Il Patrimonio Culturale

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Il Patrimonio Culturale
CAPITOLO 12
Il Patrimonio Culturale
Dalla creatività alla produzione di cultura
Michelangelo Pistoletto
“I visitatori”
1962-1968
velina dipinta su acciaio inox lucidato a specchio, 2 pannelli, 230 x 120 cm ciascuno
Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma
297
1.
Creatività, patrimonio culturale e industria culturale
1.1 Il patrimonio come risorsa per la creatività
Nella costruzione della catena di produzione del valore delle industrie culturali la
creatività svolge il ruolo di input per le tecnologie e la qualità sociale, i due
modelli che sono stati analizzati come sfondo interpretativo di questo lavoro.
Il patrimonio culturale, a sua volta, è una risorsa per la creatività e il suo
contributo risale l’intera filiera alimentando l'innovazione economica, la ricerca
storico-artistica, il cambiamento del gusto, le tecniche per mantenere, restaurare,
sorvegliare, ricostruire e riprodurre i beni culturali. In altre parole il patrimonio
storico e artistico accumulato da tutte le generazioni del passato è parte
essenziale di quel contesto culturale che essendo in grado di produrre stimoli
positivi interagisce con le capacità di apprendimento dei singoli. Lo stesso
ambiente culturale e sociale comunicando con il sistema individuale sensoriale di
ricezione delle emozioni è uno dei fattori essenziali della produzione di creatività
nei singoli settori dell’industria culturale considerati.
a) Creatività per la qualità sociale
La storia accumulata del patrimonio architettonico è fonte di stimoli creativi nel
settore dell’architettura. E’ una specie di presenza attiva nel DNA degli architetti
ed è così in ogni altra singola componente del macrosettore: la moda, il design,
l’industria del gusto, il software, l’editoria libraria, il cinema, il branding e la
pubblicità, la radio e la televisione, la musica e lo spettacolo.
A volte nei settori della qualità sociale non prevalgono evoluzioni di tipo
incrementale che si avvalgono sistematicamente del patrimonio accumulato, anzi
può accadere, come nel caso dell’arte contemporanea o del design industriale,
che il progresso artistico avvenga per rottura di paradigmi del passato e in modo
non-cumulativo.
Siccome il modello della creatività per la qualità sociale si fonda su esperienze
come la cultura, la tradizione, il territorio, le città creative e i distretti culturali, è
evidente come la nozione di patrimonio rappresenti un fattore strategico per
garantire un alto tasso sociale di creatività
b) Creatività per l’innovazione
Nei settori a forte componente tecnologica la presenza di un patrimonio di
conoscenze scientifiche, di tecniche e di esperienze è essenziale. Molti sono i
settori coinvolti: software, editoria, cinema, radio, TV; e tutti hanno profonde
radici tecnologiche, importanti e necessarie per rimanere sulla frontiera della
conoscenza.
Dunque una prima osservazione sulle tipicità del modello italiano ci porta a
considerare il patrimonio culturale come input essenziale della creatività e della
sua produzione o stimolo. Il patrimonio culturale del paese è in buona parte
consolidato nel suo sistema educativo. I programmi tradizionali tuttavia non
sembrano ancora in grado di educare alla creatività le giovani generazioni. A
questo riguardo servono programmi espliciti per favorire lo sviluppo di talenti,
abilità e competenze creative di studenti e insegnanti. Il lavoro comune e lo
298
stimolo delle rispettive qualità immaginative e creative ha mostrato buoni risultati
nell’esperienza anglosassone sia nei confronti dei giovani che degli insegnanti 1.
I giovani sono coinvolti in lezioni creative che li aiutano a esplorare e riconoscere
le loro capacità in un ambiente diverso da quello scolastico tradizionale. Vengono
anche usate nuove tecnologie per l’espressione creativa. In tal modo si
sviluppano aspirazioni individuali e una nuova attenzione alle opportunità future.
L'aspetto pedagogico nei musei, aree archeologiche, chiese e castelli è a sua
volta un altrettanto formidabile veicolo di educazione alla creatività.
Mentre gli istituti tradizionalmente preposti alla formazione artistico-creativa, quali
le Accademie di Belle Arti, i Conservatori Musicali, le Scuole professionali di
design, la Scuola dell’obbligo sono oggetto di inevitabili e contrastate riforme,
particolarmente interessanti sono i contesti museali e quelli dell’apprendimento
interattivo multimediale con funzioni di apprendimento audio-guida capaci di
offrire al giovane visitatore una esperienza divertente ed educativa.
1.2 Le nuove tecnologie per i beni culturali e il patrimonio
Le nuove tecnologie permettono una riproposizione di una applicazione creativa
al patrimonio. Se il patrimonio è una risorsa per lo sviluppo della creatività, è
anche vero il contrario, ossia che la creatività è uno strumento di grande valore
nella costruzione di un patrimonio. Inoltre, ricordando che la creatività può essere
incorporata negli oggetti, nelle tecnologie e nelle organizzazioni economiche
acquista particolare significato il suo impiego nello sviluppo delle tecnologie e
forme organizzative nuove per i beni culturali.
La creazione, gestione, tutela e valorizzazione del Patrimonio Culturale sta
sviluppando un fiorente mercato caratterizzato da piccole e medie aziende (con
anche la presenza qualificata di alcune grandi) dai forti contenuti tecnologici.
Nuovi materiali, tecniche costruttive innovative, strumenti di misurazione e
diagnostica, modellistica 3D, piattaforme digitali, sono esempi tangibili. Il nostro
Patrimonio Culturale sta diventando un vero e proprio laboratorio per lo sviluppo
di tecnologie, materiali e metodologie molto innovative; si pensi ai batteri
“mangia-patine”, al cemento bianco contenente nanomolecole di titanio che non
si sporca, agli acceleratori di neutroni in grado di radiografare le statue e
ricostruirle dall’interno, fino alle recenti innovazioni del settore digitale (mappe
satellitari navigabili, sistemi georeferenziati portatili, tag a radiofrequenza per
marcare gli oggetti, …).
I settori che contribuiscono a questo aggregato non sono solo il restauro e la
progettazione dei portali Internet. Pensiamo alla strumentazione diagnostica, ai
nuovi materiali e tecnologie per le costruzioni che consentono la creazione di
edifici avveniristici – i futuri beni culturali – fino alla sensoristica e alla nuova
impiantistica. E poi naturalmente il mondo variegato e in “ebollizione”
dell’industria culturale con la diffusione delle nuove tecnologie digitali e
l’emergenza di nuovi media.
Questo know-how che il nostro Paese possiede è spesso disperso e
frammentato e richiede processi di coordinamento e aggregazione. Per questo
motivo la lettura di un nuovo aggregato economico che pone l’accento non solo
sui servizi aggiuntivi museali e sui flussi turistici ma sul sistema di imprese che
1
DCMS, Paul Roberts’ report, Nurturing Creativity in Young People
299
rende possibile la creazione, gestione, tutela e la valorizzazione di questo
patrimonio è oggi priorità assoluta.
Un aspetto non trascurabile di questo settore è la sua esportabilità. La nostra
credibilità all’estero su questi temi è altissima ma non ha avuto la possibilità di
svilupparsi come invece ha fatto il Made-in-Italy e questo è certamente un
potenziale da cogliere. Solo una visione sistemica consente di sfruttare questa
grande opportunità.
La scelta di considerare i beni e le attività culturali una delle 5 aree di Industria
2015 – la nuova iniziativa di sviluppo economico lanciata dal Governo Prodi per
garantire il riposizionamento strategico del sistema industriale italiano nell’ambito
dell’economia mondiale, globalizzata e fortemente competitiva – è proprio
motivata dall’esigenza di fare emergere e rafforzare questa nuova filiera
economica come una delle opzioni concrete per il rilancio dell’economia italiana.
Cuore di questo sistema – definito dalle due dimensioni (integrate in maniera
indissolubile) di natura (Ambiente) e paesaggio antropizzato (Beni Culturali) – è il
territorio, che sta riacquistando quella centralità economica che l’economia
industriale prima e la New Economy dopo gli avevano negato. Strumenti
fondamentali di questo rilancio sono l’innovazione tecnologica e un nuovo utilizzo
del design e della cultura di progetto.
Le nuove tecnologie, consentono, alle istituzioni deputate alla conservazione,
conoscenza, fruizione e gestione dei beni culturali di convogliare l’interesse del
pubblico verso il patrimonio che hanno in custodia incrementandone il valore.
•
•
•
•
Per Conservazione, si intendono le attività di conservazione, monitoraggio e
restauro degli artefatti.
Per Conoscenza, si intendono tutte le attività necessarie per la metacatalogazione del bene, che includa, accanto alla tradizionale catalogazione, tutti
i riferimenti relativi alle analisi scientifiche, agli studi, alla collocazione spaziale e
temporale, all’immagine virtuale sia a due che tre dimensioni e quant’altro
necessario per assicurare la “vita” dell’opera d’arte nel mondo “virtuale”.
Per Gestione si intende quel complesso di attività necessarie alla valorizzare
del patrimonio culturale paesaggistico, enogastronomico e aziendale. Rispetto
alla creatività incorporata nelle organizzazioni, si può ricordare lo sviluppo di
nuove forme efficienti di governance, di metodologie didascaliche per i visitatori
di musei e monumenti, di efficaci strategie di comunicazione verso le famiglie, i
giovani e le scuole, di politiche per la crescita del turismo culturale, e per una più
efficace politica delle esposizioni temporanee e dei blockbuster.
Per Fruizione si intende principalmente la messa a punto di nuove modalità
fruitive e diffusive e nuovi format narrativi, ma anche la riqualificazione di edifici e
luoghi vincolati di elevato interesse storico, la definizione di nuovi modelli di
business per la tutela, messa in sicurezza e gestione sostenibile dei luoghi
“culturali”.
Queste tecnologie presentano inoltre interessanti esternalità positive. Ad
esempio le competenze necessarie per restaurare un palazzo “storico” su Canal
Grande (con le fondamenta nell’acqua e soggetto a continui moti ondosi e
maree) sono leading-edge e “credibilmente” utilizzabili nei settori tradizionali
dell’edilizia. Tali competenze sono di particolare rilevanza oggi dove l’effetto
serra e il disboscamento stanno facendo dell’acqua (tsunami, tropicalizzazione
del clima, alluvioni come quella di New Orelans) uno dei fenomeni più temuti per
l’edilizia.
300
Volendo identificare le aree tecnologiche più critiche legate al Patrimonio
culturale, ve ne sono sostanzialmente sei:
•
•
•
•
•
•
materiali (per la protezione, restauro e riqualificazione edilizia);
sistemi diagnostici;
sensoristica e impiantistica (climatizzazione, “arredo”);
sistemi di costruzione e di consolidamento strutturale degli edifici;
sistemi di safety and security;
tecnologie digitali.
È dal presidio scientifico di queste aree che il nostro paese potrà costruire una
vera e propria leadership internazionale in questo settore.
2. Il patrimonio come industria culturale
Se si considera il patrimonio storico e artistico italiano dal punto di vista delle
industrie culturali, i maggiori problemi che lo riguardano sono quelli della sua
gestione efficiente, dell’allargamento della domanda, della valorizzazione delle
economie di scopo, in particolare della produzione di turismo culturale, e della
capacità di aumentare l’impatto socio-economico positivo sul sistema
dell’economia locale e sul suo sviluppo.
