Relazione dottor Nicola Cosentino
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Relazione dottor Nicola Cosentino
Appunti relazione 25 ottobre 2013 L’impresa in crisi e le procedure di salvataggio 1. L’impresa in crisi nella vecchia legge fallimentare La legge fallimentare del 1942 si caratterizza per la centralità del fallimento e la marginalità delle procedure concorsuali minori (concordato preventivo e amministrazione controllata), destinate ad operare in condizione eccezionali, come testimoniato dall’esiguità del ricorso ad esse. Vi è un’istanza fondamentale di tutela dei creditori che si realizza attraverso l’eliminazione dal mercato dell’impresa insolvente, attuata dalla dichiarazione di fallimento: occorre evitare che il “virus” dell’insolvenza si propaghi ad altre imprese. A rafforzare la posizione dei creditori vi è poi il “cordone sanitario” che circonda l’impresa insolvente, rappresentato dal sistema revocatorio. La liquidazione dei beni del fallito è improntata alla rapida dismissione e disgregazione dell’azienda, in funzione della veloce soddisfazione delle ragioni creditorie, laddove l’esercizio provvisorio costituisce un’ipotesi eccezionale. Il sistema si connota come sanzionatorio nei confronti del fallito, prevedendo incapacità personali e una compressione di diritti fondamentali della persona. Già a partire dagli anni ’60, emergono visioni extra-giuridiche dell’impresa come bene sociale che ne propongono la sua oggettivizzazione e distacco dalla figura dell’imprenditore, al fine di valorizzare interessi sociali connessi alla continuazione dell’attività aziendale (in primis l’interesse alla conservazione dei livelli occupazionali) Da queste suggestioni deriva l’impianto della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi nella c.d. legge Prodi del 1979, di stampo spiccatamente dirigistico e incentrata sull’automatica continuazione dell’attività aziendale indipendentemente dalle effettive chances di risanamento dell’impresa. Si procede dunque al salvataggio di imprese decotte con forti controindicazioni in termini di distorsioni del mercato concorrenziale e di violazione delle norme comunitarie interdittive di aiuti di stato. La prosecuzione di attività non redditive, comporta l’accumulo di debiti prededucibili sorti nel corso della procedura e la riduzione delle risorse a disposizione dei creditori concorsuali, con la frustrazione delle loro prospettive di soddisfacimento. 2. Le tendenze legislative dei maggiori Paesi occidentali In verità, l’esperienza italiana, per alcuni versi peculiare nelle pretese dirigistiche che la caratterizzano, si inscrive nella tendenza generale di molti paesi europei, delineatasi poi a partire dalla seconda metà degli anni 80, ad adottare linee di politica legislativa ispirate: - al primato dell’interesse alla conservazione dell’impresa - al favore per l’esdebitazione dell’imprenditore in crisi ovvero per il suo reinserimento nel mercato grazie all’estinzione dei crediti o di quella parte dei crediti rimasti insoddisfatta. Il sistema francese (cui si impronta anche il sistema belga), caratterizzato da una forte presenza del tribunale di commercio e da penetranti poteri anche ufficiosi di questo (si pensi ai poteri di convocazione del presidente del tribunale di commercio finalizzati a verificare situazioni allarmanti dal punto di vista della continuità aziendale), ha visto numerosi interventi legislativi che hanno puntato su procedure di allarme precoce e volte a favorire composizioni della crisi dell’impresa in grado di salvaguardarne il più possibile la continuità. In paesi come la Germania, sulla procedura di insolvenza si può innestare un piano volto a conservare l’impresa ma il giudice ha forti poteri, dovendo valutare la fattibilità del piano, la corretta formazione delle classi al fine di evitare manipolazioni del consenso dei creditori, la sempre possibile deviazione verso la procedura liquidatoria quando l’esecuzione del piano appaia compromessa. I sistemi dei paesi anglosassoni appaiono ispirati da un’accentuata privatizzazione delle procedure e dal contenimento degli spazi di intervento dell’autorità giudiziaria. Il grado di tutela dei creditori risulta più elevato in GB e meno in USA, ove è maggiore l’interesse per la