Il Patrimonio Culturale
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Il Patrimonio Culturale
CAPITOLO 12 Il Patrimonio Culturale Dalla creatività alla produzione di cultura Michelangelo Pistoletto “I visitatori” 1962-1968 velina dipinta su acciaio inox lucidato a specchio, 2 pannelli, 230 x 120 cm ciascuno Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Roma 297 1. Creatività, patrimonio culturale e industria culturale 1.1 Il patrimonio come risorsa per la creatività Nella costruzione della catena di produzione del valore delle industrie culturali la creatività svolge il ruolo di input per le tecnologie e la qualità sociale, i due modelli che sono stati analizzati come sfondo interpretativo di questo lavoro. Il patrimonio culturale, a sua volta, è una risorsa per la creatività e il suo contributo risale l’intera filiera alimentando l'innovazione economica, la ricerca storico-artistica, il cambiamento del gusto, le tecniche per mantenere, restaurare, sorvegliare, ricostruire e riprodurre i beni culturali. In altre parole il patrimonio storico e artistico accumulato da tutte le generazioni del passato è parte essenziale di quel contesto culturale che essendo in grado di produrre stimoli positivi interagisce con le capacità di apprendimento dei singoli. Lo stesso ambiente culturale e sociale comunicando con il sistema individuale sensoriale di ricezione delle emozioni è uno dei fattori essenziali della produzione di creatività nei singoli settori dell’industria culturale considerati. a) Creatività per la qualità sociale La storia accumulata del patrimonio architettonico è fonte di stimoli creativi nel settore dell’architettura. E’ una specie di presenza attiva nel DNA degli architetti ed è così in ogni altra singola componente del macrosettore: la moda, il design, l’industria del gusto, il software, l’editoria libraria, il cinema, il branding e la pubblicità, la radio e la televisione, la musica e lo spettacolo. A volte nei settori della qualità sociale non prevalgono evoluzioni di tipo incrementale che si avvalgono sistematicamente del patrimonio accumulato, anzi può accadere, come nel caso dell’arte contemporanea o del design industriale, che il progresso artistico avvenga per rottura di paradigmi del passato e in modo non-cumulativo. Siccome il modello della creatività per la qualità sociale si fonda su esperienze come la cultura, la tradizione, il territorio, le città creative e i distretti culturali, è evidente come la nozione di patrimonio rappresenti un fattore strategico per garantire un alto tasso sociale di creatività b) Creatività per l’innovazione Nei settori a forte componente tecnologica la presenza di un patrimonio di conoscenze scientifiche, di tecniche e di esperienze è essenziale. Molti sono i settori coinvolti: software, editoria, cinema, radio, TV; e tutti hanno profonde radici tecnologiche, importanti e necessarie per rimanere sulla frontiera della conoscenza. Dunque una prima osservazione sulle tipicità del modello italiano ci porta a considerare il patrimonio culturale come input essenziale della creatività e della sua produzione o stimolo. Il patrimonio culturale del paese è in buona parte consolidato nel suo sistema educativo. I programmi tradizionali tuttavia non sembrano ancora in grado di educare alla creatività le giovani generazioni. A questo riguardo servono programmi espliciti per favorire lo sviluppo di talenti, abilità e competenze creative di studenti e insegnanti. Il lavoro comune e lo 298 stimolo delle rispettive qualità immaginative e creative ha mostrato buoni risultati nell’esperienza anglosassone sia nei confronti dei giovani che degli insegnanti 1. I giovani sono coinvolti in lezioni creative che li aiutano a esplorare e riconoscere le loro capacità in un ambiente diverso da quello scolastico tradizionale. Vengono anche usate nuove tecnologie per l’espressione creativa. In tal modo si sviluppano aspirazioni individuali e una nuova attenzione alle opportunità future. L'aspetto pedagogico nei musei, aree archeologiche, chiese e castelli è a sua volta un altrettanto formidabile veicolo di educazione alla creatività. Mentre gli istituti tradizionalmente preposti alla formazione artistico-creativa, quali le Accademie di Belle Arti, i Conservatori Musicali, le Scuole professionali di design, la Scuola dell’obbligo sono oggetto di inevitabili e contrastate riforme, particolarmente interessanti sono i contesti museali e quelli dell’apprendimento interattivo multimediale con funzioni di apprendimento audio-guida capaci di offrire al giovane visitatore una esperienza divertente ed educativa. 1.2 Le nuove tecnologie per i beni culturali e il patrimonio Le nuove tecnologie permettono una riproposizione di una applicazione creativa al patrimonio. Se il patrimonio è una risorsa per lo sviluppo della creatività, è anche vero il contrario, ossia che la creatività è uno strumento di grande valore nella costruzione di un patrimonio. Inoltre, ricordando che la creatività può essere incorporata negli oggetti, nelle tecnologie e nelle organizzazioni economiche acquista particolare significato il suo impiego nello sviluppo delle tecnologie e forme organizzative nuove per i beni culturali. La creazione, gestione, tutela e valorizzazione del Patrimonio Culturale sta sviluppando un fiorente mercato caratterizzato da piccole e medie aziende (con anche la presenza qualificata di alcune grandi) dai forti contenuti tecnologici. Nuovi materiali, tecniche costruttive innovative, strumenti di misurazione e diagnostica, modellistica 3D, piattaforme digitali, sono esempi tangibili. Il nostro Patrimonio Culturale sta diventando un vero e proprio laboratorio per lo sviluppo di tecnologie, materiali e metodologie molto innovative; si pensi ai batteri “mangia-patine”, al cemento bianco contenente nanomolecole di titanio che non si sporca, agli acceleratori di neutroni in grado di radiografare le statue e ricostruirle dall’interno, fino alle recenti innovazioni del settore digitale (mappe satellitari navigabili, sistemi georeferenziati portatili, tag a radiofrequenza per marcare gli oggetti, …). I settori che contribuiscono a questo aggregato non sono solo il restauro e la progettazione dei portali Internet. Pensiamo alla strumentazione diagnostica, ai nuovi materiali e tecnologie per le costruzioni che consentono la creazione di edifici avveniristici – i futuri beni culturali – fino alla sensoristica e alla nuova impiantistica. E poi naturalmente il mondo variegato e in “ebollizione” dell’industria culturale con la diffusione delle nuove tecnologie digitali e l’emergenza di nuovi media. Questo know-how che il nostro Paese possiede è spesso disperso e frammentato e richiede processi di coordinamento e aggregazione. Per questo motivo la lettura di un nuovo aggregato economico che pone l’accento non solo sui servizi aggiuntivi museali e sui flussi turistici ma sul sistema di imprese che 1 DCMS, Paul Roberts’ report, Nurturing Creativity in Young People 299 rende possibile la creazione, gestione, tutela e la valorizzazione di questo patrimonio è oggi priorità assoluta. Un aspetto non trascurabile di questo settore è la sua esportabilità. La nostra credibilità all’estero su questi temi è altissima ma non ha avuto la possibilità di svilupparsi come invece ha fatto il Made-in-Italy e questo è certamente un potenziale da cogliere. Solo una visione sistemica consente di sfruttare questa grande opportunità. La scelta di considerare i beni e le attività culturali una delle 5 aree di Industria 2015 – la nuova iniziativa di sviluppo economico lanciata dal Governo Prodi per garantire il riposizionamento strategico del sistema industriale italiano nell’ambito dell’economia mondiale, globalizzata e fortemente competitiva – è proprio motivata dall’esigenza di fare emergere e rafforzare questa nuova filiera economica come una delle opzioni concrete per il rilancio dell’economia italiana. Cuore di questo sistema – definito dalle due dimensioni (integrate in maniera indissolubile) di natura (Ambiente) e paesaggio antropizzato (Beni Culturali) – è il territorio, che sta riacquistando quella centralità economica che l’economia industriale prima e la New Economy dopo gli avevano negato. Strumenti fondamentali di questo rilancio sono l’innovazione tecnologica e un nuovo utilizzo del design e della cultura di progetto. Le nuove tecnologie, consentono, alle istituzioni deputate alla conservazione, conoscenza, fruizione e gestione dei beni culturali di convogliare l’interesse del pubblico verso il patrimonio che hanno in custodia incrementandone il valore. • • • • Per Conservazione, si intendono le attività di conservazione, monitoraggio e restauro degli artefatti. Per Conoscenza, si intendono tutte le attività necessarie per la metacatalogazione del bene, che includa, accanto alla tradizionale catalogazione, tutti i riferimenti relativi alle analisi scientifiche, agli studi, alla collocazione spaziale e temporale, all’immagine virtuale sia a due che tre dimensioni e quant’altro necessario per assicurare la “vita” dell’opera d’arte nel mondo “virtuale”. Per Gestione si intende quel complesso di attività necessarie alla valorizzare del patrimonio culturale paesaggistico, enogastronomico e aziendale. Rispetto alla creatività incorporata nelle organizzazioni, si può ricordare lo sviluppo di nuove forme efficienti di governance, di metodologie didascaliche per i visitatori di musei e monumenti, di efficaci strategie di comunicazione verso le famiglie, i giovani e le scuole, di politiche per la crescita del turismo culturale, e per una più efficace politica delle esposizioni temporanee e dei blockbuster. Per Fruizione si intende principalmente la messa a punto di nuove modalità fruitive e diffusive e nuovi format narrativi, ma anche la riqualificazione di edifici e luoghi vincolati di elevato interesse storico, la definizione di nuovi modelli di business per la tutela, messa in sicurezza e gestione sostenibile dei luoghi “culturali”. Queste tecnologie presentano inoltre interessanti esternalità positive. Ad esempio le competenze necessarie per restaurare un palazzo “storico” su Canal Grande (con le fondamenta nell’acqua e soggetto a continui moti ondosi e maree) sono leading-edge e “credibilmente” utilizzabili nei settori tradizionali dell’edilizia. Tali competenze sono di particolare rilevanza oggi dove l’effetto serra e il disboscamento stanno facendo dell’acqua (tsunami, tropicalizzazione del clima, alluvioni come quella di New Orelans) uno dei fenomeni più temuti per l’edilizia. 300 Volendo identificare le aree tecnologiche più critiche legate al Patrimonio culturale, ve ne sono sostanzialmente sei: • • • • • • materiali (per la protezione, restauro e riqualificazione edilizia); sistemi diagnostici; sensoristica e impiantistica (climatizzazione, “arredo”); sistemi di costruzione e di consolidamento strutturale degli edifici; sistemi di safety and security; tecnologie digitali. È dal presidio scientifico di queste aree che il nostro paese potrà costruire una vera e propria leadership internazionale in questo settore. 