Studio su 98 premi di salario variabile

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Studio su 98 premi di salario variabile
STUDIO SU 98 PREMI DI SALARIO VARIABILE
Premessa
Il salario variabile è tornato prepotentemente sulla scena in seguito
all’accordo del 15/4/09, non firmato dalla CGIL, e soprattutto in seguito
alla decisione del Governo di detassare e decontribuire gli aumenti, sanciti
da accordi sindacali, legati a parametri di miglioramento della
“produttività, redditività, qualità, efficienza, efficacia ed altri elementi
rilevanti ai fini del miglioramento della competitività aziendale”, secondo
quanto stabilito dall’accordo citato.
Vale allora la pena di studiare gli accordi fin qui fatti per trarre indicazioni
utili al rafforzamento di questa pratica negoziale.
Le elaborazioni fatte all’interno del sindacato in corrispondenza
dell’accordo del 23 luglio 1993, che sancì per primo questa novità nel
panorama delle relazioni sindacali italiane, sono state rispettate solo in
parte, vuoi per la opposizione nei fatti della CGIL alla realizzazione
pratica di quell’accordo, vuoi per la pigrizia con cui CISL e UIL si
impegnarono a realizzarlo, vuoi per la stessa resistenza di una parte del
padronato, che, pur di non aprirsi a logiche compiutamente partecipative,
assecondò o, in certi casi, addirittura impose di continuare con la vecchia
pratica degli aumenti fissi (e spesso, come vedremo, uguali per tutti).
La elaborazione di cui si diceva si basava su tre argomenti:
1 – il legare parti di salario al raggiungimento di obiettivi aziendali
costringerà le aziende ad aprirsi ad una logica più partecipativa, a dare più
informazioni sulla propria gestione, e metterà il sindacato in condizione di
dire la sua sulle politiche aziendali e sulle scelte dell’impresa;
2 – la creazione di una quota di salario variabile funzionerà, in tempi di
crisi, da ammortizzatore sociale automatico: venendo meno le condizioni
per pagare quel “quid” in più di salario, l’azienda, prima di procedere
all’utilizzo dei vari strumenti che influiscono sull’occupazione (cassa
integrazione e mobilità), potrà risparmiare sui costi salariali diretti;
3 – si potrà creare un terreno comune tra l’azienda e i lavoratori in cui
questi ultimi potranno, adeguatamente incentivati, partecipare più
direttamente a migliorare le performances dell’impresa, e ciò contribuirà a
modificare quella estraneità alle sue sorti, che è il fondamento delle
ispirazioni antagoniste.
In realtà, come vedremo le cose non sono andate così. Si sono verificati i
seguenti fenomeni:
1dopo un primo periodo, databile dal ‘93 al ’98 in cui il sindacato si è
messo al lavoro di buona lena e ha prodotto molti accordi innovativi, si è
verificato un lento me inesorabile riflusso, che ha visto pian piano
prevalere le vecchie abitudini, si è tornati a chiedere aumenti fissi o
consolidamenti (a volte giustificati, a volte no) delle cifre acquisite, si è
perso di vista il tema degli indicatori e, di conseguenza, tutto quello che
aveva a che fare con la gestione dell’azienda;
2si è prodotta nel tempo una divisione dei compiti tra rappresentanze
sindacali e direzioni del personale: alle prime la cura che la cifra finale
fosse il più alta possibile e il più certa possibile, alla seconde la cura degli
indicatori cui legare l’erogazione del salario, con formulazioni delle
formule spesso cervellotiche, scarsamente controllabili, spesso non
incentivanti.
In poche parole si è tornati all’antico, fino dove almeno lo consentivano le
nuove regole, e si è persa un’occasione per cambiare le relazioni industriali
nel nostro Paese.
Bisogna ripartire dagli errori fatti e correggerli proponendo la variabilità
del salario come elemento virtuoso e non come “cedimento” alle logiche
padronali, considerando quello del salario variabile un terreno reale di
scambio tra l’apertura dell’azienda a una pratica più partecipativa e il
rendersi responsabile del sindacato e della manodopera su quella parte dei
destini dell’impresa su cui si può incidere.
Il campione
I dati che riporteremo sono tratti dall’archivio della contrattazione
aziendale, promosso dalla CISL Lombardia.
Parlare di campione è fuori luogo: infatti gli accordi archiviati si basano
unicamente sulla scelta fatta da un numero ancora esiguo di operatori
sindacali, di inviarli all’archivio stesso. Siamo ben lontani da poter
disporre di una quantità di materiale tale da consentire una campionatura.