conservazione dell’impresa. Con riferimento al sistema USA, si registrano critiche all’istituto della corporate reorganization in quanto essa non impedirebbe utilizzi abusivi e si presterebbe ad un’eccessiva compressione dei diritti dei creditori più deboli, poco in grado di procurarsi sufficienti informazioni nell’ambito della procedura. In definitiva, si afferma che la reorganization determinerebbe una riallocazione iniqua della ricchezza, favorendo gli azionisti e il management a scapito dei creditori, indotti a concedere credito a costi più elevati. Si pone l’accento sul fatto che l’insolvenza ha dei costi che vengono distribuiti tra soci, compagine amministrativa, creditori e intera collettività, in misura differente a seconda della regolazione della crisi introdotta dal legislatore. 3. L’evoluzione dell’esperienza italiana L’esperienza italiana è proseguita con la nuova legge sull’amministrazione delle grandi imprese in crisi (d.lg. N. 270/1999). L’art. 1 di tale corpo normativo identifica la finalità di questa procedura concorsuale, riservata alle imprese di grandi dimensioni, non tanto nel soddisfacimento dei creditori ma nella salvaguardia del bene-impresa distinto dall’imprenditore nella sua duplica valenza di fonte di produzione e di fattore di mantenimento dell’occupazione. Ne consegue la previsione dell’automatica continuazione dell’attività d’impresa e il bilanciamento dell’interesse dei creditori con interessi diversi (mantenimento livelli occupazionali e produttivi), da preservare e difendere anche con sacrificio del primo. A partire dal 2005 ha inizio una stagione di riforme che prende le mosse con l’introduzione della nuova disciplina del concordato preventivo e prosegue con la completa riformulazione della disciplina della procedura fallimentare, contenuta nel d.lg 9.1.2006, n. 5. Dal complesso normativo uscito dalle riforme cui si è accennato, emerge un nuovo sistema del diritto concorsuale organizzato sui seguenti punti essenziali: - perdita della centralità del fallimento nel sistema delle procedure concorsuali - forte erosione dei poteri direttivi del tribunale fallimentare e del giudice delegato sia nelle procedure fallimentari che nelle procedure concorsuali c.d. minori - ampliamento dei poteri gestori del curatore e del comitato dei creditori nel fallimento e riduzione dei poteri degli organi giudiziari sul piano della vigilanza (controllo di legittimità) - allentamento del cordone sanitario del sistema revocatorio - introduzione dell’istituto dell’esdebitazione del fallito - eliminazione delle incapacità connesse allo status di fallito 4. Nuove procedure funzionali al salvataggio dell’impresa Per il salvataggio dell’impresa il legislatore scommette tutto sulla riconfigurazione del concordato preventivo e sulla creazione delle nuove figure dell’accordo di ristrutturazione dei crediti (art. 182 bis l.f.) e del piano attestato (art. 67, 3° comma, lett. d), l.f.). E’ pur vero che la nuova disciplina del fallimento si caratterizza per una maggiore attenzione per le opportunità di continuazione dell’impresa nel fallimento ovvero di conservazione dell’integrità e del valore aziendale: sono dettate specifiche previsioni a tutela della continuità aziendale negli artt. 104 (esercizio provvisorio dell’impresa) 104 bis (affitto dell’azienda o di rami dell’azienda) 104 ter (programma di liquidazione e possibilità di cessione unitaria dell’azienda) 105 (vendita in blocco dell’azienda o di rami di essa). Ma è al concordato preventivo (oltre che all’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis l.f. e al piano attestato di cui all’art. 67, 3° comma, lett. d), l.f., rivelatisi tuttavia meno apprezzati dagli operatori e statisticamente meno ricorrenti) che si guarda come all’istituito in grado di agevolare la prosecuzione dell’attività d’impresa pur in condizioni di crisi, in vista di un possibile risanamento basato essenzialmente sull’esdebitazione parziale dell’imprenditore. Il nuovo concordato preventivo si caratterizza per l’ampio spazio riservato all’iniziativa del debitore e all’autonomia negoziale e imprenditoriale nell’elaborazione il contenuto delle proposte ai creditori e dei piani strumentali alla loro attuazione. Il ceto creditorio è spettatore passivo dell’iniziativa