dei medi e dei grandi che si troveranno a frequentare la stessa scuola dell’infanzia, significa rendere sicuramente più facile il loro ambientamento. Per i bambini di 3 anni il gruppo dei compagni è un riferimento affettivo certo, non meno di quello adulto e ne è conferma la testimonianza di molti genitori che raccontano di come il
loro bambino abbia mostrato grande sicurezza non appena ritrovato il compagno o i
compagni del nido. Appare altrettanto verosimile immaginare come il rassicurarsi dei
genitori, all’idea che il loro bambino ritroverà alcuni degli amici del nido, possa avere
un riflesso positivo anche sui piccoli.
I genitori sono attivamente coinvolti nella condivisione delle azioni e delle iniziative per il passaggio alla scuola dell’infanzia. Spesso sono loro a chiedere, ad esprimere preoccupazioni e dubbi, a soffrire il distacco e il cambiamento con molti mesi di
anticipo. Quasi sempre sono favorevoli e partecipi alle iniziative create per i bambini
e in molti casi contribuiscono e sostengono concretamente il loro svolgimento.
All’interno dei nidi comunali viene proposta una riunione di orientamento nel mese
di gennaio in cui i genitori si incontrano, si conoscono, comunicano a quale scuola
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iscriveranno il loro bambino, si scambiano pensieri, ansie e aspettative sulla nuova
esperienza. In questa occasione si può offrire ai genitori anche la possibilità di consultare i piani di offerta formativa delle scuole del territorio.
I genitori e i bambini passati alla scuola dell’infanzia ritornano al nido nel mese di
dicembre per trascorrere un pomeriggio insieme alle educatrici e ai “vecchi” compagni. Si prende il tè, si parla, si gioca ed è bello incontrarsi ancora, raccontarsi le nuove
e passate esperienze e comprendere anche che il nido si può ritrovare e salutare con
un “arrivederci”.
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TERZA PARTE
LA FORMAZIONE
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Competenze e formazione degli educatori e degli insegnanti
Rossella Safina – Responsabile dell’Agenzia Formativa Comune di Scandicci
1. Professione educativa nel cambiamento
Tutte le professioni, comprese le professioni educative, oggi si trovano a fare i
conti con una trasformazione che ha coinvolto l’intera società e sono costrette a rivedere le modalità di gestione del proprio ruolo. Il cambiamento a cui assistiamo può
essere visto come un fenomeno pervasivo strettamente legato all’attualità che interessa tutta la struttura del lavoro, il management delle imprese e di conseguenza le categorie professionali.
Le nuove frontiere del conoscere che si spostano, le nuove tecnologie, il contesto
che si presenta sempre più intessuto di complessità, fanno sì che agli educatori,
rispetto alle funzioni originarie, venga richiesto molto spesso di superare i confini delle
mansioni loro attribuite.
Integrare, orchestrare, saper costruire uno spazio di benessere sottoposto a vincoli di qualità nei confronti dei propri interlocutori, divengono le parole chiave a cui gli
educatori e gli insegnanti si riferiscono nel quotidiano. Da queste figure professionali
ci si aspetta che sappiano:
▪ realizzare con successo tutte le relazioni professionali in cui sono impegnati;
▪ inquadrare e risolvere i problemi emergenti nel proprio contesto lavorativo;
▪ sintetizzare le informazioni più disparate provenienti dai bambini, dalle famiglie, dall’Amministrazione comunale, dal Ministero della Pubblica Istruzione,
dal mondo accademico/scientifico e dalla ricerca;
▪ analizzare le priorità e coordinare le risorse del gruppo di lavoro in un contesto
sottoposto a un grande cambiamento sociale, culturale, storico.
Se quanto detto risulta valido in linea generale ciò che succede nel territorio di
Scandicci merita ulteriori riflessioni. Nella nostra realtà si è infatti realizzato oltre al
Nido d’infanzia, il Progetto Unosei, progetto che va sempre più a consolidarsi e ad
arricchirsi di nuovi spunti, considerazioni e congetture. Elemento essenziale del progetto è quello di porre in continuità la fascia zero - sei anni attraverso un assetto organizzativo che metta a confronto e in stretta collaborazione due profili professionali fino
ad oggi separati da spazi e programmazioni educative.