I prossimi paragrafi, quindi, saranno dedicati ad alcuni aspetti della politica
economica applicata al patrimonio culturale. Non si discuteranno i temi della
valorizzazione, gestione e della tutela, ampiamente noti e recentemente
riconsiderati dalle norme sul paesaggio a modifica del Codice dei beni culturali
ma, dopo una breve presentazione dello stato attuale del patrimonio culturale
italiano, - consistenza, pubblico, mostre fiere e paesaggio - si affronteranno tre
problemi di prospettiva:
1. Il turismo culturale e le città d’arte
2. L’impatto economico della cultura
3. L’aumento della domanda di visitatori.
2.1 Il patrimonio culturale italiano
2.1.1
La consistenza del patrimonio storico artistico italiano
Vi è grande dibattito su quale sia l’effettiva consistenza del patrimonio culturale
italiano: lo dimostrano i molti rapporti prodotti sul tema in questi anni, sia su
commissione pubblica sia autonomamente da centri di ricerca e università.
Le uniche statistiche aggiornate sul tema, fornite dal Sistan del MiBAC, coprono
infatti soltanto le strutture statali: quei 402 musei, monumenti e aree
archeologiche (Tav. 1) che nel 2006 hanno destato l’interesse di circa 34,6
milioni di visitatori e generato incassi lordi per poco più di 104 milioni di euro.
Tav.1 Musei, monumenti e aree archeologiche statali - 2006
Circuiti museali
Tipologia di istituto
Totale
Modalità di ingresso
Totale
218
184
402
A pagamento Gratuita
Musei
139
Monumenti e aree archeologiche 79
57
127
196
206
301
Fonte: Sistan-MiBAC
Fig. 1 Musei, monumenti e aree archeologiche statali per regione* - 2006
Lazio
Campania
Toscana
Emilia - Romagna
Puglia
Abruzzo
Lombardia
Piemonte
Calabria
Marche
Basilicata
Veneto
Friuli-Venezia Giulia
Umbria
Sardegna
Molise
Liguria
86
59
55
32
17
17
17
17
16
15
13
12
11
10
9
8
7
Fonte: elaborazione su dati Sistan-MiBAC
* Nel 2006 in Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta non erano presenti istituti statali aperti al pubblico.
Musei e monumenti che sono concentrati soprattutto nell’Italia centrale (41,4%) e
che hanno nel circuito del Colosseo e Palatino - oltre 4 milioni di visitatori nel
2006 - il proprio fiore all’occhiello. Qui troviamo anche il Museo Egizio, Pompei e
gli Uffizi. Ma non i Musei Capitolini, la Cappella degli Scrovegni, il MART di
Rovereto o il Guggenheim di Venezia.
L’ISTAT ha in corso un censimento delle strutture non statali che dovrebbe uscire
entro il 2008 ma si tratta ancora una volta di un’operazione una tantum come lo
era stata la relazione sui musei degli enti locali commissionata dalla Corte dei
Conti nel 20052 o l’indagine svolta dal Touring Club Italiano per il MiBAC nel
2003 sulla consistenza del patrimonio culturale immobile di interesse turistico3,
23.741 tra palazzi, castelli, musei, chiese e monumenti.
Per non parlare dell’immenso patrimonio dell’Agenzia del Demanio - 20.000
edifici in gestione, 10.000 terreni, 2.500 beni ad alta potenzialità di valorizzazione
in 153 comuni4 – dei beni ecclesiastici e di tutta quella parte di offerta
“temporanea” che è rappresentata oggi dalle mostre.
2
Corte dei Conti – Sezione delle Autonomie, “Relazione concernente il controllo eseguito sui musei degli
enti locali”, gennaio 2006.
3
Centro Studi Touring Club Italiano, “Indagine sulla consistenza del patrimonio culturale immobile di
interesse turistico”, luglio 2003.
4
Agenzia del Demanio, 2007.
302
Appartengono poi al sistema del patrimonio culturale le biblioteche - oltre 7.000 di
cui 46 statali - e gli archivi, vere e proprie infrastrutture culturali a disposizione
della comunità residente (Tavv. 2-3).
Tav. 2 Consistenza del materiale cartaceo, presenze, ricerche, pezzi consultati,
spese di gestione e personale degli archivi statali italiani – 2003-2006
Anni
Archivi
2003
2004
2005
2006
99
99
99
99
Materiale
Spese di
Pezzi
cartaceo Presenze Ricerche
gestione Personale
consultati
(pezzi)
(euro)
12.232.528 286.163 111.929
874.692 41.090.263
2.848
12.902.544 291.034 134.642
909.236 38.515.814
2.807
13.428.224 301.448 106.670
924.256 40.323.438
2.801
13.629.923 263.220 111.986
874.926 40.540.883
2.742
Fonte: Sistan-MiBAC
Tav. 3 Consistenza del materiale, consultazioni, prestiti, spese di gestione e personale delle
biblioteche statali italiane – 2003-2006
2.906.006 2.769.652
2.874.812 2.813.444
2.913.419 2.491.061
Persone
ammesse
al
prestito
294.905 224.799
301.938 223.054
291.046 243.120
1.620.967 48.059.884,32 2.734
1.801.028 45.706.109,00 2.673
1.909.083 42.437.510,22 2.580
2.601.837 2.517.506
281.645 249.416
1.658.567 43.652.725,42 2.519
N
Anni
biblioteche
Manoscritti Stampati
2003 46*
2004 46*
2005 46*
198.817
202.475
204.829
2006 46*
205.582
Prestiti
Opere
a
consultate
privati
Lettori
Spese
gestione
(euro)
di
Personale
Fonte: Sistan-MiBAC
* La Biblioteca del Monumento Nazionale di Farfa (Fara Sabina - Rieti), è compresa nelle
46 biblioteche pubbliche statali, ma è rimasta chiusa. Dal conteggio è stata invece
esclusa la Biblioteca Universitaria di Bologna, passata al MURST, ma della quale si
riportano, nelle tavole seguenti, i relativi dati.
Anche volendo circoscrivere l’argomentazione al solo settore museale, emerge
subito evidente come i limiti relativi alla reperibilità di dati aggiornati e completi
non riguardino purtroppo (o per fortuna) soltanto l’Italia: per molti altri paesi
europei, infatti, non sono disponibili dati esaustivi e affidabili; spesso per
mancanza di un istituto/organismo nazionale preposto alla raccolta di tali
informazioni oppure di una fonte sopranazionale, in quanto Eurostat non fornisce
al riguardo che dati assai parziali5.
Da qui la difficoltà di poter attuare comparazioni internazionali: ha senso infatti
confrontare gli oltre 4.800 musei tedeschi o i 1.238 spagnoli con i 402 italiani?
5
Si veda a tal proposito “Cultural Statistics 2007”.
303
Fig. 2 Consistenza dei musei nei Paesi UE 27 - 2005
Germania
4847
Spagna
1238
Francia
1191
Belgio (1)
890
Paesi Bassi (2)
775
Ungheria (3)
772
Polonia
690
Romania (4)
667
Repubblica Ceca
465
ITALIA (5)
402
Austria (6)
397
Finlandia
328
Portogallo
285
Irlanda (7)
258
Danimarca (8)
257
Bulgaria (9)
229
Svezia
228
Estonia
209
Slovenia
164
Lettonia
130
Lituania (10)
105
Grecia
Slovacchia (11)
Malta
Lussemburgo (12)
Cipro (13)
104
92
56
37
13
Fonte: Touring Club Italiano, L’Annuario del Turismo e della Cultura 2008.
(1) In mancanza di statistiche nazionali, il dato è stato costruito sommando i musei delle
Fiandre, musei della Comunità francese e musei di Bruxelles e musei federali; (2)
Pubblici e privati; (3) Solo musei pubblici; (4) Solo pubblici musei e collezioni; (5) Solo
musei statali; (6) Musei pubblici e privati; (7) Alcuni musei sono aperti solo nel periodo
estivo; (8) Di cui 167 finanziati dallo Stato; (9) Solo pubblici; (10) Musei affiliati con propri
fondi autonomi; (11) 82 pubblici e 10 di altra natura; (12) Dati riferiti al 2004; (13) Solo
musei statali.
Ciò costituisce un problema non solo di natura statistica ma anche di
comunicazione e promozione, e si concretizza in una difficoltà di valutazione
gestionale ed economica complessiva del patrimonio, come dimostra per
esempio il fatto che gran parte di ciò che viene definito “patrimonio minore”, come
i molti musei scientifici presenti in Italia, i musei etno-antropologici ma anche
alcuni siti archeologici di inestimabile valore artistico, langue nel semioblio.
304
Un secondo tema di dibattito, più che mai attuale e in parte legato al problema
della quantificazione del patrimonio culturale italiano, è quello relativo ai servizi
aggiuntivi.
Sebbene anche gli istituti italiani si stiano attrezzando per rispondere alle
crescenti esigenze del pubblico e all’innalzamento degli standard internazionali,
l’Italia appare infatti, su questo fronte, assai in ritardo.
Nel 2006, tra i 402 musei, monumenti e aree archeologiche statali, soltanto in 97
era attivo il servizio di bookshoop e in 137 un servizio di prenotazione/preventiva
del biglietto d’accesso.
Servizi più all’avanguardia come le nursery o anche più semplicemente la
prevendita on line sono offerti ancora da pochissimi musei così come i percorsi di
visita specificamente studiati per i bambini o per i disabili.
Tav. 4 I servizi aggiuntivi nei musei, monumenti e aree archeologiche statali – 2003-2006
Tipologia di Servizio
Bookshop
Audioguide Vendita
Gadget
Anno
2003
2004
2005
2006
Caffetteria
Prenotazione Ristorante
Prevendita
Self-service
Visite
Guidate
Totale
Servizi Attivi al 31/12
40
97
23
137
6
84
-
Clienti/Scontrini
611.126
2.112.775
1.004.719
2.704.992
40.523
807.442
7.281.577
Incassi Lordi (Euro)
2.056.971,61 19.284.290,35 4.682.789,20 4.378.691,07
518.788,26
168.987,88
910.106,86
2.392.008,42 33.704.857,51
107.921,29
229.252,10
Quota Soprintendenza (Euro) 388.246,26
Servizi Attivi al 31/12
40
3.786.475,09
5.199.670,88
96
26
136
6
82
-
Clienti/Scontrini
627.636
2.183.974
1.024.755
3.001.968
59.842
877.016
7.775.191
Incassi Lordi (Euro)
2.303.484,34 20.204.404,68 5.176.926,66 5.235.697,25
1.429.547,99 2.583.388,67 36.933.449,59
Quota Soprintendenza (Euro) 486.747,73
Servizi Attivi al 31/12
39
3.987.379,23
527.639,92
170.329,89
110.882,65
214.563,59
101
31
143
6
89
5.497.543,01
-
Clienti/Scontrini
654.993
2.154.406
1.139.882
3.191.582
80.318
984.702
8.205.883
Incassi Lordi (Euro)
2.342.448,38 20.745.719,01 6.001.816,58 5.443.534,40
1.571.603,95 2.952.026,92 39.057.149,24
Quota Soprintendenza (Euro) 474.666,05
Servizi Attivi al 31/12
41
4.110.331,55
595.429,54
169.516,73
123.247,90
266.931,44
5.740.123,21
96
31
132
8
87
-
Clienti/Scontrini
704.738
2.206.425
1.113.608
4.210.908
216.736
991.515
9.443.930
Incassi Lordi (Euro)
2.744.102,65 22.596.145,69 5.915.611,08 7.559.875,05
Quota Soprintendenza (Euro) 563.690,60
4.417.859,05
624.032,38
304.605,12
2.591.627,49 3.080.981,34 44.488.343,30
208.246,98
215.336,63
6.333.770,76
Fonte: Sistan-MiBAC
E resta poi sempre aperto il seguente interrogativo: se nei musei, monumenti e
aree archeologiche statali vengono incassati ogni anno 40 milioni di euro dai
servizi aggiuntivi e, in primis, dai bookshop (circa 22), cosa accade nei restanti
2.800 musei?
