Meduse e cittadini un`esperienza di scienza partecipata

Transcript

Meduse e cittadini un`esperienza di scienza partecipata
Un progetto di ricerca studia le meduse
nel Mediterraneo con il contributo dei cittadini,
grazie ai quali ha anche scoperto una nuova specie
scienza e società
Meduse
e cittadini
di Ferdinando Boero
Illustrazioni di Alberto Gennari
un’esperienza
di scienza
partecipata
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D
a una decina d’anni la percezione di un
aumento delle meduse a livello globale è
sempre più netta. I mezzi di comunicazione di tutto il mondo raccontano che i pescatori le trovano nelle reti, al posto dei
pesci, i bagnanti sono punti a centinaia di
migliaia, gli impianti di raffreddamento di
centrali elettriche e gli impianti di dissalazione dell’acqua marina sono bloccati dalla massa gelatinosa che intasa le condutture.
Però per la comunità scientifica pare che questo
non sia un vero problema. Non è «scientifico» che siano i giornali o le televisioni a raccontare un fatto. Se non è
pubblicato su una rivista «seria», un
evento non è veramente documentato. Qualcuno ha scritto che non ci
sono prove scientifiche del fatto che le
meduse siano in aumento. È solo un’impressione gonfiata dai media.
Il problema è che le reti satellitari
con cui teniamo sotto controllo gli
oceani non hanno la possibilità di
registrare la presenza di organismi
gelatinosi. Inoltre, gli eventi di presenza
massiva di meduse e affini sono irregolari, e possono sfuggire a monitoraggi sistematici che, tra l’altro, spesso non
contemplano la registrazione della presenza di meduse.
I ricercatori che si occupano di plancton gelatinoso (così si
chiamano collettivamente gli animali planctonici di consistenza
gelatinosa) sono pochissimi, e non riescono, fisicamente, a coprire la vastità dei mari, soprattutto se la registrazione da satellite
non li aiuta.
La scienza dei cittadini
Come documentare qualcosa che è sotto gli occhi di tutti ma
che gli strumenti non rivelano? Gli occhi di tutti, appunto… Basta chiedere ai cittadini. In molti ambiti si usa la scienza dei cittadini (o citizen science) per chiedere informazioni alle persone comuni che abbiano una certa sensibilità nei confronti della natura.
Sono proverbiali gli osservatori di uccelli, o di farfalle. Si organizzano reti di osservazione e i cittadini inviano le segnalazioni ai ricercatori che, osservazione dopo osservazione, costruiscono mappe di presenza e distribuzione delle specie.
E allora facciamolo anche con le meduse, mi sono detto. Il
plancton gelatinoso è composto da animali di dimensioni relativamente grandi. Non sono solo meduse, ci sono anche gli ctenofori (parenti delle meduse, ma senza cellule urticanti) o le salpe (appartenenti al nostro stesso phylum, i cordati, che formano
colonie di diversi metri, completamente innocue). Intanto bisogna fornire un modo rapido e abbastanza accurato per riconoscere le specie. La soluzione è semplice: si fa un poster, tipo quelli
Aliene e di casa. Le illustrazioni in queste pagine raffigurano
meduse che vivono nel Mediterraneo ma sono aliene, cioè sono
arrivate da altri mari passando da Suez o da Gibilterra. Nelle pagine
precedenti, invece, sono rappresentate
le meduse mediterranee autoctone,
descritte nello schema in basso.
Ferdinando Boero è professore di zoologia e biologia
marina all’Università del Salento. https://www.scienzemfn.
unisalento.it/cmbe_2010. È associato all’Istituto di scienze
marine del Consiglio nazionale delle ricerche. Si occupa di
biodiversità marina e funzionamento degli ecosistemi. I suoi
studi sono finanziati da MED-Jellyrisk, Vectors of Change,
Perseus, CoCoNet, Lifewatch e RITMARE.
