Premessa A quattro anni dalla morte, Proust è

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Premessa A quattro anni dalla morte, Proust è
Premessa
A quattro anni dalla morte, Proust è ancora un romanziere autopubblicato. In quindici anni di collaborazione,
il suo banchiere Lionel Hauser gli vede scialare quasi tre
quinti della propria ricchezza in speculazioni disastrose e
doni favolosi agli uomini e alle donne di cui si invaghisce.
Tocca a Hauser arginare il danno durante la Prima Guerra Mondiale. Per Hauser il tempo è denaro: a suo modo
di vedere, Proust li spreca entrambi, tempo e denaro, giocando stupidamente in borsa oppure restandosene tutto il
giorno a letto a scrivere dello scorrere effimero del tempo. Il banchiere vede nello scrittore la personificazione
del “tempo sprecato”. Ma Proust la pensa diversamente:
per lui il “tempo perduto” cui dedica il proprio romanzo
è la bussola dell’esistenza umana, ed è disposto a giocarsi
tutto su quest’idea. E alla lunga è proprio il “tempo perduto” a indicargli la rotta giusta: ogni sua perdita in borsa si
converte in un episodio vitale di À la recherche du temps
perdu, un editore illuminato trasforma le pagine del suo
romanzo in denaro sonante, e frattanto una sua speculazione di lungo termine dà risultati insperati. Tanto che Proust
muore lasciandosi dietro un patrimonio pressoché intatto,
un romanzo destinato a fare la fortuna di eredi ed editori, e
un amico banchiere frastornato dal potere misterioso della
passione letteraria.
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Introduzione
Lionel Hauser entra nella vita di Marcel Proust per la
porta di servizio. Gli amici più cari dello scrittore sono
di sangue blu — Louis d’Albufera, il principe romeno
Antoine Bibesco, Bertrand de Fénelon, Robert de Billy,
Gaston de Caillavet e Robert de Montesquiou, per citarne
alcuni. E quelli tra i suoi amici che non appartengono alla
nobiltà sono ex allievi del prestigioso Lycée Condorcet,
frequentato da Proust negli anni dell’adolescenza: sotto la
guida e supervisione dello scrittore in erba, Jacques Bizet, Daniel Halévy, Robert Dreyfus e parecchi altri hanno contribuito con saggi di argomento estetico-letterario
alla rivista di breve vita, Le Lundi, fondata da loro stessi,
e hanno pure condiviso l’insegnamento del professore di
filosofia Alphonse Darlu; è da Darlu che Marcel Proust,
futuro autore di Alla ricerca del tempo perduto, ha appreso
che l’identità individuale è discontinua nel tempo e acquista unità solo attraverso la sintesi dell’esperienza con la
memoria. Da parte sua, Hauser è un banchiere provetto,
digiuno di questioni estetiche e filosofiche (benché a Parigi si converta, col piglio dell’autodidatta erudito, alla teosofia). Ma anche nel campo in cui eccelle, Hauser si trova
subito spiazzato rispetto a Proust: per parte di madre, questi proviene (al pari di Hauser) dalla borghesia finanzia­ria
ebrea, e a curarne gli interessi patrimoniali sono due tra i
banchieri più influenti del mondo, i fratelli Rothschild.
