111117 Bernard O`Donoghue L`architettura dello spirito
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111117 Bernard O`Donoghue L`architettura dello spirito
“Bernard O’Donoghue” L’architettura dello spirito Presenta l’opera poetica di Bernard O’Donoghue Luigi Sampietro, docente di Lingue e letterature anglo-americane dell’Università degli Studi di Milano Reading di testi a cura dell’autore, lettura in italiano di Mariella De Santis Note critiche di Anthony Robbins introduce e coordina Camillo Fornasieri, direttore del Centro Culturale di Milano Sala Verri di via Zebedia 2, Milano Giovedì 17 novembre 2011 Via Zebedia, 2 20123 Milano tel. 0286455162-68 fax 0286455169 www.cmc.milano Testi-CMC “Bernard O’Donoghue: l’architettura dello spirito” CAMILLO FORNASIERI: Do inizio a questa serata a nome del Centro Culturale di Milano. Siamo lieti di aver accolto l’invito della rivista Smerilliana per presentare e conoscere il poeta Bernard O’Donoghue, che è qui tra noi e salutiamo, in un incontro di lettura poetica e di dialogo con lui; La sua opera sarà presentata da due illustri amici e ospiti che sono, in ordine di ideazione e organizzazione, Anthony Robbins, che ci introdurrà con alcune note critiche relativamente al lavoro poetico di O’Donoghue, che è amico del poeta e antico compagno di studi, e il Professor Luigi Sampietro dell’Università degli Studi di Milano, nota firma del Sole 24 Ore e attivo sul campo, che ci ha già presentato altri grandi personaggi della poesia. Li ringrazio per questa loro presenza e per questa idea comune. La nostra ospite Mariella De Santis, della rivista Smerilliana, ci leggerà la versione in italiano delle opere che ascolteremo. Il tema della serata è L’architettura dello spirito; come sempre desideriamo di poter andare al cuore della dinamica che fa sorgere la poesia, la quale dà espressione alla vita umana e forma alla cultura. Nell’esperienza poetica le parole desiderano trattenere il reale che si incontra e, attraverso la sua rappresentazione, fornire un significato valido per tutti. Con questo spirito iniziamo la serata e do la parola a Luigi Sampietro, perché ci fornisca qualche tratto che ci faccia comprendere e ascoltare con più immedesimazione le opere di Bernard O’Donoghue. Grazie. LUIGI SAMPIETRO: Grazie e benvenuti. Un mio antico maestro mi ha insegnato una volta per tutte che quando si presenta un poeta o una serata di poesia è meglio non parlare del significato e del significante, perché se uno si vuol fare del male lo può fare per conto proprio stando a casa, in poltrona, dove se si addormenta non se ne accorge nessuno. E pertanto io vorrei semplicemente indicare un paio di aneddoti fattuali, anche per riconoscere le ragioni per cui ci troviamo qui, cosa per cui vi ringrazio, in una serata di coprifuoco come oggi. Il motivo per cui sono stato richiesto e invitato ha la sua origine in Anthony Robbins, che un giorno aveva partecipato alla presentazione del poeta australiano Leslie Murray, sempre in questa sede, e, quando gli ho chiesto come mai aveva partecipato a questo avvenimento, mi ha risposto: «perché l’ho letto sul giornale». Per esempio oggi il Corriere della Sera l’ha messo su un blog ma non sulla carta stampata, Il Giornale, per il quale io collaboro, credo non abbia messo nulla di tutto ciò, e quindi la poesia - dobbiamo rinfrancarci lo spirito – è qualcosa di intermedio tra il virus e la muffa, resiste a tutto e si diffonde dappertutto, magari pian pianino, adagio adagio, ma non muore mai. Penso ci siano più poeti che calciatori in Italia, probabilmente ci sono tanti poeti quanti sono i lettori di poesia, ma non cambia, (forse ce ne è uno in più, che sono io che la leggo e non la scrivo); però è un segno che la poesia, quale che sia la sua qualità, possiamo andare dai gradini più bassi ai gradini eccelsi fino alla luce, ma non importa, è un esercizio che attrae e sul quale qualunque essere umano nel segreto del suo cuore in fondo vuole intrattenersi. Ho detto questo semplicemente per dire che la poesia continua anche se i giornali non le danno spazio e guai a nominare la possibilità di fare recensione di un libro di poesie, perché non vende e non tira. Devo dire che in questo però i giornali sono autolesionisti, perché persino Montanelli li ammoniva sempre a non parlare di televisione sulla carta stampata, perché essa è una diretta concorrente, e diceva di ignorarla; invece i giornali insistono a parlare delle trasmissioni televisive e così non si rendono conto che la gente vorrebbe invece essere informata di altri avvenimenti, spesso di letteratura e poesia, di cui essi non parlano (spesso mi viene chiesto perché tal giornale non ha parlato del dato evento). Detto questo passiamo al nostro poeta: O’Donoghue è stato portato qui perché Anthony Robbins mi ha chiesto di presentarlo a Camillo Fornasieri, perché Robbins per primo me lo ha fatto conoscere attraverso questa