2. Il patrimonio come industria culturale Se si considera il patrimonio storico e artistico italiano dal punto di vista delle industrie culturali, i maggiori problemi che lo riguardano sono quelli della sua gestione efficiente, dell’allargamento della domanda, della valorizzazione delle economie di scopo, in particolare della produzione di turismo culturale, e della capacità di aumentare l’impatto socio-economico positivo sul sistema dell’economia locale e sul suo sviluppo. I prossimi paragrafi, quindi, saranno dedicati ad alcuni aspetti della politica economica applicata al patrimonio culturale. Non si discuteranno i temi della valorizzazione, gestione e della tutela, ampiamente noti e recentemente riconsiderati dalle norme sul paesaggio a modifica del Codice dei beni culturali ma, dopo una breve presentazione dello stato attuale del patrimonio culturale italiano, - consistenza, pubblico, mostre fiere e paesaggio - si affronteranno tre problemi di prospettiva: 1. Il turismo culturale e le città d’arte 2. L’impatto economico della cultura 3. L’aumento della domanda di visitatori. 2.1 Il patrimonio culturale italiano 2.1.1 La consistenza del patrimonio storico artistico italiano Vi è grande dibattito su quale sia l’effettiva consistenza del patrimonio culturale italiano: lo dimostrano i molti rapporti prodotti sul tema in questi anni, sia su commissione pubblica sia autonomamente da centri di ricerca e università. Le uniche statistiche aggiornate sul tema, fornite dal Sistan del MiBAC, coprono infatti soltanto le strutture statali: quei 402 musei, monumenti e aree archeologiche (Tav. 1) che nel 2006 hanno destato l’interesse di circa 34,6 milioni di visitatori e generato incassi lordi per poco più di 104 milioni di euro. Tav.1 Musei, monumenti e aree archeologiche statali - 2006 Circuiti museali Tipologia di istituto Totale Modalità di ingresso Totale 218 184 402 A pagamento Gratuita Musei 139 Monumenti e aree archeologiche 79 57 127 196 206 301 Fonte: Sistan-MiBAC Fig. 1 Musei, monumenti e aree archeologiche statali per regione* - 2006 Lazio Campania Toscana Emilia - Romagna Puglia Abruzzo Lombardia Piemonte Calabria Marche Basilicata Veneto Friuli-Venezia Giulia Umbria Sardegna Molise Liguria 86 59 55 32 17 17 17 17 16 15 13 12 11 10 9 8 7 Fonte: elaborazione su dati Sistan-MiBAC * Nel 2006 in Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta non erano presenti istituti statali aperti al pubblico. Musei e monumenti che sono concentrati soprattutto nell’Italia centrale (41,4%) e che hanno nel circuito del Colosseo e Palatino - oltre 4 milioni di visitatori nel 2006 - il proprio fiore all’occhiello. Qui troviamo anche il Museo Egizio, Pompei e gli Uffizi. Ma non i Musei Capitolini, la Cappella degli Scrovegni, il MART di Rovereto o il Guggenheim di Venezia. L’ISTAT ha in corso un censimento delle strutture non statali che dovrebbe uscire entro il 2008 ma si tratta ancora una volta di un’operazione una tantum come lo era stata la relazione sui musei degli enti locali commissionata dalla Corte dei Conti nel 20052 o l’indagine svolta dal Touring Club Italiano per il MiBAC nel 2003 sulla consistenza del patrimonio culturale immobile di interesse turistico3, 23.741 tra palazzi, castelli, musei, chiese e monumenti. Per non parlare dell’immenso patrimonio dell’Agenzia del Demanio - 20.000 edifici in gestione, 10.000 terreni, 2.500 beni ad alta potenzialità di valorizzazione in 153 comuni4 – dei beni ecclesiastici e di tutta quella parte di offerta “temporanea” che è rappresentata oggi dalle mostre. 2 Corte dei Conti – Sezione delle Autonomie, “Relazione concernente il controllo eseguito sui musei degli enti locali”, gennaio 2006. 3 Centro Studi Touring Club Italiano, “Indagine sulla consistenza del patrimonio culturale immobile di interesse turistico”, luglio 2003. 4 Agenzia del Demanio, 2007. 302 Appartengono poi al sistema del patrimonio culturale le biblioteche - oltre 7.000 di cui 46 statali - e gli archivi, vere e proprie infrastrutture culturali a disposizione della comunità residente (Tavv. 2-3). Tav. 2 Consistenza del materiale cartaceo, presenze, ricerche, pezzi consultati, spese di gestione e personale degli archivi statali italiani – 2003-2006 Anni Archivi 2003 2004 2005 2006 99 99 99 99 Materiale Spese di Pezzi cartaceo Presenze Ricerche gestione Personale consultati (pezzi) (euro) 12.232.528 286.163 111.929 874.692 41.090.263 2.848 12.902.544 291.034 134.642 909.236 38.515.814 2.807 13.428.224 301.448 106.670 924.256 40.323.438 2.801 13.629.923 263.220 111.986 874.926 40.540.883 2.742 Fonte: Sistan-MiBAC Tav. 3 Consistenza del materiale, consultazioni, prestiti, spese di gestione e personale delle biblioteche statali italiane – 2003-2006 2.906.006 2.769.652 2.874.812 2.813.444 2.913.419 2.491.061 Persone ammesse al prestito 294.905 224.799 301.938 223.054 291.046 243.120 1.620.967 48.059.884,32 2.734 1.801.028 45.706.109,00 2.673 1.909.083 42.437.510,22 2.580 2.601.837 2.517.506 281.645 249.416 1.658.567 43.652.725,42 2.519 N Anni biblioteche Manoscritti Stampati 2003 46* 2004 46* 2005 46* 198.817 202.475 204.829 2006 46* 205.582 Prestiti Opere a consultate privati Lettori Spese gestione (euro) di Personale Fonte: Sistan-MiBAC * La Biblioteca del Monumento Nazionale di Farfa (Fara Sabina - Rieti), è compresa nelle 46 biblioteche pubbliche statali, ma è rimasta chiusa. Dal conteggio è stata invece esclusa la Biblioteca Universitaria di Bologna, passata al MURST, ma della quale si riportano, nelle tavole seguenti, i relativi dati. Anche volendo circoscrivere l’argomentazione al solo settore museale, emerge subito evidente come i limiti relativi alla reperibilità di dati aggiornati e completi non riguardino purtroppo (o per fortuna) soltanto l’Italia: per molti altri paesi europei, infatti, non sono disponibili dati esaustivi e affidabili; spesso per mancanza di un istituto/organismo nazionale preposto alla raccolta di tali informazioni oppure di una fonte sopranazionale, in quanto Eurostat non fornisce al riguardo che dati assai parziali5. Da qui la difficoltà di poter attuare comparazioni internazionali: ha senso infatti confrontare gli oltre 4.800 musei tedeschi o i 1.238 spagnoli con i 402 italiani? 5 Si veda a tal proposito “Cultural Statistics 2007”. 303 Fig. 2 Consistenza dei musei nei Paesi UE 27 - 2005 Germania 4847 Spagna 1238 Francia 1191 Belgio (1) 890 Paesi Bassi (2) 775 Ungheria (3) 772 Polonia 690 Romania (4) 667 Repubblica Ceca 465 ITALIA (5) 402 Austria (6) 397 Finlandia 328 Portogallo 285 Irlanda (7) 258 Danimarca (8) 257 Bulgaria (9) 229 Svezia 228 Estonia 209 Slovenia 164 Lettonia 130 Lituania (10) 105 Grecia Slovacchia (11) Malta Lussemburgo (12) Cipro (13) 104 92 56 37 13 Fonte: Touring Club Italiano, L’Annuario del Turismo e della Cultura 2008. (1) In mancanza di statistiche nazionali, il dato è stato costruito sommando i musei delle Fiandre, musei della Comunità francese e musei di Bruxelles e musei federali; (2) Pubblici e privati; (3) Solo musei pubblici; (4) Solo pubblici musei e collezioni; (5) Solo musei statali; (6) Musei pubblici e privati; (7) Alcuni musei sono aperti solo nel periodo estivo; (8) Di cui 167 finanziati dallo Stato; (9) Solo pubblici; (10) Musei affiliati con propri fondi autonomi; (11) 82 pubblici e 10 di altra natura; (12) Dati riferiti al 2004; (13) Solo musei statali. Ciò costituisce un problema non solo di natura statistica ma anche di comunicazione e promozione, e si concretizza in una difficoltà di valutazione gestionale ed economica complessiva del patrimonio, come dimostra per esempio il fatto che gran parte di ciò che viene definito “patrimonio minore”, come i molti musei scientifici presenti in Italia, i musei etno-antropologici ma anche alcuni siti archeologici di inestimabile valore artistico, langue nel semioblio. 304 Un secondo tema di dibattito, più che mai attuale e in parte legato al problema della quantificazione del patrimonio culturale italiano, è quello relativo ai servizi aggiuntivi. Sebbene anche gli istituti italiani si stiano attrezzando per rispondere alle crescenti esigenze del pubblico e all’innalzamento degli standard internazionali, l’Italia appare infatti, su questo fronte, assai in ritardo. Nel 2006, tra i 402 musei, monumenti e aree archeologiche statali, soltanto in 97 era attivo il servizio di bookshoop e in 137 un servizio di prenotazione/preventiva del biglietto d’accesso. Servizi più all’avanguardia come le nursery o anche più semplicemente la prevendita on line sono offerti ancora da pochissimi musei così come i percorsi di visita specificamente studiati per i bambini o per i disabili. Tav. 4 I servizi aggiuntivi nei musei, monumenti e aree archeologiche statali – 2003-2006 Tipologia di Servizio Bookshop Audioguide Vendita Gadget Anno 2003 2004 2005 2006 Caffetteria Prenotazione Ristorante Prevendita Self-service Visite Guidate Totale Servizi Attivi al 31/12 40 97 23 137 6 84 - Clienti/Scontrini 611.126 2.112.775 1.004.719 2.704.992 40.523 807.442 7.281.577 Incassi Lordi (Euro) 2.056.971,61 19.284.290,35 4.682.789,20 4.378.691,07 518.788,26 168.987,88 910.106,86 2.392.008,42 33.704.857,51 107.921,29 229.252,10 Quota Soprintendenza (Euro) 388.246,26 Servizi Attivi al 31/12 40 3.786.475,09 5.199.670,88 96 26 136 6 82 - Clienti/Scontrini 627.636 2.183.974 1.024.755 3.001.968 59.842 877.016 7.775.191 Incassi Lordi (Euro) 2.303.484,34 20.204.404,68 5.176.926,66 5.235.697,25 1.429.547,99 2.583.388,67 36.933.449,59 Quota Soprintendenza (Euro) 486.747,73 Servizi Attivi al 31/12 39 3.987.379,23 527.639,92 170.329,89 110.882,65 214.563,59 101 31 143 6 89 5.497.543,01 - Clienti/Scontrini 654.993 2.154.406 1.139.882 3.191.582 80.318 984.702 8.205.883 Incassi Lordi (Euro) 2.342.448,38 20.745.719,01 6.001.816,58 5.443.534,40 1.571.603,95 2.952.026,92 39.057.149,24 Quota Soprintendenza (Euro) 474.666,05 Servizi Attivi al 31/12 41 4.110.331,55 595.429,54 169.516,73 123.247,90 266.931,44 5.740.123,21 96 31 132 8 87 - Clienti/Scontrini 704.738 2.206.425 1.113.608 4.210.908 216.736 991.515 9.443.930 Incassi Lordi (Euro) 2.744.102,65 22.596.145,69 5.915.611,08 7.559.875,05 Quota Soprintendenza (Euro) 563.690,60 4.417.859,05 624.032,38 304.605,12 2.591.627,49 3.080.981,34 44.488.343,30 208.246,98 215.336,63 6.333.770,76 Fonte: Sistan-MiBAC E resta poi sempre aperto il seguente interrogativo: se nei musei, monumenti e aree archeologiche statali vengono incassati ogni anno 40 milioni di euro dai servizi aggiuntivi e, in primis, dai bookshop (circa 22), cosa accade nei restanti 2.800 musei? 2. 