2. 1.2 Il pubblico di musei, monumenti e aree archeologiche italiane
A fonte di un’offerta sostanzialmente stabile, dal 2001 al 2006 i visitatori dei
musei, circuiti museali, monumenti e aree archeologiche statali sono passati da
29,5 milioni a 34,6, con un incremento percentuale del 17%.
Tav. 5 Visitatori di musei, circuiti museali, monumenti e aree archeologiche statali – 2006
Visitatori
305
degli Istituti a Pagamento
Tipologia di istituto
Paganti
Musei
6.375.156
Monumenti e aree
archeologiche
5.035.845
Non
paganti
4.123.804
Totale
degli
Istituti
Totale
Gratuiti
Introiti
(Euro)
lordi
10.498.960
447.550
10.946.510
32.706.615,70
3.227.466
8.263.311
8.552.824
16.816.135
33.843.486,76
Circuiti museali
4.957.148
1.854.798
6.811.946
0
6.811.946
37.683.642,94
Totale
16.368.149
9.206.068
25.574.217
9.000.374
34.574.591
104.233.745,40
*
Fonte: Sistan-MiBAC
Un aumento in gran parte attribuibile agli istituti con ingresso gratuito (3,3 milioni)
mentre, per musei e monumenti a pagamento, sono i circuiti museali - tipologia in
forte espansione sia per numero sia per bacino d’utenza- a fare la parte del leone
con una crescita, dal 2001, di 3,2 milioni di visitatori.
Si tratta di una domanda molto concentrata sia nello spazio sia nel tempo. I primi
4 siti più visitati – circuito archeologico del Colosseo e Palatino, Scavi di Pompei,
Uffizi e Corridoio Vasariano, Galleria dell’Accademia – raccolgono infatti 10 dei
totali 34,6 milioni di visitatori e anche la distribuzione mensile degli accessi vede
una concentrazione della domanda sui mesi di aprile, maggio e agosto.
2. 1.3 Mostre, fiere d’arte e un grande assente: il paesaggio
Tra i fenomeni che hanno caratterizzato l’evoluzione dell’offerta culturale italiana
e internazionale ma anche una trasformazione nelle abitudini di consumo, quello
delle mostre temporanee è senz’altro uno dei più interessanti.
Delle ragioni e degli effetti sul territorio di questa tipologia di evento si dirà in
seguito ma vale comunque la pena ricordare qui almeno qualche numero.
Nell’estate 2007 sono state organizzate, in quello che è stato definito il
“mostrificio italiano”, almeno 650 mostre e, nel corso del 2006, le esposizioni
temporanee sono state visitate complessivamente da oltre 7 milioni di visitatori.
Tav. 8 – Le dieci mostre più visitate in Italia – 2006
Visitatori
totali
Titolo della Mostra
Museo
Museo di Santa
Giulia
Scuderie
del
Quirinale
I Palazzo Reale
Complesso
d.
Vittoriano
1
541.547
Gauguin/Van Gogh
2
3
318.558
313.269
Antonello da Messina
Caravaggio e l'Europa
4
309.430
5
300.353
6
271.298
7
242.331
8
229.014
9
199.488
Modigliani
Mantegna
a
Mantova
1460-1506
Palazzo Te
Millet: opere dal Mfa di Museo di Santa
Boston
Giulia
Scuderie
del
Cina. Nascita di un Impero Quirinale
Museo Archeologico
Argenti a Pompei
Nazionale
Raffaello. Da Firenze a
Roma
Galleria Borghese
Complesso
del
Manet
Vittoriano
10 181.595
Città
Brescia
Date
22 ott 05 - 26 mar
06
Roma
Milano
18 mar - 25 giu.
15 ott 05 - 6 feb 06
Roma
Brescia
23 feb - 20 giu
16 set 06 - 28 gen
07
22 ott 05 - 26 mar
06
Roma
22 set 06 - 4 feb 07
Napoli
2 apr -2 ott
Roma
19 mag-10 set
Roma
8 ott 05-5 feb 06
Mantova
Fonte: La Repubblica, Classifica generale visitatori (di Goffredo Silvestri).
306
Ciò sta comportando una trasformazione del tradizionale ruolo dei musei che si
sono trovati nelle condizioni di dover in parte ripensare e adattare la propria
struttura e la propria organizzazione al moltiplicarsi di nuove funzioni, talvolta in
un rapporto dialettico e di riscoperta con la collezione permanente talvolta,
invece, come semplice involucro di contenuti “altri”.
Anche le fiere d’arte, forma relativamente nuova di distribuzione di cultura, si
trovano oggi in un momento storico di grande propulsione, soprattutto nel settore
dell’arte contemporanea: Verona, Torino, Bologna, Milano, ognuna di queste
fiere, con le sue peculiari caratteristiche, raggiunge infatti ogni anno 30 - 40 mila
visitatori in pochi giorni di apertura. Basti ricordare, tra i tanti, il grande successo
ottenuto, alla sua prima edizione, dalla fiera romana “The road to contemporary
art”6.
Tali eventi pur rivolti prevalentemente a un pubblico specialistico di operatori,
sono sempre più spesso oggetto d’interesse anche da parte di un pubblico
generico di appassionati che trova qui l’occasione per dare uno sguardo alle
nuove tendenze dell’arte oltre che alle opere di artisti già affermati, respirando dal
vivo l’aria del “mondo dell’arte”.
Si tratta certo di un fenomeno che riguarda – salvo rare eccezioni- ancora una
volta le città d’arte e i centri urbani maggiori. Così, mentre le città si riempiono di
eventi culturali, nel vortice di una concorrenza sempre più accanita ma spesso
slegata da una logica di promozione integrata dei luoghi, quello che è uno degli
elementi più peculiari e specifici dell’offerta culturale italiana, il paesaggio, viene
invece spesso sottovalutato.
Il paesaggio naturale e il paesaggio culturale - “testimonianza del genio creativo,
dello sviluppo sociale e della vitalità immaginifica e spirituale dell’umanità” 7 rappresentano per l’Italia un grandissimo capitale sia in termini di immagine sia
come fonte prima d’ispirazione per la creazione artistica.
Paesaggio che è di per sé un elemento mutevole e in evoluzione e che, proprio
per questo, offre una poliedricità di funzioni culturali ed educative. Questo
“territorio espressivo di identità” si presta da un lato ad accogliere la creazione
artistica – si pensi per esempio ai parchi di sculture8 o alla land art 9 - e dunque a
essere contesto e contenitore culturale attivo, dall'altro è oggetto, “contenuto”, di
progetti culturali trasregionali e trasfrontalieri, diventando, nella sua diversità,
elemento unificante.
È questo il caso delle Cultural Routes 10, dei numerosi progetti di valorizzazione
dei paesaggi viti-vinicoli o delle strade della transumanza11, solo per citare alcuni
esempi.
Ma mentre nel 1992 la World Heritage Convention è diventata il primo strumento
legale internazionale per la protezione dei paesaggi culturali12, inclusi della lista
6
Sei sedi espositive, 50 gallerie nazionali ed internazionali, oltre 35.000 visitatori.
http://whc.unesco.org/en/culturallandscape/.
8
Come il Giardino dei Tarocchi a Capalbio, la Fattoria di Celle a Santomato, il Giardino di Daniel Spoerri a
Seggiano o il Parco dei Mostri di Bomarzo.
9
Un esempio a tal proposito è Arte Sella, manifestazione internazionale di arte contemporanea che dal 1986
si svolge nei boschi della Val di Sella (comune di Borgo Valsugana, provincia di Trento).
10
European Institute for Cultural Routes: http://www.culture-routes.lu/ .
11
Virtual Museum of European Transhumance: http://www.transumanza.eu/.
12
Nelle tre categorie di “clearly defined landscape designed and created intentionally by man”, “organically
evolved landscape” e “associative cultural landscape”.
7
307
del Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO13, in Italia il complesso assetto
normativo che vede “territorio”, “ambiente” e “paesaggio” come “ambiti regolati da
diverse normative e diverse responsabilità”14 ha fatto sì che lo scempio del
paesaggio continuasse.
Un segnale positivo viene oggi dalla recente approvazione del decreto legislativo
26 marzo 2008, n. 63 di integrazione e correzione del Codice dei Beni Culturali e
del Paesaggio15. Attraverso tale provvedimento infatti, la nozione di paesaggio
sembra aver trovato una nuova unitarietà e l‘assetto delle competenze di tutela riconferite primariamente allo Stato anche se sempre in cooperazione con le
Regioni - un maggior equilibrio.
3. Turismo culturale e città d’arte
3.1 Il turismo nelle città d’arte: il mercato estero e il mercato domestico
È ormai largamente riconosciuto che le risorse culturali - siano esse tangibili,
intangibili o materiali - sono oggi un “fattore produttivo” sostanziale per l’industria
turistica.
Il turismo culturale – fenomeno spesso non facilmente definibile16 - rappresenta
infatti una declinazione sempre più importante nel mondo dei viaggi e delle
vacanze, soprattutto in Italia.
Da un’indagine di Doxa, Mercury e Touring Club Italiano sull’attrattività turistica
dell’Italia all’estero la categoria “cultura, arte” (su una scala da 1 a 10) raggiunge
infatti il giudizio più alto (8,28), prima di “cucina, vini” (8,11) e di “paesaggio”
(8,10) e, tra i luoghi italiani più noti all’estero, vengono citate in primis le grandi
città d’arte: Roma (64,3%), Venezia (35,9%), Milano (27,5%) e Firenze (23,4%)17.
Nel 2006, solo per citare alcuni dati, dei 308 milioni di presenze registrati nella
Penisola, 92 hanno riguardato città di interesse storico e artistico con una
crescita, nel periodo 2001-2006, del +22,5% per gli arrivi e del +13,4% per le
presenze (Tav.
Tav. 9 Arrivi e presenze negli esercizi ricettivi per tipo di località – 2006
Città di interesse storico e artistico
Località montane
Località lacuali
Località marine
Località termali
Italiani
Arrivi
13.972.770
5.954.887
1.747.816
14.145.752
1.947.908
Presenze
Stranieri
Arrivi
38.721.986
29.673.217
6.585.407
79.295.631
8.693.155
19.138.796
3.310.490
3.462.431
7.002.386
1.401.960
Presenze
Totale
Arrivi
Presenze
53.084.260
17.497.609
17.759.196
38.011.166
5.251.159
33.111.566
9.265.377
5.210.247
21.148.138
3.349.868
91.806.246
47.170.826
24.344.603
117.306.797
13.944.314
13
I siti italiani sono: Portovenere, Cinque Terre e isole (Palmaria, Tino and Tinetto); Costiera Amalfitana,
Cilento e Parco Nazionale del Vallo di Diano con i siti archeologici di Paestum e Velia e Certosa di Padula;
Val d'Orcia; Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia.