rivista, Smerillina, sulla quale compaiono un articolo e delle poesie tradotte. Io mi sono fermato a leggere alla terza riga della presentazione, perché questa terza riga contiene una parola che per me è decisiva. È una parola che traduce in italiano un termine inglese – non so se è tradotto nel migliore dei modi, probabilmente sì, ma il succo del discorso è quello – usando la parola «autentico», che fa riferimento al verso della poesia della poetessa americana Marianne Moore, Poetry, e che riguarda qualche cose di genuine, di genuino, come genuini sono il pane e l’olio; dunque tradotto in italiano “autentico”. La cosa mi ha fatto drizzare le orecchie perché, 17/11/11 1 Testi-CMC “Bernard O’Donoghue: l’architettura dello spirito” facendo il professore e soprattutto frequentando i professori, da un qualche quinquennio, forse decennio, osservo con allarme che quello che era la caratteristica, ed è tutt’ora la caratteristica benvenuta per chi produce formaggi, oli di oliva, chianti e prodotti alimentari, la genuinità, la semplicità, in letteratura, ovvero nell’ambito della cultura delle teste d’uovo, come la chiamavano in America negli anni ‘40 e ’50, non è benvenuta. Forse è colpa dei francesi – spero non ci sia nessun francese in sala che si offenda- ma con l’avvento del postmoderno la nozione di autenticità è stata bandita non solo dalla metafisica ma anche dal mondo fisico, e quindi dalla letteratura. Diceva Baudrillard che noi non abbiamo tra le mani mai niente di originale e di vero, ma semplicemente la copia di una copia; tutto è una costruzione culturale, non esiste neanche la natura e non esistono le idee platoniche, cioè tutto è il prodotto di rapporti di forza nel mondo, perciò il Risorgimento lo hanno scritto alcune persone ma il Risorgimento non è stato così, l’età elisabettiana non è quella che leggiamo ma è solo una rappresentazione. Allora l’idea di trovare una notazione di Anthony Robbins sul poeta Bernard O’Donoghue nella quale si serve della nozione di autenticità mi ha fatto drizzare le orecchie, anche perché la poesia stessa di questi tempi va nella direzione del “compiaciuto in autentico”, cioè dell’artificio, della costruzione non di qualche cosa che va direttamente e immediatamente, senza mediazioni, alla persona umana. Ultima osservazione: dopo aver letto abbastanza di corsa, ma aver comunque un primi impatto dopo una lettura veloce, che è quello che in genere conta quando si incontrano le persone e si leggono i libri, anche qui ho da aggiungere una parola, per quanto mi riguarda, non solo se di lode ma direi di compiacimento. O’Donoghue viene indicato come un poeta non romantico, probabilmente nemmeno un modernista; e che cosa vogliono dire queste due cose? Viene indicato come romantico perchè era anche esperto di letteratura medievale, di quelli che erano i poemi, i romanzi, i romance dei cicli medievali, ma può essere pure indicato come un modernista, cioè un artista che con le parole scrive come si esprime in pittura Picasso, ossia frangendo e distorcendo la figura. I post moderni, di cui ho parlato male poco fa, sono convinti dell’inautenticità di tutto ciò che riguarda l’umano. In genere la linea di confine per il Modernismo viene tirata Picasso, Stravinskij, Ezra Pound, T. S. Eliot, cioè tutta quell’arte che non è più figurativa, né lirica, nè musicale, che non è più composta e articolata, Allora è nozione comune che il grande cambiamento sia avvenuto con i modernisti, cioè con coloro che, per usare le parole di un poeta francese (stavolta in senso positivo) che era Rambaut, il quale diceva che bisognava tirare il collo alla retorica dell’Ottocento, bisognava farla strillare, infatti Picasso fa strillare le forme; Stavinskij e tutti gli altri si rivolgono ai primitivi, perché dicendo le cose in maniera armonica nulla funziona più, ma se io cambio il tono in mudo drammatico, butto dentro un colore forte, un rosso, un blu violento, o in letteratura uno stacco, o addirittura comincio a scrivere delle cose completamente in maiuscolo come facevano i futuristi, ecco che in chi stà leggendo o osservando il quadro si risveglia una tensione. Quindi torcere il capo alla forma voleva dire farla strillare, farla strillare voleva richiamare l’attenzione perché altrimenti con il ritmo garbato e tonale a cui ci eravamo abituati ci si addormentava. Ecco io non sono convinto che il grande cambiamento sia avvenuto con i modernisti, quegli artisti, per intenderci, le cui poesie hanno bisogno delle note, di qualcuno che te le spieghi, io sono convinto che il grande cambiamento sia avvenuto con il post moderno, dal quale io prendo le distanze dopo aver indossato dei guanti spessi, perché io non credo nella inautenticità della vita, e invece ritengo che ci sia proprio una continuità tra i romantici, che erano l’effusione della personalità totale, e i modernisti, che per farsi ascoltare dicevano delle cose scomposte