A tutta prima potrebbe sembrare che sia Hauser ad
avere bisogno di Proust, e non viceversa. Il banchiere si
è appena stabilito a Parigi dopo una folgorante carriera
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in mezza Europa, ed è in cerca di clienti. Senza stare a
menzionare il privilegio, che Hauser potrebbe ottenere
dalla frequentazione dello scrittore, di un’introduzione al
mondo dell’arte e della cultura parigine ove questi è di
casa, molti degli amici di Proust sono “oberati da un certo
numero di milioni” e potrebbero beneficiare dei servizi
di Hauser. (Parlo al condizionale in entrambi i casi perché né l’accesso privilegiato al mondo della cultura né
l’acquisizione di nuovi clienti dall’entourage dello scrittore si concreteranno mai per il banchiere, per motivi indipendenti in genere dalla volontà di Proust, e legati, nel
secondo caso, al controllo esercitato dagli altri banchie­
ri ebrei sull’alta finanza parigina.) Ma è Proust ad avere
bisogno di Hauser, sebbene non se ne renda ancora conto; a deciderlo è stato Léon Neuberger, imparentato tanto
con il banchiere che con lo scrittore, e che si occupa del
patri­monio di Proust presso la banca Rothschild. Com’è
abitudine dei dirigenti di questa banca, Neuberger amministra gli affari dei suoi clienti nel modo avveduto e certosino che ha contribuito ad ingigantire alcune tra le più
grandi fortune d’Europa. Non ha tempo da perdere con
il cliente prolisso ed imprudente che è Marcel Proust, il
quale, sull’esempio di amici troppo ricchi, ama speculare
nel campo della finanza con la stessa avventatezza con
cui gli piace giocare d’azzardo; d’altro canto, vuole proteggere il patrimonio del cugino da scossoni troppo vio­
lenti. Quando Lionel Hauser annuncia di essersi stabilito
in città, Nueberger afferra l’opportunità di beneficiare due
cugini alla volta, procurando un cliente al banchiere e un
consigliere finanziario allo scrittore.
Hauser ha quarant’anni, quattro più di Proust, quando
accetta di occuparsi delle finanze dello scrittore, e si trova presto a rivestire i panni del fratello maggiore. Proust
è già entrato nella spirale della malattia indiagnosticabile
che concluderà prematuramente i suoi giorni quindici anni
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Alla ricerca del tempo sprecato
dopo. Esce di rado, e quando lo fa, è specialmente al fine
di scrutinare i manierismi e i difetti degli amici e conoscenti sui quali comincerà presto a modellare i personaggi
del suo grande romanzo. Hauser non soffre di alcuna delle
eccentricità satirizzate nella Ricerca del tempo perduto;
dunque Proust trova molto di rado il tempo per vederlo
di persona. I due comunicano per lettera, ed è tramite il
loro nutrito epistolario che siamo in grado di ricostruire le
sfumature e i dettagli più riposti del loro rapporto. Questa
raccolta di lettere permette, anzi incoraggia, la definizione
di un genere letterario particolare, quello dell’idillio epistolare. Come vedremo, Proust e Hauser sono i personaggi
principali di questo idillio, affiancati da molti altri, in un
affresco a tinte talora forti ed oltraggiose, in cui momenti
di feroce conflitto tra i due protagonisti si alternano a pause di grande affetto e tenerezza.
Hauser predilige la maniera buonsensistica di ragionare e di procedere che in effetti gli permetterà di sbrogliare
le complesse matasse finanziarie ingarbugliate dall’amico
scrittore. Gli piace addirittura identificare nel “buon senso” la scintilla del sapere divino che è riposta nella coscienza di ogni uomo; per mezzo di questo suo buon senso, che usa a mo’ di bussola per orientarsi tra gli ostacoli
della vita, Lionel è convinto di poter risolvere non soltanto
le difficoltà finanziarie ma anche i problemi cronici della
salute di Proust. Proust, dal canto suo, è un artista decadente e per niente pragmatico, per il quale contano più le
intenzioni dei risultati concreti; il suo è un mondo cerebrale imperniato su una proliferazione di simboli e metafore. Nel secondo volume del suo romanzo contrappone
al buon senso, tanto apprezzato dal suo amico banchiere,
la propria bontà d’animo; non c’è dubbio, scrive in questo
volume, À l’ombre des jeunes filles en fleurs, in polemica
deliberata con le idee di Hauser, che la bontà, piuttosto del
buon senso, sia la virtù più diffusa al mondo.
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Altre differenze rilevanti distinguono lo scrittore dal
banchiere. Quella cruciale ha a che fare con la gestione
del tempo. Hauser detesta perdere tempo e rifugge pertanto le occasioni e gli incontri che lo distolgono da attività produttive o profittevoli per sé e per coloro che gli
stanno a cuore. A suo modo di vedere, Proust, che passa
la maggior parte del tempo a letto, è la personificazione
del tempo sprecato, e ne diviene addirittura il propagandista quando comincia a pubblicare, l’uno dopo l’altro a
partire dal 1913, i numerosi volumi di un romanzo dedicato, precisamente, allo scorrere effimero del tempo. Proust
vede invece nel tempo perduto la bussola dell’esistenza, la
fonte principale da cui, tramite l’esercizio della memoria
e l’analisi sistematica dell’esperienza, scaturisce il senso
della vita e il significato della sofferenza umana. Un’altra
differenza che distingue lo scrittore dal banchiere riguarda
l’economia dell’amicizia. Hauser è sospettoso dell’amicizia perché ritiene gli esseri umani troppo egoisti per coltivarla in maniera genuina—a meno che non aderiscano
alla dottrina teosofica di cui si fa energico propagatore.