Cassiopea andromeda
30 centimetri,
leggermente urticante
Phyllorhiza punctata
30-60 centimetri,
leggermente urticante
Marivagia stellata
15 centimetri, leggermente urticante
che nel Far West venivano inchiodati sugli alberi per pubblicizzare il volto dei ricercati. E così è partita la campagna Occhio alla medusa. Anche se ci pungono, è innegabile che le meduse siano bellissime e, con loro, tutti gli altri animali che fanno parte del
macrozooplancton gelatinoso. Il poster è stato realizzato da un artista, Alberto Gennari, e da un grafico, Fabio Tresca, e raffigura le
più importanti specie del Mediterraneo. Sotto ci sono le istruzioni per documentare un avvistamento. Inizialmente era stato stampato in 3000 copie e poi inviato a una rete di contatti. Nel primo
anno dello studio, il 2009, sono arrivate circa 300 segnalazioni, a
coprire, anche se non fittamente, tutti gli 8500 chilometri di coste
italiane, isole comprese.
Ma stampare un poster e mandarlo in giro non basta, bisogna
che tutti lo sappiano e che rispondano all’appello. Se non ci fossero tante meduse, la cosa non interesserebbe gran che. Ma ci sono
eccome, e sembrano in continuo aumento. È per questo che i mezzi di comunicazione hanno subito mostrato interesse e così sono
cominciate le interviste sui giornali, sulle riviste, e poi sono arrivate le televisioni. Tutti i programmi televisivi dedicati al mare mi
hanno dedicato un piccolo spazio per mostrare il poster e spiegare
che ogni cittadino può fare la sua parte.
È ovvio che il segreto di un’efficace campagna di scienza dei cittadini consista di far sapere ai cittadini che la campagna è in corso.
Nel caso delle meduse non è stato necessario cercare i mezzi di comunicazione, sono stati loro a cercare noi. L’altro segreto è che la
campagna deve riguardare qualcosa che sia di interesse.
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parte del cosiddetto
microzooplancton gelatinoso.
Il progetto italiano Occhio alla
medusa coinvolge nello studio di
questi organismi e affini nel
Mediterraneo anche i cittadini, i quali,
grazie alla possibilità di inviare
segnalazioni e immagini in tempo
reale, sono protagonisti della ricerca.
Iniziato nel 2009, questo progetto di
citizen science è considerato
globalmente come quello di maggior
Rhizostoma luteum
40-60 centimetri,
leggermente urticante
Rhopilema nomadica
20-80 centimetri, urticante
Nel 2009 ero stato intervistato anche da una giornalista di una
nota rivista di divulgazione scientifica, per fare un piccolo pezzo,
ma era così entusiasta che, d’accordo con il direttore, ha poi fatto di più: ha proposto di mettere una pagina centrale, nel numero estivo, con il nostro poster. Invece di 3000 copie, siamo arrivati a centinaia di migliaia. E poi mi ha proposto di fare una pagina
web, sul sito della rivista, in modo da poter mettere on line le segnalazioni via via che arrivavano. E in modo da poter ricevere segnalazioni direttamente dal Web. Lo abbiamo chiamato Meteomeduse. Inoltre mi hanno proposto di fare una app per smartphone,
in modo che le segnalazioni potessero essere inviate dai telefoni
cellulari con tanto di fotografia delle specie trovate.
Nel 2010 le segnalazioni sono arrivate a 2000, nel 2011 sono
state 4500, un po’ meno nel 2012, siamo arrivati a 3200, ma nel
2013 hanno superato quota 7000. Il 2014 è iniziato con una sor1
●
presa (la vedremo dopo), e con grandi invasioni di Pelagia nel Mar
Tirreno e Velella in Mar Ligure, Mar Tirreno e Mare Ionio. La serie
storica inizia a essere consolidata: mai prima d’ora si era saputo
così tanto sulla presenza delle meduse, in nessun paese del mondo. La scienza dei cittadini funziona!