e urlate, come ho fatto io prima, squassando le forme, ma avendo sempre la medesima intenzione di arrivare al quid, ossia alla partecipazione dell’esperienza umana con il prossimo. Dove si colloca Bernard O’Donoghue? L’immagine che mi è venuta in mente stamattina mentre ripassavo le sue poesie è quella dell’imbuto, un imbuto nel quale colano dentro in maniera diversa dei liquidi, dei succhi, che provengono sia dal Romanticismo, sia dal Modernismo, e che alla fine sono distillati in una maniera sua personale che però, se non ho travisato, appartengono a una dimensione dell’arte, della cultura e della nostra umanità che ci collocano prima di quello che io ritengo essere il disastro del post moderno, riassunto in una parola, il cinismo nei confronti del mondo. A questo punto passo la parola al poeta stesso. 17/11/11 2 Testi-CMC “Bernard O’Donoghue: l’architettura dello spirito” ANTHONY ROBBINS: Vorrei anche io fare una nota sulla prima poesia. Riguarda effettivamente una barca dell’età del ferro rinvenuta pochi anni fa da un agricoltore irlandese che stava muovendo la terra in un suo campo e si è accorto che c’era questa cosa, in mezzo alla campagna, la quale è importante per Bernard O’Donoghue perché è la zona dove è nato e cresciuto fino a sedici anni, ne parleremo di più dopo. È nato nell’Irlanda del sud, in un paese che si chiama Colon, nella contea di Cook. Insieme alla campagna questa poesia parla del passaggio, ma come quasi tutte le poesia di Bernard O’Donoghue, la narrativa ha come una specie di controcorrente sotto e c’è un altro argomento, che viene in superficie giusto come questa barca dell’età del ferro è venuta in superficie. THE IRON AGE BOAT AT CAUMATRUISH If you doubt, you can put your fingers In the holes where the oar-pegs went. If you doubt still, look past its deep mooring To the mountains that enfold the corrie’s Waterfall of lace through which, they say, You can see out but not in. If you doubt that, hear the falcon Crying down from Gneeves Bog Cut from the mountain-top. And if you doubt After all these witnesses, no boat Dredged back from the dead Could make you believe. LA BARCA DELL’ETA’ DI FERRO A CAUMATRUISH Se dubiti, puoi infilare le dita nei buchi dove si tenevano le scalmiere. Se dubiti ancora, guarda oltre l’ormeggio profondo Alle montagne che abbracciano il circo glaciale E la cascata di trina attraverso la quale, dicono, Puoi vedere da dentro ma non da fuori. Se dubiti di quello, senti il falco E il suo grido dall’alto dalla torbiera Gneeves Tagliata dalla sommità del monte. E se dubiti Dopo tutti questi testimoni, nessuna barca Ripescata dalla morte Ti potrebbe far credere.You can see out but not in. A. ROBBINS: Un piccolo commento ed una domanda al poeta: cominciamo a sentire e a vedere, come vi dicevo, il paesaggio naturale per il poeta, cominciamo a sentire questa città, questa vicinanza alla natura, che è un tema comune in quasi tutte le poesie di O’Donoghue. Ma c’è un altro tema importantissimo che abbiamo sentito, quello del credere, tutta la poesia è se dubiti, se dubiti e alla fine c’è la parola credere. E adesso voglio chiedere al poeta cosa vuol dire per lui credere. B. O’DONOGHUE (in traduzione di A. Robbins): E’ un equilibrio tra la credenza dei dogmi e il credere nelle cose. A. ROBBINS: Il discorso è profondissimo ed è così sottile che uno si chiede come fa una poesia di così pochi versi a dire una cosa del genere. E in effetti, come dicevo, è una narrativa apparente e poi c’è una corrente sotterranea, come la barca stessa, che ci fa pensare. Senza confusioni particolari ci costringe ad arrivare ad una conclusione. Però l’importanza del credere nei dogmi o nelle cose resta come proposizione. A. ROBBINS: La seconda poesia è Una suora prende il velo, è il racconto di una donna ormai settantenne che ricorda gli avvenimenti di quarant’anni fa, quando era effettivamente una ragazza, quasi una ragazzina di quattordici anni, che stava partendo per il convento. A NUN TAKE DE VEILS UNA SUORA PRENDE IL VELO That morning early I ran through briars To catch the calves that were bound for market. I stopped the once, to watch the sun Rising over Doolin across the water. Quel mattino presto corsi tra i rovi Ad acchiappare i vitelli destinati al mercato. Una volta mi fermai, a osservare il sole Levarsi sopra Doolin di là dal mare. 17/11/11 3 Testi-CMC The calves were tethered outside the house While I had my breakfast: the last one at home For forty years. I had what I wanted (they said I could), so we'd loaf bread and Marie biscuits. We strung the calves behind the boat, Me keeping clear to protect my style: Confirmation suit and my patent sandals. But I trailed my fingers in the cool green water, Watching the puffins driving homeward To their nests on Aran. On the Galway mainland I tiptoed clear of the cow-dunged slipway And watched my brothers heaving the calves As they lost their footing. We