Un nodo critico e nello stesso tempo di vitale importanza risulta essere un disegno
formativo che accompagni i professionisti coinvolti nell’esercizio della loro specifiche
attività educative e allo stesso tempo sia finalizzato all’incontro. Un piano formativo
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attraverso cui costruire, in modo congiunto, consapevolezze, saperi, atteggiamenti e
stili educativi, e soprattutto dove poter ridurre gli scarti, le distanze e realizzare infine
una continuità giocata sul campo grazie a pratiche educative condivise.
2. Competenze necessarie ai professionisti dell’Unosei
Nel Comune di Scandicci la formazione viene organizzata dall’Agenzia Formativa
in stretta collaborazione con L’Ufficio Educativo secondo una visione che la interpreta come un processo trasformativo, di supporto alla sviluppo professionale, un processo sottoposto ad alcune condizioni imprescindibili:
▪ durare tutta la vita professionale;
▪ coinvolgere tutto il personale, incluso quello precario;
▪ attraversare le diverse sfere esperienziali del singolo professionista;
▪ agire in profondità grazie ad un coinvolgimento attivo;
▪ generare consapevolezza.
Solo a partire da queste premesse -respingendo ogni tentazione di progettare una
formazione di tipo tecnico, limitata alle contingenze e alla risoluzione di problemi, collegata a un esclusivo apprendimento strumentale- si può contribuire a consolidare
una professionalità educativa poliedrica. Una professionalità impegnata a promuovere la crescita della persona bambino o bambina che sia, consapevole delle complesse dinamiche relazionali quotidianamente messe in atto fra sé e i bambini, i colleghi
del contesto di lavoro, le famiglie e la realtà più ampia di cui essa fa parte.
L’Agenzia Formativa si misura con l’impegno di organizzare per queste figure -che
operano congiuntamente nei Nidi d’Infanzia e nei Servizi 1-6- una significativa formazione in servizio che funga da leva di cambiamento professionale. Al fine di realizzare il compito con successo è particolarmente importante cercare di evidenziare le
competenze necessarie utilizzando i contributi teorici presenti in letteratura.
2.1 Identità professionale e expertise
La letteratura pedagogica definisce la professionalità educativa come una professione costituita da più dimensioni. I diversi autori/legislatori la descrivono come costituita non solo da competenze didattiche, ma anche da altre ineludibili competenze.
Sono tutti apporti che ribadiscono l’impossibilità di rintracciare per questa professione
un modello unico di saperi/capacità/competenze. Da ciò che emerge sembra che la
professionalità di chi è impegnato nei Servizi educativi sia caratterizzata da diverse
centrature. Volendo tentare una sorta di mappatura, sembra possibile rintracciarne
almeno quattro:
▪ expertise orientata ai bambini;
▪ expertise orientata alle famiglie;
▪ expertise orientata al lavoro collettivo;
▪ expertise orientata ai sistemi di qualità.
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Expertise orientata ai bambini
La prima centratura è rivolta ovviamente ai bambini e alle bambine. Il percorso di
costruzione dell’identità dei Servizi Educativi, che per il Comune di Scandicci si caratterizzano anche per la presenza del Servizio Unosei, è universalmente teso verso una
forte impronta educativa che guarda sia al benessere quanto agli apprendimenti.
Questo è l’esito del lungo dibattito pedagogico sempre intrecciato all’ operatività e
sempre sostenuto dalla ricerca scientifica, che ha offerto e valorizzato l'immagine di
un bambina/o competente, interlocutore attivo nei suoi rapporti con il mondo.
La domanda insistente che ha caratterizzato la discussione riguarda "chi educhiamo?". A questo interrogativo corrisponde oggi un accordo: riconoscere che il compito
fondamentale della scuola è quello di educare la persona in quanto essere unico ed
irripetibile. Ogni bambino, ogni bambina -caratterizzato/a da una propria storia personale, personali livelli di sviluppo, stili cognitivi e relazionali, intelligenze multiple, ma
anche altrettanti bisogni e desideri- ha la necessità di essere educato/a (e-ducere,
ovvero tirar fuori), nel senso etimologico del termine. Il bambino/a ha bisogno di essere accompagnato/a a scoprire il valore di se stesso/a, dell’altro/a, a divenire eticamente consapevole e a interagire con la realtà che lo/a circonda.