Non basta dire «meduse»
La nostra campagna si riferisce a tutto il macrozooplancton gelatinoso, non solo alle meduse. Tuttavia se l’avessimo chiamata
Occhio al macrozooplancton gelatinoso, nessuno avrebbe capito.
E quindi siamo scesi a patti con il rigore scientifico e abbiamo ridotto tutto a «meduse». Poi però abbiamo spiegato con dovizia di
particolari, per le persone che fossero interessate, che dire «meduse» è come dire «animali che volano», e includere in un solo termine uccelli, pipistrelli e insetti. Affermare «ho visto una medusa»
5
●
6
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7
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●
2
3
●
In breve
L’impatto delle meduse su
ecosistemi e attività umane, dalla
pesca alla produzione di energia, è
ormai noto. Ma sono ancora pochi i
ricercatori che si occupano di questi
organismi e dei loro simili che fanno
Catostylus tagi
20-60 centimetri,
leggermente urticante
successo nell’ambiente marino.
Uno dei risultati più recenti è stata
la scoperta di una nuova specie di
medusa, Pelagia benovici, segnalata
nel golfo di Venezia e in quello
Trieste.
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4
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1
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lindias phosphorica
O
4-6 centimetri, urticante
2
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urelia aurita
A
10-40 centimetri, legg. urticante
3
●
elagia noctiluca
P
5-10 centimetri, urticante
4
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rymonema dalmatinum
D
10-100 centimetri, urticante
5
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hrysaora hysoscella
C
10-30 centimetri, urticante
6
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otylorhiza tubercolata
C
10-30 centimetri, legg. urticante
7
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arybdea marsupialis
C
4-5 centimetri, urticante
8
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equorea forskalea
A
5-10 centimetri, legg. urticante
9
●
hizostoma pulmo
R
20-60 centimetri, legg. urticante
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Non solo meduse.
Questi tre organismi sono
ctenofori. Non sono meduse,
non sono urticanti e catturano
le prede con organelli
appiccicosi che hanno sui
tentacoli. Leucothea si trova,
pur non di frequente, lungo
le coste italiane; Mnemiopsis
si trova nel nord del Mar
Adriatico, nel Mar Ligure e
nella laguna di Orbetello; Beroe
tenta di seguire Mnemiopsis, di
cui è predatrice.
Pelagia benovici
30-55 centimetri,
urticante
Leucothea multicornis
20 centimetri,
non urticante
Mnemiopsis leidyi
5-10 centimetri,
non urticante
Beroe ovata
6-25 centimetri,
non urticante
zione dai raggi ultravioletti, particolarmente forti per animali che
galleggiano e sono direttamente esposti alla luce solare. Molte uova di pesci sono galleggianti, e la predazione di queste colonie potrebbe influire negativamente sul reclutamento di specie ittiche di
interesse commerciale, proprio come M. leidyi. Tra aprile e maggio tutto il bacino occidentale del Mediterraneo è stato invaso da
V. velella, e le barchette di S. Pietro (così si chiamano in linguaggio
comune) hanno tinto di blu molte spiagge.
Eventi del genere possono influire molto sulla pesca. Velella
mangia i crostacei di cui si cibano le larve dei pesci e anche le uova galleggianti dei pesci, e le loro stesse larve. Ma gli effetti di queste esplosioni demografiche si vedranno dopo, quando i pesci che
hanno mangiato (sotto forma di uova e larve) non saranno pescati.
Nel frattempo le colpevoli saranno scomparse. Lo studio della dieta
di V. velella è iniziato, e proveremo a capire se la sua attività predatoria influisce sull’abbondanza di alcune specie di pesci.
equivale ad affermare «ho visto un animale volante». Per fortuna
il poster permette ai cittadini di identificare le specie in modo abbastanza accurato, e le loro fotografie ci aiutano a confermare le
identificazioni.