1.2 Il pubblico di musei, monumenti e aree archeologiche italiane A fonte di un’offerta sostanzialmente stabile, dal 2001 al 2006 i visitatori dei musei, circuiti museali, monumenti e aree archeologiche statali sono passati da 29,5 milioni a 34,6, con un incremento percentuale del 17%. Tav. 5 Visitatori di musei, circuiti museali, monumenti e aree archeologiche statali – 2006 Visitatori 305 degli Istituti a Pagamento Tipologia di istituto Paganti Musei 6.375.156 Monumenti e aree archeologiche 5.035.845 Non paganti 4.123.804 Totale degli Istituti Totale Gratuiti Introiti (Euro) lordi 10.498.960 447.550 10.946.510 32.706.615,70 3.227.466 8.263.311 8.552.824 16.816.135 33.843.486,76 Circuiti museali 4.957.148 1.854.798 6.811.946 0 6.811.946 37.683.642,94 Totale 16.368.149 9.206.068 25.574.217 9.000.374 34.574.591 104.233.745,40 * Fonte: Sistan-MiBAC Un aumento in gran parte attribuibile agli istituti con ingresso gratuito (3,3 milioni) mentre, per musei e monumenti a pagamento, sono i circuiti museali - tipologia in forte espansione sia per numero sia per bacino d’utenza- a fare la parte del leone con una crescita, dal 2001, di 3,2 milioni di visitatori. Si tratta di una domanda molto concentrata sia nello spazio sia nel tempo. I primi 4 siti più visitati – circuito archeologico del Colosseo e Palatino, Scavi di Pompei, Uffizi e Corridoio Vasariano, Galleria dell’Accademia – raccolgono infatti 10 dei totali 34,6 milioni di visitatori e anche la distribuzione mensile degli accessi vede una concentrazione della domanda sui mesi di aprile, maggio e agosto. 2. 1.3 Mostre, fiere d’arte e un grande assente: il paesaggio Tra i fenomeni che hanno caratterizzato l’evoluzione dell’offerta culturale italiana e internazionale ma anche una trasformazione nelle abitudini di consumo, quello delle mostre temporanee è senz’altro uno dei più interessanti. Delle ragioni e degli effetti sul territorio di questa tipologia di evento si dirà in seguito ma vale comunque la pena ricordare qui almeno qualche numero. Nell’estate 2007 sono state organizzate, in quello che è stato definito il “mostrificio italiano”, almeno 650 mostre e, nel corso del 2006, le esposizioni temporanee sono state visitate complessivamente da oltre 7 milioni di visitatori. Tav. 8 – Le dieci mostre più visitate in Italia – 2006 Visitatori totali Titolo della Mostra Museo Museo di Santa Giulia Scuderie del Quirinale I Palazzo Reale Complesso d. Vittoriano 1 541.547 Gauguin/Van Gogh 2 3 318.558 313.269 Antonello da Messina Caravaggio e l'Europa 4 309.430 5 300.353 6 271.298 7 242.331 8 229.014 9 199.488 Modigliani Mantegna a Mantova 1460-1506 Palazzo Te Millet: opere dal Mfa di Museo di Santa Boston Giulia Scuderie del Cina. Nascita di un Impero Quirinale Museo Archeologico Argenti a Pompei Nazionale Raffaello. Da Firenze a Roma Galleria Borghese Complesso del Manet Vittoriano 10 181.595 Città Brescia Date 22 ott 05 - 26 mar 06 Roma Milano 18 mar - 25 giu. 15 ott 05 - 6 feb 06 Roma Brescia 23 feb - 20 giu 16 set 06 - 28 gen 07 22 ott 05 - 26 mar 06 Roma 22 set 06 - 4 feb 07 Napoli 2 apr -2 ott Roma 19 mag-10 set Roma 8 ott 05-5 feb 06 Mantova Fonte: La Repubblica, Classifica generale visitatori (di Goffredo Silvestri). 306 Ciò sta comportando una trasformazione del tradizionale ruolo dei musei che si sono trovati nelle condizioni di dover in parte ripensare e adattare la propria struttura e la propria organizzazione al moltiplicarsi di nuove funzioni, talvolta in un rapporto dialettico e di riscoperta con la collezione permanente talvolta, invece, come semplice involucro di contenuti “altri”. Anche le fiere d’arte, forma relativamente nuova di distribuzione di cultura, si trovano oggi in un momento storico di grande propulsione, soprattutto nel settore dell’arte contemporanea: Verona, Torino, Bologna, Milano, ognuna di queste fiere, con le sue peculiari caratteristiche, raggiunge infatti ogni anno 30 - 40 mila visitatori in pochi giorni di apertura. Basti ricordare, tra i tanti, il grande successo ottenuto, alla sua prima edizione, dalla fiera romana “The road to contemporary art”6. Tali eventi pur rivolti prevalentemente a un pubblico specialistico di operatori, sono sempre più spesso oggetto d’interesse anche da parte di un pubblico generico di appassionati che trova qui l’occasione per dare uno sguardo alle nuove tendenze dell’arte oltre che alle opere di artisti già affermati, respirando dal vivo l’aria del “mondo dell’arte”. Si tratta certo di un fenomeno che riguarda – salvo rare eccezioni- ancora una volta le città d’arte e i centri urbani maggiori. Così, mentre le città si riempiono di eventi culturali, nel vortice di una concorrenza sempre più accanita ma spesso slegata da una logica di promozione integrata dei luoghi, quello che è uno degli elementi più peculiari e specifici dell’offerta culturale italiana, il paesaggio, viene invece spesso sottovalutato. Il paesaggio naturale e il paesaggio culturale - “testimonianza del genio creativo, dello sviluppo sociale e della vitalità immaginifica e spirituale dell’umanità” 7 rappresentano per l’Italia un grandissimo capitale sia in termini di immagine sia come fonte prima d’ispirazione per la creazione artistica. Paesaggio che è di per sé un elemento mutevole e in evoluzione e che, proprio per questo, offre una poliedricità di funzioni culturali ed educative. Questo “territorio espressivo di identità” si presta da un lato ad accogliere la creazione artistica – si pensi per esempio ai parchi di sculture8 o alla land art 9 - e dunque a essere contesto e contenitore culturale attivo, dall'altro è oggetto, “contenuto”, di progetti culturali trasregionali e trasfrontalieri, diventando, nella sua diversità, elemento unificante. È questo il caso delle Cultural Routes 10, dei numerosi progetti di valorizzazione dei paesaggi viti-vinicoli o delle strade della transumanza11, solo per citare alcuni esempi. Ma mentre nel 1992 la World Heritage Convention è diventata il primo strumento legale internazionale per la protezione dei paesaggi culturali12, inclusi della lista 6 Sei sedi espositive, 50 gallerie nazionali ed internazionali, oltre 35.000 visitatori. http://whc.unesco.org/en/culturallandscape/. 8 Come il Giardino dei Tarocchi a Capalbio, la Fattoria di Celle a Santomato, il Giardino di Daniel Spoerri a Seggiano o il Parco dei Mostri di Bomarzo. 9 Un esempio a tal proposito è Arte Sella, manifestazione internazionale di arte contemporanea che dal 1986 si svolge nei boschi della Val di Sella (comune di Borgo Valsugana, provincia di Trento). 10 European Institute for Cultural Routes: http://www.culture-routes.lu/ . 11 Virtual Museum of European Transhumance: http://www.transumanza.eu/. 12 Nelle tre categorie di “clearly defined landscape designed and created intentionally by man”, “organically evolved landscape” e “associative cultural landscape”. 7 307 del Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO13, in Italia il complesso assetto normativo che vede “territorio”, “ambiente” e “paesaggio” come “ambiti regolati da diverse normative e diverse responsabilità”14 ha fatto sì che lo scempio del paesaggio continuasse. Un segnale positivo viene oggi dalla recente approvazione del decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63 di integrazione e correzione del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio15. Attraverso tale provvedimento infatti, la nozione di paesaggio sembra aver trovato una nuova unitarietà e l‘assetto delle competenze di tutela riconferite primariamente allo Stato anche se sempre in cooperazione con le Regioni - un maggior equilibrio. 3. Turismo culturale e città d’arte 3.1 Il turismo nelle città d’arte: il mercato estero e il mercato domestico È ormai largamente riconosciuto che le risorse culturali - siano esse tangibili, intangibili o materiali - sono oggi un “fattore produttivo” sostanziale per l’industria turistica. Il turismo culturale – fenomeno spesso non facilmente definibile16 - rappresenta infatti una declinazione sempre più importante nel mondo dei viaggi e delle vacanze, soprattutto in Italia. Da un’indagine di Doxa, Mercury e Touring Club Italiano sull’attrattività turistica dell’Italia all’estero la categoria “cultura, arte” (su una scala da 1 a 10) raggiunge infatti il giudizio più alto (8,28), prima di “cucina, vini” (8,11) e di “paesaggio” (8,10) e, tra i luoghi italiani più noti all’estero, vengono citate in primis le grandi città d’arte: Roma (64,3%), Venezia (35,9%), Milano (27,5%) e Firenze (23,4%)17. Nel 2006, solo per citare alcuni dati, dei 308 milioni di presenze registrati nella Penisola, 92 hanno riguardato città di interesse storico e artistico con una crescita, nel periodo 2001-2006, del +22,5% per gli arrivi e del +13,4% per le presenze (Tav. Tav. 9 Arrivi e presenze negli esercizi ricettivi per tipo di località – 2006 Città di interesse storico e artistico Località montane Località lacuali Località marine Località termali Italiani Arrivi 13.972.770 5.954.887 1.747.816 14.145.752 1.947.908 Presenze Stranieri Arrivi 38.721.986 29.673.217 6.585.407 79.295.631 8.693.155 19.138.796 3.310.490 3.462.431 7.002.386 1.401.960 Presenze Totale Arrivi Presenze 53.084.260 17.497.609 17.759.196 38.011.166 5.251.159 33.111.566 9.265.377 5.210.247 21.148.138 3.349.868 91.806.246 47.170.826 24.344.603 117.306.797 13.944.314 13 I siti italiani sono: Portovenere, Cinque Terre e isole (Palmaria, Tino and Tinetto); Costiera Amalfitana, Cilento e Parco Nazionale del Vallo di Diano con i siti archeologici di Paestum e Velia e Certosa di Padula; Val d'Orcia; Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia. 14 Salvatore Settis, La Repubblica, 27 novembre 2007 15 Decreto legislativo 26 marzo 2008, n.63, “Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio”, (GU n. 84 del 9-4-2008). 16 L’UNTWO (World Tourism Organization) definisce il turismo culturale come lo spostamento di persone per motivazioni principalmente culturali quali viaggi studio, partecipazioni a spettacoli e tour culturali, partecipazione a festival o ad altri eventi culturali, visite a siti e monumenti lasciando però spazio anche alla possibilità che del turismo culturale faccia parte l’immergersi nelle abitudini di un popolo sperimentandone le tradizioni e lo stile di vita. 17 Indagine condotta da Doxa-Mercury-Touring in collaborazione con il Ciset-Università Cà Foscari di Venezia per conto del Dipartimento per lo Sviluppo e la Competitività del Turismo. 308 Località collinari e di interesse vario 2.056.147 5.872.006 1.618.976 7.530.394 3.675.123 13.402.400 Totale 39.825.280 168.841.402 35.935.039 139.133.784 75.760.319 307.975.186 Fonte: Istat Si tratta di dati da considerare con cautela in quanto definiscono il turismo culturale dal lato dell’offerta e non, come si dovrebbe, sulla domanda18 ma che servono comunque a dare un’idea dell’importanza di questo comparto per l’industria turistica italiana. 