went in the trap, Myself and my mother, and I said goodbye To my father then. The last I saw of him Was a hat and jacket and a salley stick, Driving cattle to Ballyvaughan. He died (they told me) in the county home, Asking to see me. But that was later: As we trotted on through the morning-mist, I saw a car for the first time ever, Hardly seeing it before it vanished. I couldn't believe it, and I stood up looking To where I could hear its noise departing But it was only a glimpse. That night in the convent The sisters fussed me, but I couldn't forget The morning's vision, and I fell asleep With the engine humming through the open window. “Bernard O’Donoghue: l’architettura dello spirito” I vitelli restavano legati davanti alla casa Mentre prendevo la prima colazione: fu l’ultima a casa Per quarant’anni. Mangiai quello che volevo (hanno detto che potevo), sicché c’era pane in cassetta e biscotti Marie. Legammo I vitelli dietro la barca, E badavo a non sporcare il vestito: L’abito della cresima e i sandali di vernice. Ma le dita le bagnai nell’acqua fresca e verde mentre si andava, Osservando i fraticelli che volavano diritto verso casa Ai loro nidi sull’isola di Aran. Sul continente, a Galway In punta di piedi salii lo scalo delle barche sporco di sterco E osservai i fratelli che tiravano su i vitelli Per il pendio scivoloso. Salimmo sul calesse, Io e mia madre, e in quel momento dissi addio A mio padre. Le ultime cose che vidi di lui Furono un cappello e una giacca e il bastone di salice, Che conduceva i bovini a Ballyvaughan. Morì (mi dissero) nella casa di riposo della contea, Chiedendo di vedermi. Ma quello successe dopo: Mentre si trottava nella foschia di prima mattina, Vidi un’auto per la prima volta, Scorgendola a malapena prima che sparisse. Non ci credevo, e mi alzai per guardare Nella direzione del rumore che svaniva Ma fu un’apparizione fuggevole. Quella sera nel convento Le sorelle mi viziarono, ma non riuscivo a dimenticare La visione del mattino, e mi addormentai Col ronzio del motore che arrivava dalla finestra aperta. Anche qui il racconto semplice della partenza della ragazza nasconde quasi delle sorprese. E’ sorprendente come la poesia si allacci al discorso di prima del professor Sampietro, sul modernismo e il post modernismo; anche qui c’è un discorso di fede, di una ragazza che crede in qualche cosa e che parte per dedicarsi a questa cosa. Allo stesso tempo c’è la modernità, c’è la prima volta che vede un automobile, ed è l’ultima volta per quarant’anni. Quindi c’è il senso della coesistenza di due Irlande e di questa persona, di questo vaso così fragile, che porta le due Irlande con sé. È un simbolo se vogliamo in questa poesia dell’Irlanda eterna e dell’Irlanda che si sta modernizzando. Ovviamente l’ultimo verso, che dice che attraverso la finestra aperta sentiva il rumore dell’automobile, parla dell’immaginazione, perché l’automobile è svanita molto tempo fa, molto tempo prima, e questo è un altro tema importante. Invece ora passiamo ad una poesia che riprende una parola centrale, fondamentale in questa poesia e in molte altre di O’Donoghue, Father. 17/11/11 4 Testi-CMC THE DAY I OUTLIVED MY FATHER Yet no one sent me flowers, or even asked me out for a drink. If anything it makes it worse, your early death, that having now at last outlived you, I too have broken ranks, lacking maybe the imagination to follow you in investigating that other, older world. So I am in new territory from here on: must blaze my own trail, read alone the hoof tracks in the summer-powdered dust and set a good face to the future: at liberty at last like mad Arnaut to cultivate the wind, to hunt the bull on hare-back, to swim against the tide. “Bernard O’Donoghue: l’architettura dello spirito” IL GIORNO IN CUI DIVENTAI PIU’ VECCHIO DI MIO PADRE Nessuno però mi ha mandato dei fiori, e nemmeno invitato a prendere un drink insieme. Semmai la tua morte prematura peggiora il fatto che, avendo ora vissuto più a lungo di te, anch’io ho disertato le file, per mancanza forse della fantasia necessaria per seguirti nell’esplorazione di quel mondo altro, più antico. Sicché sono in territorio sconosciuto d’ora in poi: devo aprire la mia strada, leggere da solo le impronte degli zoccoli nella polvere dell’estate e affrontare a viso aperto il futuro: libero finalmente come il pazzo Arnaut a coltivare il vento, a cacciare il toro a dorso di lepre, a nuotare contro corrente. A. ROBBINS: Vorrei chiedere al poeta il significato di Arnaut, di questa figura che inaspettatamente arriva negli ultimi tre versi. B. O’DONOGHUE (in traduzione di Sampietro): Arnaut Daniel è un poeta provenzale molto popolare nel medioevo, citato tra l’altro anche nella Divina Commedia. Si serve di una immagine, di una rappresentazione del mondo, che è qualche cosa di capovolto, per cui abbiamo la lepre o animali e miti come la lepre che aggrediscono gli umani, e in