del debitore, il quale non può essere costretto o indotto a presentare un piano concordatario da iniziative anche solo sollecitatorie dei creditori (e men che meno da iniziative ufficiose del Tribunale fallimentare, pur previste in altri ordinamenti europei), ai quali resta unicamente l’alternativa del ricorso per la dichiarazione di fallimento nei casi in cui la crisi si connoti in termini di insolvenza. Ma l’interesse del debitore-imprenditore non coincide necessariamente nè con l’interesse dei creditori alla massima soddisfazione possibile del proprio credito nè con quello alla conservazione del bene aziendale in quanto tale. Pertanto, l’affidamento esclusivo all’iniziativa e all’autonomia dell’imprenditore in crisi, senza almeno un adeguato bilanciamento in poteri di controllo/iniziativa di soggetti/organi in grado di esprimere una visione di interessi superindividuali o semplicemente diversi e plurimi, rischia di relegare tali procedure al ruolo di mero espediente utile solo ad allontanare il momento del fallimento. A conferma del fatto che le iniziative del debitore-imprenditore in crisi siano spesso tardive perchè ispirate da logiche egoistiche (e talvolta predatorie o semplicemente temporeggiatrici), il concordato liquidatorio, piuttosto che il concordato in continuità, assume una netta prevalenza statistica. La natura liquidatoria del concordato è spesso un sintomo del fatto che l’intervento sulla crisi è stato tardivo e che le prospettive di risanamento dell’attività aziendale sono state ormai frustrate da comportamenti improvvidi degli organi amministrativi. 5. Il concordato in continuità L’art. 186 bis l.f. si delinea, almeno secondo un orientamento dottrinario e giurisprudenziale, quale norma di applicazione necessaria: non si tratta di un nuovo tipo di concordato ma di un concordato “arricchito” da speciali strumenti per agevolare la continuità dell’attività aziendale: l’art. 182 quinquies l.f., in particolare, contempla la possibilità di pagamento di debiti anteriori mentre l’art. 186 bis l.f. disciplina la continuità contrattuale dell’impresa e consente altresì, in via eccezionale, la moratoria fino ad un anno dall’omologa del pagamento dei creditori prelatizi. La speciale disciplina del concordato c.d. in continuità presuppone in via alternativa: - la prosecuzione dell’impresa da parte del debitore - la cessione dell’azienda in esercizio - il conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione E’ stata recepita, con l’introduzione della disciplina del concordato in continuità, l’idea di continuità aziendale quale bene in sè, da perseguire nonostante il diverso interesse dei creditori ? La risposta è nettamente negativa: la continuità è consentita solo se funzionale al miglior interesse dei creditori. A tale scopo, il piano in continuità deve essere accompagnato da una speciale attestazione circa la funzionalità della prosecuzione dell’attività al miglior soddisfacimento dei creditori, formula legislativa la quale va interpretata nel senso che la continuità dell’impresa deve assicurare ragionevolmente, in definitiva, maggiori percentuali di soddisfacimento dei crediti rispetto all’alternativa della liquidazione. Inoltre, il piano deve avere un contenuto speciale cioè deve informare i creditori dei ricavi attesi e dei costi previsti nonchè illustrare le modalità di copertura del fabbisogno finanziario. Nel caso di continuità aziendale, pertanto, il legislatore è consapevole della maggiore e specifica rischiosità del piano concordatario per i creditori, i quali vanno adeguatamente informati dei profili inerenti al rischio d’impresa che l’esecuzione del piano comporta. Per salvare l’impresa occorrono: - continuità dei rapporti contrattuali, in particolare con fornitori “essenziali” - pagamenti stabili e sicuri dei debiti sorti in corso di corso di procedura - finanziamenti, che godano di garanzie di prededucibilità e stabilità Su tali aspetti incidono: - la disciplina dei rapporti pendenti nel concordato (con la previsione della regola della continuazione: il concordato non scioglie, salva la facoltà di scioglimento del debitore, i contratti pendenti mentre sono colpiti da nullità i patti contrari; inoltre, speciali regole sono introdotte sulla continuazione dei