Tutti i nostri progetti educativi oggi si rivolgono alla zona di possibilità di ciascuno
(Vygotskji: 2003) ovvero a quel territorio in cui si possa far interagire ciò che precede
con ciò che sta per seguire, come transito dal passato al divenire del soggetto in crescita, ponendo una particolare attenzione al desiderio di apprendere del bambino/a,
generato da quello più esteso di essere, e di diventare altro e che motiva il processo
di scoperta di sé, dell’altro e del mondo. Solo così l’impresa educativa diventa dinamica, orientata a far diventare il bambino/a ciò che è, non attraverso atti autoritari con
cui il formatore decide a priori la direzione verso la quale andare, ma mettendo in atto
un processo aperto che risvegli le potenzialità che riposano in ciascuno, come personale modo di essere e di corrispondere al mondo.
Nell’evoluzione di questi servizi sono state adottate strategie, pensato e allestito luoghi per i bambini dove poter fare esperienze di relazione, di apprendimento, di prove di
cittadinanza partecipata. Tutto questo dà modo di riconoscere quanto ricco sia il patrimonio di buone pratiche pedagogiche e di saperi professionali sviluppati nel settore.
Expertise orientata alla famiglia
Quando si parla di servizi educativi Zerosei occorre anche tenere conto di altre
riflessioni che dimostrano che non basta più occuparsi in modo esclusivo dei bambini. Molti autori chiariscono che chi lavora con i bambini non può dimenticarsi dei
loro genitori. Accogliere l’intera famiglia, diventa così pratica abituale e non più
eccezionale; entra cioè a far parte dell’organizzazione e della normale gestione quotidiana. Il baricentro dell’attività dell’educatore/insegnante sembra essersi spostato
a favore di una professionalità centrata sulla competenze comunicative, che rivolge
attenzione non solo nei confronti dei bambini, ma anche verso gli adulti, siano essi
colleghi o genitori. Ognuno di questi interlocutori infatti pretende linguaggi, relazioni, ed è proprio questo fare relazionale che connota un nuovo modo di fare educazione/scuola (Catarsi: 2003).
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I servizi educativi Zerosei sono pensati, secondo una visione sistemica e complessa caratterizzata da logiche organizzative non basate sulla separazione, bensì sul
partenariato. L’educatore/insegnante diventa così interlocutore privilegiato della famiglia e di altre agenzie educative del territorio in cui opera e contribuisce, insieme alle
altre risorse presenti sul territorio, a costruire una cultura dell’infanzia in grado di contestualizzarsi e storicizzarsi.
Expertise orientata al lavoro collettivo
La collegialità costituisce un’altra caratteristica specifica della professionalità specifica impegnata nel Servizio Zerosei. Sicuramente ciò che abbiamo metabolizzato sul
lavoro di gruppo è l’importanza di inquadrare il gruppo di lavoro come una pluralità in
integrazione che attraversa diverse fasi: interazione, interdipendenza, e integrazione.
Fasi che conducono verso un territorio comune, costituito da linguaggi, aspettative,
modi di pensare, visioni e cultura condivisa. Sappiamo anche quanto il gruppo vada
supportato da un’ adeguata realizzazione e manutenzione, da consapevolezze sia
metodologiche che gestionali. La costruzione di un lavoro comune che coinvolge educatori e insegnanti comporta molte competenze da coltivare nel tempo professionale
quali: la capacità di ascolto, la disponibilità a capire le ragioni dell’altro, il decentramento, la consapevolezza del relativismo delle proprie credenze, la capacità di superare posizioni concettuali/ideologiche.