questo caso l’idea del mondo capovolto è usata anche per un sopravvenire di una età nella quale le cose cambiano completamente e la nostra visione della realtà è diversa da quella della prima parte della nostra esistenza. A. ROBBINS: La prossima poesia contiene nel titolo la parola padre, in questo caso Father Christmas, Babbo Natale. Anche qui dobbiamo aspettarci delle leggere sorprese. FATHER CHRISTMAS BABBO NATALE It was May or June when I first glimpsed him, Not far away: as ever, out of season. Either when the twilight thrush proclaims Unending summer, or when the guilty children Rummage through dark wardrobes for Christmas parcels, In he blunders with his awful timing, Red suit pulled over his dustcoat any old how, Beard hooked crooked from his ears, and thrusting out His dread portfolio of unnaturalised Greek terms: Aorta; cardiac; thrombosis. Or policemen’s words That make it all sound warranted: Stroke; violent; massive; laboured; and arrest. Era il mese di maggio o giugno la prima volta che l’ho intravisto non lontano: come sempre fuori stagione. Quando anche il tordo crepuscolare proclama L’estate senza fine, o quando i bambini furtivi rovistano negli armadi bui alla ricerca di pacchi natalizi, Eccolo entrare goffo terribilmente fuori tempo. Il costume rosso tirato sopra lo spolverino senza la minima cura, La barba agganciata storta alle orecchie, porgendo la raccolta spaventosa di termini greci mai assimilati: Aorta; cardiaco; trombosi. Oppure parole da poliziotto, Che fanno sembrare il tutto affidabile: Colpo; violento; massiccio; difficoltoso; e arresto. A. ROBBINS: Vorrei chiedere una piccola spiegazione al poeta. 17/11/11 5 Testi-CMC “Bernard O’Donoghue: l’architettura dello spirito” B. O’DONOGHUE (in traduzione di Sampietro): Questa poesia ha a che fare con un bambino che chiama in causa la figura di babbo natale. Prima bisogna però dire che i bambini hanno una idea del mondo come qualcosa di stabile e di immutabile, d’altra parte noi abbiamo la figura di babbo natale che nella cultura medievale rappresenta tanto un personaggio che porta i doni quanto un personaggio che porta la fine dell’esistenza e pertanto il suo intervento, la sua emozione in questa poesia, sta a rappresentare lo sconvolgimento di quella che è l’aspettativa. ROBBINS: O’Donoghue è anche un etologo in comune con la moglie Heaven. La prossima poesia, concerne, almeno apparentemente, un uccello che lo visita. THE NUTHATCH IL PICCHIOTTO I couldn’t fathom why, one leafless Cloudcast morning he appeared to me, Taking time off from his rind-research To spread his chestnut throat and sing Outside my window. His woodwind Stammering exalted every work-day For weeks after. Only once more I saw him, quite by chance, among The crowding leaves. He didn’t lift His head as he pored over his wood-text. Ashamed of the binocular intrusion, Like breath on eggs or love pressed too far, I’m trying to pretend I never saw him. Non riuscii a capire perché, un certo mattino Nuvoloso e senza foglie, mi apparve, Prendendo congedo dalle ricerche nella corteccia Per allargare la gola tanè e cantare Alla mia finestra. Il suo balbettio Flautato esaltò ogni giorno di lavoro Per settimane da quel dì. Ma solo una volta ancora Lo scorsi, assolutamente per caso, tra Foglie affollate. Non alzò la testina Mentre compulsava il suo testo di legno. Ora mi vergogno dell’intrusione binoculare, Come soffio su uova o amore troppo insistente, Sto cercando di far finta di non averlo mai visto. A. ROBBINS: Vorrei chieder al poeta cosa significa «Breath on eggs», soffio su uova B. O’DONOGHUE (in traduzione di Sampietro): La poesia è nata probabilmente in una circostanza nella quale il nostro autore stava insegnando letteratura medievale, in particolare si basa sul tema dell’ amante, tipico dei romanzi cavallereschi, che ama la dama ma non è a sua volta riamato. L’idea è che, come fanno gli amanti, gli ornitologi, che amano spiare col binocolo quel che fanno gli uccellini provano un senso di colpa o di inopportunità. Chi guarda col binocolo si sente quasi un voieur che in ogni modo interviene nella vita di creature, in una vita che non lo riguarda, quindi in qualche modo, c’è qualcosa di non corrisposto e fuori luogo come l’amore inutile dell’amante che non è a sua volta amato. A. ROBBINS: Veniamo ad una poesia che riguarda il senso di geografia ma anche di appartenenza, che può dipendere dal fatto, come l’abbiamo sentito di Bernard, che vive in un certo paese pur essendo originario di un altro. Ed è un altro paese, molto diverso. Il problema di non appartenenza o di appartenenza a due paesi è un tema ricorrente nel suo lavoro tanto è vero che io dico che non è un poeta irlandese, è un poeta che parla dell’Irlanda e di altri posti pur riconoscendo le radici in Irlanda. È un poeta neanche esiliato, è un poeta senza paese e questa poesia esprime bene il concetto. Il poeta è in viaggio verso l’Irlanda per una delle sue frequenti visite e si accorge del paese di Galles e di una certa sensazione. 