contratti pubblici e sulla partecipazione a gare pubbliche di imprese in concordato), - l’esenzione dalla revocatoria di atti, pagamenti e garanzie in esecuzione di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato nonchè degli atti, pagamenti e garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso ex art. 161 l.f., - la prededucibilità dei crediti sorti in corso di procedura - la disciplina dei finanziamenti prededucibili di cui all’art. 182 quinquies 1° comma l.f.: basta la presentazione della domanda di concordato, anche se con riserva, o di omologa dell’accordo di ristrutturazione ovvero la presentazione della domanda di provvedimento protettivo nel corso delle trattative ai sensi dell’art. 182 bis 6° comma l.f. (ma occorre un’attestazione speciale sulla funzionalità al miglior soddisfacimento dei creditori) per ottenere l’effetto della prededucibilità del finanziamento, - prededucibilità dei finanziamenti in esecuzione di un concordato o di un accordo di ristrutturazione ovvero in funzione della presentazione di domanda di concordato o di omologa di accordo di ristrutturazione - il pagamento di crediti anteriori al deposito del ricorso di concordato (in deroga al principio della par condicio creditorum) per prestazioni di beni e servizi essenziali, su autorizzazione del tribunale con attestazione speciale che certifica (art. 182 quinquies l.f.): - A) l’essenzialità (insostituibilità) delle prestazioni per la prosecuzione dell’attività aziendale - B) la funzionalità al migliore soddisfacimento dei creditori 6. Gli istituti protettivi Il ricorso per l’emissione del provvedimento protettivo (art. 182 bis 6° comma l.f.) consente di ottenere un provvedimento che impedisce le aggressioni individuali al patrimonio dell’imprenditore in stato di crisi, in attesa del perfezionamento delle trattative che sfoceranno nell’accordo di ristrutturazione dei debiti e nella domanda di omologa dello stesso. Il concordato con riserva costituisce l’equivalente nostrano dell’automatic stay di provenienza statunitense: una semplice domanda dell’imprenditore in crisi, ancora in assenza di piano e proposta, consente di produrre gli effetti propri dell’ammissione del concordato (cristallizzazione del passivo, divieto di azioni esecutive individuali, inopponibilità degli atti anteriori all’iscrizione della domanda di concordato sul registro delle imprese), sempre che vi sia il successivo deposito di piano e proposta nel termine assegnato dal tribunale. Vi è un’esigenza immediata di evitare che i tempi di preparazione del piano concordatario o delle trattative preliminari all’accordo di ristrutturazione espongano il patrimonio del debitore alle aggressioni dei creditori più rapidi e deteriorino irreversibilmente le possibilità di attuazione del piano. L’innovazione dell’intervento del decreto sviluppo del 2012 ha enfatizzato i poteri del debitore, il quale ora può produrre con il semplice deposito di un ricorso c.d. in bianco e con riserva, gli effetti tipici del concordato che prima si producevano solo con il decreto di ammissione (sia pure con una retrodatazione alla domanda). Attraverso l’istituto si vuole favorire l’emersione anticipata della crisi nonchè rafforzare la protezione del patrimonio del debitore in funzione di tutela della massa dei creditori. L’applicazione giudiziaria dell’istituto evidenzia tuttavia i rischi di un suo utilizzo abusivo e la necessità che il grande potere riservato all’imprenditore in crisi sia bilanciato da adeguati poteri di controllo del tribunale. Infatti, manca ancora il piano e vi sono scarse possibilità di verifica della serietà delle intenzioni del debitore. Il concordato con riserva esalta alcuni profili di rischiosità delle operazioni di salvataggio dell’impresa: - rischio della prededuzione, maturatasi con riguardo alle obbligazioni sorte nel corso della procedura, che assorbe gran parte o tutte le risorse a scapito dei creditori concorsuali - allontanamento del tempo della dichiarazione di fallimento, con aggravio del dissesto, riduzione del perimetro delle revocatorie e dispersione di cespiti patrimoniali, specie aziendali, con l’effetto paradossale della definitiva distruzione del bene-azienda. 