Romanzo analitico

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Romanzo analitico
IL ROMANZO ANALITICO O DI ANALISI
Nel 1923 il critico G. Borgese scrisse una raccolta di saggi, "Tempo di edificare", in cui sosteneva che
in Italia mancava il vero romanzo, quello di grosso respiro, d'ampia struttura, misto di storia e
psicologia. Era tempo di edificarlo, quindi, riprendendo l'esempio della narrativa verghiana.
In realtà, tra l’Ottocento e il Novecento si era sviluppata un diverso modo di comporre opere
narrative. Svevo già scriveva negli ultimi decenni dell'Ottocento, Pirandello come romanziere era uno
sconosciuto, ma aveva già scritto "Il fu Mattia Pascal", eppure nessuno si era reso conto, tanto meno
Borgese, della nascita di una nuova forma di romanzo, il romanzo analitico.
Il romanzo analitico non è d'invenzione italiana: le forme più totali di questo genere si hanno con
James Joyce (poeta e scrittore irlandese, autore di romanzi famosi quali Ulisse e Gente di Dublino), M.
Proust (scrittore francese, autore del famoso Alla ricerca del tempo perduto), Robert Musil (scrittore e
drammaturgo austriaco, la cui opera principale è il romanzo L'uomo senza qualità).
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Nella narrativa analitica sono dissolti i cardini del romanzo realistico ottocentesco, in cui
si esprimeva la fiducia di conoscere tutta la realtà con il progredire delle scienze
si voleva rappresentare l'uomo calato nella storia, in una realtà sociale
il narratore concepiva il racconto come riproduzione della realtà oggettiva
il narratore presentava personaggi e situazioni nei minimi particolari
il narratore si fondava sulle concezioni del tempo e dello spazio come categorie oggettive (c'era
sempre un prima , un dopo e un luogo nei fatti).
Queste caratteristiche del romanzo realistico ottocentesco sono affossate dal romanzo analitico,
i cui elementi distintivi sono:
 la categoria tempo è annullata
Il narratore analitico mescola le varie componenti del tempo, fondendo tutto in una totale presenzialità
(es.: "Alla ricerca del tempo perduto" di Proust)
 l'identità del personaggio entra in crisi
I personaggi non hanno più un unico volto, un'unica rappresentazione, ma hanno mille volti, (es.:
Joyce, Svevo, Pirandello), perché l'autore mostra di non sapere con certezza qual è l'autentica
fisionomia del personaggio. Non impone un'interpretazione univoca del personaggio; anzi, rappresenta
le sue ambiguità. E' la relatività della conoscenza della realtà, il relativismo gnoseologico (Pirandello
sostiene che al massimo possiamo conoscere la maschera, la forma, le apparenze del personaggio,
non la sua vita).
 il racconto non è più incentrato sul mondo dell'oggettività, ma sull'io
L'io é sentito come un labirinto, concezione alla cui base c'è la psicoanalisi di S. Freud, con la
consapevolezza che esiste un mondo al di sotto della coscienza, il mondo più vero, più autentico di
noi, quello dell'inconscio, cui questi autori tentano di dar voce.
 l'uomo non è più protagonista del reale
La figura dell'uomo cambia profondamente, non è più protagonista del reale, è un inetto; i personaggi
hanno una volontà malata, fiacca: essi non vivono, ma si lasciano trascinare dagli eventi, disadattati,
incapaci di dominare la realtà, di inserirsi attivamente in essa.
 il linguaggio ha o tenta di avere una struttura disarticolata, snodata
Il linguaggio vuole rendere il carattere magmatico di quello che veniva espresso. Il cosiddetto flusso di
coscienza non è altro che questo stile invertebrato, disorganizzato, questa "colata espressiva".
Appunti di italiano - Classe 5^ - A cura della Prof. ssa Anna Schettino