Expertise rivolta ai sistemi di qualità
Fin dal 1992 i documenti europei hanno definito alcuni indicatori per poter misurare la cosiddetta qualità dei servizi educativi. In questi documenti, aspetti quali l’accessibilità, la soddisfazione delle famiglie, le caratteristiche dell’ambiente fisico, i materiali, gli arredi, l’esperienza che il Servizio Educativo può offrire, sono posti sullo stesso
piano e strettamente interrelati con l’organizzazione del personale, la sua formazione,
il clima relazionale, gli obiettivi, le attività educative e il benessere.
Di fronte a queste indicazioni il mondo dell’educazione ha cercato di confrontarsi
con un Sistema qualità, scaturito dai contesti organizzativi e assai poco adatto a essere trasposto nell’ambito specifico senza alcun sforzo interpretativo. Si è così reso
necessario, nel tempo, tradurre il concetto qualità cercando di evitare il limite di vederlo collegato esclusivamente al controllo dei processi produttivi con lo scopo di far coincidere i prodotti con le attese dei bisogni del cliente
Far riferimento alla Qualità nei contesti scolastici significa trovare per questa, una
traduzione appropriata, coerente con le filosofie che guidano i progetti rivolti alla persona, che la interpretino soprattutto come un incontro tra un soggetto-utente/interlocutore e un oggetto-servizio offerto (Franceschini: 2000).
La Qualità di un servizio per noi, tutt’altro che identificata con l’essenza e con la
sostanza di quel servizio, si realizza nella funzione che esplica nei confronti del soggetto/utente. La qualità diviene un dialogo tra oggetto e soggetto e si configura soprattutto in quanto tramite tra utente e servizio offerto. Queste rappresentazioni entrano
nel nostro dibattito in modo tale che:
▪ la qualità non debba coincidere solo con la centralità dei bisogni degli utenti 48
pur riconoscendo loro un’importanza cruciale- ma venga legata soprattutto al
concetto di significatività, di benessere, e di educazione/formazione;
▪ la qualità non debba corrispondere con una proprietà attribuibile a un servizio,
ma sia da intendersi come fenomeno che si realizza in una relazione che coinvolge servizi educativi alla prima infanzia, scuola, famiglia, bambino, contesto
di vita.
3. QUALE FORMAZIONE
Nel tempo entrambi i ruoli educativi impegnati nel settore Zerosei, Educatore asilo
nido e Insegnante hanno assistito, a vere e proprie svolte responsabili del superamento di alcuni tratti professionali e stili educativi tradizionali fondati sul sentimentalismo,
sul mansionarismo, sull’ingegnerismo progettualistico e sul produttivismo tecnologico
(Cambi: 2003).
Come mai prima d’ora si avverte l’esigenza di un professionista dell’educazione in
possesso di competenze poliedriche che devono essere costantemente rinnovate,
integrate, messe alla prova, riconquistate. Un professionista capace di adottare continui spostamenti di prospettiva, di effettuare movimenti di interiorità ed esteriorità, di
sperimentare diverse modalità di pensiero e azioni. Detto in altre parole, un professionista costantemente in apprendimento. Nei contesti lavorativi, rappresentati dai
Servizi Educativi comunali i professionisti sempre più si confrontano con problemi che
non rientrano in schemi e strutture cognitive già acquisiti.
Queste considerazioni contribuiscono a far coincidere il lavoro educativo con una
professionalità orientata al fronteggiamento di situazioni complesse e instabili, dove
sempre più spesso sono richieste le capacità di saper utilizzare sia un pensiero orientato all’azione che una riflessione sui propri presupposti per poter entrare in dialogo
con l’esperienza, propria e altrui.
Negli ultimi tre anni di attività - all’interno di una offerta costituita anche da altri percorsi - si sono proposte occasioni che volevano suscitare una approfondita riflessione sui propri stili educativi e sugli apprendimenti dei bambini secondo un approccio
centrato sulle pratiche professionali.