3.2 Turismo culturale verso turismo creativo: quale evoluzione per il futuro? Ma come si sta evolvendo il turismo culturale e cosa lega patrimonio culturale, turismo e industrie creative? Sinteticamente si può pensare a questo legame su un duplice livello, un primo relativo alla creazione/integrazione della destinazione, il secondo livello invece più legato all’offerta di servizi funzionali alla fruizione. Il turismo culturale cresce, la domanda si diversifica, la concorrenza aumenta e anche l’offerta si specializza facendo emergere nuovi sub-mercati: da forme più tradizionali di fruizione turistica verso forme innovative di consumo di cultura contemporanea. Si pensi per esempio al turismo letterario19, al turismo architettonico che induce sempre più amministratori pubblici ad assumere “archistar” per rinnovare l’immagine delle proprie città20, o al cineturismo, fenomeno non recente ma che ha vissuto negli ultimi anni una crescente popolarità grazie anche ai rapporti di collaborazione con le sempre più numerose film commission21. In questo modo vengono a crearsi nuove destinazioni in un processo in cui la creatività e le industrie creative permettono sempre più spesso a luoghi apparentemente meno dotati di attrazioni storiche di affermarsi nel circuito del turismo culturale o a destinazioni in declino di rinnovare e integrare la propria offerta. Gli stessi musei, simbolo per eccellenza del tradizionale turismo culturale e elementi caratterizzanti dell’offerta culturale di una destinazione stanno vivendo un processo di trasformazione delle proprie funzioni classiche come dimostra il grande fiorire di “mostre evento”, o la nascita di nuovi musei (come per es. il Mambo, il Madre, il MAXXI, il Museo del Design o i molti musei d’impresa). Sempre nel settore museale si sta assistendo poi a una specializzazione e moltiplicazione tematica dell’offerta - non più legata necessariamente alle tradizionali categorie artistiche, archeologiche e scientifiche - verso nuovi temi quali l’impresa, la gastronomia, la storia contemporanea etc. Anche il turismo culturale dunque sta profondamente mutando verso quello che Richards chiama “turismo creativo”: un turismo che consuma esperienze, che ha 18 La classificazione avviene in base alla tipologia della località e non secondo le effettive motivazioni dei turisti Questi ultimi dati, di fonte Banca d’Italia-Ufficio Italiano Cambi, sono infatti disponibili solamente per i turisti stranieri. 19 In Italia è particolarmente interessante l’esperienza dei parchi letterari: http://www.parchiletterari.com/. 20 Come per esempio Jean Nouvel a Siena, Herzog & De Meuron e Zaha Hadid in Sardegna, Massimiliano Fuksas a Montecatini Terme. 21 I casi più significativi di Movie induced tourism a livello internazionale sono stati, tra gli altri, quelli verificatisi a Londra a Notting Hill, in Nuova Zelanda in seguito alla trilogia de “Il Signore degli Anelli” e in Corea grazie alla soap-opera “Winter Sonata”. In Italia si ricorda invece la riscoperta del castello di Agliè in seguito alla fiction “Elisa di Rivombrosa”. 309 il suo focus temporale non più solo sul passato ma anche sul presente e sul futuro, che si interessa non soltanto alla “cultura alta” ma anche a quella popolare e di massa, alla moda, al design e all’architettura22. Il secondo livello del rapporto industrie creative e turismo fa invece riferimento a tutti i prodotti e ai servizi che le industre creative forniscono a supporto dell’esperienza turistica culturale, tanto più importanti da un punto di vista economico se si considera la tradizionalmente alta capacità di spesa del turista culturale rispetto ad altre categorie di turisti (106 euro di spesa giornaliera media contro circa 74 nel 2005). L’editoria e il multimedia sono i servizi più direttamente a servizio del fruitore – come già ricordato, gli incassi dei bookshop museali23 hanno raggiunto nel 2006 22,6 milioni di euro - ma pubblicità e comunicazione sono altrettanto importanti nel successo di una destinazione o di un attrattore turistico24. Infine va ricordato il rapporto dialettico tra turismo e architettura: sia perché molte opere architettoniche sono diventate, nel corso dei secoli, attrattive turistiche sia perché l’architettura ha trovato nel turismo, a partire dalla fine del XIX secolo, una forte spinta al rinnovamento e all’evoluzione sia tecnica sia estetica: non solo lo stile eclettico dei primi Grand Hotel ma anche la nascita degli stabilimenti balneari – basti ricordare lo Stabilimento Roma al Mare di Ostia dell’architetto Giovan Battista Milani – e termali come quello di Montecatini. A questo proposito, un’ultima nota merita anche un recente trend del settore ricettivo, fortemente legato ai temi della creatività: il design hotel25, vero e proprio luogo d’arte che ha dato nuovo slancio alla progettazione delle strutture ricettive, modificando la percezione tradizionale della funzione dell’albergo da parte dei clienti e diventando luogo di comunicazione non solo di uno stile ma anche di singoli brand. 4. L’impatto economico delle istituzioni e degli eventi culturali 4.1 Premessa: da peso a carico della collettività a risorse produttive e volano di sviluppo Gli studi sull’impatto economico degli eventi culturali risalgono almeno agli anni 70. Memorabile ad esempio quello di Roger Vaughan sul Festival di Edimburgo. Da allora si è sviluppata una vasta letteratura internazionale, che muoveva da presupposti assai lontani dai temi che animavano il dibattito italiano sull’economia dei beni culturali dei primi anni Novanta del secolo scorso. Il punto di partenza di tali studi era e rimane banale: le istituzioni e le manifestazioni culturali forniscono un contributo rilevante allo sviluppo economico e occupazionale dei territori su cui insistono, essendo capaci di attrarre centinaia di migliaia di facoltosi visitatori, deviare ingenti flussi turistici, sostenere diversi settori economici, frenare la migrazione intellettuale e favorire lo sviluppo del capitale umano locale, etc. Tuttavia, le medesime istituzioni e manifestazioni possono provocare congestioni e danni al patrimonio culturale, incrementare i costi sostenuti dalle comunità e 22 Richards G. e Wilson J. 2007, “Tourism, Creativity and Development”, London, Routledge. Musei, monumenti e aree archeologiche statali, 2006. 24 Si veda ad esempio la recente campagna pubblicitaria organizzata per la riapertura di Palazzo Madama a Torino. 25 Il primo design hotel in Italia viene considerato l’Hotel Parco dei Principi di Sorrento, progettato da Giò Ponti (1964). 23 310 dagli enti locali, alterare gli equilibri dei mercati immobiliari e stravolgere gli assetti delle attività commerciali favorendo la difesa di posizioni di rendita, esercitare impatti sociali negativi, etc. In tal senso, sebbene i nessi tra cultura, creatività e sviluppo economico sia da svariati anni oggetto di una tambureggiante offensiva congressuale, non si può certo affermare che in Italia si sia sviluppato un vero dibattito metodologico sulla misurazione di tali impatti, sicché si riaffermano principi ideologici alla moda, scarsamente sostanziati da verifiche empiriche ancorate a un rigoroso dibattito teorico. Il problema centrale, infatti, è legato alla corretta misurazione degli impatti positivi e negativi, distinguendo tra quelli reddituali, occupazionali e fiscali, posto che le cifre finali forniscono elementi conoscitivi e negoziali di innegabile valore. Non è quindi un caso se nel corso dell'ultimo trentennio un numero crescente di istituzioni culturali abbia commissionato dettagliate analisi dell'impatto, da Tate Modern (2005, con London School of Economics) al Moma (2006), dal Guggenheim (pioniere del Bilbao effect misurato nel 1999 da KPMG) al Metropolitan di New York (2007), per tacere degli organizzatori dei festival, che da diversi lustri patrocinano sistematicamente simili studi. Per contrastare la parzialità di tali stime, diversi centri di ricerca pubblici e privati hanno condotto controanalisi di notevole interesse, aprendo un franco dibattito sui pregi e le virtù di uno strumento di politica economica, sociale e culturale di sicura utilità. Nella piena convinzione che anche in Italia i tempi siano maturi per aprire una discussione sul tema, questo contributo di carattere metodologico può offrire degli spunti propedeutici all’avvio di una seria riflessione in merito. 4.2 La diffusione degli studi sull’impatto economico delle istituzioni e degli eventi culturali in Italia In Italia gli studi sull'impatto economico si sono concentrati prevalente sul settore turistico, anche se mancano quasi del tutto in campo culturale. Le prime esperienze (P. Leon, Cless; P. Valentino, Civita) erano dirette non tanto valutare l’impatto ex post degli investimenti in campo culturale quanto per valutarne ex ante la redditività ai fini della selezione dei progetti. Quindi non tanto l’impatto diretto sul la società locale, ma piuttosto quello diretto sulla possibile valorizzazione del museo, sul parco, sul castello Costituiscono delle eccezioni i commenti metodologici di Solima del 1999 e di Farina del 2003, le ricerche di Galeotti sul festival di Spoleto del 1992, l'analisi di Rispoli, Di Cesare, Stocchetti e Quattromani sulla Biennale di Venezia del 2001 e lo studio coordinato da Re sul caso di Torino del 2006. Simile penuria è spiegata dall’arretratezza metodologica, dall'opacità e rudimentalità dei sistemi contabili delle istituzioni culturali, dalla pochezza e dal pressapochismo delle audience surveys, dalla scarsa disponibilità palesata da soggetti pubblici e privati nel finanziare studi previsionali per iniziative reputate poco o nulla redditizie, unitamente alla scarsa disponibilità di dati e rilievi su cui basare i progetti di ricerca. Suona tuttavia singolare che, a fronte dei milioni di euro spesi negli ultimi anni per tanti studi di prefattibilità e fattibilità, il tema dell’analisi economica dell’impatto, forse l’unico strumento in grado di controbilanciare le stime fornite dalle tradizionali tecniche di business planning e di integrare i risultati delle ben più raffinate CVM (Contingent Valuation Methods), sia stato de facto dimenticato dagli analisti e dai policy makers italiani, sebbene all'estero esso sia correntemente utilizzato da oltre un quarantennio, con tutte le cautele e le precauzioni del caso, per le decisioni riguardanti le istituzioni e gli eventi culturali di una certa entità. 