Ciò nonostante dall’esame degli accordi raccolti emerge un primo quadro
interessante, che si presta ad alcune osservazioni.
Un primo dato da segnalare è la provenienza di categoria degli accordi:
Categoria
N°assoluto
%
Femca
Fim
Fai
Filca
Fit
Fistel
TOTALE
33
29
21
7
6
2
98
34
30
21
7
6
2
100
N° assoluto accordi
35
30
25
20
Serie1
15
10
5
0
femca
fim
fai
filca
fit
fistel
% accordi di categoria
7%
6%
2%
femca
34%
fim
fai
filca
21%
fit
fistel
30%
Un secondo dato da segnalare è l’anno di realizzazione degli accordi :
Anno
TOTALE
N°assoluto
4
15
14
33
25
7
98
%
4
15
14
34
26
7
100
N° assoluto accordi per anno
35
30
25
20
Serie1
15
10
5
0
duemila duemila duemila duemila duemila duemila
cinque
sei
sette
otto
nove
dieci
% per anno degli accordi
7%
4%
duemila cinque
15%
duemila sei
26%
duemila sette
duemila otto
14%
duemila nove
duemila dieci
34%
Si nota che la massima concentrazione degli accordi è nel biennio 20082009, anni di sviluppo dell’economia (nel 2009 per la prima metà). Mentre
nel 2010 si ha un brusco arresto, dovuto alla crisi economica.
La distribuzione del premio
La seconda parte dello studio è dedicata ai parametri di distribuzione del
premio. Anzitutto se questo è uguale per tutti, riparametrato o, con una
soluzione intermedia, a fasce.
Tipologia
Uguale per tutti
A fasce
Riparametrato
TOTALE
valore ass.
%
71
8
19
98
73
8
19
100
criteri di distribuzione del premio
19%
8%
uguale x tutti
a fasce
riparametrato
73%
Si nota un largo prevalere del criterio “uguale per tutti”, a dimostrazione di
un approccio che risente di vecchie impostazioni egualitariste, motivato in
parte, come vedremo appena più avanti, da una scarsa specializzazione
degli indicatori per area di lavoro, con particolare attenzione agli
impiegati, che sono quasi sempre resi partecipi di premi i cui obiettivi si
riferiscono in netta prevalenza al lavoro operaio.
La seconda informazione è, appunto il grado di specializzazione degli
indicatori utilizzati. Se cioè tiene conto o no delle diverse aree di lavoro (in
particolare della distinzione operai-impiegati)
Distinzione per
aree di lavoro
No
Sì
Valore ass.
%
87
11
89
11
Specializzazione degli indicatori
11%
no
sì
89%
Si nota come, nella stragrande maggioranza dei casi, non ci sia
differenziazione negli indicatori utilizzati per area di lavoro. Segno questo,
del largo prevalere di una visione operista del lavoro e di una
corrispondente scarsa capacità di rappresentanza e di attenzione ai
problemi degli impiegati.
Una terza indicazione deriva dal fatto che, negli accordi, ci si sia ricordati
o meno dei lavoratori a tempo determinato e dei somministrati.
Inclusione dei T.D.
e dei somministrati
Valore ass.
solo T.D.
T.D. e somministrati
Non rilevato
TOTALE
33
18
47
98
%
valore percentuale del tener conto dei lavori
atipici
34%
solo T.D.
48%
T.D. e somministr.
non rilevato
18%
Il “non rilevato” sta a significare una dimenticanza nostra o una non
volontà dell’azienda a riconoscere il premio a tempi determinati e
somministrati. Laddove c’è la dizione “lavoratori in forza” all’azienda si
suppone che siano compresi i tempi determinati e non i somministrati.
Comunque quasi la metà degli accordi esaminati non specifica il
trattamento dei contratti atipici.
Il numero degli indicatori
Il numero degli indicatori è un segnale indiretto della divisione dei compiti
che si è instaurata a proposito di premi variabili: al sindacato la cifra da
“portare a casa”, al direttore del personale gli indicatori e i meccanismi a
cui legarla.
Come vedremo ne esce un quadro in cui spesso ci si trova di fronte a una
pletora di indicatori, spesso di difficile controllo, se non fidandosi
ciecamente dell’azienda, con conseguenti brutte sorprese e le cene che
tentano di rimediare quando l’indicatore “non butta”.
C’è insomma la mentalità che l’indicatore è buono quando da’ “salario in
più “a prescindere” e non ancora la convinzione che, in certi frangenti può
anche non dare risultati ed, in fondo, è meglio così.