14
Salvatore Settis, La Repubblica, 27 novembre 2007
15
Decreto legislativo 26 marzo 2008, n.63, “Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio”, (GU n. 84 del 9-4-2008).
16
L’UNTWO (World Tourism Organization) definisce il turismo culturale come lo spostamento di persone per
motivazioni principalmente culturali quali viaggi studio, partecipazioni a spettacoli e tour culturali,
partecipazione a festival o ad altri eventi culturali, visite a siti e monumenti lasciando però spazio anche alla
possibilità che del turismo culturale faccia parte l’immergersi nelle abitudini di un popolo sperimentandone le
tradizioni e lo stile di vita.
17
Indagine condotta da Doxa-Mercury-Touring in collaborazione con il Ciset-Università Cà Foscari di
Venezia per conto del Dipartimento per lo Sviluppo e la Competitività del Turismo.
308
Località collinari e di interesse
vario
2.056.147 5.872.006
1.618.976 7.530.394
3.675.123 13.402.400
Totale
39.825.280 168.841.402 35.935.039 139.133.784 75.760.319 307.975.186
Fonte: Istat
Si tratta di dati da considerare con cautela in quanto definiscono il turismo
culturale dal lato dell’offerta e non, come si dovrebbe, sulla domanda18 ma che
servono comunque a dare un’idea dell’importanza di questo comparto per
l’industria turistica italiana.
3.2 Turismo culturale verso turismo creativo: quale evoluzione per il futuro?
Ma come si sta evolvendo il turismo culturale e cosa lega patrimonio culturale,
turismo e industrie creative? Sinteticamente si può pensare a questo legame su
un duplice livello, un primo relativo alla creazione/integrazione della destinazione,
il secondo livello invece più legato all’offerta di servizi funzionali alla fruizione.
Il turismo culturale cresce, la domanda si diversifica, la concorrenza aumenta e
anche l’offerta si specializza facendo emergere nuovi sub-mercati: da forme più
tradizionali di fruizione turistica verso forme innovative di consumo di cultura
contemporanea. Si pensi per esempio al turismo letterario19, al turismo
architettonico che induce sempre più amministratori pubblici ad assumere
“archistar” per rinnovare l’immagine delle proprie città20, o al cineturismo,
fenomeno non recente ma che ha vissuto negli ultimi anni una crescente
popolarità grazie anche ai rapporti di collaborazione con le sempre più numerose
film commission21.
In questo modo vengono a crearsi nuove destinazioni in un processo in cui la
creatività e le industrie creative permettono sempre più spesso a luoghi
apparentemente meno dotati di attrazioni storiche di affermarsi nel circuito del
turismo culturale o a destinazioni in declino di rinnovare e integrare la propria
offerta.
Gli stessi musei, simbolo per eccellenza del tradizionale turismo culturale e
elementi caratterizzanti dell’offerta culturale di una destinazione stanno vivendo
un processo di trasformazione delle proprie funzioni classiche come dimostra il
grande fiorire di “mostre evento”, o la nascita di nuovi musei (come per es. il
Mambo, il Madre, il MAXXI, il Museo del Design o i molti musei d’impresa).
Sempre nel settore museale si sta assistendo poi a una specializzazione e
moltiplicazione tematica dell’offerta - non più legata necessariamente alle
tradizionali categorie artistiche, archeologiche e scientifiche - verso nuovi temi
quali l’impresa, la gastronomia, la storia contemporanea etc.
Anche il turismo culturale dunque sta profondamente mutando verso quello che
Richards chiama “turismo creativo”: un turismo che consuma esperienze, che ha
18
La classificazione avviene in base alla tipologia della località e non secondo le effettive motivazioni dei
turisti Questi ultimi dati, di fonte Banca d’Italia-Ufficio Italiano Cambi, sono infatti disponibili solamente per i
turisti stranieri.
19
In Italia è particolarmente interessante l’esperienza dei parchi letterari: http://www.parchiletterari.com/.
20
Come per esempio Jean Nouvel a Siena, Herzog & De Meuron e Zaha Hadid in Sardegna, Massimiliano
Fuksas a Montecatini Terme.
21
I casi più significativi di Movie induced tourism a livello internazionale sono stati, tra gli altri, quelli
verificatisi a Londra a Notting Hill, in Nuova Zelanda in seguito alla trilogia de “Il Signore degli Anelli” e in
Corea grazie alla soap-opera “Winter Sonata”. In Italia si ricorda invece la riscoperta del castello di Agliè in
seguito alla fiction “Elisa di Rivombrosa”.
309
il suo focus temporale non più solo sul passato ma anche sul presente e sul
futuro, che si interessa non soltanto alla “cultura alta” ma anche a quella popolare
e di massa, alla moda, al design e all’architettura22.
Il secondo livello del rapporto industrie creative e turismo fa invece riferimento a
tutti i prodotti e ai servizi che le industre creative forniscono a supporto
dell’esperienza turistica culturale, tanto più importanti da un punto di vista
economico se si considera la tradizionalmente alta capacità di spesa del turista
culturale rispetto ad altre categorie di turisti (106 euro di spesa giornaliera media
contro circa 74 nel 2005).
L’editoria e il multimedia sono i servizi più direttamente a servizio del fruitore –
come già ricordato, gli incassi dei bookshop museali23 hanno raggiunto nel 2006
22,6 milioni di euro - ma pubblicità e comunicazione sono altrettanto importanti
nel successo di una destinazione o di un attrattore turistico24.
Infine va ricordato il rapporto dialettico tra turismo e architettura: sia perché molte
opere architettoniche sono diventate, nel corso dei secoli, attrattive turistiche sia
perché l’architettura ha trovato nel turismo, a partire dalla fine del XIX secolo, una
forte spinta al rinnovamento e all’evoluzione sia tecnica sia estetica: non solo lo
stile eclettico dei primi Grand Hotel ma anche la nascita degli stabilimenti
balneari – basti ricordare lo Stabilimento Roma al Mare di Ostia dell’architetto
Giovan Battista Milani – e termali come quello di Montecatini.
A questo proposito, un’ultima nota merita anche un recente trend del settore
ricettivo, fortemente legato ai temi della creatività: il design hotel25, vero e proprio
luogo d’arte che ha dato nuovo slancio alla progettazione delle strutture ricettive,
modificando la percezione tradizionale della funzione dell’albergo da parte dei
clienti e diventando luogo di comunicazione non solo di uno stile ma anche di
singoli brand.
4. L’impatto economico delle istituzioni e degli eventi culturali
4.1 Premessa: da peso a carico della collettività a risorse produttive e volano di
sviluppo
Gli studi sull’impatto economico degli eventi culturali risalgono almeno agli anni
70. Memorabile ad esempio quello di Roger Vaughan sul Festival di Edimburgo.
Da allora si è sviluppata una vasta letteratura internazionale, che muoveva da
presupposti assai lontani dai temi che animavano il dibattito italiano
sull’economia dei beni culturali dei primi anni Novanta del secolo scorso.
Il punto di partenza di tali studi era e rimane banale: le istituzioni e le
manifestazioni culturali forniscono un contributo rilevante allo sviluppo economico
e occupazionale dei territori su cui insistono, essendo capaci di attrarre centinaia
di migliaia di facoltosi visitatori, deviare ingenti flussi turistici, sostenere diversi
settori economici, frenare la migrazione intellettuale e favorire lo sviluppo del
capitale umano locale, etc.
Tuttavia, le medesime istituzioni e manifestazioni possono provocare congestioni
e danni al patrimonio culturale, incrementare i costi sostenuti dalle comunità e
22
Richards G. e Wilson J. 2007, “Tourism, Creativity and Development”, London, Routledge.
Musei, monumenti e aree archeologiche statali, 2006.
24
Si veda ad esempio la recente campagna pubblicitaria organizzata per la riapertura di Palazzo Madama a
Torino.
25
Il primo design hotel in Italia viene considerato l’Hotel Parco dei Principi di Sorrento, progettato da Giò
Ponti (1964).
23
310
dagli enti locali, alterare gli equilibri dei mercati immobiliari e stravolgere gli
assetti delle attività commerciali favorendo la difesa di posizioni di rendita,
esercitare impatti sociali negativi, etc.
In tal senso, sebbene i nessi tra cultura, creatività e sviluppo economico sia da
svariati anni oggetto di una tambureggiante offensiva congressuale, non si può
certo affermare che in Italia si sia sviluppato un vero dibattito metodologico sulla
misurazione di tali impatti, sicché si riaffermano principi ideologici alla moda,
scarsamente sostanziati da verifiche empiriche ancorate a un rigoroso dibattito
teorico.
Il problema centrale, infatti, è legato alla corretta misurazione degli impatti positivi
e negativi, distinguendo tra quelli reddituali, occupazionali e fiscali, posto che le
cifre finali forniscono elementi conoscitivi e negoziali di innegabile valore. Non è
quindi un caso se nel corso dell'ultimo trentennio un numero crescente di
istituzioni culturali abbia commissionato dettagliate analisi dell'impatto, da Tate
Modern (2005, con London School of Economics) al Moma (2006), dal
Guggenheim (pioniere del Bilbao effect misurato nel 1999 da KPMG) al
Metropolitan di New York (2007), per tacere degli organizzatori dei festival, che
da diversi lustri patrocinano sistematicamente simili studi.
Per contrastare la parzialità di tali stime, diversi centri di ricerca pubblici e privati
hanno condotto controanalisi di notevole interesse, aprendo un franco dibattito
sui pregi e le virtù di uno strumento di politica economica, sociale e culturale di
sicura utilità. Nella piena convinzione che anche in Italia i tempi siano maturi per
aprire una discussione sul tema, questo contributo di carattere metodologico può
offrire degli spunti propedeutici all’avvio di una seria riflessione in merito.
4.2 La diffusione degli studi sull’impatto economico delle istituzioni e degli eventi
culturali in Italia
In Italia gli studi sull'impatto economico si sono concentrati prevalente sul settore
turistico, anche se mancano quasi del tutto in campo culturale. Le prime
esperienze (P. Leon, Cless; P. Valentino, Civita) erano dirette non tanto valutare
l’impatto ex post degli investimenti in campo culturale quanto per valutarne ex
ante la redditività ai fini della selezione dei progetti. Quindi non tanto l’impatto
diretto sul la società locale, ma piuttosto quello diretto sulla possibile
valorizzazione del museo, sul parco, sul castello
Costituiscono delle eccezioni i commenti metodologici di Solima del 1999 e di
Farina del 2003, le ricerche di Galeotti sul festival di Spoleto del 1992, l'analisi di
Rispoli, Di Cesare, Stocchetti e Quattromani sulla Biennale di Venezia del 2001 e
lo studio coordinato da Re sul caso di Torino del 2006.
Simile penuria è spiegata dall’arretratezza metodologica, dall'opacità e
rudimentalità dei sistemi contabili delle istituzioni culturali, dalla pochezza e dal
pressapochismo delle audience surveys, dalla scarsa disponibilità palesata da
soggetti pubblici e privati nel finanziare studi previsionali per iniziative reputate
poco o nulla redditizie, unitamente alla scarsa disponibilità di dati e rilievi su cui
basare i progetti di ricerca.