Aumentano le specie
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si mangiano i pesci quando sono ancora uova e larve. L’arrivo di
M. leidyi nel Mediterraneo è stata una notizia sensazionale, perché
c’era il rischio che avrebbe potuto fare da noi quel che aveva fatto nel Mar Nero. Tanto che è finita anche sulla copertina di «Time»:
ormai eravamo arrivati in cima alla piramide dei media, e questo
esperimento di scienza dei cittadini è universalmente considerato
come quello di maggior successo nell’ambiente marino.
Per fortuna M. leidyi non ha fatto da noi quel che ha combinato nel Mar Nero. Ma da noi ci sono tante altre specie, e in questi sei
anni di scienza dei cittadini abbiamo imparato moltissimo.
Il flagello peggiore
La più cattiva di tutte
Physalia physalis non è una medusa, è un sifonoforo. La colonia ha una vescica galleggiante piena di gas, e sotto penzolano
molti tentacoli armati di cnidocisti (gli organelli tipici degli cnidari, microsiringhe che iniettano sostanze tossiche nelle prede) che
contengono un veleno che può essere mortale anche per gli esseri
umani. Nel 2010 P. physalis ha fatto una vittima, in Sardegna. Di
solito gli esemplari di P. physalis del Mediterraneo entrano da Gibilterra, e sono più frequenti nel bacino occidentale.
Velella velella e Porpita porpita non sono sifonofori, ma sono
colonie di polipi di idrozoi, anch’esse galleggianti. I polipi planctonici producono piccole meduse che vanno in profondità e si riproducono sessualmente dando origine a larve che risalgono in superficie, a formare nuove colonie. V. velella forma enormi sciami nel
Mediterraneo occidentale, a fine inverno e in primavera; P. porpita
è meno frequente. Le tre specie sono blu, probabilmente una prote-
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Fabrizio Marcuzzo
Subito dopo il primo anno ci siamo accorti che bisognava stampare nuove versioni del poster. I cittadini spedivano foto di specie che nel primo poster non c’erano, e si lamentavano: come mai
questa non è raffigurata? Semplice: non era mai stata vista nei nostri mari. Quando una specie che vive in un’area geografica ne raggiunge un’altra, è chiamata aliena. Erano arrivate segnalazioni di
meduse aliene. Non bastavano le nostrane. Così abbiamo aggiunto
Phyllorhiza punctata, con ombrello azzurro a pallini gialli, entrata
dal canale di Suez e di provenienza indo-pacifica.
A lei si è accompagnata Catostylus tagi, simile al nostrano polmone di mare (Rhizostoma pulmo) ma senza la caratteristica striscia blu che adorna il margine dell’ombrello. C. tagi è entrata dallo stretto di Gibilterra, l’ha fotografata Maria Ghelia a Pantelleria.
Poi è arrivata Mnemiopsis leidyi. Le segnalazioni, con tanto di fotografia, sono arrivate da Lerici e dalla Sardegna, ce le hanno inviate Marco Putti ed Egidio Trainito. M. leidyi è arrivata negli anni
ottanta nel Mar Nero, trasportata dalle acque di zavorra delle petroliere americane che andavano a rifornirsi in Crimea. Caricavano
acqua di zavorra sulla costa orientale del continente americano, in
modo da bilanciare il proprio assetto quando viaggiavano vuote, e
la scaricavano quando facevano il carico di petrolio.
L’acqua di zavorra contiene organismi del porto di provenienza;
molti possono sopravvivere al viaggio ed essere riversati nel porto di destinazione. Di solito questi malcapitati fanno una brutta fine: il nuovo posto spesso è ostile, le condizioni ambientali sono diverse da quelle d’origine. Ma non è stato il caso di M. leidyi. Questo
ctenoforo, parente non urticante delle meduse, ha sviluppato popolazioni enormi che hanno mangiato i piccoli crostacei del plancton di cui si nutrono le larve dei pesci, e anche le uova e le larve
stesse. In due o tre anni il Mar Nero non ha avuto più pesci e la pesca è crollata. Per la prima volta si è capito che non siamo solo noi
a far strage di pesci, con la pesca industriale.