7. Il bilanciamento del sistema Occorre allora recuperare momenti di controllo e verifica di condizioni minimali di correttezza del ricorso al concordato, in assenza della quale la regolazione della crisi basata sulla sola iniziativa dell’imprenditore e sul principio della maggioranza dei creditori formatasi in forza della regola del silenzio-assenso e calcolata per solo ammontare del credito, non può ritenersi giustificata. Il sistema dei controlli riservati al Tribunale fallimentare risente delle diverse letture interpretative dell’istituto, oscillanti ora verso una più accentuata connotazione privatisitica (con conseguente prevalente tendenza ad ammettere controlli di stretta legittimità formale ), ora per una visione più attenta ai profili pubblicistici (con conseguente ampliamento dei poteri di controllo giudiziario fino all’area del merito della proposta concordataria). Di fondamentale importanza è stata, pertanto, la pronuncia a sezioni unite della Corte di cassazione, la quale ha ammesso il controllo del tribunale sulla fattibilità giuridica e sulla effettività del profilo causale del concordato, integrato dalla funzione di regolazione della crisi attraverso un piano idoneo ad assicurare la soddisfazione effettiva, sebbene parziale , dei creditori. Resta peraltro escluso dal campo dei controlli del tribunale, e riservato alle esclusive valutazioni dei creditori in sede di voto, il profilo relativo alla convenienza e alla fattibilità economica del concordato preventivo (Cass., Sez. Un., n. 1521/2013). Decisiva importanza ha anche l’informazione del ceto creditorio quale condizione di un consenso informato alle proposte del debitore. A presidio della veridica e completa informazione dei creditori, oltre che della serietà della proposta di concordato stanno: - l’attestazione del professionista, incaricato dal proponente ma con precisi requisiti di indipendenza, circa la veridicità dei dati aziendali posti a base del piano e la fattibilità dello stesso e della proposta (attestazione la cui veridicità, in particolare, dovrebbe essere assicurata anche dalla sanzione penale a carico del professionista che attesti dati falsi, ai sensi dell’art. 236 bis l.f.), - il controllo del tribunale sulla congruità e logicità della attestazione e sulla sua rispondenza al modello legale, - l’elevazione della veridicità dei dati aziendali a requisito di ammissibilità del concordato. Al fine di reprimere l’utilizzo abusivo dello strumento concordatario, cioè la sua deviazione causale da strumento di regolazione effettiva della crisi ad espediente defatigatorio ovvero di occultamento della reale portata della crisi, sta poi il rimedio della revoca del concordato ex art. 173 l.f., nei casi in cui l’impresa proponente abbia posto in essere atti fraudolenti e comunque ogni qual volta si accerti nel corso della procedura il venir meno dei presupposti di ammissibilità del concordato. Nell’elaborazione giurisprudenziale si va delineando dunque un progressivo assestamento del punto di equilibrio del sistema, nel quale lo spazio di autonomia dell’imprenditore nella regolazione della propria crisi si bilancia con l’esigenza di protezione dei diritti dei creditori. In questo senso, risulta apprezzabile il riequilibrio determinato dalle innovazioni contenute nel c.d. decreto del fare e il rafforzamento dei poteri del tribunale fallimentare nel concordato con riserva e nel concordato in continuità. In particolare, degni di nota sono: - la possibilità di nomina del commissario giudiziale nel concordato con riserva, già al momento dell’assegnazione del termine per il deposito di piano e proposta, - il rafforzamento degli obblighi informativi gravanti sull’imprenditore nelle more della presentazione del piano e della proposta, sia sotto il profilo della situazione economicofinanziaria dell’impresa sia sotto il profilo delle attività di perfezionamento dei piani di risanamento, - l’esplicita previsione della revoca ex art. 173 l.f. (con il richiamo dell’art. 186 bis u.c. l.f.) nei casi di A) cessazione dell’attività d’impresa B) manifesta dannosità della prosecuzione dell’attività stessa Il tribunale fallimentare riacquista dunque poteri di governo della procedura concordataria, potendo monitorare e interdire il corso di procedure in continuità che si rivelino dannose per i creditori.