Il numero di indicatori è così suddiviso.
N° indicatori
Uno
Due
Tre
Quattro
Cinque
Sei
Più di sei
TOTALE*
Valore ass.
13
27
18
21
8
5
9
101
%
13
26
18
21
8
5
9
100
*Il totale non da’ 98 perché alcuni indicatori spaziano su più di una classe
dimensionale.
N° indicatori
27
30
25
21
18
20
15
13
Serie1
9
8
10
5
5
0
uno
due
tre
quattro
cinque
sei
più di sei
% numero indicatori
5%
9%
uno
13%
due
8%
tre
quattro
26%
21%
cinque
sei
18%
più di sei
Come si vede il numero alto di indicatori (5 o più) si prende quasi un
quarto del totale (22%), il numero medio (3 o 4) occupa il 39%, e il
numero basso (e perciò più controllabile) il 39%. L’impressione è che,
all’aumentare del numero degli addetti aumenti anche il numero degli
indicatori e che non ci sia uno sforzo adeguato di semplificazione.
Il valore del premio
Abbiamo diviso il valore del premio in cinque classi di uguale dimensione
(400 euro), aggiungendo una classe in cui il valore non è rilevabile.
Abbiamo ottenuto i seguenti risultati.
Valore del premio
non rilevabile
0–400 euro
401-800 euro
801-1200 euro
1201-1600 euro
più di 1600 euro
TOTALE*
n°assoluto
incidenza %
7
5
17
23
22
28
102
7
5
17
22
22
27
100
*Il totale non fa 98 perché alcuni accordi si collocano in più di una classe
di grandezza
N° assoluto accordi per valore del premio
30
25
20
15
Serie1
10
5
0
non
rilevabile
0-400
401-800 801-1200
12011600
più di
1600
% di accordi per valore del premio
27%
7%
non rilevabile
5%
17%
0-400
401-800
801-1200
1201-1600
22%
22%
più di 1600
Il dato di per sé è molto incompleto. Innanzitutto per le difficoltà di
calcolo del valore del premio insite in molti accordi. In secondo luogo
perché non siamo in grado di dire se si tratta di variabilità vera o finta; per
poterlo affermare si dovrebbe infatti conoscere il contesto aziendale ed
essere in grado di giudicare se certi valori dei diversi indicatori sono più o
meno facilmente raggiungibili. E, infine, ci manca il dato su quanto ha
prodotto, in termini di risultato effettivo, il premio negoziato.
Si può comunque osservare che una esigua minoranza di accordi (il 5%) si
colloca in una fascia poverissima (inferiore ai 400 euro), un’altra
minoranza (il 17%) si colloca in una fascia povera, ma comunque
superiore all’elemento perequativo fissato da tutti i CCNL a seguito
dell’accordo interconfederale del 15-4-09, il 22% a ridosso di una 14°
mensilità, un altro 22% in corrispondenza di una 14° mensilità e il 27% a
un livello superiore. Le quantità dunque, almeno sulla carta sono di portata
mediamente buona.
Il problema resta che questi accordi valgono per una minoranza di
lavoratori e la grande maggioranza è invece priva di aumenti contrattati
che ridistribuiscano produttività.
Tipologie di indicatori
Sulle tipologie di indicatori si possono fare diverse osservazioni.
Anzitutto il legame con la presenza: diretto (nei criteri di maturazione del
premio) o indiretto (nei criteri di distribuzione del premio).
Nonostante l’opposizione sindacale il criterio della presenza è presente, in
varie forme, in 54 accordi e assente in 44. Dunque nel 55% degli accordi.
E’ “ripulito” nella grande maggioranza dei casi, da molti eventi, che non
hanno a che fare con l’assenteismo doloso quali gli infortuni, le ferie e i
permessi autorizzati, i permessi sindacali e le ore di assemblea, i ricoveri
ospedalieri, i permessi per donazioni di sangue e di midollo osseo, la
gravidanza, il matrimonio. Si riduce in molti casi a “punire” le assenze per
malattia. Il fatto è che in molti di questi casi si forma un’alleanza tra gli
interessi dell’azienda e quelli dei lavoratori che taglia fuori il sindacato.
Sarebbe meglio, anziché un’opposizione di principio, mettere in campo
una ancor maggiore attenzione alla “pulitura” degli accordi da tutti quegli
eventi che non hanno carattere doloso e ricreare quell’alleanza tra
lavoratori e sindacato che è il sale di ogni nostra azione.
