Azione - Settimanale di Migros Ticino Un anno cruciale per l`uomo
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Azione - Settimanale di Migros Ticino Un anno cruciale per l`uomo
Un anno cruciale per l’uomo forte cinese Le sfide di Xi – Il 2017 si prospetta un anno pieno di incognite per il segretario del Partito Comunista sia sul fronte interno sia su quello internazionale, che lo vedrà impegnato nel confronto con la politica asiatica del nuovo presidente americano / 16.01.2017 di Beniamino Natale Il 2016 è stato un anno positivo per il segretario del Partito Comunista, comandante in capo delle Forze Armate e presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, che ha rafforzato la propria posizione sia in patria che sulla scena internazionale. In ottobre Xi, che ha 63 anni, ha ottenuto dal VI plenum del Comitato Centrale il titolo di «core leader» – «centro» o «cuore» del Partito – una conferma della sua forza politica che lo mette nelle condizioni migliori per affrontare un 2017 pieno di incognite, prima di tutto quella della politica asiatica del nuovo presidente americano Donald Trump. La qualifica di «centro» del Partito era stata in passato attribuita a tre dei predecessori di Xi, – Mao Zedong, Deng Xiaoping e Jiang Zemin – ma non a Hu Jintao, «numero uno» del regime di Pechino dal 2002 al 2012. Con questo riconoscimento Xi affronterà da una posizione di forza le trattative tra le varie fazioni che avranno luogo nei prossimi mesi, in vista del 19esimo Congresso del Partito, previsto per l’ottobre del 2017. Il Congresso sceglierà il nuovo Ufficio Politico – il mitico «Politburo» nella parlata sovietica ancora in uso nella «nuova Cina» – e il suo standing committee, l’organismo più potente del Paese, che ora è composto di sette membri, cinque dei quali hanno superato il limite di età che è stato considerato fino ad oggi insuperabile (anche se, come vedremo, questa regola non scritta potrebbe essere abolita). Inoltre, dovranno essere sostituiti – secondo il quotidiano «Epoch Times», pubblicato negli Usa da fuoriusciti cinesi – «due quinti dell’attuale Politburo e almeno la metà dei 376 membri del Comitato Centrale». Hu Jintao è stato il primo – e a quanto sembra l’ultimo – leader a rappresentare una dirigenza collettiva nella quale il presidente della Repubblica e segretario del Partito era un «primus inter pares», non un monarca assoluto. Dopo Mao, Deng, dopo Deng, Jiang: ogni nuovo leader aveva un po’ meno potere del predecessore, in un graduale cambiamento della natura del potere cinese voluto proprio da Deng Xiaoping, e assecondato dagli altri «grandi vecchi» della politica cinese per evitare che si riproducessero tragedie come il Grande Balzo in Avanti e la Rivoluzione Culturale, le iniziative politiche di Mao che avevano gettato il Paese nel caos e nella violenza. Questo processo si è ora interrotto: Xi ha concentrato tutto il potere nelle sue mani dominando direttamente o con suoi fedelissimi i comitati che ha creato per la supervisione di tutti gli aspetti della politica e dell’economia. Gli esperti ricordano che sia Jiang Zemin che, in misura minore, Hu Jintao hanno ancora dalla loro parte migliaia di funzionari, a tutti i livelli del Partito e dello Stato, e Xi dovrà faticare per imporre le sue scelte. Il suo potere si basa sulla spietata lotta che ha intrapreso contro la corruzione colpendo, nelle sue parole «sia le mosche che le tigri» – cioè i funzionari di basso e di alto livello. Il suo strumento è la Commissione Centrale per le Ispezioni di Disciplina o CCDI che è guidata dal suo alleato Wang Qishan, il quale compie quest’anno 69 anni. Una regola non scritta chiamata in cinese «qishang, baxia» (sette in su, otto in giù), stabilisce che i funzionari che hanno più di 68 anni debbano essere mandati in pensione. Un alto funzionario, Deng Maosheng, ha affermato nel corso del plenum che questa regola si basa sul «sentito dire» e in sostanza non è mai esistita. Non solo. «Dopo il sesto Plenum, il cui tema è stato quello di promuovere disciplina e comportamenti morali fra i funzionari del Partito e gli impiegati statali, la CCDI ha ottenuto permessi dal Comitato Centrale del Partito di incrementare ancora di più il proprio potere», ha scritto Willy Lam, insegnante all’Università di Hong Kong e autore di numerosi libri e articoli sulla politica cinese. Lam aggiunge che negli ultimi mesi è emersa una fazione che fa riferimento a Wang, che si basa sulla promozione di alcuni dei suoi collaboratori quando era sindaco di Pechino e responsabile in varie vesti della politica commerciale e finanziaria della Cina. Il 19esimo Congresso dovrebbe indicare anche il successore di Xi Jinping e quello del premier Li Keqiang. Xi e Li sono gli unici due membri dell attuale standing commitee che non superano il limite dei 68 anni. Sul piano internazionale, Xi Jinping avrà il difficile compito di rispondere alle mosse di Trump, che al momento sono impossibili da decifrare. L’anno scorso, il leader cinese ha messo a segno un paio di colpi di notevole importanza, concludendo significativi accordi di collaborazione con la Malaysia e le Filippine, due dei Paesi asiatici che hanno sul Mar della Cina Meridionale rivendicazioni antitetiche a quelle di Pechino. Di particolare rilevanza la rinuncia del discusso presidente filippino Rodrigo Duterte a usare a favore del suo Paese il giudizio della Corte Internazionale di Arbitrato dell’Aja. Interpellata dal suo predecessore, Benigno Aquino III, la Corte ha stabilito che le rivendicazioni della Cina su due isolotti che si trovano a poche miglia marittime dalle coste delle Filippine non hanno alcuna base storica e di diritto. Duterte ha annunciato la rinuncia nel corso di una visita in Cina, nello scorso ottobre. Anche il primo ministro malese, Najib Razak, si è dichiarato favorevole alle trattative bilaterali – da sempre caldeggiate dalla Cina in contrasto con quelle internazionali e/o regionali – durante una visita a Pechino, all’inizio di novembre. Sia Duterte che Razak sono in difficoltà, il primo per le critiche che vengono mosse al suo programma di «lotta alla droga» basato sulle esecuzioni extragiudiziali dei sospetti trafficanti e consumatori (che in dicembre hanno superato le 5000), il secondo perché accusato di corruzione in uno scandalo con ramificazioni internazionali. Anche Vietnam, Brunei e Taiwan hanno rivendicazioni sulle frontiere marittime in contrasto con quelle della Cina. Pechino è insorta contro la decisione della Corea del Sud di schierare il sofisticato sistema antimissilistico americano chiamato Terminal High Altitude Area Defense (THAAD). La crisi in corso a Seul potrebbe portare entro pochi mesi alle dimissioni della presidente Park Geun-hye – anche lei accusata di corruzione – e in seguito all’elezione di un nuovo Parlamento. Considerando l’aggressività della Corea del Nord, alleata di ferro di Pechino, appare improbabile che un prossimo governo sudcoreano rinunci a quella scelta. Secondo il ministro delle Finanze di Seul Yoo Il-hoo, il governo cinese avrebbe già cominciato a esercitare «pressioni indirette» sulle imprese sudcoreane che hanno interessi in Cina per indurle a fare a loro volta pressioni sul governo perché rinunci al THAAD.