vino XIX - SemidiCultura

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vino XIX - SemidiCultura
Costanza Di Ciommo Laurora
“Ah!Nous voici en Italie !” “Ah!Eccoci in Italia!”
Gli osservatori stranieri e il vino italiano all’indomani dell’Unità.
L’Ottocento. Un secolo lungo, terminato solo all’indomani della Prima Guerra Mondiale,
secondo la fortunata interpretazione di Eric Hobsbawm. Un’epoca tanto densa di fatti, tendenze,
nuove idee da far sì che una centuria non bastasse a contenere quell’enorme serbatoio di onde
lunghe della storia. Un’epoca in cui l’Italia ha vissuto il proprio Risorgimento e raggiunto l’Unità,
di cui l’anno scorso abbiamo celebrato il centocinquantenario. Per questo “acini di storia” vi
propone un viaggio nel tempo, alla ricerca degli sguardi degli osservatori stranieri, che allora per la
prima volta videro l’Italia una: una nella politica, una nella cultura…una anche nel vino?
La vetrina per eccellenza, allora come oggi, per la mostra delle proprie produzioni nazionali
era costituita dalle esposizioni universali che, come è stato rimarcato, “costituiscono una delle
espressioni più spettacolari di questo eccezionale momento della storia europea. Sono il vasto teatro
del mondo, in cui l’Europa, divisa in Stati nazione concorrenti, ma cosciente della propria unità
culturale, si mostra a se stessa e al mondo”1.
La prima esposizione universale si tenne a Londra nel 1851, e venne seguita da molte altre
analoghe manifestazioni in Europa e non solo. A turno diverse città accolsero le migliaia di
visitatori che da tutto il mondo venivano ad ammirare il vecchio continente, che ancora tanto
vecchio non era. Il successo delle esposizioni aumentò di anno in anno, per arrivare al culmine
toccato dall’esposizione di Parigi del 1900, quando la Ville Lumière accolse quarantotto milioni di
visitatori in sei mesi2. Ancora oggi a Londra o a Parigi è visibile il segno lasciato da quei grandi
eventi: la Tour Eiffel, il Crystal Palace, sono lì a ricordarci la modernità di un’epoca ormai lontana.
Nel proprio padiglione ogni Stato faceva mostra delle proprie ricchezze e delle proprie moderne
acquisizioni nei campi più disparati: dalla cultura al commercio, dalla scienza alla tecnica, dalle
colonie all’espansione industriale.
La prima esposizione di carattere nazionale cui parteciparono i produttori vitivinicoli italiani
fu quella organizzata a Firenze nel 1861, già intesa dalla classe dirigente come una tappa
preliminare alla partecipazione alle grandi manifestazioni internazionali… “perché questo regno
possa presentarsi convenientemente a quella universale di Londra già decretata per l’anno
successivo”.
In quel periodo in cui, secondo la celebre espressione di Massimo D’Azeglio, si stavano
“facendo gli italiani” la partecipazione a una kermesse internazionale in cui far mostra delle proprie
glorie nazionali era un’occasione da non perdere. Essa poteva divenire il tassello di un processo di
costruzione identitaria che venisse dalle radici stesse della cultura, e coltura nel caso del vino,
nazionale. La manifestazione poteva inoltre costituire una vetrina inedita e originale per uno Stato
nazione recentemente formato, alla ricerca del proprio posto tra i grandi d’Europa. Per questo, come
1
La Belle Europe, Le temps des expositions universelles: 1851-1913, catalogo della mostra «La belle Europe» tenutasi
a Bruxelles, ai Musées Royaux d’art et d’histoire, durante la Presidenza Belga dell’Unione Europea (26/10/200117/03/2002), Bruxelles, Ed. Tempora, 2001, p. 20.
2
Ibidem.
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osservato da molti autori, nonostante le difficoltà economiche attraversate dal paese si cercò di
mantenere alto il livello di partecipazione dell’Italia e dei propri prodotti alle esposizioni3.
Così, nel 1862, gli espositori che l’anno prima avevano partecipato alla prima Esposizione
generale in Toscana salparono oltre la Manica, dove li attendeva l’opinione pubblica straniera.
Abbiamo quindi proseguito la nostra passeggiata attraverso la parte straniera della Navata, nel nostro
percorso verso la volta occidentale. Passando lungo il lato sud della Navata, abbiamo vissuto l’enorme
gratificazione, per la prima volta, di riconoscere fra gli espositori un’Italia Unita.