% di premi legati alla presenza
no
45%
sì
sì
55%
no
Un secondo fenomeno che si può osservare è quanti accordi utilizzano
indicatori tratti dai bilanci aziendali. Possiamo osservare.
Presenza di indicatori derivanti
dai bilanci aziendali
Valore ass.
%
solo bilancio
misti
solo organizzativi
TOTALE
5
45
48
98
5
46
49
100
presenza % di indicatori di bilancio
5%
solo bilancio
49%
misti
46%
organizzativi
Tra gli indicatori di bilancio maggiormente utilizzati traviamo il MOL (25
casi, 44%), il fatturato (12 casi, 21%) e il reddito operativo (9 casi, 16%).
tipi di indicatori di bilancio più frquentemente utilizzati
30
25
20
15
Serie1
10
5
0
MOL
fatturato
reddito operativo
Anche in questo caso la nostra tradizionale diffidenza per gli indicatori di
bilancio non è confermata dai fatti. Se solo in 5 casi si usano soltanto
indicatori di bilancio, i casi “misti” (indicatori di bilancio e indicatori
organizzativi) sono 45 e, sommati ai casi precedenti, portano il totale al
51%.
Se poi andiamo a vedere gli indicatori scelti scopriamo che nel 44% dei
casi si utilizza il MOL, che è senz’altro l’indicatore di redditività più
raccomandabile perché non include né la gestione straordinaria, né quella
finanziaria dell’azienda e si concentra quindi sui fattori più strettamente
legati all’attività produttiva. Seguono il fatturato con il 21% dei casi,
indicatore piuttosto grezzo, ma comunque apprezzabile in quanto misura la
capacità dell’azienda di stare sul mercato; e il Reddito Operativo, con il
16% dei casi, che comprende la gestione straordinaria, sulla quale noi non
abbiamo potere di intervenire, ed è quindi meno raccomandabile del MOL.
Si tratta di familiarizzare un po’ con questi indicatori, ma la fatica è meno
improba del previsto e, oltretutto, sapersi destreggiare nella lettura del
bilancio è una delle nuove abilità che vengono richieste a un sindacalista
moderno.
-
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Passiamo ora a una classificazione generale degli indicatori a cui si può
legare un premio variabile. Essi sono di cinque tipi:
sforzo: l’obiettivo è incentivare la riduzione dei costi necessari per
la produzione, a parità di produzione stessa; gli indicatori legati alla
presenza sono un particolare tipo degli indicatori da sforzo;
efficienza: l’obiettivo è la massimizzazione del rapporto tra
produzione e costi necessari ad effettuarla: la produttività del lavoro, ma
anche di altri costi necessari alla produzione (ad esempio il costo
dell’energia, il costo degli investimenti, il costo delle materie prime per
unità di prodotto) e la efficienza vera e propria sono tipici indicatori di
questo tipo;
efficacia: qui ci concentriamo sulle caratteristiche della produzione,
nel senso che questa deve essere sempre più rispondente alle richieste del
mercato in termini di qualità, di velocità di consegna, di rispondenza alle
caratteristiche richieste dal cliente;
processo: variabili di risultato in funzione dello sforzo: obiettivo è
massimizzare il rapporto tra produzione e fattori ad essa necessari in
condizioni di indeterminatezza di entrambi;
di bilancio: questi indicatori possono essere ricondotti ai quattro
precedenti (ad esempio la redditività può essere ricondotta a criteri di
efficienza), ma hanno una caratteristica che abbraccia l’intera attività
aziendale e perciò è meglio tenerli separati.
Fatte questa classificazione possiamo passare all’individuazione delle
diverse famiglie di parametri nei nostri accordi.
Sforzo: è presente in 65 accordi di cui, come già detto in 54 per quanto
riguarda la presenza e 11 per altri tipi di risparmio dei costi.
Efficienza: è presente in 53 accordi di cui 28 sotto la voce “produttività” e
23 sotto la voce “efficienza”.
Efficacia: è presente in 69 accordi di cui 49 sotto la voce “qualità” e 20
sotto la voce “efficacia”.
Processo: è presente in solo 2 accordi.
Di bilancio: è presente in 57 accordi di cui 42 sotto la voce “redditività”,
14 sotto la voce “fatturato o valore prodotto” e 1 sotto la voce “costo del
lavoro”.