Quando dunque si sforza di convertire Proust alla teosofia,
lo fa per tornaconto personale, in un certo senso: ritiene
che se lo scrittore provasse un’amicizia genuina verso di
lui, questa aprirebbe un specie di “conto di credito” nel
suo cuore, inducendolo a non indebitarsi troppo sul piano
affettivo. Proust è egualmente sospettoso dell’amicizia ma
per ragioni opposte: ritiene gli esseri umani troppo generosi, troppo propensi a darsi agli altri, estraniandosi in tal
modo dal proprio io profondo, quel moi profond che gioca un ruolo cruciale, come vedremo, nella sua concezione dell’identità personale. Questo sospetto dell’amicizia
non è certo generalizzabile all’insieme degli esseri umani,
ma si applica puntualmente, quantomeno, all’esperienza
personale dello scrittore. Proust si sente spinto a tollerare
benevolmente la superficialità degli amici che frequenta
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Alla ricerca del tempo sprecato
nelle sue rare uscite all’aria aperta (salvo poi satirizzarla
nelle pagine del suo romanzo); ma questa sua generosità
soffoca le manifestazioni della sua autentica personalità,
che fiorisce invece in condizioni di isolamento ed introspezione. Quando Proust rinuncia a frequentare gli amici,
sacrificando il conforto della convivialità alla solitudine
della creazione letteraria, dunque, lo fa pure lui per tornaconto personale: la sua vera ricchezza sta nell’espressione
artistica e, pertanto, il tempo speso a coltivare amicizie futili nuoce alla lunga alla sua genuina identità di scrittore.
Nel corso della sua breve vita Proust sacrificherà persino
la possibilità di amare all’affermazione di questa identità.
Dapprima gli alti e i bassi nella relazione tra i due amici rispecchiano i colpi di testa e i ravvedimenti di Proust in campo
finanziario o speculativo. Siccome in parecchie occasioni le
iniziative finanziarie di Proust influenzano significativamente
l’entità del suo patrimonio, i diverbi tra lo scrittore e il banchiere permettono di ricostruire di anno in anno l’evoluzione
della sua fortuna personale. Questa impresa contabile, mai
tentata prima d’ora, arricchisce di verosimiglianza lo stile di
vita del protagonista della Ricerca di Proust, che è un noto ed
incorreggibile spendaccione. Il lettore del romanzo si trova
sovente a considerare la nonchalance con cui il protagonista
della Ricerca (che ne è anche il Narratore, nonché l’alter-ego
dell’autore) sciala il proprio denaro. Come vedremo, l’evidenza contabile che estraggo dalla corrispondenza dello scrittore con l’amico banchiere conferma molte delle analogie tra
realtà e finzione che il lettore si sente implicitamente invitato
a fare dal tono della narrazione di Proust.
Poco a poco, però, nell’evolversi dell’amicizia tra lo
scrittore e il banchiere, il lato umano prende il sopravvento
su quello finanziario, e gli alti e bassi che caratterizzano
i loro scambi epistolari prendono a riflettere gli sviluppi
per lo più divergenti, ma talora in toccante sintonia, di due
personalità diversamente equilibrate e parimenti volitive.