Firenze, nel 1861, aveva presentato al mondo i primi frutti dell’Unità e della libertà italiana nella sua
Esibizione Nazionale Italiana. Prima di quell’anno così memorabile, diversi Stati italiani avevano
organizzato le loro esposizioni particolari che, sebbene eccellenti, non avevano mai riunito in unico
luogo la produzione di tutta l’Italia, in modo da dare l’opportunità di comparare e imparare. Gli Italiani
e i loro visitatori possono ora, per la prima volta, fare una stima corretta dei prodotti, delle industrie, e
delle Belle Arti, così come esse si trovano in ogni parte del paese, dalla piana della Lombardia al punto
più distante della Calabria.
Nella prima settimana i visitatori hanno avuto l’opportunità di vedere il bestiame italiano, che è stato
mostrato in un immobile vicino all’Esibizione, poiché le varie razze hanno suscitato grande
ammirazione. I mezzi agricoli erano di una notevole varietà, poiché si estendevano dall’aratro, così
come usato dagli antichi Romani, alle più perfette riproduzioni delle più recenti tecnologie. Grande
attrazione era la casa di un contadino toscano, con i suoi occupanti, tutti gli strumenti del suo mestiere e
il suo bestiame. L’orticoltura e l’agricoltura del paese erano ben rappresentate in tutte le loro bellissime
varietà.4
La stampa inglese ammirò anche il potenziale industriale della neonata Italia, non ancora
minaccioso per l’orgoglio delle grandi potenze, la cui rivalità era tutt’altro che mascherata in questo
sfoggio di glorie nazionali5.
3
Cfr. Marinella Ferrai Cocco Ortu, Una nuova via per il commercio del vino: le esposizioni internazionali e nazionali
del secolo XIX, in M. Da Passano, A. Mattone, F. Mele, P. F. Simbula, La vite e il vino, storia e diritti (secoli XI-XIX),
Roma, Carocci, 2000, vol. 2, pp. 769-800, p. 783.
4
Tal. P. Shaffner and W. Owen, The illustrated record of the international exhibition of the industrial arts
and manufactures, and the fine arts, of all nations, in 1862, in a series of tinted steel engravings, comprising
views of the building, and of the principal objects exhibited, also, several views of the exhibition of 1851,
from daguerreotypes taken at the time, forming a commemorative work of the two great exhibitions of the
world's industry in 1851 and 1862, with historical and descriptive letterpress, London, New York, London
Printing and Pub. Co., 1862. Testo originale: “We may next pursue our course through the foreign portion of the
Nave, on our way to the Western Dome. Passing along the south side of the Nave, we had the great gratification, for the
first time, to recognize a United Italy as an exhibitor. Florence, in 1861, presented to the world the first fruits of Italian
Unity and freedom in its Italian National Exhibition. Previous to this memorable day year, several of the Italian States
had held their exhibitions, which, whatever their excellence, had never brought under one roof the productions of all
Italy, so as to afford the opportunity of comparison and instruction. Italian and their visitors could now, for the first
time, form a correct estimate of the products, the industries and fine arts, as they were found in every portion of the
country, extending from the plain of Lombardy to the most distant part of Calabria. […] For the first week, the visitors
had the opportunity of viewing the cattle of Italy, which were shown in a building near the Exhibition the various breeds
exciting much admiration. The agricultural implements presented a remarkable variety, extending, as they did, from a
plough, as rude as any used in the time of the ancient Romans, to the most perfect imitations of our own improvements.
A very great attraction was the house of a Tuscan peasant, with its living occupants, all the implements of his craft, and
his live-stock. The horticulture and agriculture of the country were well represented in most beautiful specimens.”
5
J. H. Findling, Historical Dictionary of World fairs and expositions (1851-1988), New York, 1990.
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Cinque anni dopo, la risposta di Napoleone III alla sfida lanciata dalla International
Exhibition di Londra del 1862, fu una vetrina ancora più importante per l’Italia e i suoi prodotti.
L’Exposition Universelle del 1867 voleva rappresentare le ambizioni enciclopediche del II Impero:
“il concetto di universalità si legò indissolubilmente alle esposizioni”6, divenute un evento culturale,
politico ed economico di assoluta legittimità internazionale. I prodotti agricoli e alimentari italiani,
accanto alle Belle Arti, furono in quell’occasione fra i prodotti maggiormente celebrati dagli
osservatori stranieri. Ecco le parole di Henry Thiers, dedicate all’Italia e al suo vino in occasione
della sua partecipazione all’Exposition Universelle di Parigi del 1867:
L’Italia è a giusto titolo il paese i cui destini preoccupano maggiormente i nostri spiriti in questo
momento. Ma mentre tutti gli sguardi si rivolgono al teatro della sua azione politica, non si può
trascurare lo studio di questo popolo su una scena più calma in cui il suo sviluppo intellettuale e
morale, le risorse commerciali, il progresso dell’industria, si affermano e rivelano all’osservatore
attento. […] Il più grande omaggio riconosciuto a questa nuova installazione, è secondo me in questa
frase, con cui ho sempre sentito salutare la sezione italiana da parte del pubblico: «Ah! Eccoci in
Italia!», e questo grazie al solo effetto suscitato dall’aspetto dei luoghi. Non è forse vero che se il
visitatore ha indovinato giusto, è perché l’Italia è qui, vivente, perché il suo genio è qui sensibile,
eclatante, che parla agli occhi? […] Se volgendo l’attenzione dalle materie utili e preziose prodotte dal
suolo, lasciamo errare i nostri occhi su questo vasto territorio – più di 25.000 ettari – la natura ci
sommergerà con la sua prodigiosa fecondità. Tutte le colture riescono nel tepore di questa atmosfera.