Noi prendiamo gli adulti, ma ci sono predatori che possono sviluppare popolazioni enormi (il plancton gelatinoso, appunto) che
Se siete stati punti da una medusa, probabilmente la colpevole
è Pelagia noctiluca. Violetta, con ombrello di circa dieci centimetri,
P. noctiluca forma grandi sciami che flagellano i bagnanti in estate. Molte meduse hanno uno stadio di polipo, un animaletto che vive attaccato agli scogli. Somiglia a un piccolo corallo e deriva dalla
riproduzione sessuale delle meduse. Quando le meduse non ci sono, di solito sono sul fondo del mare sotto forma di polipi. E quando poi arrivano in grande quantità la colpa è dei polipi che le hanno prodotte. Il ciclo prevede quindi una forma bentonica (il polipo
che vive sul fondo) e una planctonica (la medusa). Ma P. noctiluca
non ha polipo. Dove finiranno dopo l’estate, quando scompaiono?
Le segnalazioni ci hanno aiutato a rispondere. P. noctiluca è rara in Adriatico, dove ci sono altre meduse di solito meno
urticanti. Mentre è comune in Ionio, Tirreno e Mar Ligure. L’unico posto dove si trova tutto l’anno è lo stretto di Messina. Nello stretto c’è risalita di acque profonde, e gli animali che vivono a grande profondità sono portati in superficie da queste
correnti ascensionali. Quindi il suggerimento è che P. noctiluca vada in profondità, alla fine dell’estate. Ma come fa a tornare su? In primavera, soprattutto in corrispondenza dei canyon
sottomarini, si innescano circolazioni che portano alla risalita delle acque profonde. Salgono i nutrienti dal fondo del mare e in-
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Nuova arrivata.
Grazie alle segnalazioni
di pescatori e amanti delle
immersioni provenienti
dal golfo di Venezia e
da quello di Trieste, gli
scienziati hanno scoperto
una nuova specie di
medusa nel Mediterraneo:
Pelagia benovici, chiamata
così in onore di Adam
Benovic, grande studioso
di meduse scomparso di
recente. Lo studio in cui è
stata annunciata la nuova
arrivata è stato pubblicato
a maggio 2014.
nescano le fioriture di fitoplancton, rimettendo in moto la macchina della produzione marina. I cittadini, presi dalla smania
delle meduse, hanno continuato a mandarci segnalazioni anche oltre la stagione balneare. Ed ecco le segnalazioni di bloom
di pelagia a fine inverno e inizio primavera. Sono grandi, rosse,
sessualmente mature e di solito finiscono sulle spiagge e muoiono,
dopo essersi riprodotte. Nasce così l’ipotesi dei canyon.
Le pelagie scendono in profondità alla fine dell’estate e vanno
nel mare profondo, dove competono con le balene per nutrirsi di
krill, crostacei abbastanza grandi che laggiù sono abbondanti. In
inverno le pelagie si rimpinzano e poi, in primavera, prendono l’ascensore dei canyon e tornano su, si riproducono e muoiono. Ma
le piccole meduse che derivano dalla riproduzione sessuale trovano cibo abbondante (questa volta di piccoli crostacei) e crescono
fino a formare gli sciami che ci pungeranno in estate, per poi scendere di nuovo in profondità a fine autunno. Su e giù per i canyon.
Le nostre ricerche sembrano confermare questa ipotesi, e le
grandi concentrazioni di P. noctiluca in primavera sono quasi sempre in corrispondenza dei canyon sottomarini che, in questo contesto, rappresentano un volano locale di accoppiamento tra il mare
profondo e la costa, innescando processi che poi saranno diffusi in
tutto il sistema costiero dalle correnti parallele alla costa.