Gli interrogativi di fondo che hanno mosso questa porzione di formazione triennale riguardavano la relazione educativa che sostiene l’apprendimento dei bambini a
partire dalle posture interiori e intellettuali, quelle scelte metodologiche, convinzioni,
intenzioni e conoscenze più o meno esplicite dell’adulto che vanno a caratterizzare
questa relazione. Le piste suggerite dall’itinerario triennale portavano su diverse zone
di considerazione: la prima riguardante le azioni agite dai professionisti, la seconda
inerente le azioni possibili, allenando così il pensiero al congiuntivo (Bruner: 1992), il
dubbio, la ricerca, la flessibilità del proprio posizionamento pedagogico.
I percorsi hanno costretto ogni insegnante ed educatrice a interrogare la propria
pratica professionale non parlando per “massimi sistemi” ma per esempi personali e
concreti in modo da esplicitare, osservare, confrontare, discutere e soffermarsi sui
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propri gesti professionali, atteggiamenti interiori, modalità conversazionali, e poter
riflettere su cosa li generi: quali premesse, teorie, pre/giudizi, saperi pregressi, memorie, affetti o emozioni.
Grazie alla metodologia adottata che ha previsto l’utilizzo di una serie di dispositivi formativi - scrittura, confronto verbale, narrazione di esperienze didattiche, conversazioni, creazione di strumenti di osservazione, ricerca di accordi collettivi- sono
emerse considerazioni tali da permettere la ricostruzione collettiva di un’idea più
generale sugli oggetti formativi proposti.
Ma vediamo quali sono state le premesse che hanno guidano le scelte in merito a
queste specifiche attività formative rivolte al Settore educativo comunale.
Conoscenze, conoscenze tacite e sapere pratico
Da qualsiasi ambito si parli, oggi è pressoché impossibile non attribuire importanza ai processi relativi al conoscere. Negli ultimi trenta anni, nel quadro degli orientamenti di ricerca di impostazione costruttivista, si è affermato con evidenza un incremento di attenzione nei confronti dei processi di costruzione della conoscenza e dell’uso che se ne fa all’interno dei contesti formativi (Scaratti: 2006). Ogni organizzazione contribuisce a far scaturire conoscenze precise, non normalizzate e non libresche,
un tipo di conoscenze caratterizzate da un proprio criterio di validità che offre la possibilità di generare sviluppo e crescita professionale
Inoltre è necessario sottolineare che il sapere professionale risente di tutta una
serie di elementi: credenze, rappresentazioni, conoscenze personali, teorie implicite,
ingenue, di senso comune o provenienti da esperienze o da una formazione precedentemente acquisita. Esso si presenta come una forma di conoscenza incarnata
nelle azioni e in quanto tale appare di natura volubile, inafferrabile, inconsapevole. La
cosidetta conoscenza tacita si presenta come un sapere acquisito e depositato nella
pratica, (Polanyi: 1979); è un tipo di sapere che scaturisce dalle abilità dei professionisti superando le conoscenze codificate e imparate pedissequamente dai libri di
testo.
Questa idea che una grossa parte dell’attività lavorativa si fondi sul conoscere tacito, fa emergere il bisogno di una formazione che sappia sostenere e includere al suo
interno il ruolo svolto dal sapere pratico.
Riflessione e riflessione in corso d’opera
Vari sinonimi indicano la riflessione essi sono: “indagare”,” esplorare”, “esaminare”, “valutare”. La radice etimologica latina di riflettere è “ritornare su”. “reflectere”,
acquista il senso di “ripiegare” perché è composto da “flectere”, cioè volgere, e da “re”,
indietro.
Con il termine riflessione si intende dunque una mente che si volge su se stessa,
sull’azione che viene compiuta e sulle relative scelte che guidano l’azione.
Pensando al lavoro quotidiano dei professionisti del Settore Educativo è assai
produttivo riferirsi alle loro attività, in quanto attività che richiedono un alto tasso di
riflessività.
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A partire dal concetto di pensiero riflessivo (Dewey: 1963) troviamo un costrutto
molto interessante ai fini dell’expertise professionale: la cosidetta riflessione in corso
d’opera (Schön: 1993) che in qualche modo ha a che fare con il processo di risoluzione dei problemi emergenti in situazione. Come agiscono gli educatori/insegnanti sull’ambiente per renderlo accogliente, stimolante per ospitare il gruppo dei bambini in
attività? Che prefigurazioni consapevoli seguono? A quali disegni si ispirano? Quali
strategie usano per mantenere la motivazione e l’attenzione dei bambini? E ancora,
come coordinano tra loro azioni, strumenti e metodi?
