Azione - Settimanale di Migros Ticino Di terrazzi e di fantasmi

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Azione - Settimanale di Migros Ticino Di terrazzi e di fantasmi
Di terrazzi e di fantasmi
In Val Rovana di fronte a Linescio e ai suoi terrazzamenti un paese fantasma si
nasconde tra le fronde del fitto bosco
/ 20.02.2017
di Elia Stampanoni, testo e foto
Linescio è il primo villaggio della Val Rovana, lo si raggiunge superando i 220 metri di dislivello che
lo separano da Cevio. L’approccio è faticoso, ma subito i terrazzamenti recuperati sui ripidi pendii
danno fiato e invogliano la sosta, facendo volgere lo sguardo all’insù.
Si tratta complessivamente di 25 chilometri di muretti, opere recuperate nell’ambito del progetto
«Linescio, villaggio terrazzato» e che hanno ridato luce e visibilità a un territorio tipico del passato
rurale. Circa 27mila metri cubi di pietre furono accatastate con cura per creare degli indispensabili
terreni: qui si coltivavano cereali, patate, ortaggi e anche qualche pianta di vite. Superfici strappate
al bosco e alla montagna selvaggia che sfamavano le circa 300 persone che a metà dell’800 ancora
abitavano il paese della Val Rovana, a 664 metri di altitudine.
Il pendio terrazzato oggi è utilizzato per produrre fieno e foraggio, erba che cresce al sole che qui
splende da primavera a ottobre, per poi scomparire quasi interamente in inverno, per almeno due
mesi. Di fronte a Linescio, il sole splende ancora meno, ma anche qui la popolazione trovò terre e
superfici adatte alla sopravvivenza. Scendendo verso valle in prossimità della chiesa di Linescio,
presto si raggiunge un piccolo ma solido ponticello in sasso che permette di scavalcare il fiume
Rovana. Il manufatto, datato 1700, immette in un sentiero che indica la frazione di Faido e, dopo una
ripida scalinata coperta di muschio, in poco tempo si raggiungono le prime case, diroccate, i primi
muretti e i primi terrazzamenti.
Risalendo a quota 700 metri sul livello del mare, come dal nulla sbuca Faido, un paese fantasma,
come l’ha definito Daniel Bilenko nel suo programma «soggetti smarriti» (edizione del 19 giugno
2016, RSI ReteUno). In dialetto locale è anche chiamato Faid o Faïd, ma sulle carte e sui cartelli
appare la dicitura Faido. Sul posto non un paio di case abbandonate, ma un intero villaggio, sorto sul
sentiero che da Linescio conduce più giù, a Cevio, sul lato destro della valle. All’imbocco pure una
cappella, restaurata nel 2011, mentre all’interno del villaggio, distribuito lungo il cammino, una
serie di costruzioni: stalle e cascine, ma soprattutto abitazioni, delle case imponenti, costruite anche
su due o tre piani con sassi e legno. L’acqua, segnale di vita, scorre a due passi in un riale e si fa
sentire in sottofondo, mentre per il resto regna il silenzio. Anche qui i terreni sono in forte pendenza,
ricoperti oggi dal bosco che avanzando ha soppiantato prati e pascoli.
Come a Linescio, per creare dei pianori adatti alla coltivazione furono costruiti dei terrazzamenti,
muri ancora integri e disposti attorno al paese, dove trovano pure spazio dei rudimenti di quelle che
potevano essere delle cantine. Nelle vicinanze resistono anche alcune radure, così come diversi
castagni maestosi, molto probabilmente tra le fonti più importanti per il sostentamento della
popolazione. Nel cuore del villaggio, quasi intatta, troviamo di fatto anche una grà (il metato), un
piccolo stabile a due piani dove la gente del posto essicava le castagne per superare i lunghi inverni.
Al pian terreno si accendeva il fuoco, al piano superiore le castagne, disposte accuratamente sulla
graticola. Si può quindi immaginare Faido come un villaggio autosufficiente, ricco e rigoglioso, ma
abbandonato a un certo punto della sua storia, si presume attorno al 1800.
Non sembrano esserci documenti o ulteriori informazioni su Faido, forse trascurato come altri luoghi
simili per motivi di mobilità, di sussistenza, per epidemie o forse anche per catastrofi naturali. Oggi
rimangono solo tanti sassi, tante pietre messe l’una sull’altra con cura e ingegno a formare un
nucleo, in parte compatto. Costruzioni che hanno resistito all’abbandono, alle intemperie e
all’avanzata del bosco.
Su alcuni edifici c’è pure un cartello «in vendita», come a dare speranza per una seconda vita. Per
ora ad ammirarlo solamente alcune capre al pascolo che nelle vecchie stalle ancora trovano rifugio,
oppure i passanti che forse increduli si faranno domande su questo paese fantasma, di fronte a
Linescio con suoi terrazzamenti come punto d’unione.