Suona tuttavia singolare che, a fronte dei milioni di euro spesi negli ultimi anni
per tanti studi di prefattibilità e fattibilità, il tema dell’analisi economica
dell’impatto, forse l’unico strumento in grado di controbilanciare le stime fornite
dalle tradizionali tecniche di business planning e di integrare i risultati delle ben
più raffinate CVM (Contingent Valuation Methods), sia stato de facto dimenticato
dagli analisti e dai policy makers italiani, sebbene all'estero esso sia
correntemente utilizzato da oltre un quarantennio, con tutte le cautele e le
precauzioni del caso, per le decisioni riguardanti le istituzioni e gli eventi culturali
di una certa entità.
311
Non è infatti necessario raggiungere la magnitudo di Torino 2006 per motivare la
redazione di uno studio di analisi dell’impatto simile a quello commissionato in
occasione delle giochi olimpici invernali del 2006. Quest'ultimo, non scordiamolo,
prevedeva una crescita dello 0,2% del PIL nazionale e del 3% di quello del
Piemonte, 17,4 miliardi di euro di valore aggiunto, 57.000 posti di lavoro creati
ogni anno nei primi cinque anni post olimpici, per un aumento dell’occupazione
pari allo 0,2%.
Tornando alle istituzioni e agli eventi culturali, va fatto osservare che solo di
recente sono stati condotti studi sperimentali, ma si tratta si esercizi, che, per
quanto raffinati, utilizzano dati desk, sovrappongono piani di analisi diversi e
contemplano obiettivi differenti (si pensi all’ardua definizione di capitale culturale
o alla valutazione delle ricadute formative). Di qui l'esigenza di restringere gli
obiettivi, concentrarsi su casi di dimensioni più contenute e riflettere, soprattutto,
sui vantaggi e gli svantaggi del metodo e sulle procedure più idonee a
raggiungere risultati pienamente attendibili.
4.3
La diffusione all'estero
A pochi chilometri dai confini italiani la situazione cambia vistosamente: l'analisi
di impatto è divenuta un elemento basilare di qualunque progetto culturale, che
viene a disporre di uno strumento offensivo quanto mai potente e suggestivo,
capace di convincere attori pubblici e privati spesso - giustamente – scettici, di
fronte a dichiarazioni roboanti ma poco sostanziate o a numeri forniti con
disarmante imprecisione.
Secondo l’ultima survey condotta da American for the Arts, nel 2004 il settore
artistico ha generato negli Stati Uniti redditi per 134 miliardi di dollari: 80.8 spesi
dai visitatori in consumi correlati (restauranti, alberghi, parcheggi, trasporti,
carburanti, acquisti al dettaglio, souvenir, etc.), 53.2 investiti (ex in nuovi immobili
e dotazioni tecnologiche) e spesi dalle istituzioni culturali per l'acquisto di beni e
servizi di vario genere, cui si dovrebbero aggiungere i valori relativi agli acquisti di
opere e collezionabili.
Si tratta di cifre in linea con quanto stimato per il distretto newyorkese da una
primaria società di consulenza come McKinsey and Company, che nel 2002
realizzò un'importante ricerca per conto dell'associazione Alliance for the Arts.
Non sfugge del pari l'ampio risalto dello studio commissionato nel 1998 dal
Guggenheim di Bilbao a un altro colosso della consulenza come KPMG, secondo
cui l'istituzione spagnola nei primi tre anni di vita avrebbe fatto crescere il PIL
dell'area dello 0,47% (con un valore assoluto di 140 milioni di euro, a fronte degli
85 investiti nel progetto), creando 3.816 posti di lavoro e facendo aumentare del
54% i flussi turistici dei paesi baschi (valori ridimensionati dalle verifche di Plaza
del 1999 e 2000, che li ha più che dimezzati). A tal riguardo si deve ammettere
che quello del Guggenheim di Bilbao è stato un caso di scuola, dacché i dati e le
analisi sono ormai talmente numerosi da potersi considerare un genere letterario.
L’istituzione spagnola ha modificato fortemente l’immagine della città e ha
contribuito non poco al suo successo turistico, attirando nel primo triennio più di
1.300.000 visitatori ogni anno, in un centro di 950.000 abitanti, benché la
collocazione di Bilbao in un’area compresa tra San Sebastian, la mecca europea
del surf, e Pamplona, la città della fiesta per eccellenza, abbia reso più difficile la
dissezione degli effetti imputabili all’influsso del museo sull’economia locale.
Tuttavia, analizzando l’incremento dei visitatori successivo all’apertura del
Guggenheim, e confrontandolo con le serie storiche dei flussi turistici nel
comprensorio di Bilbao, è stato possibile determinare la quantità addizionale
ascrivibile all’apertura del museo e la stagionalità delle visite, consentendo ai
312
ricercatori spagnoli di calcolare – con relativa precisione – l’impatto esercitato sul
territorio dall’istituzione basca.
Il successo di quell'approccio e i suoi echi mediatici hanno convinto altre
istituzioni a seguirne l'esempio: è così seguito lo studio presentato nel 2004 in
occasione della National Museum Directors' Conference britannica (e
commissionato dalla medesima alla London School of Economics), il quale ha
affermato che “the overall impact of the NMDC “sector”, including indirect and
induced effects, is in the range £1.83 billion to £2.07 billion”. In modo analogo la
Tate Modern, sempre coadiuvata da LSE, nel 2005 ha sostenuto di aver creato in
cinque anni “between 2,000 and 4,000 new jobs, about half of which are located
in the Southwark area”, laddove secondo l’impact analysis survey commissionata
nel 2006 dal MOMA a Audience Research and Analysis, il museo tra il 2005 e il
2007 ha generato un impatto economico nella città di New York pari a 2 miliardi
di dollari.
Il Metropolitan non è stato a guardare e così, in concomitanza con la riapertura
delle nuove “Greek and Roman Galleries” avvenuta nella primavera del 2007, ha
iniziato a condurre delle sistematiche ricerche sull’impatto economico del museo
e delle sue attività espositive (affidandole al Museum's Visitor Services
Department in collaborazione con l’Office of Market Research), da cui risulta che
le summenzionate gallerie hanno generato in sei mesi un impatto di circa 370
milioni di euro, a fronte dei 250 prodotti dalle due mostre “Americans in Paris,
1860-1900” and “Cézanne to Picasso: Ambroise Vollard, Patron of the AvantGarde” tenutesi nel medesimo anno.
Tuttavia, anche le istituzioni di dimensioni minori hanno compreso la strategicità
dello strumento: il Festival internazionale del cinema di Locarno nel 2004 è stato
oggetto di una dettagliata analisi di impatto economico e sociale, basata su
moltiplicatori “standard” e realizzata attraverso più di 4.000 interviste dirette, che
hanno dimostrato che l'effetto del festival cinematografico, nella migliore delle
ipotesi, a fronte di un budget di 6,29 ME è stato pari a 14,6 ME.
Si tratta di cifre lontane da quelle elaborate dai principali festival internazionali:
secondo l’ultima ricerca promossa dallo Scottish Tourist Board e realizzata da
SQW limited e TNS Travel & Tourism nel 2005, i 16 festival organizzati nella
capitale scozzese nella stagione 2004-5 (dal 30 luglio 2004 al 31 maggio
dell'anno successivo) hanno attirato 3.192.438 visitatori: tale flusso ha
determinato un impatto economico di 249,37 milioni di euro nella sola Edimburgo
e di altri 20,52 nell’intera Scozia, con la creazione di 3.200 posti di lavoro full-time
nella capitale e di altri 700 entro i confini scozzesi.
Inoltre il 65% dei partecipanti ha affermato che i festival costituivano la sola o
principale motivazione di visita: di questi il 27% non era scozzese e il 15%
proveniva dall’estero, laddove la copertura mediatica generata gratuitamente dai
soli festival estivi (raggruppati sotto l’egida degli “Edinburgh Summer Festivals”)
ha avuto un valore superiore a 17 milioni di euro.
Analogamente il Festival di Salibsurgo, il più grande e famoso festival lirico del
mondo, nel 2006 ha offerto, in 36 giorni di programmazione, 207 eventi in 14
diverse sedi, che hanno attirato 244.269 spettatori, provenienti da 65 diverse
nazioni: di questi il 75% viene regolarmente e il 61% lo ha seguito almeno dieci
volte, con un spesa media pro-capite extrafestival di 283 euro al giorno
(includendo i costi dei biglietti essa ascende a oltre 530 euro); non c’è dunque da
stupirsi se l’impatto economico totale della manifestazione austriaca abbia
superato i 225 milioni di euro, che essa abbia impegnato 190 dipendenti fissi e
3.000 lavoratori stagionali e che le sole entrate fiscali siano equivalse al triplo dei
finanziamenti pubblici ricevuti.
Tuttavia, cifre di tutto rispetto sono ottenute anche da manifestazioni
apparentemente di nicchia: secondo l’indagine effettuata nel 2005 dalla Moore
School of Business della University of South Carolina, i 39.000 partecipanti
313
all’edizione statunitense dello Spoleto Festival USA, che si tiene ogni anno a
Charleston e attira un pubblico assai raffinato, hanno determinato un impatto
economico totale pari a circa 35 milioni di euro, creando 729 posti di lavoro a
tempo pieno , laddove anche i cosiddetti festival alternativi generano impatti
significativi. Se il Sonar di Barcellona ha esercitato nel 2006 un impatto di 47
milioni di euro sull’economia catalana, con la creazione di 216 posti di lavoro,
secondo l’University of Utah’s Bureau of Economic and Business Research at the
David Eccles School of Business il Sundance Film Festival tenutosi a Salt Lake
City nel 2006 (che ha attirato 52.850 partecipanti, di cui 37.470 provenienti da
stati diversi dallo Utah, con un crescita del 13% rispetto all’anno precedente) ha
determinato un impatto di quasi 49 milioni di euro.
4.4
Un ragionevole cambio di prospettiva
Alla luce di simili evidenze, bisogna rammentare che in Italia, come minimo, vi
sono i seguenti beni culturali materiali:
Tav. 10 Le istituzioni culturali in Italia
Fonte-Anno
Tipologia
Numero
A - 1999
Archivi (storici, enti locali, d’impresa)
11.000
B - 1994
Biblioteche (pubbliche e private)
9.900
C – 2004
Musei, gallerie, pinacoteche, istituti d’arte (ecclesiastici inclusi)
4.120
D – 1991
Giardini zoologici, botanici, naturali e acquari
102
E – 1995
Siti archeologici e monumentali
2.100
F – 1999
Patrimonio ecclesiastico: chiese costruite prima del 1880
55.263
F – 1999
Patrimonio ecclesiastico: monasteri e conventi
1.500
F – 1999
Patrimonio ecclesiastico: santuari, sacri monti, palazzi vescovili,
3.000
viae crucis
F – 1999
Patrimonio ecclesiastico: biblioteche
3.100
F – 1999
Patrimonio ecclesiastico: archivi storici
29.000
G – 2004
Dimore storiche di pregio private
12.000
H - 2005
Centri storici
22.000
Legenda fonti: A: Direzione Beni archivistici MIBAC 1999; B: AIE su datti ICCU 1994 (sono escluse da
tale computo le 3.100 biblioteche ecclesiastiche e le 8.000 scolastiche); C: Trimarchi e Longo,
Rapporto sull’economia delle cultura, Il Mulino, 2004; D: D. Primicerio, L’Italia dei Musei, Electa, 1991;
E: D. Primicerio, Dossier Archeologia, n.3/4, 1995; F: G. Guerzoni e W. Santagata, Economia della
Cultura, Enciclopedia Treccani, 1999; G: Associazione Dimore Storiche Italiane 2004; H: ICCD 2005.