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Siccome guarda alle faccende economiche di Proust attraverso le lenti grigie del contabile, Hauser non può non
concludere che lo scrittore è un pessimo amministratore
della propria fortuna, nonché un investitore scapestrato. È
l’opinione, condivisa da tutti i biografi dello scrittore, che
in questo libro mi sforzo di invalidare. Il genio letterario
di Proust si esplicita nel tempo tramite una stretta simbiosi
tra la vita e l’arte. Non a caso, come si è ritenuto a lungo
(anche prima che quest’idea venisse formalizzata in un saggio recente di Gian Balsamo), la vita del protagonista del
capolavoro di Proust, Alla ricerca del tempo perduto, coincide con quella dell’autore—non certo con i dati e le date,
verificabili e documentabili, della vita vissuta da Proust
stesso, ma piuttosto con la pseudobiografia che questo scrittore sceglie di fare propria, tramandandola ai posteri tramite
l’opera d’arte. Nella decisione consapevole di sostituire una
pseudobiografia letteraria al documentarismo verificabile
della propria vita vissuta è il lampo di genio che pone Proust
fianco a fianco con due giganti dello stesso genere letterario,
Sant’Agostino e Dante Alighieri. Al pari di questi grandi
predecessori, Proust lega indissolubilmente la propria vita
alla propria arte, rendendole mutualmente simbiotiche. In
maniera analoga, la vita del Narratore della Ricerca si snoda
attraverso una simbiosi simile a quella, tra la vita e l’arte,
che permette all’autore di contraffare o meglio reinventare
la storia della propria esistenza terrena: si tratta della simbiosi che lega arte e finanza.
Questa particolare simbiosi viene introdotta nel romanzo dall’episodio in cui il Narratore descrive la ricchezza
che gli proviene in giovane età da un’eredità familiare. Alla
propria morte, la zia Léonie gli lascia, “insieme a parecchi
mobili ed oggetti alquanto imbarazzanti, quasi tutta la sua
fortuna liquida,” che il padre del Narratore si occupa di
amministrare fino alla maggiore età dell’unico figlio. (Una
cosa analoga succede nella vita di Marcel Proust: la fonte
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del suo arricchimento spedito è lo zio Louis Weil, il quale,
privo di figli, lascia la metà del proprio patrimonio alla
nipote Jeanne, madre dello scrittore, la quale a sua volta lo
trasmetterà ai due figli, Marcel e il secondogenito Robert
[si veda al riguardo l’Appendice 1]). In occasione della
visita d’un ex-ambasciatore di Francia, Monsieur Norpois,
il padre del Narratore consulta l’uomo politico sul portafoglio degli investimenti del figlio. Nel farlo, estrae da un
cassetto e mostra a Norpois i titoli di certe azioni nominative. E il Narratore ne approfitta per introdurre la metafora
della simbiosi tra arte e finanza, destinata a diventare uno
dei motivi conduttori del romanzo.
Tutto quel che ci viene da uno stesso periodo si assomiglia; gli artisti che illustrano le poesie di una certa
epoca sono gli stessi che vengono assunti dalle Società finanziarie. Così, non c’è nulla che faccia pensare
ai fascicoli di Notre-Dame de Paris di Victor Hugo
o alle opere di Gérard de Nerval... quanto, nella sua
cornice rettangolare di fiori sorretta da ninfe fluviali,
un’azione nominativa della Compagnia delle Acque.
Agli occhi percettivi del Narratore, la relazione tra il
valore di mercato di un titolo di Borsa e la sua rappresentazione grafica sulla carta del certificato è contigua al formato editoriale e la distribuzione libraria di un bestseller letterario. Se si vuole comprendere perché Proust risulti alla
lunga l’opposto di un uomo d’affari fallito ed un investitore scriteriato, bisogna cercare di afferrare le implicazioni
tanto economiche quanto letterarie della simbiosi, sviluppata con coerenza tematica attraverso tutto il suo romanzo, tra arte e finanza. A costo di agire in maniera contraddittoria, e sfidando sistematicamente i consigli di Hauser,
Proust è mosso dal proprio genio letterario ad abbracciare questa simbiosi non soltanto nella propria produzione
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artistica ma anche nella conduzione di faccende d’ordine
finanziario. L’alto grado di integrazione, nella sua maniera
di esistere, tra realtà e fantasia, e più specificamente tra risorse economiche ed immaginazione, lo induce a tradurre
ogni spesa eccessiva, ogni costo incongruo, ogni rischio
azzardato, ogni acrobatica speculazione (e ne farà tante)
in una forma ineguagliabile, e quanto mai redditizia alla
lunga, di capitale creativo. Questo capitale creativo, che
consta della capacità di generare dal nulla un’opera d’arte a carattere altamente lucrativo, equivale ad una risorsa
finanziaria come qualunque altra. Proust è un maestro nel
trasformare la propria intemperanza finanziaria in competenza artistica! Non c’è falla finanziaria aperta dalla sua
sventatezza, non c’è spesa voluttuaria provocata dai suoi
capricci sentimentali, che non si traduca in qualche episodio decisivo e memorabile nello sviluppo del suo capolavoro. Chi meglio del suo editore Gallimard e degli eredi
dei suoi diritti d’autore potrebbe testimoniare dei proventi
derivati sul lungo periodo da spese ed investimenti apparentemente incoscienti? Questo deve essere il paradosso
intuito da Hauser quando osserva che i difetti che portano
l’amico scrittore alla rovina coincidono con le qualità che
ne fanno un artista fuori dal comune. L’amicizia costante
e devota che il banchiere ha saputo mantenere negli anni
verso un personaggio così profondamente diverso da sé è
stata alimentata, direi, proprio dalla sua intuizione di questo paradosso.