A parte l’indicatore “processo” la frequenza di tutti gli altri criteri è molto
alta, superiore in ogni caso al 50%. L’impressione che si ricava da tutto ciò
è che non ci sia stato un vero sforzo di individuare i parametri-chiave che
possono aumentare la produttività dell’azienda, ma piuttosto un prendere
di tutto un po’. Questa impressione è confermata dall’alto numero degli
indicatori utilizzato (vedi sopra) e dall’uso della qualità come parametro
che spesso nasconde una cifra fissa, perché l’obiettivo è frequentemente il
mantenimento più che il miglioramento dell’indicatore.
di cui redditività
di bilancio
processo
di cui qualità
Serie1
efficacia
efficienza
di cui presenza
sforzo
0
Conclusioni
10
20
30
40
50
60
70
80
Torniamo ora alle premesse, cioè alle tesi che, circa vent’anni fa, il
sindacato, e in particolare la CISL, sostenevamo per argomentare a favore
di una parte di salario variabile.
La prima di queste (“…l’introduzione del salario variabile costringerà le
aziende ad aprirsi ad una logica più partecipativa…”) sembra realizzata
solo in minima parte. Alcune aziende la hanno respinta fin dall’inizio
rifiutando lo scambio “più rischio per i lavoratori in cambio di più
trasparenza da parte dell’azienda” ed hanno continuato nella logica
vecchia di offrire salario fisso e certo a patto che non si mettesse molto il
naso nei loro affari. Altre hanno accettato la nuova logica con molte
cautele, favorite in questo dall’atteggiamento sindacale che, via via, si è
ritirato dal confronto sugli indicatori e sulla loro logica, per assegnarsi il
compito di presidiare soltanto la cifra che si contrattava. Hanno in questo
modo lasciato campo libero alle direzioni del personale che, a loro volta,
non hanno quasi mai scelto indicatori molto selezionati, ma hanno
preferito scegliere un mix di indicatori che spaziavano dalla redditività
all’efficienza, dal risparmio di costi all’efficacia, senza un robusto
collegamento con la selezione di priorità per l’azienda.
A rimediare a queste soluzioni ci vuole prima di tutto una forte iniezione
di formazione sindacale che renda operatori e delegati più padroni della
materia, più in grado di costringere l’azienda a delle scelte precise, più
competenti
nell’analizzare
i
punti
deboli
dell’azienda
e,
conseguentemente, a proporre soluzioni adeguate.
La seconda tesi (“… la creazione di un salario variabile funzionerà, in
tempi di crisi, da ammortizzatore sociale automatico…”) ha funzionato in
parte. In occasione di questa crisi, che ha visto calare il fatturato in alcuni
settori del 30-40%, e il conseguente forte calo della redditività, il venir
meno delle condizioni per pagare una parte del salario ha aiutato almeno
una parte delle aziende a sopportare meglio la crisi. Ma per un’altra parte
non ha sortito effetti visibili (quelle che hanno negoziato indicatori fasulli,
che pagavano comunque) e soprattutto l’avversione dei lavoratori per i
premi variabili non pare diminuita: sopravvive la mentalità favorevole al
salario fisso.
Per ovviare a questa mentalità va irrobustita un’azione “educatrice” del
sindacato (e dei sindacalisti) verso i lavoratori. E per rispondere alla tesi
che i salari in Italia sono troppo bassi per potersi permettere soluzioni
salariali variabili, va, nei fatti, fissato un tetto alla variabilità (che potrebbe
essere il 10-15%) oltre il quale si rivendica il consolidamento delle cifre
ottenute.
La terza tesi (“…i lavoratori, adeguatamente incentivati, potranno
partecipare più direttamente a migliorare le performances dell’impresa…”)
non ha sortito effetti positivi per il motivo principale che gli indicatori
individuati raramente sono incentivanti a una predisposizione più
collaborativa, anzi spesso, data la loro lontananza dall’esperienza diretta
dei lavoratori, creano un’ulteriore barriera di diffidenza e di distacco tra il
lavoro e l’impresa. Per cui raramente è scattato il senso di appartenenza e
di partecipazione alle sorti dell’impresa.
Per rimediare a questa situazione va messa molta più attenzione alla scelta
degli indicatori, scegliendo quelli più incentivanti e coinvolgenti, in modo
da abbattere gradualmente quelle barriere, che si sono rivelate più robuste
del previsto, tra lavoratori e azienda.
Queste considerazioni conclusive oscurano i passi avanti che pur ha fatto
la logica partecipativa in questi anni. Bisognerebbe partecipare
direttamente alle trattative e alle situazioni concrete per discernere meglio.
Ma auguriamoci che servano da stimolo a migliorare la nostra azione e la
nostra efficacia in un periodo la cui sfida principale è il rafforzamento del
secondo livello di contrattazione.