Vigne, praterie, risaie, uliveti, castagneti, boschi, foreste, pascoli, si succedono, mettendo in risalto
ovunque il vigore del suolo e l’eterna giovinezza della terra. [..] Che dire poi dei vigneti i cui prodotti
hanno una nomea universale ? E degli olii che sono richiesti su tutti i mercati? […] Possiamo dire che,
dal punto di vista della fertilità del suolo, alcuna contrada d’Europa riunisca tanti elementi di
prosperità.7
Un’Italia unita, la cui gloria non risiedeva solo nel proprio patrimonio artistico, ma nella
terra, nella varietà del suolo, nel vino dalla “nomea universale”. Plauso tanto più importante in
quanto all’indomani dell’Unità la campagna italiana attraversava un momento economicamente e
socialmente sfavorevole, che venne messo ulteriormente alla prova prima dall’ invasione dell’oidio
(1845), poi dalla peronospera (1878), quindi dalla fillossera: quest’ultima in particolare mise in crisi
la produzione vitivinicola italiana ed europea per oltre cinquant’anni, distruggendo i vitigni di
buona parte del vecchio continente8. La congiuntura di fine secolo fu tanto sfavorevole che fu
6
V. Gonzalez Loscertales, L’invenzione delle Esposizioni Universali, in M. A. Crippa, F. Zanzottera (a cura di), Expo x
Expos: comunicare la modernità: le esposizioni universali, 1851-2010, Triennale di Milano, 5 febbraio - 30 marzo
2008, Milano , Electa, 2008, p. 11.
7
H. Thiers, L’Italie à l’exposition universelle de 1867, extrait de la revue populaire de Paris, Paris, Balitout, 1867.
Testo originale : «L’Italie est à juste titre le pays dont les destinées préoccupent le plus les esprits en ce moment. Mais
tandis que tous les regards se tournent vers le théâtre de son action politique, il n’est pas sans importance d’étudier ce
peuple sur une scène plus calme où son développement intellectuel et moral, les ressources de son commerce, les
progrès de son industrie, s’affirment et se révèlent à l’observateur attentif. […] Le plus grand hommage décerné à la
nouvelle installation , est selon moi dans cette phrase dont j’ai toujours entendu le public saluer la section italienne :
« Ah ! Nous voici en Italie ! », et cela par le seul effet de l’aspect des lieux. N’est-il pas vrai que si le visiteur a deviné
juste, c’est que l’Italie est là vivante, que son génie est là sensible, éclatant, qu’il parle aux yeux ? […] Si détournant
notre attention des matières utiles et précieuses enfouies dans le sol, nous laissons nos yeux errer sur ce vaste territoire
- plus de vingt-cinq mille hectares – la nature va nous éblouir par sa prodigieuses fécondité. Toutes le cultures
réussissent dans la tiédeur de cette atmosphère. Vignes, prairies, rizières, olivettes, châtaigneraies, bois, forets,
pâturages, se succèdent, accusant partout la vigueur du sol et l’éternelle jeunesse de la terre. [..] Que dire des vignobles
dont les produits ont une renommée universelle? Des huiles qui sont demandés sur tous les marchés ? […] On peut dire
que, qu’au point de vue de la fertilité du sol, aucune contrée de l’Europe ne réunit autant d’éléments de prospérité.»
8
P. Grillo, V. Manganelli, Storia del vino: produzione e consumo, in «La cultura italiana», Utet, 2009, vol. VI, pp. 195196.
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necessario attendere mezzo secolo per una vera e propria ripresa della produzione vinicola, italiana
in particolare: la campagna della Penisola necessitava di riforme istituzionali e, all’inizio del nuovo
secolo, le Guerre Mondiali privarono l’agricoltura della forza lavoro.