311 Non è infatti necessario raggiungere la magnitudo di Torino 2006 per motivare la redazione di uno studio di analisi dell’impatto simile a quello commissionato in occasione delle giochi olimpici invernali del 2006. Quest'ultimo, non scordiamolo, prevedeva una crescita dello 0,2% del PIL nazionale e del 3% di quello del Piemonte, 17,4 miliardi di euro di valore aggiunto, 57.000 posti di lavoro creati ogni anno nei primi cinque anni post olimpici, per un aumento dell’occupazione pari allo 0,2%. Tornando alle istituzioni e agli eventi culturali, va fatto osservare che solo di recente sono stati condotti studi sperimentali, ma si tratta si esercizi, che, per quanto raffinati, utilizzano dati desk, sovrappongono piani di analisi diversi e contemplano obiettivi differenti (si pensi all’ardua definizione di capitale culturale o alla valutazione delle ricadute formative). Di qui l'esigenza di restringere gli obiettivi, concentrarsi su casi di dimensioni più contenute e riflettere, soprattutto, sui vantaggi e gli svantaggi del metodo e sulle procedure più idonee a raggiungere risultati pienamente attendibili. 4.3 La diffusione all'estero A pochi chilometri dai confini italiani la situazione cambia vistosamente: l'analisi di impatto è divenuta un elemento basilare di qualunque progetto culturale, che viene a disporre di uno strumento offensivo quanto mai potente e suggestivo, capace di convincere attori pubblici e privati spesso - giustamente – scettici, di fronte a dichiarazioni roboanti ma poco sostanziate o a numeri forniti con disarmante imprecisione. Secondo l’ultima survey condotta da American for the Arts, nel 2004 il settore artistico ha generato negli Stati Uniti redditi per 134 miliardi di dollari: 80.8 spesi dai visitatori in consumi correlati (restauranti, alberghi, parcheggi, trasporti, carburanti, acquisti al dettaglio, souvenir, etc.), 53.2 investiti (ex in nuovi immobili e dotazioni tecnologiche) e spesi dalle istituzioni culturali per l'acquisto di beni e servizi di vario genere, cui si dovrebbero aggiungere i valori relativi agli acquisti di opere e collezionabili. Si tratta di cifre in linea con quanto stimato per il distretto newyorkese da una primaria società di consulenza come McKinsey and Company, che nel 2002 realizzò un'importante ricerca per conto dell'associazione Alliance for the Arts. Non sfugge del pari l'ampio risalto dello studio commissionato nel 1998 dal Guggenheim di Bilbao a un altro colosso della consulenza come KPMG, secondo cui l'istituzione spagnola nei primi tre anni di vita avrebbe fatto crescere il PIL dell'area dello 0,47% (con un valore assoluto di 140 milioni di euro, a fronte degli 85 investiti nel progetto), creando 3.816 posti di lavoro e facendo aumentare del 54% i flussi turistici dei paesi baschi (valori ridimensionati dalle verifche di Plaza del 1999 e 2000, che li ha più che dimezzati). A tal riguardo si deve ammettere che quello del Guggenheim di Bilbao è stato un caso di scuola, dacché i dati e le analisi sono ormai talmente numerosi da potersi considerare un genere letterario. L’istituzione spagnola ha modificato fortemente l’immagine della città e ha contribuito non poco al suo successo turistico, attirando nel primo triennio più di 1.300.000 visitatori ogni anno, in un centro di 950.000 abitanti, benché la collocazione di Bilbao in un’area compresa tra San Sebastian, la mecca europea del surf, e Pamplona, la città della fiesta per eccellenza, abbia reso più difficile la dissezione degli effetti imputabili all’influsso del museo sull’economia locale. Tuttavia, analizzando l’incremento dei visitatori successivo all’apertura del Guggenheim, e confrontandolo con le serie storiche dei flussi turistici nel comprensorio di Bilbao, è stato possibile determinare la quantità addizionale ascrivibile all’apertura del museo e la stagionalità delle visite, consentendo ai 312 ricercatori spagnoli di calcolare – con relativa precisione – l’impatto esercitato sul territorio dall’istituzione basca. Il successo di quell'approccio e i suoi echi mediatici hanno convinto altre istituzioni a seguirne l'esempio: è così seguito lo studio presentato nel 2004 in occasione della National Museum Directors' Conference britannica (e commissionato dalla medesima alla London School of Economics), il quale ha affermato che “the overall impact of the NMDC “sector”, including indirect and induced effects, is in the range £1.83 billion to £2.07 billion”. In modo analogo la Tate Modern, sempre coadiuvata da LSE, nel 2005 ha sostenuto di aver creato in cinque anni “between 2,000 and 4,000 new jobs, about half of which are located in the Southwark area”, laddove secondo l’impact analysis survey commissionata nel 2006 dal MOMA a Audience Research and Analysis, il museo tra il 2005 e il 2007 ha generato un impatto economico nella città di New York pari a 2 miliardi di dollari. Il Metropolitan non è stato a guardare e così, in concomitanza con la riapertura delle nuove “Greek and Roman Galleries” avvenuta nella primavera del 2007, ha iniziato a condurre delle sistematiche ricerche sull’impatto economico del museo e delle sue attività espositive (affidandole al Museum's Visitor Services Department in collaborazione con l’Office of Market Research), da cui risulta che le summenzionate gallerie hanno generato in sei mesi un impatto di circa 370 milioni di euro, a fronte dei 250 prodotti dalle due mostre “Americans in Paris, 1860-1900” and “Cézanne to Picasso: Ambroise Vollard, Patron of the AvantGarde” tenutesi nel medesimo anno. Tuttavia, anche le istituzioni di dimensioni minori hanno compreso la strategicità dello strumento: il Festival internazionale del cinema di Locarno nel 2004 è stato oggetto di una dettagliata analisi di impatto economico e sociale, basata su moltiplicatori “standard” e realizzata attraverso più di 4.000 interviste dirette, che hanno dimostrato che l'effetto del festival cinematografico, nella migliore delle ipotesi, a fronte di un budget di 6,29 ME è stato pari a 14,6 ME. Si tratta di cifre lontane da quelle elaborate dai principali festival internazionali: secondo l’ultima ricerca promossa dallo Scottish Tourist Board e realizzata da SQW limited e TNS Travel & Tourism nel 2005, i 16 festival organizzati nella capitale scozzese nella stagione 2004-5 (dal 30 luglio 2004 al 31 maggio dell'anno successivo) hanno attirato 3.192.438 visitatori: tale flusso ha determinato un impatto economico di 249,37 milioni di euro nella sola Edimburgo e di altri 20,52 nell’intera Scozia, con la creazione di 3.200 posti di lavoro full-time nella capitale e di altri 700 entro i confini scozzesi. Inoltre il 65% dei partecipanti ha affermato che i festival costituivano la sola o principale motivazione di visita: di questi il 27% non era scozzese e il 15% proveniva dall’estero, laddove la copertura mediatica generata gratuitamente dai soli festival estivi (raggruppati sotto l’egida degli “Edinburgh Summer Festivals”) ha avuto un valore superiore a 17 milioni di euro. Analogamente il Festival di Salibsurgo, il più grande e famoso festival lirico del mondo, nel 2006 ha offerto, in 36 giorni di programmazione, 207 eventi in 14 diverse sedi, che hanno attirato 244.269 spettatori, provenienti da 65 diverse nazioni: di questi il 75% viene regolarmente e il 61% lo ha seguito almeno dieci volte, con un spesa media pro-capite extrafestival di 283 euro al giorno (includendo i costi dei biglietti essa ascende a oltre 530 euro); non c’è dunque da stupirsi se l’impatto economico totale della manifestazione austriaca abbia superato i 225 milioni di euro, che essa abbia impegnato 190 dipendenti fissi e 3.000 lavoratori stagionali e che le sole entrate fiscali siano equivalse al triplo dei finanziamenti pubblici ricevuti. Tuttavia, cifre di tutto rispetto sono ottenute anche da manifestazioni apparentemente di nicchia: secondo l’indagine effettuata nel 2005 dalla Moore School of Business della University of South Carolina, i 39.000 partecipanti 313 all’edizione statunitense dello Spoleto Festival USA, che si tiene ogni anno a Charleston e attira un pubblico assai raffinato, hanno determinato un impatto economico totale pari a circa 35 milioni di euro, creando 729 posti di lavoro a tempo pieno , laddove anche i cosiddetti festival alternativi generano impatti significativi. Se il Sonar di Barcellona ha esercitato nel 2006 un impatto di 47 milioni di euro sull’economia catalana, con la creazione di 216 posti di lavoro, secondo l’University of Utah’s Bureau of Economic and Business Research at the David Eccles School of Business il Sundance Film Festival tenutosi a Salt Lake City nel 2006 (che ha attirato 52.850 partecipanti, di cui 37.470 provenienti da stati diversi dallo Utah, con un crescita del 13% rispetto all’anno precedente) ha determinato un impatto di quasi 49 milioni di euro. 4.4 Un ragionevole cambio di prospettiva Alla luce di simili evidenze, bisogna rammentare che in Italia, come minimo, vi sono i seguenti beni culturali materiali: Tav. 10 Le istituzioni culturali in Italia Fonte-Anno Tipologia Numero A - 1999 Archivi (storici, enti locali, d’impresa) 11.000 B - 1994 Biblioteche (pubbliche e private) 9.900 C – 2004 Musei, gallerie, pinacoteche, istituti d’arte (ecclesiastici inclusi) 4.120 D – 1991 Giardini zoologici, botanici, naturali e acquari 102 E – 1995 Siti archeologici e monumentali 2.100 F – 1999 Patrimonio ecclesiastico: chiese costruite prima del 1880 55.263 F – 1999 Patrimonio ecclesiastico: monasteri e conventi 1.500 F – 1999 Patrimonio ecclesiastico: santuari, sacri monti, palazzi vescovili, 3.000 viae crucis F – 1999 Patrimonio ecclesiastico: biblioteche 3.100 F – 1999 Patrimonio ecclesiastico: archivi storici 29.000 G – 2004 Dimore storiche di pregio private 12.000 H - 2005 Centri storici 22.000 Legenda fonti: A: Direzione Beni archivistici MIBAC 1999; B: AIE su datti ICCU 1994 (sono escluse da tale computo le 3.100 biblioteche ecclesiastiche e le 8.000 scolastiche); C: Trimarchi e Longo, Rapporto sull’economia delle cultura, Il Mulino, 2004; D: D. Primicerio, L’Italia dei Musei, Electa, 1991; E: D. Primicerio, Dossier Archeologia, n.3/4, 1995; F: G. Guerzoni e W. Santagata, Economia della Cultura, Enciclopedia Treccani, 1999; G: Associazione Dimore Storiche Italiane 2004; H: ICCD 2005. Ad essi si aggiungono, secondo le fonti più accreditate, più di 1.600 mostre all’anno (sono ovviamente escluse da computo quelle allestite presso gallerie e spazi commerciali) e più di 1.200 festival di carattere latamente culturale, cui andrebbero poi sommate le fiere e i saloni di settore (da quello del libro a quello del gusto, da quelle dedicate alle arti visive a quelle antiquarie, etc), le rassegne, i corsi, i premi, i concorsi, la convegnistica di settore, insomma un ampio e ricco calendario di eventi temporanei di carattere latamente culturale, che alimentano diversi settori professionali, ma di cui viene regolarmente omessa, nell’indefinito calderone delle esternalità positive, la capacità di generare redditi, occupazione, gettiti fiscali, etc.. 314 E’ pertanto evidente la necessità di provare a colmare un ritardo metodologico, che rimane difficilmente spiegabile, poiché da almeno quarant'anni, senza tacere le polemiche e le critiche - spesso fondate - che ne hanno accompagnato la diffusione, l'economic impact analysis è