Ad essi si aggiungono, secondo le fonti più accreditate, più di 1.600 mostre
all’anno (sono ovviamente escluse da computo quelle allestite presso gallerie e
spazi commerciali) e più di 1.200 festival di carattere latamente culturale, cui
andrebbero poi sommate le fiere e i saloni di settore (da quello del libro a quello
del gusto, da quelle dedicate alle arti visive a quelle antiquarie, etc), le rassegne,
i corsi, i premi, i concorsi, la convegnistica di settore, insomma un ampio e ricco
calendario di eventi temporanei di carattere latamente culturale, che alimentano
diversi settori professionali, ma di cui viene regolarmente omessa, nell’indefinito
calderone delle esternalità positive, la capacità di generare redditi, occupazione,
gettiti fiscali, etc..
314
E’ pertanto evidente la necessità di provare a colmare un ritardo metodologico,
che rimane difficilmente spiegabile, poiché da almeno quarant'anni, senza tacere
le polemiche e le critiche - spesso fondate - che ne hanno accompagnato la
diffusione, l'economic impact analysis è entrata a far parte della “cassetta degli
attrezzi” di quanti operano in campo culturale.
Una seria analisi d'impatto non è una trionfalistica perizia di parte, né contempla i
soli aspetti reddituali, occupazionali o fiscali. In molti casi, al contrario, evidenzia
e quantifica gli aspetti negativi (congestione, danneggiamenti, peggioramento
della qualità della vita dei residenti, incremento della microcriminalità, alterazioni
dei valori immobiliari, etc.), fornendo così valide e imparziali indicazioni di policy.
In tal senso, se utilizzate con rigore metodologico e onestà intellettuale, le analisi
d'impatto offrono spunti di grande interesse ai soggetti coinvolti in svariati
processi produttivi, distributivi e decisionali. Infatti, per comprendere la natura
degli impatti e quantificarne l’entità in termini monetari, è necessario seguire
protocolli precisi, che abbisognano di informazioni di carattere qualitativo e
quantitativo da noi raramente presenti: le spese medie pro-capite giornaliere, le
provenienze geografiche e le permanenze medie di quanti partecipano ai festival
italiani o visitano le mostre nazionali sono quasi sempre sconosciute e gli stessi
dati “ufficiali” sono spesso inaffidabili.
Del pari non bisogna scordare la natura complementare di codesti strumenti,
dacché le istituzioni e gli eventi culturali generano impatti differenti: culturali,
sociali, economici, fiscali, occupazionali, ambientali, immobiliari, etc.
Per ciascuna di queste categorie esiste una ricca letteratura, che ha da tempo
sottolineato sia gli aspetti positivi, sia quelli negativi, invocando una prospettiva
analitica che li contempli e integri in un disegno complessivo capace di restituire
la complessità dell’oggetto d’indagine. In molti casi, infatti, il successo degli
eventi culturali, dalle mostre di qualità ai festival di approfondimento culturale,
cambia radicalmente la percezione dei luoghi, il senso dello stare e
dell'appartenere a una comunità, per tacere delle ricadute comunicazionali:
quante centinaia di migliaia di euro avrebbero dovuto sborsare gli enti locali che
hanno finanziato gli eventi di maggior successo per “comprare” gli spazi che i
media hanno dedicato ai relativi territori negli ultimi anni?
In tal senso, in virtù della loro relativa semplicità d'impiego e della loro forza
euristica, le analisi di impatto vengono sempre più di sovente utilizzate per
valutare ex-ante ed ex-post i progetti culturali, dotando decisori, finanziatori e
organizzatori di strumenti di misurazione, comunicazione e negoziazione capaci
di convincere attori pubblici e privati giustamente scettici di fronte a cifre fornite
con disarmante disinvoltura, in un contesto, non solo italiano, in cui la forza
retorica dei numeri, dati sempre più spesso a caso, vince qualunque
ragionamento sensato e in cui la diffusione del format “festival” o del prodotto
“mostra” è giunta a livelli patologici di degenerazione
Si tratta infatti di comprendere se i successi – in verità pochi - sono legati a fattori
difficilmente reperibili in altri contesti geografici (è questa l'opinione dello
scrivente) o se invece i format possono essere riproposti in altre sedi,
riconoscendo agli eventi culturali la natura di prodotti editoriali veri e propri, più
che mai bisognosi di una ingegnerizzazione del processi che scremi la scena
nazionale dalla gran quantità di imitazioni che sta frastornando e confondendo un
pubblico che, prima di essere criticato, andrebbe quantomeno conosciuto.
In Italia, infatti, il dibattito sugli eventi culturali ha assunto toni polemici ispirati da
posizioni – o meglio pose - ideologiche difficilmente sopportabili: da una parte gli
apocalittici sostenitori delle profezie debordiane, del fanatismo pop e del trionfo
315
del midcult, dall’altra gli entusiasti partigiani dell’apoteosi divulgativa, del “sempre
meglio di niente” e della rivincita del pueblo dei festival e delle mostre, un popolo
che in verità palesa profili sociali piuttosto elitari, quantomeno dal punto di vista
dei titoli di studio, sebbene in Italia, come è risaputo, essi non siano sempre
correlati positivamente ai livelli reddituali.
In Italia questi problemi hanno superato da tempo una soglia critica, dacché il
fenomeno tende a connotarsi come un eventomania dai contorni sempre più
confusi: il numero delle iniziative è ormai incalcolabile (causa l’elevato tasso di
natalità e mortalità di esperienze spesso circoscritte ad ambiti locali), tanto da
rendere vano qualsiasi tentativo di censire in modo rigoroso le manifestazioni che
costellano il territorio nazionale e di comprenderne l’effettiva portata, sia per la
genericità della formula “festival” o del termine “mostra”, che rende
problematiche le comparazioni, sia per il loro debordante successo.
Eppure i tempi sono maturi per tentare di affrontare questi problemi, dal momento
che esiste una letteratura internazionale tanto cospicua quanto qualificata.
4.5
L’impatto economico degli eventi culturali
Gli eventi culturali forniscono un contributo importante allo sviluppo economico
dei territori su cui insistono; tuttavia, per quantificare l’entità e il segno positivo o
negativo dell’impatto economico, è necessario seguire un iter metodologico
preciso, che nelle prime fasi passa attraverso un meticoloso processo di raccolta
di informazioni di carattere qualitativo e quantitativo, poiché gli eventi culturali
generano impatti diversi: culturali, sociali, economici, fiscali, occupazionali,
ambientali, immobiliari.
Per ciascuna di queste categorie di impatto esiste una qualificata letteratura
accademica, che ha da tempo sottolineato sia gli aspetti positivi, sia quelli
negativi; così, considerando gli impatti sociali, a fronte della crescita della qualità
della vita, della disponibilità di maggiori occasioni di svago, della conoscenza di
culture e comunità differenti, della difesa delle identità locali, dell'incremento della
domanda di fruizione culturale, gli studiosi hanno riscontrato che in molti casi
l'incremento delle presenze turistiche fa registrare preoccupanti tassi di crescita
della prostituzione, dell'alcolismo, della microcriminalità, della tensione tra
residenti e visitatori, della perdita di autenticità del tessuto locale, del caos e della
congestione, degli atti di vandalismo, della sporcizia, dell’abbandono scolastico,
etc.
Rispetto a tale varietà, si è deciso di concentrare questo studio su una sola
categoria di impatto, quella economica (che tiene conto delle conseguenze
reddituali, occupazionali e fiscali), per ragioni facilmente comprensibili: l’esistenza
degli eventi culturali, notoriamente caratterizzati da una scarsa redditività, è
spesso garantita dall’intervento di un ente pubblico o di un soggetto terzo (ad
esempio le fondazioni ex bancarie) interessati a sapere come e con quali effetti
sono state utilizzate le risorse erogate.
L’esigenza di allocare in modo efficiente e ottimale tali fondi, insieme ai doveri di
trasparenza cui sono soggette le pubbliche amministrazioni, le imprese sponsor e
partner e molte fondazioni, impone di misurare con attenzione l’impatto
economico di un evento culturale; a priori per determinare in modo oculato gli
ambiti in cui investire risorse scarse e, a posteriori, per verificare se gli effetti
sortiti sono stati pari a quelli attesi.
Poiché è piuttosto raro che gli eventi culturali determinino un ritorno economico
direttamente misurabile, si ricorre spesso alle analisi costi-benefici, alla teorie sui
316
beni meritori, alla stima delle esternalità positive, oppure a modelli di valutazione
economica in cui il valore economico totale risulta dalla somma dei valori d’uso
diretti, di quelli d’uso indiretti e di quelli di non uso.
Essi sono stimabili con varie tecniche di misurazione, al fine di giustificare le
spese sostenute dagli enti pubblici e terzi senza finalità di lucro, sia che si tratti di
progetti concernenti strutture permanenti, quali musei, centri espositivi, teatri,
biblioteche e archivi, sia che riguardino iniziative temporanee, quali mostre,
concerti, festival, etc.
Pur riconoscendo che i criteri economici non devono predominare nella
definizione delle politiche di intervento in campo culturale, va ammesso che la
loro assenza rende inconfrontabili le decisioni assunte, autorizzando sprechi di
risorse e impedendo la fissazione di obiettivi certi e monitorabili nel tempo, quali
ad esempio l’aumento dei posti di lavoro, il contenimento della migrazione
intellettuale, la costituzione di imprese private operanti su base locale, la
valorizzazione del capitale umano, etc. Utilizzando l’analisi di impatto economico
è invece possibile calcolare gli effetti determinati dalla presenza di un evento
culturale sull’economia del territorio circostante, con un buon livello di
approssimazione, livello che aumenta al decrescere della durata del progetto
monitorato, delle dimensioni dell’area geografica su cui insiste e del livello di
competizione sussistente con altre manifestazioni.
La serietà del ricercatore e la correttezza dell'impiego possono individuare anche
impatti negativi: non si tratta di un'ipotesi peregrina, ma semmai di un'ulteriore
conferma circa il rigore del metodo. Esistono infatti impatti economici positivi e
negativi, il cui computo e saldo finale può assistere i decisori nell'assunzione
delle scelte più delicate. Per tali ragioni le analisi di impatto vantano quasi mezzo
secolo di vita e sono state largamente applicate negli studi sull'economia
regionale, ambientale e del turismo. L’intenzione era quella di fornire uno
strumento di analisi efficace, in grado di supportare le decisioni dei policy maker
e degli investitori pubblici e privati: la relativa – talvolta illusoria – facilità di
impiego delle tecniche analitiche, la semplicità dei processi logici soggiacenti, la
determinazione di misure chiare e comprensibili anche ai non addetti ai lavori ne
hanno determinato il duraturo successo, sebbene non siano mancate e non
manchino critiche piuttosto fondate.
In ogni caso, con tutte le cautele del caso, attraverso questo strumento è
possibile, a supporto delle pur necessarie analisi di carattere qualitativo,
prevedere qual è il valore economico generato dall’organizzazione di un evento
culturale. Tale valore non va inteso in senso esclusivamente reddituale: sono
fonti di valore economico l’aumento nel numero di posti di lavoro, la crescita dei
valori immobiliari, l’ascesa dei gettiti delle imposte locali o l’incremento dei redditi
e delle vendite al dettaglio nell’area presa in esame.
