INTERVISTA A SANDRO CALVANI “Tutti i bambini in ogni parte del
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INTERVISTA A SANDRO CALVANI “Tutti i bambini in ogni parte del
INTERVISTA A SANDRO CALVANI “Tutti i bambini in ogni parte del mondo sono di natura pacifisti” Chi è Dr. Sandro Calvani, direttore esecutivo (da Agosto 2010) del Centro ASEAN sugli Obbiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite, Bangkok, Thailandia e docente di Affari Umanitari nelle Relazioni Internazionali presso il Corso di Master in Relazioni Internazionali della Webster University (USA). Membro del Consiglio Globale sulla Povertà del World Economic Forum (Davos). Membro del Consiglio Scientifico dell’Istituto di Diritto Internazionale della Pace G. Toniolo dell’Azione Cattolica Italiana, Roma. Rif. capitolo Chi ha lavorato con noi Conosciamo tutti l’importanza demografica e familiare dei bambini; ma si può provare a spiegare, invece, la loro importanza antropologica nel senso di quanto determinano la società e dunque la realtà di un popolo? Credo che l’importanza antropologica dei bambini nel determinare la società e dunque la realtà di un popolo sia molto diversa da una cultura all’altra. Un fattore comune è certamente quello della scarsa importanza sociologica dei bambini praticamente ovunque. Tutte le culture hanno infatti delle pratiche di iniziazione o di passaggio dall’infanzia ed adolescenza all’età adulta. Tali pratiche -antropologicamente molto radicate e rispettatedimostrano che esiste una soglia da superare, a volte un vero e proprio muro, che separa i diritti degli adulti da quelli dei bambini. Raggiungere una certa età, acquisire certe capacità, provare certe conoscenze o forze, è ritenuto necessario per avere accesso ai diritti degli adulti. Il fatto che i bambini sembrano “minori” alla prima occhiata, almeno in età, esperienza, altezza, peso e forza muscolare, quasi ovunque diventa una giustificazione per considerarli pure soggetti “minori” nella società in termini di diritti. Questo modo superficiale e disumano di riconoscere i diritti è molto diffuso in ogni angolo del mondo: infatti non succede solo per i bambini, ma anche per altre categorie deboli, come le donne, gli anziani, i portatori di handicap, i malati, le minoranze etniche, etc. Ma curiosamente perfino all’interno delle categorie discriminate si ripete un’ulteriore discriminazione, così i bambini contano di meno tra i diseredati, tra i rom, tra i portatori di handicap, etc. Nelle società dove ogni diritto elementare come la sicurezza alimentare e la salute non sono garantiti e si ottengono con una specie di competizione diseguale per poterli godere, i bambini sono sempre le prime vittime della diseguaglianza. E quando la mancanza di equità è tra i poverissimi, essa ha conseguenze più gravi di quelle causate dalle altre forme di diseguaglianza. Ad esempio la differenza tra un povero ed un ricco in una società complessa è che uno mangia pane secco e acqua e l’altro caviale e champagne, uno dorme in un centro accoglienza poco riscaldato e l’altro in un hotel a cinque stelle con tutti i confort. In una società poverissima, invece, il bambino muore di fame perché non può prendersi la sua dose di riso e muore di freddo o di malaria perché non può proteggersi mentre dorme. I genitori di un villaggio povero lasciano letteralmente morire di fame un bambino se non c’è cibo per tutti in famiglia, perché ritengono giusto dare priorità ai genitori che possono proteggere gli altri figli o fare un altro figlio. E in una società ricca, tali discriminazioni sono più subdole ma vanno nella stessa direzione. Perché si tende a pensare ai bambini solo come “adulti piccoli”, meno maturi e meno consapevoli, e non viene invece rinosciuto loro, in quanto persone, una propria e specifica realtà con le conseguenze che ciò comporta? La causa principale di questo errore concettuale è la convinzione diffusissima che non siamo tutti soggetti di uguali diritti, senza differenza di età, genere, ceto e credo religioso. Se si accetta il principio che il sindaco è più di un cittadino, il Papa è più di un parroco o di una perpetua, il padrone è più di un operaio, allora è ovvio che anche gli adulti piccoli hanno diritti minori. Se invece si parte dal principio che ogni essere umano è portatore degli stessi diritti, non possono più esistere tutte le altre caste, più o meno inventate, per mettere i diritti di qualcuno al di sopra di quelli di altri. Ad esempio la violenza tra persone è illecita in quasi tutti i paesi del mondo, ma è lecita o tollerata quasi ovunque se perpetrata dai genitori sui bambini. In alcuni paesi del Commonwealth (che si gloriano di condividere alcuni principi legali comuni derivati dal secolare diritto britannico) ancora oggi le percosse sui bambini a scuola sono regolamentari e dunque obbligatorie. È addirittura fuori legge l’educatore che non lo fa. Ho sentito con le mie orecchie dei leaders del G8 (e non dei dittatori del Terzo Mondo) dichiarare con convinzione che certe proposte di conservazione ambientale e di contenimento del cambio climatico non si possono mettere in pratica, perché “sarebbe come prestare attenzione ai diritti delle prossime generazioni, le quali -vi piaccia o no- non votano”. In molte società l’invecchiamento porta con sé una continua crescita di importanza sociale, di rispettabilità, di applicabilità pratica dei diritti: sono numerose le società dove si potrebbe quasi stabilire una relazione proporzionalmente diretta delle spese e dell’uso dei beni pubblici e privati con l’età dei fruitori. Ci sono movimenti di opinione politica pronti a scendere in piazza e fare uno sciopero se