Sappiamo che i professionisti, mentre sono in azione, riflettono su ciò che fanno
anche se poi è molto difficile per loro saper riferire ad altri il perché e il come di questo agire. Immaginiamo di porre una serie di domande su una specifica azione da loro
compiuta: “cosa hai notato nella situazione che stavi affrontando?”; “quali procedure
hai messo in atto svolgendo questa attività?”; “quali criteri hai utilizzato per formulare
il tuo giudizio?”; “come hai strutturato il problema che hai cercato di risolvere?”.
Sicuramente per i professionisti dare risposte a questi quesiti può essere molto difficoltoso; difficoltoso perché durante l’ azione si realizza un processo nel quale i saperi teorici vengono utilizzati torcendoli nella concretezza delle diverse specificità situazionali.
Il concetto di riflessione in corso d’opera porta ad allontanarsi dal modello della
razionalità tecnica e a mettere da parte la logica che riduce le pratiche intelligenti e
le assimila a mere applicazioni della conoscenza o a decisioni esclusivamente strumentali.
Per i professionisti stimolare a posteriori l’esplicitazione del pensiero riflessivo che
si è compiuto durante un’azione didattica, significa incoraggiare la consapevolezza
dei processi metacognitivi che si realizzano in situazione. La pratica riflessiva può
diventare, se opportunamente trattata attraverso la formazione, come una conversazione con gli eventi lavorativo-scolastici e con i propri interlocutori.
È chiaro che queste specifiche sollecitazioni possiedono molte conseguenze formative e offrono la legittimazione all’Agenzia e al gruppo che si occupa della programmazione dell’attività formativa, a concentrarsi su percorsi che consentano una formazione a pensare/riflettere. Cioè una formazione che coinvolga questi gruppi di lavoro
-educatori e insegnanti contraddistinti da un bagaglio di saperi e di esperienze diverse- caratterizzata da una forte centratura sul concetto di riflessività, sulla ricerca e sui
processi collettivi di costruzione di senso.
Apprendimento trasformativo
Non si può affrontare nessun discorso sulla formazione in generale, tantomeno
sulla formazione destinata agli educatori/insegnanti senza affrontare il tema dell’apprendimento.
In questo caso si è scelto di appoggiarsi ad autori che ragionano, a proposito di
apprendimento adulto, in termini di teoria trasformativa.
È d’obbligo citare le tre dimensioni della conoscenza descritte da Habermas nella
Teoria dell’azione comunicativa e cioè dimensione strumentale, dimensione comunicativa e dimensione emancipativa. A partire da questi tre livelli si può dettagliare il fun51
zionamento di diversi tipi di apprendimento messi in atto dall’adulto. Se l’apprendimento strumentale sembra appoggiarsi a logiche empirico-analitiche, regolate da rapporti di causa-effetto, l’apprendimento comunicativo, al contrario, si concretizza grazie al consenso e gli accordi tra gli individui e permette la trasformazione dei vecchi
schemi di azione con nuove modalità. Ma è importante soffermarsi , per poter mettere a fuoco i dispositivi formativi più funzionali alla crescita professionale, anche su
altre modalità di apprendimento. Se ci concentriamo sull’apprendimento emancipativo possiamo ricavare senz’altro informazioni utili per la programmazione della formazione, ad esempio che è promosso dal pensiero riflessivo ed è una forma di apprendimento che permette di mettere in discussione le conoscenze pregresse offrendo al
professionista nuove possibilità di interpretazione dei precedenti modelli d’azione.
Infine l’ultima tipologia di apprendimento, quello cosiddetto trasformativo (Mezirow:
2003) si realizza quando, alla fine di un percorso formativo caratterizzato da precise
metodologie, i partecipanti – in questo caso educatori/insegnanti- sviluppano nuove
consapevolezze e nuovi schemi di significato o trasformano le prospettive di significato utilizzate fino a quel momento.