L’ipotesi di fondo è che sia possibile partire dalla spesa diretta delle
istituzioni/soggetti organizzatori (l’organizzazione di un festival o di una mostra
anche di media grandezza comporta spese le cui ricadute devono essere in parte
considerate) e dei visitatori attratti (si tratta principalmente di biglietti d’ingresso,
altri consumi culturali, trasporti e parcheggi, spese per pernottamenti,
ristorazione, acquisti di oggettistica e souvenir, shopping, acquisti di altri servizi
culturali).
A partire da questa prima iniezione di risorse economiche, attraverso opportuni
calcoli, è possibile calcolare anche gli effetti indiretti: ad esempio si può
computare la quantità di denaro spesa dagli operatori economici locali per
acquistare, sovente da grossisti, una maggiore quantità di beni e servizi al fine di
317
soddisfare la maggior domanda delle istituzioni/soggetti organizzatori e dei
partecipanti alle manifestazioni indagate.
Ma le analisi di impatto calcolano anche un terzo round di effetti: l’attivazione di
un nuovo progetto culturale, permanente o temporaneo e l'incremento delle
attività economiche correlate consente ai residenti e a quanti ne sono
direttamente o indirettamente coinvolti di introitare redditi aggiuntivi, che essi
spendono come preferiscono, spesso in misura consistente, nell’area in cui
risiedono.
È questo reddito differenziale e la conseguente spesa in beni di consumo e di
servizi, a costituire il terzo livello indotto, che va a sommarsi con i due precedenti,
per determinare il valore finale dell’impatto economico di una manifestazione.
Né le analisi di impatto si fermano a questo punto, essendo capaci di stimare
l'aumento delle vendite, del valore aggiunto, dei redditi o dell'occupazione,
consentendo di capire quante nuove imprese sono state costituite, in quale
misura si è contrastata la migrazione intellettuale (trattenendo sul territorio profili
di competenze assenti o altrimenti destinati a emigrare in altre aree), qual'è
l’effetto sulle attività delle imprese e sui loro dipendenti, in che misura i grossisti
introitano risorse aggiuntive, che potranno spendere reimmettendo in moto il
meccanismo moltiplicativo. La somma dei tre impatti (diretti, indiretti e indotti)
rappresenta l’incremento di vendite, redditi, valore aggiunto e posti di lavoro di
cui l’area ha beneficiato grazie alla manifestazione e può servire a capire quali
siano i vantaggi per l’economia locale, a fronte dell’investimento sostenuto da un
soggetto pubblico, privato o misto per la realizzazione dell'evento.
Tuttavia è opportuno che l’analisi di impatto economico costituisca una sezione di
un'indagine più ampia: gli impatti ambientali, sociali e fiscali sono altrettanto
importanti, pur non venendo generalmente affrontati. Si tratta, pertanto, di un
approccio di cui sono da tempo noti i punti di forza e di debolezza, i pregi e i
difetti, sovente correlati a un uso eccessivamente disinvolto dello strumento.
5. L’aumento della domanda di visitatori
In questo Paese sono almeno 20 anni che si chiede di aprire i musei a tutti con
gratuità di accesso, come si chiede che le risorse pubbliche destinate alla cultura
raggiungano almeno l’1% del bilancio dello Stato (attualmente pari allo 0,26%).
Ma non succede niente. Si sono trovati un po’ di soldi, si sono fatti enormi passi
in avanti, ma la mentalità economicista con cui si rimane legati alla pratica del
biglietto a pagamento persiste imperterrita. La sua radicalità è almeno pari
all’incapacità di vedere nell’economia qualcosa di diverso dai soldi, come ad
esempio, regole efficienti e riconoscimento del valore economico e di capitale
della cultura.
5.1 Elogio della Gratuità26
A teatro lo chiamano botteghino, nei musei biglietteria, al cinema cassa, a Londra
o a New York box office. Al di là del nome, ovunque esso esista, è una barriera
all’ingresso: chi paga entra, chi non vuole o non può pagare sta fuori. Corollario:
se non ci fosse il ricavo del biglietto bisognerebbe trovare una fonte di entrate
alternativa. Questa è l’essenza del dilemma sull’ingresso gratuito o a pagamento
dei musei.
26
Si veda anche W. Santagata Elogio della gratuità, Il Giornale dell’arte, settembre 2007
318
Per il manager si paga, per il cittadino il museo è parte fondamentale della
cultura comune e tutti abbiamo diritto alla cultura. E’ una delle nostre libertà
positive, un diritto sociale, che come tale fa parte delle politiche di welfare. I
sostenitori del libero accesso considerano la funzione educativa pubblica come
una delle principali funzioni dei musei. Pensano che la crescita del consumo di
cultura, anche attraverso l’allargamento dell’utenza dei musei, sia un valore
positivo. In ogni caso che imporre il pagamento del biglietto per il consumo di un
bene che è collettivo e con costi marginali di utilizzo pressoché nulli – ossia, un
visitatore in più non costa praticamente nulla - sia una politica discriminatoria e
miope.
Se l’obiettivo della riduzione del costo di accesso alla cultura è condivisibile per il
suo valore sociale, non sempre si può dire che trovi applicazione pratica. Quanto
aspetteremo in Italia prima di offrire l’accesso gratuito ai nostri Musei statali? E a
quelli comunali e regionali? Già arriviamo in grande ritardo dopo l’Inghilterra di
Tony Blair e del New Labour Party, ma il Ministero per i Beni e le Attività Culturali
italiano arriverà anche dopo le grandi città europee, come Parigi o come
Bologna? Riusciremo perfino ad arrivare dopo la Francia? François Fillon, Primo
Ministro di Nicolas Sarkosy, ha annunciato in un discorso al Parlamento che
renderà gratuiti alcuni musei di Parigi e di altre città.
[L’esperimento della gratuità è partito a gennaio per 14 musei, esclusivamente
per le raccolte permanenti. Per i siti più frequentati si è invece ricorsi a una
gratuità “mirata” (es. giovani). L’esperimento durerà fino al 30 giugno.]
Il tema della libertà di accesso ai musei non è nuovo. Nasce in ambienti liberali
anglosassoni e americani ed è stato variamente ripreso nel corso degli ultimi anni
con posizioni favorevoli (i Musei Civici Milanesi prima della recente introduzione
del biglietto a pagamento; io stesso con Giovanni Signorello nel 1999 a proposito
dello studio su “Napoli Musei Aperti”) e contrarie.
Negli USA, dove la politica della gratuità ha tradizioni antiche, prevale l’idea che
una larga diffusione della cultura sia necessaria per sviluppare il processo
democratico e di piena integrazione sociale. I musei sono assimilati alle
biblioteche, agli archivi e alla scuola.
Le ragioni pro e contro la free admission restano inevitabilmente antagoniste.
Quello che manca è una nuova mentalità che sappia capire le motivazioni anche
psicologiche dei visitatori e potenziali contribuenti, che comprenda che i musei
sono un elemento decisivo della comunicazione di massa della cultura, della
creatività e delle idee, e che non trascuri il ruolo dei musei come luogo di
accumulo di una cultura di eccellenza segno indiscusso di identità nazionale, di
immagine internazionale dell’Italia, e di integrazione multiculturale.
5.2
Contro la Gratuità
I sostenitori del pagamento del biglietto considerano che le funzioni principali del
museo siano costituite dalla collezione, dalla raccolta di opere, dalla loro
conservazione, gestione e studio.
Circola un vetusto ed un po’ abusato ragionamento contro la gratuità che dice, in
sostanza, che ciò che è gratis, non conta, non vale. E’ meglio sbarazzarsi subito
di questo equivoco argomento. Si vuol dire che godersi liberamente un
paesaggio da favola è senza valore? Che siccome al British Museum di Londra si
entra gratis l’arte del mondo lì custodita o l’esperienza stessa di arricchimento
culturale della visita è senza valore? Evidentemente No. I soliti saggi si
sbagliano. L’accesso gratuito, che non implica – si noti - l’assenza di un
319
contributo volontario o di altre forme di finanziamento, è un buon obiettivo di
politica culturale. I problemi, semmai sono altri e riguardano i modi e le tecniche
di finanziamento delle istituzioni museali.
Si dice che i nostri musei offrono già molte occasioni di gratuità d’accesso e che
queste sono sufficienti a realizzare la loro funzione sociale. Ma se si
approfondisce un briciolo il ragionamento è facile scorgerne le debolezze. La
gente è libera da impegni il sabato e la domenica: offrire l’ingresso gratuito il
pomeriggio del primo martedì di ogni mese è pura ipocrisia.
Si dice che la gratuità favorisce di fatto gli stranieri e che i cittadini italiani
pagherebbero per gli stranieri. Ma ben vengano gli stranieri a portare ricchezza
ad una industria, quella turistica, che vale da sola il 12% del PIL italiano. Quanti
italiani campano sul turismo estero? E poi, come vedremo, è possibile
coinvolgere i turisti culturali esteri attraverso meccanismi fiscali che riguardano
l’industria alberghiera.
Si dice infine che i servizi dei musei sono beni pubblici misti che in presenza di
congestione si deve far pagare il biglietto in modo da razionarne il consumo, ma
è anche vero che il sistema delle code o più semplicemente delle prenotazioni,
come si dirà in seguito è un buon sperimentato metodo di razionamento che
impedisce, senza escludere in termini di capacità di spesa, l’assalto dei visitatori
agli Uffizi o al Colosseo.
5.3 Di quanti soldi stiamo parlando?
Gli introiti dalla vendita dei biglietti dei musei statali italiani sono stati nel 2006
pari a 104 milioni di EURO. La cifra è quella del fatturato di una impresa mediopiccola; il Fondo Unico per lo spettacolo è circa cinque volte tanto. Di per sé
questi soldi dei visitatori non sono nemmeno tali da risolvere i problemi finanziari
dei musei. A seconda degli orari e della tipologia di museo le entrate coprono tra
il 5% e il 15% dei costi di gestione. Vale la pena usare uno strumento così
potenzialmente discriminante in cambio di poco o nulla? Nel 2006 i visitatori sono
stati 34,5 milioni, di cui solo16,3 milioni paganti. La distribuzione dei visitatori è
molto squilibrata sul territorio. Il che vuol dire che le entrate dalla vendita dei
biglietti riguardano di fatto tre città: a Napoli hanno pagato 5,3 milioni di visitatori,
a Roma 9,7 milioni, a Firenze 5,2 milioni, tutto il resto d’Italia sta sotto il milione di
visitatori paganti per città.
5.4
La libertà di accesso alle collezioni permanenti
Ma andiamo con ordine. In Italia si paga l’accesso alle collezioni permanenti dei
musei statali con le eccezioni di gratuità parziale per i giovanissimi e gli
extravecchi. L’accesso alle mostre temporanee è un servizio culturale a
pagamento, non oggetto di discussione. Negli enti locali c’è più differenziazione.
Milano sembra rimpiangere una scelta a favore del pagamento attuata un paio di
anni fa’, Bologna ne sembra, invece, soddisfatta.
La settimana della cultura del 2007, che prevede l’ingresso gratuito, ha registrato
un aumento del 13% dei visitatori nei musei statali italiani.