17/11/11 6 Testi-CMC “Bernard O’Donoghue: l’architettura dello spirito” WESTERING HOME VERSO CASA A PONENTE Though you’d be pressed to say exactly where It first sets in, driving west through Wales Things start to feel like Ireland. It can’t be The chapels with their clear grey windows, Or the buzzards menacing the scooped valleys. In April, have the blurred blackthorn hedges Something to do with it? Or possibly The motorway, which seems to lose its nerve Mile by mile. The houses, up to a point, With their masoned gables, each upper window A raised eyebrow. More, though, than all of this, It’s the architecture of the spirit, The old thin ache you thought that you’d forgotten – More smoke, admittedly, than flame; Less tears than rain. And the whole business Neither here nor there, and therefore home. Anche se solo con difficoltà sapresti dire Dove, viaggiando verso ponente nel Galles, Le cose cominciano a sembrare un po’ Irlanda. Non possono essere le cappelle con le finestre chiare e grigie, Né le poiane che minacciano le vallate liscie. In aprile, forse concorrono le siepi indistinte Di spino nero? O magari La superstrada, che sembra perdere coraggio Miglia dopo miglia. Le case sì, in qualche misura, Con le gronde di pietra, dove ogni finestra alta È un sopracciglio alzato. Di più, però, di tutto ciò, Si tratta dell’architettura dello spirito, Il vecchio dolorino che pensavi d’aver dimenticato – Più fumo, a dire il vero, che fiamma; Meno lacrime che pioggia. E l’intero affare Né di qua né di là, e quindi casa mia. A. ROBBINS: Se qualcuno ha delle domande siamo così disposti che possiamo conversare senza problemi. Credo che questa poesia sia piuttosto chiara, allo stesso tempo abbiamo l’ultimo verso che dice: «Neither here nor there, and therefore home», né di qui né di là e quindi casa mia, è quasi come dire: «Sono apolide». B. O’DONOGHUE: (in traduzione di Sampietro): Per usare ancora un’immagine medievale, è essere nel mezzo delle cose, tra una cosa e l’altra ma io ho fatto questa osservazione non tanto per dire che siamo tutti apolidi, siamo vissuti in un posto o in un altro ma perché la descrizione di questa poesia in fondo ci dà o riprende, credo, la sensazione di quando qualche volta abbiamo l’impressione del famoso de j’ai vu che è stato studiato dagli psicologi. Ci sono delle situazioni per cui in un posto nuovo noi abbiamo la sensazione di esserci già stati. Aggiungo che io torno sempre più volentieri in un posto dove sono stato piuttosto che in un posto dove non sono mai stato. Non so perché ma questa poesia è lo svolgimento del ritornare su un qualche cosa che so già che cosa è o ricordo vagamente e credo che casa perché chi sta sempre nello stesso posto desidera andar via e chi è via ad un certo punto desidera rivedere quel posto. E quindi casa è evidentemente nella nostra condizione esistenziale, né qui né là, ma è così come è fatta la nostra vita in sostanza. ROBBINS: Molte volte in Irlanda, come anche in Italia si crede che i morti sono ancora tra noi. Esiste questa frase che ho annotato anni fa che mi è tornata in mente quando ho letto la prossima poesia che non riesco pronunciare, adesso chiedo al poeta di pronunciarla e dice sostanzialmente: «Se qualcuno bussa alla tua porta chiedi immediatamente, non dici chi è ma dici sei dei morti o dei vivi». Dobbiamo imparare questa frase se andiamo in Irlanda. La prossima poesia riguarda proprio i morti e la loro presenza. B. O’DONOGHUE (in traduzione di Sampietro): è una poesia che deriva dall’esperienza di un film visto di cui il protagonista è una donna che torna a casa dal lavoro e trova davanti al caminetto quattro amici che vengono dall’aldilà. 17/11/11 7 Testi-CMC “Bernard O’Donoghue: l’architettura dello spirito” THE COMPANY OF THE DEAD LA COMPAGNIA DEI MORTI It’s natural that they would feel the cold much more than we do; but that is partly what makes them such good company. They draw closer, rubbing their hands, and praise the fire: ‘That’s a fine fire you’ve down.’ È naturale che sentono il freddo molto di più di noi; ma ciò in parte è quello che li rende di così buona compagnia. S’avvicinano al camino, sfregandosi le mani, e lodano il fuoco: “Che bel fuoco che hai fatto.” Also, they’ve no unrealised agendas, their eager questions no barbed implications. They’re no trouble round the place, their only wish now to get warmer: apart, that is, from wishing that they’d kept warmer while they had the chance. Per di più, non hanno piani non realizzati, le domande eccitate sono senza secondi fini mordaci. Averli di torno non dà fastidio, l’unico loro desiderio ora è di scaldarsi: a parte, cioè, il desiderio che si fossero scaldati meglio quando era possibile. ROBBINS: Adesso torniamo nell’Irlanda della contea di Cork e sentiamo di un evento che coinvolge