Anche questi apporti teorici sottolineano quanto il nucleo essenziale dell’apprendimento trasformativi sia rappresentato dall’esercizio riflessivo come attività mentale
in grado di trasformare profondamente i professionisti.
4. DARE FORMA ALLA FORMAZIONE. QUALI INDICATORI DI EFFICACIA
La formazione in servizio così declinata diventa uno strumento che può assolvere
all’obiettivo di sviluppo e di integrazione del personale impiegato. Può esserlo a patto
che incontri e faccia propria una riflessione sul progetto Zerosei e sulla programmazione educativo/didattica in modo da confrontarsi con diversi piani di lavoro e con un’
attenzione particolare al bambino e alla bambina in crescita. Gli eventi formativi per i
nostri professionisti diventano ancor più produttivi se si articolano secondo una serie
di scansioni e piste di lavoro che portino il personale a imparare a interrogare le esperienze e le proprie conoscenze per valutarle criticamente.
Per chi è responsabile di pensare/progettare formazione, la conoscenza degli
sfondi teorici più accreditati diventano necessario contributo anche nell’ottica di poter
costruire una serie di indicatori per riconoscere le offerte di formazione utili a promuovere lo sviluppo e a definire la soglia sotto la quale è meglio non avventurarsi.
È utile allora andare a dettagliare alcuni indicatori (Scaratti: 1998;1998b; 2006) a
cui possiamo far riferimento nel momento della valutazione di un progetto formativo
che voglia suscitare apprendimenti trasformativi:
▪ predominanza del relazionale;
▪ dinamiche di cambiamento collettivo;
▪ attenzione ai significati;
▪ analisi delle esperienze/conoscenze pregresse;
▪ atteggiamento rivolto alla ricerca;
▪ ambiente sufficientemente buono.
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Predominanza del relazionale
La predominanza del relazionale oltre a essere un elemento distintivo dei nuovi
scenari delle attività produttive e organizzative, è anche la componente inscindibile di
identità professionale dell’educatore. Riveste dunque fondamentale importanza il fatto
che la formazione di questi professionisti ponga l’accento sulla narrazione e sulla conversazione finalizzate non solo all’implemento di competenze interattivo-comunicative
(Scaratti: 1998). La comunicazione narrativo/conversazionale, come affermano la psicologia culturale e il costruttivismo situazionale/sociale, diventa uno strumento strategico per attivare i processi relazionali dell’attività mentale e cognitiva responsabili
della trasformazione e dello sviluppo e della costruzione del sé professionale.
Per questi motivi vengono valutati positivamente i progetti formativi che prevedono:
▪ situazioni dove l’incontro con l’altro (colleghi/ghe) sia finalizzato a imparare a
negoziare i significati incarnati nelle situazioni professionali;
▪ l’applicazione di un impianto metodologico di stampo socioculturale alle situazioni sociocognitive che si realizzano quando i professionisti sono impegnati in
processi di coordinazione negoziale della conoscenza.
Dinamiche di cambiamento collettivo
La formazione a cui si è fatto riferimento deve possedere una forte valenza collettiva. È infatti solo attraverso l’allestimento di un contesto collettivo che i racconti professionali e le conoscenze possono trasformarsi da privati e inaccessibili, a pubblici e
confrontabili, in esperienze condivise.
La stretta connessione tra la formazione e la ricerca di senso rimanda all’importanza di supportare processi di investimento dei professionisti nel loro diventare parte
attiva, co-protagonisti delle dinamiche di cambiamento che vivono. I professionisti
possono così apprendere a riflettere, secondo categorie nuove e con inediti punti di
vista, sulle dimensioni qualitative delle loro vicende. Possono inoltre sperimentare in
un ambiente protetto alcune situazioni utili a comprendere e a tollerare gli aspetti contraddittori di cooperazione e conflitto che costituiscono l’essenza della relazionalità,
per poi riuscire a trasferire questi apprendimenti anche nel quotidiano professionale
(Crozier: 1993).