una legge o una tassa è iniqua per una categoria di persone, ma nessuno si è mai sognato una tale sollevazione popolare contro le tante iniquità a danno dei bambini o delle prossime generazioni. Ancora peggio: l’uguaglianza verso i minori si applica invece in certi paesi, nei luoghi e nelle forme dove è palesemente una crudeltà. Ad esempio si ammettono i minori in carcere, o perchè ci sono nati o ci sono accompagnati dalle madri, o perchè la legge condanna e punisce i minori che compiono un crimine allo stesso modo degli adulti. Si fanno lavorare i minori tante ore quanto gli adulti, un fatto di per sè condannato dal diritto internazionale, ma poi si pagano un terzo degli adulti. Si reclutano bambini e bambine soldato per farne degli schiavi, o carne da macello, o per far fare loro le stragi che possono essere poi scoperte come reati punibili a guerra finita. A volte, la solidarietà e la cooperazione internazionali, fanno dei bambini dei Paesi poveri un’icona pietosa, e raramente, per non dire mai, provano ad immaginare la loro importanza in quanto forze attive nel futuro dei popoli. Qual è il suo pensiero al riguardo? La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia è stata approvata all’unanimità dalle Nazioni Unite nel 1989 e poi ratificata da tutti i paesi del mondo tranne la Somalia e gli Stati Uniti. Ci sono voluti 60 anni di consultazioni perché il mondo si mettesse d’accordo sul suo contenuto. Prima del 1989 forse si poteva ritenere che il fine della raccolta fondi a favore dei bambini poveri giustificasse i mezzi, e quindi l’uso di immagini pietose. Dopo il 1989 tali pratiche sono del tutto illecite in termini di diritto internazionale. Ma, perfino dove la Convenzione è rispettata, l’attitudine prevalente è quella di evitare comportamenti proibiti verso i bambini, cioè si parte dal rispetto dei doveri degli adulti. Si considera molto meno, o per nulla, l’importanza dei diritti di partecipazione sociale e politica dei minori. Ad esempio tutti i bambini in ogni parte del mondo sono di natura pacifisti e non aggressivi verso altri, sia- no essi di diversa religione o diversa etnia. Ma la loro opinione non conta nulla per gli adulti che prendono decisioni a favore della guerra, perfino obbligando i bambini a diventare bambini-soldato o giovani reclute non appena raggiungono la maggiore età per combattere una guerra che non hanno voluto. Sono rarissime le esperienze dove ai bambini viene riconosciuto uno spazio di progettazione sociale e di protagonismo nella società, ma le poche realtà esistenti dimostrano che non si tratta di sogni ed utopie, ma di innovazioni sociali possibili ed efficaci ben al di là delle sperimentazioni. Per citare un esempio che conosco bene, i Model United Nations nei licei, sperimentano forme di consultazione internazionale e costruzione del consenso, realizzate da ragazzini, con dei risultati di capacità di superamento dei conflitti molto più creativi e sostenibili dei modelli reali messi in atto dai diplomatici. Cosa potrebbero fare i Paesi cosiddetti “donatori” per mettere in essere programmi di sostegno in favore dell’infanzia adeguati oltre all’assistenza umanitaria, sebbene quest’ultima sia fondamentale? Il mondo è cambiato enormemente da quando nel 2000 l’umanità ha firmato la dichiarazione del Millennio e gli Obbiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite. Siamo diventati tutti molto più interdipendenti in mille forme. Siamo poi sicuri che i paesi cosiddetti donatori siano davvero tali? Per esempio la rete mondiale Tax Justice stima che il flusso di trasferimenti di denaro dai paesi poveri verso quelli ricchi rappresenti almeno dieci volte l’aiuto totale allo sviluppo. Sono soldi rubati ai paesi poveri che vanno “perduti” in investimenti e depositi bancari dei paesi ricchi, sono tasse evase dalle imprese che fanno lavori pubblici in quei paesi, sono il risultato della corruzione diffusissima nel Nord come nel Sud dove si accettano conti bancari numerati, anonimi, esentasse, invisibili a tutti eccetto che ai loro proprietari. Non c’è spazio qui per elencare tutti i comportamenti etici che bisognerebbe introdurre nella nostra vita di tutti i giorni che aiuterebbero a ridurre l’ingiustizia nei paesi poveri. Ma la domanda corretta è piuttosto se esistono maggioranze nelle democrazie moderne disposte a pagare il giusto costo di un caffé o di un iPad quello se i paesi produttori fossero pagati anche solo la metà di quanto siamo pagati noi. Impegnarsi per ri-disegnare il diritto mondiale dei commerci, dei beni comuni globali come l’energia, il clima, l’acqua costa parecchia più fatica e determinazione che fare una colletta per un buon progetto di sviluppo nei paesi poveri; ma se non lo facciamo, anche i progetti di sviluppo diventano parte delle nostre contraddizioni da cittadini globalmente irresponsabili. Nei paesi poveri il confine fra infanzia e adolescenza è molto sottile e ravvicinato poiché la vita li obbliga a diventare presto adulti. Un popolo con una “infanzia negata” non crede che sia un popolo mutilato? Un popolo con un’infanzia negata è un popolo mutilato della gioia, del ricordo, della speranza di una famiglia che ha bambini veri che saranno adulti veri. E purtroppo non esistono protesi per risolvere una mutilazione così definitiva. La sociologia e la psicologia dell’infanzia hanno stra-dimostrato che senza vera e piena infanzia ed adolescenza non nascono adulti completi, capaci di costruire una società pacifica e attenta ai diritti di tutti. Trascurare i diritti dei bambini di oggi porta con sè il rischio elevatissimo di far fuori anche le speranze della generazioni future che non sono ancora nate.