entrata a far parte della “cassetta degli attrezzi” di quanti operano in campo culturale. Una seria analisi d'impatto non è una trionfalistica perizia di parte, né contempla i soli aspetti reddituali, occupazionali o fiscali. In molti casi, al contrario, evidenzia e quantifica gli aspetti negativi (congestione, danneggiamenti, peggioramento della qualità della vita dei residenti, incremento della microcriminalità, alterazioni dei valori immobiliari, etc.), fornendo così valide e imparziali indicazioni di policy. In tal senso, se utilizzate con rigore metodologico e onestà intellettuale, le analisi d'impatto offrono spunti di grande interesse ai soggetti coinvolti in svariati processi produttivi, distributivi e decisionali. Infatti, per comprendere la natura degli impatti e quantificarne l’entità in termini monetari, è necessario seguire protocolli precisi, che abbisognano di informazioni di carattere qualitativo e quantitativo da noi raramente presenti: le spese medie pro-capite giornaliere, le provenienze geografiche e le permanenze medie di quanti partecipano ai festival italiani o visitano le mostre nazionali sono quasi sempre sconosciute e gli stessi dati “ufficiali” sono spesso inaffidabili. Del pari non bisogna scordare la natura complementare di codesti strumenti, dacché le istituzioni e gli eventi culturali generano impatti differenti: culturali, sociali, economici, fiscali, occupazionali, ambientali, immobiliari, etc. Per ciascuna di queste categorie esiste una ricca letteratura, che ha da tempo sottolineato sia gli aspetti positivi, sia quelli negativi, invocando una prospettiva analitica che li contempli e integri in un disegno complessivo capace di restituire la complessità dell’oggetto d’indagine. In molti casi, infatti, il successo degli eventi culturali, dalle mostre di qualità ai festival di approfondimento culturale, cambia radicalmente la percezione dei luoghi, il senso dello stare e dell'appartenere a una comunità, per tacere delle ricadute comunicazionali: quante centinaia di migliaia di euro avrebbero dovuto sborsare gli enti locali che hanno finanziato gli eventi di maggior successo per “comprare” gli spazi che i media hanno dedicato ai relativi territori negli ultimi anni? In tal senso, in virtù della loro relativa semplicità d'impiego e della loro forza euristica, le analisi di impatto vengono sempre più di sovente utilizzate per valutare ex-ante ed ex-post i progetti culturali, dotando decisori, finanziatori e organizzatori di strumenti di misurazione, comunicazione e negoziazione capaci di convincere attori pubblici e privati giustamente scettici di fronte a cifre fornite con disarmante disinvoltura, in un contesto, non solo italiano, in cui la forza retorica dei numeri, dati sempre più spesso a caso, vince qualunque ragionamento sensato e in cui la diffusione del format “festival” o del prodotto “mostra” è giunta a livelli patologici di degenerazione Si tratta infatti di comprendere se i successi – in verità pochi - sono legati a fattori difficilmente reperibili in altri contesti geografici (è questa l'opinione dello scrivente) o se invece i format possono essere riproposti in altre sedi, riconoscendo agli eventi culturali la natura di prodotti editoriali veri e propri, più che mai bisognosi di una ingegnerizzazione del processi che scremi la scena nazionale dalla gran quantità di imitazioni che sta frastornando e confondendo un pubblico che, prima di essere criticato, andrebbe quantomeno conosciuto. In Italia, infatti, il dibattito sugli eventi culturali ha assunto toni polemici ispirati da posizioni – o meglio pose - ideologiche difficilmente sopportabili: da una parte gli apocalittici sostenitori delle profezie debordiane, del fanatismo pop e del trionfo 315 del midcult, dall’altra gli entusiasti partigiani dell’apoteosi divulgativa, del “sempre meglio di niente” e della rivincita del pueblo dei festival e delle mostre, un popolo che in verità palesa profili sociali piuttosto elitari, quantomeno dal punto di vista dei titoli di studio, sebbene in Italia, come è risaputo, essi non siano sempre correlati positivamente ai livelli reddituali. In Italia questi problemi hanno superato da tempo una soglia critica, dacché il fenomeno tende a connotarsi come un eventomania dai contorni sempre più confusi: il numero delle iniziative è ormai incalcolabile (causa l’elevato tasso di natalità e mortalità di esperienze spesso circoscritte ad ambiti locali), tanto da rendere vano qualsiasi tentativo di censire in modo rigoroso le manifestazioni che costellano il territorio nazionale e di comprenderne l’effettiva portata, sia per la genericità della formula “festival” o del termine “mostra”, che rende problematiche le comparazioni, sia per il loro debordante successo. Eppure i tempi sono maturi per tentare di affrontare questi problemi, dal momento che esiste una letteratura internazionale tanto cospicua quanto qualificata. 4.5 L’impatto economico degli eventi culturali Gli eventi culturali forniscono un contributo importante allo sviluppo economico dei territori su cui insistono; tuttavia, per quantificare l’entità e il segno positivo o negativo dell’impatto economico, è necessario seguire un iter metodologico preciso, che nelle prime fasi passa attraverso un meticoloso processo di raccolta di informazioni di carattere qualitativo e quantitativo, poiché gli eventi culturali generano impatti diversi: culturali, sociali, economici, fiscali, occupazionali, ambientali, immobiliari. Per ciascuna di queste categorie di impatto esiste una qualificata letteratura accademica, che ha da tempo sottolineato sia gli aspetti positivi, sia quelli negativi; così, considerando gli impatti sociali, a fronte della crescita della qualità della vita, della disponibilità di maggiori occasioni di svago, della conoscenza di culture e comunità differenti, della difesa delle identità locali, dell'incremento della domanda di fruizione culturale, gli studiosi hanno riscontrato che in molti casi l'incremento delle presenze turistiche fa registrare preoccupanti tassi di crescita della prostituzione, dell'alcolismo, della microcriminalità, della tensione tra residenti e visitatori, della perdita di autenticità del tessuto locale, del caos e della congestione, degli atti di vandalismo, della sporcizia, dell’abbandono scolastico, etc. Rispetto a tale varietà, si è deciso di concentrare questo studio su una sola categoria di impatto, quella economica (che tiene conto delle conseguenze reddituali, occupazionali e fiscali), per ragioni facilmente comprensibili: l’esistenza degli eventi culturali, notoriamente caratterizzati da una scarsa redditività, è spesso garantita dall’intervento di un ente pubblico o di un soggetto terzo (ad esempio le fondazioni ex bancarie) interessati a sapere come e con quali effetti sono state utilizzate le risorse erogate. L’esigenza di allocare in modo efficiente e ottimale tali fondi, insieme ai doveri di trasparenza cui sono soggette le pubbliche amministrazioni, le imprese sponsor e partner e molte fondazioni, impone di misurare con attenzione l’impatto economico di un evento culturale; a priori per determinare in modo oculato gli ambiti in cui investire risorse scarse e, a posteriori, per verificare se gli effetti sortiti sono stati pari a quelli attesi. Poiché è piuttosto raro che gli eventi culturali determinino un ritorno economico direttamente misurabile, si ricorre spesso alle analisi costi-benefici, alla teorie sui 316 beni meritori, alla stima delle esternalità positive, oppure a modelli di valutazione economica in cui il valore economico totale risulta dalla somma dei valori d’uso diretti, di quelli d’uso indiretti e di quelli di non uso. Essi sono stimabili con varie tecniche di misurazione, al fine di giustificare le spese sostenute dagli enti pubblici e terzi senza finalità di lucro, sia che si tratti di progetti concernenti strutture permanenti, quali musei, centri espositivi, teatri, biblioteche e archivi, sia che riguardino iniziative temporanee, quali mostre, concerti, festival, etc. Pur riconoscendo che i criteri economici non devono predominare nella definizione delle politiche di intervento in campo culturale, va ammesso che la loro assenza rende inconfrontabili le decisioni assunte, autorizzando sprechi di risorse e impedendo la fissazione di obiettivi certi e monitorabili nel tempo, quali ad esempio l’aumento dei posti di lavoro, il contenimento della migrazione intellettuale, la costituzione di imprese private operanti su base locale, la valorizzazione del capitale umano, etc. Utilizzando l’analisi di impatto economico è invece possibile calcolare gli effetti determinati dalla presenza di un evento culturale sull’economia del territorio circostante, con un buon livello di approssimazione, livello che aumenta al decrescere della durata del progetto monitorato, delle dimensioni dell’area geografica su cui insiste e del livello di competizione sussistente con altre manifestazioni. La serietà del ricercatore e la correttezza dell'impiego possono individuare anche impatti negativi: non si tratta di un'ipotesi peregrina, ma semmai di un'ulteriore conferma circa il rigore del metodo. Esistono infatti impatti economici positivi e negativi, il cui computo e saldo finale può assistere i decisori nell'assunzione delle scelte più delicate. Per tali ragioni le analisi di impatto vantano quasi mezzo secolo di vita e sono state largamente applicate negli studi sull'economia regionale, ambientale e del turismo. L’intenzione era quella di fornire uno strumento di analisi efficace, in grado di supportare le decisioni dei policy maker e degli investitori pubblici e privati: la relativa – talvolta illusoria – facilità di impiego delle tecniche analitiche, la semplicità dei processi logici soggiacenti, la determinazione di misure chiare e comprensibili anche ai non addetti ai lavori ne hanno determinato il duraturo successo, sebbene non siano mancate e non manchino critiche piuttosto fondate. In ogni caso, con tutte le cautele del caso, attraverso questo strumento è possibile, a supporto delle pur necessarie analisi di carattere qualitativo, prevedere qual è il valore economico generato dall’organizzazione di un evento culturale. Tale valore non va inteso in senso esclusivamente reddituale: sono fonti di valore economico l’aumento nel numero di posti di lavoro, la crescita dei valori immobiliari, l’ascesa dei gettiti delle imposte locali o l’incremento dei redditi e delle vendite al dettaglio nell’area presa in esame. L’ipotesi di fondo è che sia possibile partire dalla spesa diretta delle istituzioni/soggetti organizzatori (l’organizzazione di un festival o di una mostra anche di media grandezza comporta spese le cui ricadute devono essere in parte considerate) e dei visitatori attratti (si tratta principalmente di biglietti d’ingresso, altri consumi