Attenzione ai Significati
Si sottolinea l’esigenza di un impianto formativo dove i professionisti mettano in
atto il rapporto psicologico tra vedere/osservare e interpretare. Quando questo si realizza diviene possibile riflettere e interpretare collettivamente gli eventi a cui si partecipa quotidianamente e sostare su quei segnali della realtà che appaiono particolarmente incerti (Scaratti: 1998). Inoltre è importante per noi destinare uno spazio e un
peso alle dimensioni immateriali e culturali (come ad esempio schemi, immagini,
metafore, simboli) e far confluire queste dimensioni, strettamente connesse alla risorse umane e al loro ruolo costruttivo, all’interno dei percorsi.
Analisi delle esperienze professionali
Molti autori ritengono importante recuperare le esperienze che rappresentano il
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patrimonio comune dei professionisti (ibidem). È importante che la formazione in servizio consideri il contesto educativo/scolastico come un luogo di produzione di conoscenze, di norme e di valori validati, nel tempo. Essa deve dunque riconoscersi in
metodi, attività e dispositivi che consentano la messa a fuoco dei saperi situati all’interno delle esperienze professionali.
Atteggiamento rivolto alla ricerca
Una formazione che faccia da leva a un apprendimento trasformativo deve essere connotata da un atteggiamento verso la ricerca e la costruzione di senso (ibidem).
I contesti organizzativi sono luoghi naturali di apprendimento e di ricerca dove si
costruiscono negozialmente elaborazioni, soluzioni ai problemi, possibili risposte a
fronte di incertezze, imprevisti e contraddizioni
Questo si può realizzare solo se nel gruppo si crea un clima dove si coltivano:
▪ una grande disposizione all’ascolto e alla valorizzazione delle ipotesi proprie e
altrui;
▪ una tensione a rendere intelligibili, comunicabili e più coerenti conoscenze
complesse e ad accogliere situazioni lavorative problematiche e/o quotidiane.
Ambiente sufficientemente buono
Sappiamo anche quanto la formazione per rendersi ancor più efficace deve contare sull’allestimento di un ambiente sufficientemente buono - come ebbe già dire
Winnicott nel 1974 - in grado di consentire la creazione di legami sociali di apprendimento (ibidem).
È importante, dunque, che i processi relativi al conoscere - siano essi di acquisizione o di condivisione - siano affrontati anche nella dimensione affettiva, oltre che
intersoggettiva e cognitiva. La traduzione di queste affermazioni comportano l’individuazione di momenti formativi in cui i soggetti possano costruire legami tra loro, una
sorta di scaffolding che aiuti a pensare e a pensarsi in modi diversi. La condizione di
ambiente sufficientemente buono costringe l’impianto della formazione a prestare
attenzione all’organizzazione delle situazioni formative, in particolare a tutti gli elementi riguardanti le interazioni tra i soggetti e il loro rapporto con la realtà.
INFINE
Concludendo questa discussione si può sostenere che, accanto ad altri strumenti
utili allo sviluppo professionale del personale assegnato al Nido d’Infanzia e al
Servizio Unosei, possa trovare spazio un tipo di formazione che, per contenuti e metodi, si configuri secondo quanto detto fin ora e secondo le tre puntualizzazioni sotto
riportate.
Una formazione che recuperi:
a) i saperi pratici sganciati dalle ortodossie teoriche messi in atto nel contesto
educativo/scolastico e il lavoro mentale che porta ad adeguare e a personalizzare i saperi e le conoscenze;
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b) il pensiero riflessivo e la riflessione che impegna il professionista durante l’azione professionale.
Una formazione che realizzi:
a) le condizioni d’uso per l’esercizio di pratiche di pensiero, di riflessione e di elaborazione funzionali alla costruzione di un sapere significativo utile all’esercizio professionale;
b) un lavoro di de-costruzione dei modelli d’azione obsoleti seguito da un percorso di ri-costruzione delle conoscenze utili nel contesto di azione;
c) apprendimenti condivisi e stabili nel tempo in grado di trasformare le prospettive di significato proprie della comunità dei professionisti coinvolti.
Una formazione strutturata secondo logiche di accompagnamento al pensare,
discutere, riflettere sulle strutture portanti e sulle premesse che guidano le prospettive di significato dell’agire professionale.
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