Per questo all’inizio del Novecento un produttore di vino americano, alle prese con la
redazione di una monumentale e onnicomprensiva Story of the Vine, si esprimeva in termini critici
nei confronti della produzione italiana, non sufficientemente attenta all’enologia, secondo il suo
sguardo proveniente da terre lontane. Sebbene critico, come Thiers anche lui riconosceva
“l’assoluta perfezione del suolo e del clima” della nostra Penisola, la cui produzione vinicola
sembrava pagare per lo più lo scotto delle mancate riforme e delle sfortunate epidemie che avevano
sconvolto i vitigni nostrani9.
Spostando lo sguardo all’interno dei nostri confini nazionali, Italo Giglioli, giurato
all’Esposizione universale di Parigi del 1900 e direttore della Sezione Agraria di Roma, faceva
un’analisi analoga della situazione. Nella sua Relazione sulle condizioni dell’Agricoltura Italiana in
paragone colle condizioni dell’Estero egli tratteggiava con precisione il malessere attraversato dal
mondo agricolo italiano nel suo complesso, dedicando alcune pagine al mondo vinicolo sconvolto
dalle epidemie ottocentesche già citate, seppur nella necessità di competere con i ritmi produttivi
delle altre nazioni europee. Sebbene preoccupato dalla sfavorevole congiuntura Giglioli lasciava
spazio ad alcune osservazioni positive, indicando la strada da percorrere al più presto:
L’Italia supera tutte le altre nazioni in Europa, e fuori d’Europa nella estensione dei suoi vigneti. […]
In Italia la produzione del vino è quella nella quale, più che nelle altre nostre produzioni, sono
evidenti i segni di miglioria, tanto per l’accresciuta quantità totale come per la migliorata qualità del
prodotto.10
E più avanti:
Queste considerazioni sopra la produzione vinaria nei vari paesi, ed intorno al consumo di bevande
alcoliche presso popoli diversi dimostrano quale bella e benefica e via resti ancora aperta all’industria
italiana. […] Ma non si ritardi troppo nel fruire del periodo propizio.11
Bibliografia:
La Belle Europe, Le temps des expositions universelles: 1851-1913, catalogo della mostra «La belle
Europe», Musées Royaux d’art et d’histoire, Bruxelles, 26/10/2001-17/03/2002, Bruxelles, Ed.
Tempora, 2001.
M. Da Passano, A. Mattone, F. Mele, P. F. Simbula, La vite e il vino, storia e diritto (secoli XIXIX), Roma, Carocci, 2000, 2 voll.
J. H. Findling, Historical Dictionary of World fairs and expositions (1851-1988), New York, 1990.
Linda Aimone e Carlo Olivio, Les expositions universelles (1851-1900), Belin, Paris 1993
9
E. Emerson, The Story of the Vine, Putnam’s Sons, New York, London, 1902, pp. 99 e seguenti.
I. Giglioli, Malessere agrario ed alimentare in Italia, Relazione di un giurato italiano all’Esposizione Universale di
Parigi, nel 1900, sulle condizioni dell’agricoltura in Italia, in paragone colle altre Nazioni, Roma Loescher 1903, p.
242.
11
Ivi, p. 253.
10
Costanza Di Ciommo Laurora
P. Greenhalgh, Ephemeral vistas, expositions universelles, great exhibitions and world fairs, (18511939), Manchester, Manchester University press, 1988.
M. Misiti, L’Italia in mostra, in «Passato e Presente: rivista di storia contemporanea», 37, Milano,
Franco Angeli, 1996.
B. Schroeder-Gudehus, A. Rasmussen, Les fastes du progrès , le guides des expositions universelles
(1851-1992), Flammarion, Paris, 1992.
Fonti :
E. Emerson, The Story of the Vine, Putnam’s Sons, New York, London, 1902.
I. Giglioli, Malessere agrario ed alimentare in Italia, Relazione di un giurato italiano
all’Esposizione Universale di Parigi, nel 1900, sulle condizioni dell’agricoltura in Italia, in
paragone colle altre Nazioni, Roma Loescher 1903.
H. Thiers, L’Italie à l’exposition universelle de 1867, extrait de la revue populaire de Paris, Paris,
Balitout, 1867.
Tal. P. Shaffner and W. Owen, The illustrated record of the international exhibition of the
industrial arts and manufactures, and the fine arts, of all nations, in 1862, in a series of tinted steel
engravings, comprising views of the building, and of the principal objects exhibited, also, several
views of the exhibition of 1851, from daguerreotypes taken at the time, forming a commemorative
work of the two great exhibitions of the world's industry in 1851 and 1862, with historical and
descriptive letterpress, London, New York, London Printing and Pub. Co., 1862.