un cavallo. HORSES FOR COURSES IL CAVALLO GIUSTO When we went back, a horse was standing there. Jer Mac, the greatest breaker of horses, examined his teeth, judged his height in hands, felt his fetlocks, pronounced himself satisfied: ‘All right’, he said. ‘Bring him in’ – which was of course the start of all the trouble, as everyone knows. Not long after his wife was packed off back to her people, and the child given to neighbours to be brought up. Quando siamo tornati, ci stava un cavallo. Jer Mac, il più grande scozzonatore di cavalli, ne ha esaminato i denti, ne ha stimato l’altezza in palmi, ne ha sentito i nodelli, s’è dichiarato soddisfatto: “Va bene,” ha detto. “Portalo dentro” – e questo è stato l’inizio di ogni guaio, come tutti sanno. Poco dopo, la moglie è stata rispedita ai suoi, e il bambino è stato tirato su dai vicini. Whatever they called it in Greek, our name for it was pisheogues: those strange gifts that people, neighbourly enemies, or gods, pushed through railings and under wires, or hid in ditches to confound us. We never discovered exactly what gift it was that brought in its train our father clutching his chest before he fell and our particular wanderings across the seas. Checché lo chiamassero in greco, il nome che gli davamo noi era pisheogue: quegli strani doni che la gente, nemici di buon vicinato, o divinità, spingevano attraverso la cancellata e sotto i fili, o nascondevano nelle fosse per farci male. Non abbiamo mai scoperto con esattezza qual è stato il dono che ha causato a nostro padre, quella stretta della mano contro il petto prima di cadere e a noi le particolari peregrinazioni oltre il mare. ROBBINS: Ovviamente è un argomento che il poeta ripropone in varie forme e momenti, l’argomento del padre, l’importanza del padre morto prematuramente, causa della partenza dall’Irlanda per l’Inghilterra. L’ importanza della famiglia è un luogo comune riconosciuto da tutti eppure non riusciamo sempre letteralmente ad abbracciare questa realtà. Questo è il significato in parte, messo in termini molto crudi nella prossima poesia che si intitola Ter Conatus, sono parole latine, di Virgilio, nell’Eneide, Enea cerca di abbracciare un defunto, ovviamente il defunto non ha materia, quindi le braccia 17/11/11 8 Testi-CMC “Bernard O’Donoghue: l’architettura dello spirito” passano inutilmente per l’aria e ripresa da Dante questa cosa nel Purgatorio, nel secondo canto e O’Donoghue ci dà una sua versione attuale dell’evento. TER CONATUS TER CONATUS Sister and brother, nearly sixty years They’d farmed together, never touching once. Of late she’d been coping with a pain In her back, realisation dawning slowly That it grew differently from the warm ache That resulted periodically From heaving churns on to the milking-stand. Sorella e fratello, da quasi sessant’anni Portavano avanti la fattoria insieme, senza mai toccarsi. Di recente lei sopportava un male Alla schiena, e solo lentamente venne la percezione Che cresceva diversamente da quel dolore caldo Che periodicamente le veniva Dopo lo sforzo di alzare i bidoni del latte. She wondered about the doctor. When, Finally, she went, it was too late, Even for chemotherapy. And still She wouldn’t have got round to telling him, Except that one night, watching television, It got so bad she gasped, and struggled up, Holding her waist. ‘D’you want a hand?’ he asked, Taking a step towards her, ‘I can manage,’ She answered, feeling for the stairs. Three times, like that, he tried to reach her. But being little practised in such gestures, Three times the hand fell back, and took its place, Unmoving at his side. After the burial, He let things take their course. The neighbours watched In pity the rolled-up bales, standing Silent in the fields, with the aftergrass Growing into them, and wondered what he could Be thinking of: which was that evening when, Almost breaking with a lifetime of Taking real things for shadows, He might have embraced her with a brother’s arm Si chiedeva se doveva farsi vedere. Quando Finalmente andò dal dottore, era troppo tardi, Persino per la chemioterapia. E ancora Non si sarebbe spinta a dirglielo, Se una sera, guardando la televisione, Fu così forte che ansimò, e con difficoltà si alzò, Tenendosi per la vita. ‘Vuoi una mano?’ chiese lui, Facendo un passo verso lei, ‘Ce la faccio,’ Rispose, cercando le scale con la mano. Tre volte, così, cercò di raggiungerla. Ma per la poca pratica nel fare gesti simili, Tre volte la mano cadde indietro, prendendo posto, Immobile al suo fianco. Dopo il funerale, Lasciò che le cose seguissero il loro corso. I vicini vedevano Con compassione le balle arrotolate, che stavano Silenziose nei campi, con l’erba nuova Che le invadeva, e si chiedevano che cosa Avesse in testa: ed era quella sera quando, Quasi rompendo con una vita intera in cui Aveva preso le cose reali per vane apparenze, L’avrebbe potuta abbracciare con