Una non basta
Tra fine 2013 e inizio 2014 sono cominciate ad arrivare foto
di meduse abbondanti nel golfo di Venezia e nel golfo di Trieste.
I pescatori erano allarmati. Per fortuna nessuno faceva il bagno,
ancora. Poi i colleghi dell’Università di Padova ci hanno spedito i
campioni e ci siamo messi a lavorare a questa specie che, apparentemente, non era mai stata vista. Il gruppo di ricerca sembrava
quasi una squadra di calcio: Stefano Piraino, Giorgio Aglieri, Luis
Martell, Carlotta Mazzoldi, Valentina Melli, Giacomo Milisenda e
Simonetta Scorrano. Nel frattempo abbiamo avuto successo nei
progetti europei. Ora c’è Med-Jellyrisk, coordinato da Piraino, un
protetto dedicato proprio alle meduse, e poi c’è il progetto bandiera RITMARE, e i progetti europei Perseus e CoCoNet.
La squadra è entrata in azione. C’è stato chi ha raccolto i campioni, chi li ha fotografati, chi ha effettuato le ricerche bibliografiche, e poi i test genetici e la ricerca nelle banche dati i DNA di
specie già conosciute. La medusa misteriosa è certamente una Pe-
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Uno da molti.
In genere tutti
i rappresentanti del
macrozooplancton
gelatinoso vengono
chiamati «meduse». Ma in
zoologia la medusa è una
fase del ciclo biologico dei
cosiddetti cnidari, alcuni
dei quali, come quelli
in queste illustrazioni,
sono un mosaico
polimorfo di meduse
e polipi planctonici.
Innocue. Le salpe, evolutivamente lontane dagli altri
membri del macrozooplancton gelatinoso, sono chiamate
meduse, ma è un errore. Possono formare catene lunghe fino
a 6 metri, come quelle osservate in Salento a primavera 2013,
che possono spaventare. Ma le salpe sono innocue per noi.
possono anche essere il mezzo di trasporto più efficace, visto che
possono attaccarsi alle carene delle navi o alle conchiglie di specie
commerciali. Il riscaldamento globale è il motivo dell’instaurarsi di
popolazioni di meduse tropicali in Mediterraneo.
Velella velella
5-7 centimetri,
leggermente urticante
Adattarsi a questi organismi
Salpa democratica
10 centimetri,
non urticante
Physalia physalis
10-15 centimetri,
urticante
lagia, ma non è la solita Pelagia noctiluca. Anche i geni lo confermano. È simile a P. noctiluca, come lo scimpanzé è simile a noi,
geneticamente. Ma non è la stessa specie. Ed eccoci con una nuova specie da descrivere.
L’abbiamo chiamata Pelagia benovici, in onore del collega
Adam Benovic, grande studioso di meduse recentemente scomparso. Non sappiamo da dove venga, probabilmente è arrivata con le
acque di zavorra di qualche nave e ha trovato condizioni favorevoli allo sviluppo di una grande popolazione. Non sappiamo se
questa fiammata di abbondanza sarà un fuoco di paglia, e la specie si estinguerà localmente, o se riuscirà a stabilirsi in modo permanente in Adriatico. Il suo ciclo biologico è ancora un mistero.
Perché tante meduse?
Anche in passato le meduse, e altro plancton gelatinoso, hanno
fatto periodicamente la loro comparsa nei nostri mari, con popolazioni enormi che, dopo un periodo di abbondanza, sono tornate a essere relativamente rare. Ma ora sembra che siano diventate
una costante. Gli eventi anomali di un tempo sono diventati normalità. Come spiegare questo fenomeno? In biologia spesso vige
la causalità multipla.