culturali, trasporti e parcheggi, spese per pernottamenti, ristorazione, acquisti di oggettistica e souvenir, shopping, acquisti di altri servizi culturali). A partire da questa prima iniezione di risorse economiche, attraverso opportuni calcoli, è possibile calcolare anche gli effetti indiretti: ad esempio si può computare la quantità di denaro spesa dagli operatori economici locali per acquistare, sovente da grossisti, una maggiore quantità di beni e servizi al fine di 317 soddisfare la maggior domanda delle istituzioni/soggetti organizzatori e dei partecipanti alle manifestazioni indagate. Ma le analisi di impatto calcolano anche un terzo round di effetti: l’attivazione di un nuovo progetto culturale, permanente o temporaneo e l'incremento delle attività economiche correlate consente ai residenti e a quanti ne sono direttamente o indirettamente coinvolti di introitare redditi aggiuntivi, che essi spendono come preferiscono, spesso in misura consistente, nell’area in cui risiedono. È questo reddito differenziale e la conseguente spesa in beni di consumo e di servizi, a costituire il terzo livello indotto, che va a sommarsi con i due precedenti, per determinare il valore finale dell’impatto economico di una manifestazione. Né le analisi di impatto si fermano a questo punto, essendo capaci di stimare l'aumento delle vendite, del valore aggiunto, dei redditi o dell'occupazione, consentendo di capire quante nuove imprese sono state costituite, in quale misura si è contrastata la migrazione intellettuale (trattenendo sul territorio profili di competenze assenti o altrimenti destinati a emigrare in altre aree), qual'è l’effetto sulle attività delle imprese e sui loro dipendenti, in che misura i grossisti introitano risorse aggiuntive, che potranno spendere reimmettendo in moto il meccanismo moltiplicativo. La somma dei tre impatti (diretti, indiretti e indotti) rappresenta l’incremento di vendite, redditi, valore aggiunto e posti di lavoro di cui l’area ha beneficiato grazie alla manifestazione e può servire a capire quali siano i vantaggi per l’economia locale, a fronte dell’investimento sostenuto da un soggetto pubblico, privato o misto per la realizzazione dell'evento. Tuttavia è opportuno che l’analisi di impatto economico costituisca una sezione di un'indagine più ampia: gli impatti ambientali, sociali e fiscali sono altrettanto importanti, pur non venendo generalmente affrontati. Si tratta, pertanto, di un approccio di cui sono da tempo noti i punti di forza e di debolezza, i pregi e i difetti, sovente correlati a un uso eccessivamente disinvolto dello strumento. 5. L’aumento della domanda di visitatori In questo Paese sono almeno 20 anni che si chiede di aprire i musei a tutti con gratuità di accesso, come si chiede che le risorse pubbliche destinate alla cultura raggiungano almeno l’1% del bilancio dello Stato (attualmente pari allo 0,26%). Ma non succede niente. Si sono trovati un po’ di soldi, si sono fatti enormi passi in avanti, ma la mentalità economicista con cui si rimane legati alla pratica del biglietto a pagamento persiste imperterrita. La sua radicalità è almeno pari all’incapacità di vedere nell’economia qualcosa di diverso dai soldi, come ad esempio, regole efficienti e riconoscimento del valore economico e di capitale della cultura. 5.1 Elogio della Gratuità26 A teatro lo chiamano botteghino, nei musei biglietteria, al cinema cassa, a Londra o a New York box office. Al di là del nome, ovunque esso esista, è una barriera all’ingresso: chi paga entra, chi non vuole o non può pagare sta fuori. Corollario: se non ci fosse il ricavo del biglietto bisognerebbe trovare una fonte di entrate alternativa. Questa è l’essenza del dilemma sull’ingresso gratuito o a pagamento dei musei. 26 Si veda anche W. Santagata Elogio della gratuità, Il Giornale dell’arte, settembre 2007 318 Per il manager si paga, per il cittadino il museo è parte fondamentale della cultura comune e tutti abbiamo diritto alla cultura. E’ una delle nostre libertà positive, un diritto sociale, che come tale fa parte delle politiche di welfare. I sostenitori del libero accesso considerano la funzione educativa pubblica come una delle principali funzioni dei musei. Pensano che la crescita del consumo di cultura, anche attraverso l’allargamento dell’utenza dei musei, sia un valore positivo. In ogni caso che imporre il pagamento del biglietto per il consumo di un bene che è collettivo e con costi marginali di utilizzo pressoché nulli – ossia, un visitatore in più non costa praticamente nulla - sia una politica discriminatoria e miope. Se l’obiettivo della riduzione del costo di accesso alla cultura è condivisibile per il suo valore sociale, non sempre si può dire che trovi applicazione pratica. Quanto aspetteremo in Italia prima di offrire l’accesso gratuito ai nostri Musei statali? E a quelli comunali e regionali? Già arriviamo in grande ritardo dopo l’Inghilterra di Tony Blair e del New Labour Party, ma il Ministero per i Beni e le Attività Culturali italiano arriverà anche dopo le grandi città europee, come Parigi o come Bologna? Riusciremo perfino ad arrivare dopo la Francia? François Fillon, Primo Ministro di Nicolas Sarkosy, ha annunciato in un discorso al Parlamento che renderà gratuiti alcuni musei di Parigi e di altre città. [L’esperimento della gratuità è partito a gennaio per 14 musei, esclusivamente per le raccolte permanenti. Per i siti più frequentati si è invece ricorsi a una gratuità “mirata” (es. giovani). L’esperimento durerà fino al 30 giugno.] Il tema della libertà di accesso ai musei non è nuovo. Nasce in ambienti liberali anglosassoni e americani ed è stato variamente ripreso nel corso degli ultimi anni con posizioni favorevoli (i Musei Civici Milanesi prima della recente introduzione del biglietto a pagamento; io stesso con Giovanni Signorello nel 1999 a proposito dello studio su “Napoli Musei Aperti”) e contrarie. Negli USA, dove la politica della gratuità ha tradizioni antiche, prevale l’idea che una larga diffusione della cultura sia necessaria per sviluppare il processo democratico e di piena integrazione sociale. I musei sono assimilati alle biblioteche, agli archivi e alla scuola. Le ragioni pro e contro la free admission restano inevitabilmente antagoniste. Quello che manca è una nuova mentalità che sappia capire le motivazioni anche psicologiche dei visitatori e potenziali contribuenti, che comprenda che i musei sono un elemento decisivo della comunicazione di massa della cultura, della creatività e delle idee, e che non trascuri il ruolo dei musei come luogo di accumulo di una cultura di eccellenza segno indiscusso di identità nazionale, di immagine internazionale dell’Italia, e di integrazione multiculturale. 5.2 Contro la Gratuità I sostenitori del pagamento del biglietto considerano che le funzioni principali del museo siano costituite dalla collezione, dalla raccolta di opere, dalla loro conservazione, gestione e studio. Circola un vetusto ed un po’ abusato ragionamento contro la gratuità che dice, in sostanza, che ciò che è gratis, non conta, non vale. E’ meglio sbarazzarsi subito di questo equivoco argomento. Si vuol dire che godersi liberamente un paesaggio da favola è senza valore? Che siccome al British Museum di Londra si entra gratis l’arte del mondo lì custodita o l’esperienza stessa di arricchimento culturale della visita è senza valore? Evidentemente No. I soliti saggi si sbagliano. L’accesso gratuito, che non implica – si noti - l’assenza di un 319 contributo volontario o di altre forme di finanziamento, è un buon obiettivo di politica culturale. I problemi, semmai sono altri e riguardano i modi e le tecniche di finanziamento delle istituzioni museali. Si dice che i nostri musei offrono già molte occasioni di gratuità d’accesso e che queste sono sufficienti a realizzare la loro funzione sociale. Ma se si approfondisce un briciolo il ragionamento è facile scorgerne le debolezze. La gente è libera da impegni il sabato e la domenica: offrire l’ingresso gratuito il pomeriggio del primo martedì di ogni mese è pura ipocrisia. Si dice che la gratuità favorisce di fatto gli stranieri e che i cittadini italiani pagherebbero per gli stranieri. Ma ben vengano gli stranieri a portare ricchezza ad una industria, quella turistica, che vale da sola il 12% del PIL italiano. Quanti italiani campano sul turismo estero? E poi, come vedremo, è possibile coinvolgere i turisti culturali esteri attraverso meccanismi fiscali che riguardano l’industria alberghiera. Si dice infine che i servizi dei musei sono beni pubblici misti che in presenza di congestione si deve far pagare il biglietto in modo da razionarne il consumo, ma è anche vero che il sistema delle code o più semplicemente delle prenotazioni, come si dirà in seguito è un buon sperimentato metodo di razionamento che impedisce, senza escludere in termini di capacità di spesa, l’assalto dei visitatori agli Uffizi o al Colosseo. 5.3 Di quanti soldi stiamo parlando? Gli introiti dalla vendita dei biglietti dei musei statali italiani sono stati nel 2006 pari a 104 milioni di EURO. La cifra è quella del fatturato di una impresa mediopiccola; il Fondo Unico per lo spettacolo è circa cinque volte tanto. Di per sé questi soldi dei visitatori non sono nemmeno tali da risolvere i problemi finanziari dei musei. A seconda degli orari e della tipologia di museo le entrate coprono tra il 5% e il 15% dei costi di gestione. Vale la pena usare uno strumento così potenzialmente discriminante in cambio di poco o nulla? Nel 2006 i visitatori sono stati 34,5 milioni, di cui solo16,3 milioni paganti. La distribuzione dei visitatori è molto squilibrata sul territorio. Il che vuol dire che le entrate dalla vendita dei biglietti riguardano di fatto tre città: a Napoli hanno pagato 5,3 milioni di visitatori, a Roma 9,7 milioni, a Firenze 5,2 milioni, tutto il resto d’Italia sta sotto il milione di visitatori paganti per città. 5.4 La libertà di accesso alle collezioni permanenti Ma andiamo con ordine. In Italia si paga l’accesso alle collezioni permanenti dei musei statali con le eccezioni di gratuità parziale per i giovanissimi e gli extravecchi. L’accesso alle mostre temporanee è un servizio culturale a pagamento, non oggetto di discussione. Negli enti locali c’è più differenziazione. Milano sembra rimpiangere una scelta a favore del pagamento attuata un paio di anni fa’, Bologna ne sembra, invece, soddisfatta. La settimana della cultura del 2007, che prevede l’ingresso gratuito, ha registrato un aumento del 13% dei visitatori nei musei statali italiani. I pochi studi in tema indicano che gli italiani hanno in media una disponibilità volontaria a pagare per i loro musei, positiva ed importante. L’esperienza internazionale più recente è quella del New Labour Party che decide l’accesso gratuito a tutti con una procedura per gradi: nell’aprile 1999 per i bambini, nell’aprile 2000 per gli oltre 60 anni, dal dicembre 2001 per tutti. Le 320 special exhibition si pagano. Nei primi cinque anni c’è stato un aumento di 29 milioni di extra visitors, pari all’83%. Nella sola Londra le visite sono aumentate dell’86% : Victoria &Albert Museum + 138%; Natural History Museum + 112%; Science Museum +81%. Le visite ai musei che sono sempre stati gratuiti, come il British Museum, La National Gallery e la Tate hanno avuto un aumento di visitatori nello stesso periodo dell’8%. Qualcuno potrebbe sostenere che l’aumento dei visitatori è fittizio, nascosto in realtà da un aumento delle visite dei soliti amici dei musei. In realtà il caso inglese suggerisce che la metà dei visitatori extra è costituita da nuovi visitatori. 