Per parafrasare certi recenti sviluppi della teoria microeconomica, dove si sostiene che la gente tende ad agire irrazionalmente ma in maniera prevedibile, direi che Proust
risulta alla fin fine un operatore finanziario imprevedibilmente irrazionale. Ma c’è di più: sul piano economico
questa sua imprevedibile irrazionalità si traduce spesso in
una forma proficua di lungimiranza. Ha puntato tutto quel
che possedeva,­ dalla ricchezza della sua famiglia al poco
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Alla ricerca del tempo sprecato
tempo che la salute malferma gli concedeva di dedicare
alla scrittura,­su due risultati altamente improbabili, ossia
il successo di mercato di un romanzo che quattro anni prima della sua morte risulta ancora edito a spese dell’autore,
e il buon esito di speculazioni apparentemente destinate
alla catastrofe. E ha vinto entrambe le scommesse! Lo
dimostrano i dati finanziari che ho estrapolato dalla sua
corrispondenza di quindici anni con Lionel Hauser ed altri
banchieri, stockbrokers e curb brokers.
I suoi diritti d’autore diventano veramente lucrativi
solo nel 1921, a un anno dalla morte. Ciò è riflesso in un
aumento del 45 % del suo reddito reale, il che si traduce in
un reddito superiore del 70 % al livello raggiunto nel 1908,
agli albori della collaborazione con Hauser, quando Proust
era ancora uno scrittore marginale, un ereditiere prosperoso e un occasionale frequentatore di case da gioco (cfr.
Figura 1 e Appendice 2).
FIGURA 1. Reddito annuale di Proust in termini reali (1907-1921)
Fonte: Appendice 2
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Un’altra misura degli effetti, dapprima negativi
ma alla lunga favorevoli, degli investimenti e delle
spese voluttuarie di Proust deriva dall’evoluzione nel
tempo del suo patrimonio. La sua ricchezza personale decresce del 58 % in termini reali tra il 1911
e il 1915. Di fatto, la sospensione degli scambi alla
Borsa di Parigi e in tutte le principali borse europee,
provocata dallo scoppio della prima guerra mondiale,
salva Proust da una situazione finanziaria fattasi rapidamente insostenibile; se la guerra fosse scoppiata
qualche giorno più tardi, lo scrittore sarebbe finito in
bancarotta. Ma dopo la fine della guerra, tra il 1918
e il 1921, il patrimonio personale di Proust cresce
del 98 % in termini reali, particolarmente grazie ad
una certa sua strategia di investimento di lungo termine, come vedremo, nonché al sacrificio, pure di
lungo termine, di tanto del suo tempo e tanta della
sua salute al successo del suo romanzo (cfr. Figura 2
e Appendice 2). Gli anni della guerra sono gli unici
in cui Proust segue scrupolosamente la guida di Lionel Hauser, i cui consigli snobba invece cortesemente
tanto prima quanto dopo la guerra. Ma sarà l’intervento massiccio di Hauser sul disastro delle finanze
di Proust dopo il 1914 a spianare la via al miracolo
del recupero finanziario dello scrittore dopo la guerra
— un recupero destinato a sorprendere lo stesso Hauser, il quale, al pari di tanti altri brillanti uomini di
finanza, doveva uscire piuttosto malconcio dal lungo
conflitto e le svantaggiose condizioni del Trattato di
Pace con la Germania sconfitta.
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