L’altissima efficienza della pesca industriale sta consumando le
risorse ittiche a livello globale. Anche in mare, da cacciatori-raccoglitori (pescatori) stiamo diventando agricoltori, con l’acquacoltura, dato che le popolazioni naturali delle specie bersaglio non reggono più al nostro impatto. Proprio come avvenne migliaia di anni
fa,quando abbandonammo caccia e raccolta per diventare agricoltori e allevatori. A terra alleviamo erbivori, ma in acquacoltura alleviamo specie carnivore e le alimentiamo con farina di pesce. Abbiamo preso i pesci grandi, e ora stiamo pescando quelli piccoli
per darli da mangiare a quelli grandi che ormai sono di allevamento: una follia. La natura non ama il vuoto, e il vuoto lasciato dai pesci è riempito dalle meduse. Capire il meccanismo del passaggio da pesci a meduse è semplice: gli stadi giovanili dei pesci si
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Porpita porpita
1-5 centimetri,
leggermente urticante
nutrono prevalentemente di crostacei planctonici, proprio come le
meduse; se i pesci diminuiscono, diminuiscono anche le loro larve e stadi giovanili e diminuisce, quindi, la competizione per il cibo con le meduse; molte meduse, inoltre, si nutrono anche di uova
e larve di pesci, esacerbando l’impatto della pesca. Così i pesci sono tra due fuochi. Noi catturiamo gli adulti, mentre le meduse e altri rappresentanti del macrozooplancton gelatinoso (soprattutto gli
ctenofori) agiscono sui primi stadi di sviluppo (uova, larve e stadi
giovanili) sia competendo per il cibo sia predandoli. La pesca, però,
è solo uno dei motivi dell’aumento di meduse.
Molte meduse hanno un ciclo biologico complesso. La medusa è
la fase adulta, e si riproduce sessualmente. Dalla fecondazione origina una larva, la planula, che nuota per poco tempo e poi di solito si fissa a un fondo duro (rocce, sassi, altri organismi) e si trasforma in un’ulteriore fase larvale: il polipo. I polipi somigliano a
piccoli anemoni di mare e catturano prede con i loro tentacoli. A
un certo punto i polipi possono produrre lo stadio adulto: la medusa. Nei cubozoi, come Carybdea, il polipo si trasforma direttamente
in una medusa, con una metamorfosi simile a quella del bruco che
diventa farfalla. Negli idrozoi (come Aequorea) le meduse si formano per gemmazione dalla parete del polipo. Anche se alcuni scifozoi non hanno polipo (Pelagia), molti (come Rhizostoma o Aurelia)
sono dotati di polipo, e le meduse sono prodotte per strobilazione:
il polipo si divide trasversalmente in una struttura che somiglia a
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una pila di piatti. Ogni piatto, detto efira, è una giovane medusa.
Ogni planula darà origine a un polipo che potrà diventare una colonia e dare origine a tantissime meduse. Da una sola larva si possono avere tanti adulti, per un processo chiamato amplificazione
larvale. È per questo processo riproduttivo che le meduse possono
comparire all’improvviso in enormi quantità.
I moli, le difese costiere, le massicciate, costituiscono substrati ottimali per l’insediamento di polipi e di solito sorgono dove i
fondi naturali sono mobili e, quindi, non adatti all’insediamento
di questi precursori delle meduse. L’aumento della disponibilità di
substrati adatti all’insediamento della fase di polipo è un’altra delle cause dell’aumento delle meduse.
Anche il riscaldamento globale ha il suo ruolo. Tutti gli animali, con il loro metabolismo, «bruciano» le risorse che li sostengono. Per farlo consumano ossigeno e producono anidride carbonica.