5.5 Come trovare 100 milioni di euro per l’ingresso gratuito ai musei? Una spesa di 100 milioni di euro, che equivale alle entrate dal pagamento dei biglietti dei musei statali italiani, può essere recuperata con vari strumenti. Anche per i musei degli enti locali si possono applicare criteri analoghi. • La contribuzione volontaria (“Paga quanto vuoi”). Oggi a legislazione vigente non sembra essere possibile una forma di contribuzione volontaria. Si evoca in ogni occasione il contributo dei privati e non si predispongono procedure per renderlo possibile. Forse è il momento per una campagna di sensibilizzazione che coinvolga sia il ministero, che gli enti locali, che tutti gli italiani in quanto utenti potenziali dei musei. Il metodo della contribuzione volontaria, quando funziona e per la quota di entrate che garantisce, è il più equo immaginabile. • Le controprestazioni dei cittadini verso lo Stato. C’è molta confusione, mediatica, sulle imposte e in generale sulla pressione fiscale, che in Italia è certamente troppo alta. In nome di una sua diminuzione si nascondono le diversità e si rende opaca la stessa filosofia fiscale. Se si andasse dal Ministro dell’Economia e gli si chiedesse se è giusto pagare il conto al ristorante, probabilmente da buon liberale mi risponderebbe “Sì. Non ci sono pasti gratis”. Ma se gli chiedessi di far pagare all’industria alberghiera e della ristorazione di Roma una controprestazione per quanto come Paese spendiamo per la valorizzazione dei beni culturali che costituiscono il richiamo di una vastissima parte del turismo culturale e religioso, mi direbbe che pasti gratis esistono e guai a togliere qualche privilegio consolidato ! Le chiamano imposte di scopo, ossia controprestazioni pagate come su un mercato qualsiasi, in cui il venditore è il settore pubblico (Stato, e Enti Locali) e il compratore il destinatario della prestazione. Nel mirino delle imposte di scopo ci sono ovviamente le attività connesse al turismo culturale, ma la Commissione ministeriale presieduta dal dott. Davide Croff nella sua relazione conclusiva (2006) richiama il coinvolgimento dell’industria audiovisiva, la TV in particolare, per quanto riguarda il sostegno delle arti dello spettacolo; ma mi sembra dimentichi l’industria alberghiera per quanto riguarda il sostegno del patrimonio culturale. L’accresciuto impatto del turismo culturale sulle economie locali è evidente. Ad esempio, quale potrebbe essere l’effetto sul sistema turistico mondiale dall’annuncio che i musei italiani sono “aperti a tutti e gratuiti”?. In parole povere, se l’industria culturale alberghiera, quella degli audiovisivi e aggiungerei quella del made in Italy (moda, design, etc.) fanno affari grazie all’uso della cultura italiana come input produttivo e la cultura è sostenuta dalla spesa pubblica, sembra equo che in cambio di questo servizio paghino una controprestazione. Le modalità tecniche possono essere diverse, ma quel che conta qui è il principio per cui si paga per i benefici che si ricevono e che si riduce 321 la discrezionalità della politica rispetto alle preferenze dei cittadini, perché la destinazione della controprestazione è fissa e non negoziabile. • L’incremento di vendita dei servizi aggiuntivi. Questa fonte di entrata è direttamente collegata con il previsto aumento di visitatori a seguito della gratuità. In parole povere è da presumere che entrando gratis i visitatori siano in qualche modo incentivati a spendere di più nell’acquisto di un catalogo, di un libro, o di un pasto al ristorante del museo. Sarebbe interessante poter stimare quanto si incasserebbe in più con l’aumento dei visitatori e delle loro spese in servizi accessori e aggiuntivi. • Lo sviluppo di nuove forme di mecenatismo e sponsorizzazione. Ci si lamenta spesso che i privati siano poco sensibili al sostegno economico dell’arte e della cultura. Forse la ragione sta nella struttura degli incentivi fiscali proposti. Si pensa all’America e si sogna il sistema di incentivi fiscali sviluppato in un paese in cui il mecenatismo, le donazioni e il volontariato sono una delle scelte fondanti di quel sistema istituzionale. Da noi è diverso. Credo che valga di più l’incentivo psicologico che i nostri musei non sembrano in grado di saper gestire. Vale di più un busto in bronzo o una targa nell’atrio del Museo che una detrazione del 19% sull’imposta dovuta o una deduzione dal reddito del contributo culturale ? Insomma bisognerebbe di nuovo cambiare mentalità ricordando che nei contesti altruistici le norme (norme morali, codici di condotta, regole etiche) possono essere più incentivanti che le leggi fiscali o la regolazione giuridica. Ma ancora, è in grado il museologo economicista a cambiare mentalità? 5.6 Effetti sulla gestione dei musei La gratuità di accesso sembra paradossalmente porre il direttore del museo al riparo da ogni reazione negativa del pubblico, nel senso che gli introiti diventerebbero una sorta di entrata fissa e indipendente dalla capacità di attrazione di visitatori. Non è vero. Diciamo questo in modo allusivo perché, come è noto i musei italiani non sono ancora centri di spesa e non hanno autonomia gestionale. A questo riguardo i punti che seguono vanno intesi più come indicazione programmatica che come prescrizione amministrativa. • Il contributo sostitutivo della tassa di ingresso può essere in qualche modo commisurato ai risultati raggiunti in termini di affluenza di visitatori. Ad esempio ogni museo può essere finanziato con una quota correlata al totale delle visite. • Come notano giustamente gli scettici della gratuità, gli effetti positivi di aumento dei visitatori tendono a scomparire dopo qualche semestre. E’ una osservazione giusta che va letta a mio giudizio così: i visitatori sono inizialmente attratti dalla gratuità, possono però riconsiderare le loro scelte e non ritornare ai musei se l’esperienza di visita si rivela deludente. In altre parole il flusso si arresta e assesta ai soliti valori storici, se il museo non migliora la qualità delle esposizioni, dei servizi e delle mostre. Se è noioso, perché ritornare? • Il contributo volontario è una entrata in qualche modo collegabile alla soddisfazione del visitatore e alla rilevanza storico artistica della collezione permanente. Più il visitatore è soddisfatto, più contribuisce, tenuto ovviamente conto delle sue condizioni personali. • Di fronte a un finanziamento collegato ai risultati, diventa importante la buona gestione e la produzione di esposizioni temporanee, dove il biglietto giustamente si paga. Queste costituiscono una fonte primaria e a pagamento di risorse. Non le misere una o al massimo due mostre l’anno, ma quattro o sei, 322 tematiche e di diversa qualità e importanza per catturare in ogni momento nuovi visitatori. Quindi un incentivo a produrre più mostre temporanee. • L’eliminazione dei costi di biglietteria è una risorsa implicita importante perché per molti musei italiani i proventi degli ingressi non coprono il costo del servizio di biglietteria. • Ovviamente se l’ipotesi di un aumento di visitatori fosse confermabile occorrerebbe valutare anche il suo impatto sui costi di gestione dei musei. • Va infine notato, che la politica della gratuità è facilmente reversibile, almeno sul piano amministrativo. 5.7 Congestione e prenotazione obbligatoria Per i grandi musei la gratuità di accesso e il contributo volontario potrebbero rivelarsi un boomerang, soprattutto a causa dei costi di congestione. La novità accrescerebbe la già drammatica corsa alla visita dei soliti eccezionali luoghi d’arte e di cultura. Occorre in qualche modo razionare, come dicono gli economisti, gli ingressi. I modi non sono tanti: o si aumenta la tassa di ingresso, ma qui siamo in tema di gratuità, oppure si accettano le code di una domanda in eccesso alla capacità di offerta. C’è un’altra possibilità meno invasiva e costosa per il visitatore: la prenotazione obbligatoria. Certo è una forma di coda, ma ha il vantaggio di poter essere gestita con un grande anticipo. Inoltre i turisti-visitatori si spalmano su un periodo di tempo più largo favorendone l’assorbimento turistico anche in altri settori come quello alberghiero. Infine di fronte ad un proposta di prenotazione troppo avanti nel tempo il turista potrebbe essere indotto, con una apposita campagna di sensibilizzazione a organizzare il suo percorso di visita scegliendo i cosiddetti musei minori, ma solo di nome. 5.8 Una moratoria per sperimentare la libertà di ingresso e i suoi effetti Concludendo e ribadendo il beneficio e l’equità di una politica di gratuità di accesso ai musei, crediamo che senza una grande campagna nazionale di sensibilizzazione il passaggio alla gratuità rischia l’insuccesso del “fuoco di paglia”, cioè di una risposta banale dei cittadini, un atteggiamento che dopo pochi mesi rientra e si appiattisce su un numero di visitatori molto inferiore all’atteso. Bisogna lavorare contro questa possibilità legata alla mancanza di innovazione e creatività nelle politiche museali. Quando si dice che serve un cambiamento di mentalità si dice una cosa semplice: se non si cambia prospettiva di azione non si vedono i modi di finanziamento oggi più efficaci che in passato, si rimane prigionieri di una visione burocratica che cerca il privilegio sicuro più della iniziativa rischiosa, che si accontenta di pochi utenti paganti più dell’inclusione culturale di tutti. Con la gratuità la domanda dovrebbe aumentare considerevolmente. Oggi essa è bassa. Secondo le indagini periodiche dell’ISTAT nel 1993 77 italiani su 100 non avevano visitato né un museo, né un’esposizione temporanea nel corso dell’anno. Il numero dei non utenti scende lentamente e nel 2000 saranno ancora 71. Per queste ragioni e con queste cautele ha senso una moratoria sull’obbligatorietà dell’ingresso a pagamento da sperimentare in un tempo 323 limitato e in qualche città o area ben definita. Dovrà essere accompagnata da un efficiente sistema di monitoraggio, ma al termine della sperimentazione il dibattito e le decisioni opportune potranno essere riprese su una base conoscitiva più adeguata. 324