I pochi studi in tema indicano che gli italiani hanno in media una disponibilità
volontaria a pagare per i loro musei, positiva ed importante.
L’esperienza internazionale più recente è quella del New Labour Party che
decide l’accesso gratuito a tutti con una procedura per gradi: nell’aprile 1999 per i
bambini, nell’aprile 2000 per gli oltre 60 anni, dal dicembre 2001 per tutti. Le
320
special exhibition si pagano. Nei primi cinque anni c’è stato un aumento di 29
milioni di extra visitors, pari all’83%. Nella sola Londra le visite sono aumentate
dell’86% : Victoria &Albert Museum + 138%; Natural History Museum + 112%;
Science Museum +81%.
Le visite ai musei che sono sempre stati gratuiti, come il British Museum, La
National Gallery e la Tate hanno avuto un aumento di visitatori nello stesso
periodo dell’8%. Qualcuno potrebbe sostenere che l’aumento dei visitatori è
fittizio, nascosto in realtà da un aumento delle visite dei soliti amici dei musei. In
realtà il caso inglese suggerisce che la metà dei visitatori extra è costituita da
nuovi visitatori.
5.5 Come trovare 100 milioni di euro per l’ingresso gratuito ai musei?
Una spesa di 100 milioni di euro, che equivale alle entrate dal pagamento dei
biglietti dei musei statali italiani, può essere recuperata con vari strumenti. Anche
per i musei degli enti locali si possono applicare criteri analoghi.
•
La contribuzione volontaria (“Paga quanto vuoi”). Oggi a
legislazione vigente non sembra essere possibile una forma di contribuzione
volontaria. Si evoca in ogni occasione il contributo dei privati e non si
predispongono procedure per renderlo possibile. Forse è il momento per una
campagna di sensibilizzazione che coinvolga sia il ministero, che gli enti locali,
che tutti gli italiani in quanto utenti potenziali dei musei. Il metodo della
contribuzione volontaria, quando funziona e per la quota di entrate che
garantisce, è il più equo immaginabile.
•
Le controprestazioni dei cittadini verso lo Stato. C’è molta
confusione, mediatica, sulle imposte e in generale sulla pressione fiscale, che in
Italia è certamente troppo alta. In nome di una sua diminuzione si nascondono le
diversità e si rende opaca la stessa filosofia fiscale. Se si andasse dal Ministro
dell’Economia e gli si chiedesse se è giusto pagare il conto al ristorante,
probabilmente da buon liberale mi risponderebbe “Sì. Non ci sono pasti gratis”.
Ma se gli chiedessi di far pagare all’industria alberghiera e della ristorazione di
Roma una controprestazione per quanto come Paese spendiamo per la
valorizzazione dei beni culturali che costituiscono il richiamo di una vastissima
parte del turismo culturale e religioso, mi direbbe che pasti gratis esistono e guai
a togliere qualche privilegio consolidato ! Le chiamano imposte di scopo, ossia
controprestazioni pagate come su un mercato qualsiasi, in cui il venditore è il
settore pubblico (Stato, e Enti Locali) e il compratore il destinatario della
prestazione. Nel mirino delle imposte di scopo ci sono ovviamente le attività
connesse al turismo culturale, ma la Commissione ministeriale presieduta dal
dott. Davide Croff nella sua relazione conclusiva (2006) richiama il
coinvolgimento dell’industria audiovisiva, la TV in particolare, per quanto riguarda
il sostegno delle arti dello spettacolo; ma mi sembra dimentichi l’industria
alberghiera per quanto riguarda il sostegno del patrimonio culturale. L’accresciuto
impatto del turismo culturale sulle economie locali è evidente. Ad esempio, quale
potrebbe essere l’effetto sul sistema turistico mondiale dall’annuncio che i musei
italiani sono “aperti a tutti e gratuiti”?.
In parole povere, se l’industria culturale alberghiera, quella degli audiovisivi e
aggiungerei quella del made in Italy (moda, design, etc.) fanno affari grazie
all’uso della cultura italiana come input produttivo e la cultura è sostenuta dalla
spesa pubblica, sembra equo che in cambio di questo servizio paghino una
controprestazione. Le modalità tecniche possono essere diverse, ma quel che
conta qui è il principio per cui si paga per i benefici che si ricevono e che si riduce
321
la discrezionalità della politica rispetto alle preferenze dei cittadini, perché la
destinazione della controprestazione è fissa e non negoziabile.
•
L’incremento di vendita dei servizi aggiuntivi. Questa fonte di entrata è
direttamente collegata con il previsto aumento di visitatori a seguito della gratuità.
In parole povere è da presumere che entrando gratis i visitatori siano in qualche
modo incentivati a spendere di più nell’acquisto di un catalogo, di un libro, o di un
pasto al ristorante del museo. Sarebbe interessante poter stimare quanto si
incasserebbe in più con l’aumento dei visitatori e delle loro spese in servizi
accessori e aggiuntivi.
•
Lo sviluppo di nuove forme di mecenatismo e sponsorizzazione. Ci si
lamenta spesso che i privati siano poco sensibili al sostegno economico dell’arte
e della cultura. Forse la ragione sta nella struttura degli incentivi fiscali proposti.
Si pensa all’America e si sogna il sistema di incentivi fiscali sviluppato in un
paese in cui il mecenatismo, le donazioni e il volontariato sono una delle scelte
fondanti di quel sistema istituzionale. Da noi è diverso. Credo che valga di più
l’incentivo psicologico che i nostri musei non sembrano in grado di saper gestire.
Vale di più un busto in bronzo o una targa nell’atrio del Museo che una
detrazione del 19% sull’imposta dovuta o una deduzione dal reddito del
contributo culturale ? Insomma bisognerebbe di nuovo cambiare mentalità
ricordando che nei contesti altruistici le norme (norme morali, codici di condotta,
regole etiche) possono essere più incentivanti che le leggi fiscali o la regolazione
giuridica. Ma ancora, è in grado il museologo economicista a cambiare
mentalità?
5.6
Effetti sulla gestione dei musei
La gratuità di accesso sembra paradossalmente porre il direttore del museo al
riparo da ogni reazione negativa del pubblico, nel senso che gli introiti
diventerebbero una sorta di entrata fissa e indipendente dalla capacità di
attrazione di visitatori. Non è vero. Diciamo questo in modo allusivo perché, come
è noto i musei italiani non sono ancora centri di spesa e non hanno autonomia
gestionale. A questo riguardo i punti che seguono vanno intesi più come
indicazione programmatica che come prescrizione amministrativa.
•
Il contributo sostitutivo della tassa di ingresso può essere in qualche modo
commisurato ai risultati raggiunti in termini di affluenza di visitatori. Ad esempio
ogni museo può essere finanziato con una quota correlata al totale delle visite.
•
Come notano giustamente gli scettici della gratuità, gli effetti positivi di
aumento dei visitatori tendono a scomparire dopo qualche semestre. E’ una
osservazione giusta che va letta a mio giudizio così: i visitatori sono inizialmente
attratti dalla gratuità, possono però riconsiderare le loro scelte e non ritornare ai
musei se l’esperienza di visita si rivela deludente. In altre parole il flusso si
arresta e assesta ai soliti valori storici, se il museo non migliora la qualità delle
esposizioni, dei servizi e delle mostre. Se è noioso, perché ritornare?
•
Il contributo volontario è una entrata in qualche modo collegabile alla
soddisfazione del visitatore e alla rilevanza storico artistica della collezione
permanente. Più il visitatore è soddisfatto, più contribuisce, tenuto ovviamente
conto delle sue condizioni personali.
•
Di fronte a un finanziamento collegato ai risultati, diventa importante la
buona gestione e la produzione di esposizioni temporanee, dove il biglietto
giustamente si paga. Queste costituiscono una fonte primaria e a pagamento di
risorse. Non le misere una o al massimo due mostre l’anno, ma quattro o sei,
322
tematiche e di diversa qualità e importanza per catturare in ogni momento nuovi
visitatori. Quindi un incentivo a produrre più mostre temporanee.
•
L’eliminazione dei costi di biglietteria è una risorsa implicita importante
perché per molti musei italiani i proventi degli ingressi non coprono il costo del
servizio di biglietteria.
•
Ovviamente se l’ipotesi di un aumento di visitatori fosse confermabile
occorrerebbe valutare anche il suo impatto sui costi di gestione dei musei.
•
Va infine notato, che la politica della gratuità è facilmente reversibile,
almeno sul piano amministrativo.
5.7
Congestione e prenotazione obbligatoria
Per i grandi musei la gratuità di accesso e il contributo volontario potrebbero
rivelarsi un boomerang, soprattutto a causa dei costi di congestione. La novità
accrescerebbe la già drammatica corsa alla visita dei soliti eccezionali luoghi
d’arte e di cultura.
Occorre in qualche modo razionare, come dicono gli economisti, gli ingressi. I
modi non sono tanti: o si aumenta la tassa di ingresso, ma qui siamo in tema di
gratuità, oppure si accettano le code di una domanda in eccesso alla capacità di
offerta.
C’è un’altra possibilità meno invasiva e costosa per il visitatore: la prenotazione
obbligatoria. Certo è una forma di coda, ma ha il vantaggio di poter essere gestita
con un grande anticipo. Inoltre i turisti-visitatori si spalmano su un periodo di
tempo più largo favorendone l’assorbimento turistico anche in altri settori come
quello alberghiero. Infine di fronte ad un proposta di prenotazione troppo avanti
nel tempo il turista potrebbe essere indotto, con una apposita campagna di
sensibilizzazione a organizzare il suo percorso di visita scegliendo i cosiddetti
musei minori, ma solo di nome.
5.8
Una moratoria per sperimentare la libertà di ingresso e i suoi effetti
Concludendo e ribadendo il beneficio e l’equità di una politica di gratuità di
accesso ai musei, crediamo che senza una grande campagna nazionale di
sensibilizzazione il passaggio alla gratuità rischia l’insuccesso del “fuoco di
paglia”, cioè di una risposta banale dei cittadini, un atteggiamento che dopo pochi
mesi rientra e si appiattisce su un numero di visitatori molto inferiore all’atteso.
Bisogna lavorare contro questa possibilità legata alla mancanza di innovazione e
creatività nelle politiche museali.
Quando si dice che serve un cambiamento di mentalità si dice una cosa
semplice: se non si cambia prospettiva di azione non si vedono i modi di
finanziamento oggi più efficaci che in passato, si rimane prigionieri di una visione
burocratica che cerca il privilegio sicuro più della iniziativa rischiosa, che si
accontenta di pochi utenti paganti più dell’inclusione culturale di tutti.
Con la gratuità la domanda dovrebbe aumentare considerevolmente. Oggi essa è
bassa. Secondo le indagini periodiche dell’ISTAT nel 1993 77 italiani su 100 non
avevano visitato né un museo, né un’esposizione temporanea nel corso
dell’anno. Il numero dei non utenti scende lentamente e nel 2000 saranno ancora
71.
Per queste ragioni e con queste cautele ha senso una moratoria
sull’obbligatorietà dell’ingresso a pagamento da sperimentare in un tempo
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limitato e in qualche città o area ben definita. Dovrà essere accompagnata da un
efficiente sistema di monitoraggio, ma al termine della sperimentazione il dibattito
e le decisioni opportune potranno essere riprese su una base conoscitiva più
adeguata.
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