Le piante, poi, pareggiano il conto, producendo ossigeno e consumando anidride carbonica. Noi siamo una specie speciale, però. Il
nostro metabolismo coinvolge anche la combustione di altre cose,
oltre al cibo. Noi bruciamo carbone, petrolio, legno. Così facendo
consumiamo altro ossigeno e produciamo altra anidride carbonica. L’effetto serra, provocato dall’aumento di anidride carbonica in
atmosfera, causa il riscaldamento globale, e il Mediterraneo ne risente in modo particolare. L’arrivo di specie tropicali e il loro stabilirsi nelle nostre acque è la prova migliore che le condizioni sono
cambiate e che oggi il Mediterraneo è un luogo abitabile da specie
tropicali, come le nuove arrivate Rhopilema nomadica, Marivagia
stellata, Phyllorhiza punctata e Cassiopea andromeda.
Il loro arrivo produce cambiamenti negli ecosistemi, influenzando anche le attività antropiche. Ma se sono specie tropicali,
come faranno a sopportare l’inverno, soprattutto nel bacino occidentale? Il segreto è nel ciclo biologico. La fase di polipo, a contatto con il fondo, può diventare una sorta di stadio di resistenza
che sopporta condizioni avverse e poi produce meduse in grande
quantità quando le condizioni sono di nuovo favorevoli. I polipi
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Le meduse sono animali bellissimi e una delle principali attrattive degli acquari. Una volta capito quali siano quelle pericolose
per noi e quali quasi innocue possiamo tenerci alla larga dalle urticanti e godere della bellezza di quelle più facilmente avvicinabili. La passione per le meduse sta coinvolgendo i cittadini che ci
aiutano nelle nostre ricerche, e il poster delle meduse fa bella mostra nelle camerette di molti bambini, ormai appassionati medusologi. Inoltre le meduse sono buone da mangiare, e sono una fonte di proteine. Nella cucina cinese e giapponese sono considerate
leccornie, quindi se non le puoi combattere… mangiale.
Intanto aumentano le specie che mangiano le meduse, come le
tartarughe marine e i pesci luna. La grande abbondanza della loro risorsa alimentare li porta ad avere più possibilità di crescere. Il
ritorno a una situazione normale, però, avverrà quando impareremo a pescare più responsabilmente e lasceremo ai pesci la possibilità di produrre nuovamente grandi popolazioni. Le loro larve
competeranno nuovamente con le meduse per mangiare il plancton, e le spingeranno verso la marginalità del passato.
Vale la pena ricordare che le meduse che abitano gli oceani di
tutto il mondo non sono molto differenti dalle meduse di 600 milioni di anni fa, di cui abbiamo testimonianze fossili. Gli altri animali si sono evoluti solo 100 milioni di anni dopo, durante l’esplosione del Cambriano, e i progenitori degli animali attuali erano
molto diversi dai loro discendenti. La selezione naturale li ha costretti a cambiare parecchio. Questo non è avvenuto per le meduse,
e il motivo è uno solo: sono animali perfetti, dato che il loro piano strutturale ha saputo adattarsi, senza cambiare, a tutti gli eventi che hanno costellato la storia della vita, senza necessità di mutare. In altre parole, sono gli animali più evoluti del pianeta. n
per approfondire
Pelagia benovici sp.nov. (Cnidaria, Scyphozoa): a New Jellyfish in the
Mediterranean Sea. Piraino S., Aglieri G., Martell L., Mazzoldi C., Melli V., Milisenda
G., Scorrano S. e Boero F., in «Zootaxa», Vol. 3794, n. 3, pp. 455-468, 7 maggio 2014.
Review of Jellyfish Blooms in the Mediterranean and Black Sea. Boero F., in
«GFCM Studies and Reviews», n. 92, 2013. http://www.fao.org/docrep/017/
i3169e/i3169e.pdf.
Gelatinous Plankton: Irregularities Rule the World (Sometimes). Boero F.,
Bouillon J., Gravili C., Miglietta M.P., Parsons T. e Piraino S., in «Marine Ecology
Progress Series», Vol. 356, pp. 299-310, 2008.
Il sito web per le segnalazioni a Meteomeduse: http://meteomeduse.focus.it.
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