braccia di fratello. A. ROBBINS: Adesso vorremmo che si potesse parlare insieme credo di un’esperienza piuttosto unica per tutti di sentire queste poesie e se abbiamo delle domande da rivolgere al poeta saremmo ben lieti di tradurre e sentire le risposte. DOMANDA: Io ho l’impressione che il poeta più parla della natura, entra nella natura, s’immerge nella natura e più paradossalmente se ne allontana, come se ci fosse qualcosa che lo restringesse. Forse mi sbaglio, ma è un modo diverso di interpretare la natura, oggi non si fa più poesia della natura per la natura. Si scrive quasi sempre in modo metaforico. Ma qui non c’è unità, qui c’è qualcosa che dalla realtà si passa ad un’altra realtà. Da una realtà visibile, da una realtà fisica, il poeta si muove verso una realtà che è al di là del fisico, forse non metafisico, ma al di là del fisico. 17/11/11 9 Testi-CMC “Bernard O’Donoghue: l’architettura dello spirito” B. O’DONOGHUE (in traduzione di Sampietro): quello che ama fare è descrivere i fatti, i contorni dei fatti naturali e della natura così come sono, aspettandosi o dopo aver fatto questo cercando di suggerire o lasciando che emerga un qualcosa che sta nascosto, uno contro corrente come diceva Antony Robbins. Dice che non scrive direttamente della natura al modo in cui nella tradizione inglese, c'era un poeta romantico che si chiamava John Clarke, che era un poeta contadino, il quale descrive la natura così come appare, ovverosia col valore di superficie. In realtà è ovvio che la poesia, e questo lo aggiungo io, di Bernard O' Donoghue è fatta di scelte di episodi, io ho molto apprezzato, è qualche cosa che mi attrae, l'aspetto narrativo della sua poesia che, appunto, oggi non è che sia molto presente, cioè la aneddotica e questi aneddoti forse è dovuta al fatto che legge troppi libri medievali, questa aneddotica fa in modo che sotto ci sia la ricerca di un sovrasenso o di un senso nascosto. ovviamente l'aneddoto, questo è quello che penso io, è come l'inquadratura fotografica, chi fa la fotografia non è lui che ha il grande merito di averla dipinta la prende però dove è soffermare l'attenzione e credo che O’Donoghue, poeta nel nostro caso, abbia la capacità di cogliere un qualche cosa di cui riesce a intravedere subito, nel momento in cui lo pensa che c'è uno spessore riconoscibile da tutti. Non è una traduzione, è un commento. DOMANDA: Io avevo una domanda molto più banale; ho notato che a un certo punto della sua produzione è passato dalle lettere maiuscole all'inizio dei versi alle lettere minuscole, cosa che fanno, ho notato, altri poeti. Esiste una ragione? B. O’DONOGHUE (in traduzione di Sampietro): è ancora un po' incerto sulla cosa, ma si è convertito a togliere le lettere maiuscole all'inizio del verso. Però alcuni altri poeti, e forse questo non l'abbiamo detto mai questa sera, come per esempio Seamus Heaney, che è un grande poeta irlandese che tra le altre cose oltre che essere professore di letteratura medievale, poeta importante di suo, per Bernard O'Donoghue pare che sia la massima autorità che esista cioè sul poeta, suo collega e compatriota Seamus Heaney e quindi credo che con rispetto e un po' d'incertezza sia dovuto al fatto che siccome Seamus Heaney usa ancora le maiuscole all'inizio del verso lui non è molto sicuro di usare le minuscole. Io però raccomando da umile lettore di usare le minuscole. DOMANDA: L'aspetto di oralità che si sente nella poesia, lo sento molto forte, più che narrativo è spontaneo o cercato? B. O’DONOGHUE (in traduzione di Sampietro): Nella lirica inglese medievale prevale questo tipo di stile di tono se vogliamo, abbastanza colloquiale. DOMANDA: Io ho sempre visto gli irlandesi molto allegri, molto spiritosi, molto giocherelloni, cantanti, tutti cantano; nelle poesie che ho sentito questa sera noto molta dolcezza e anche un senso di malinconia, di nostalgia. Volevo collegare questi due aspetti, cioè gli irlandesi sono davvero come si dimostrano o sono invece in grado di capire e di apprezzare questo tipo di poesia? B. O’DONOGHUE (in traduzione di Sampietro): A me sembra che la malinconia faccia parte anche della tradizione e della natura irlandese, probabilmente dovuta anche alle condizioni di povertà che ci sono sempre state e dall’altra parte che emergano, più o meno nella mia poesia, anche una dolcezza ed una malinconia che hanno a che fare con la vicinanza della morte che, in un paese rurale quale l’Irlanda è sempre stata, fa sì che si avvicini e che faccia parte dell’esperienza quotidiana. L. SAMPIETRO: Questo lo aggiungo io, è difficile sapere che cos’è un morto se uno è bambino nella città di Milano, a meno che non gli capiti che la famiglia lo porti all’obitorio, mentre se uno vive in campagna è molto più facile fare questa esperienza. Addirittura in quelli della mia generazione e in quella prima ancora la nascita e la morte era una cosa normale in tutte le famiglie, 17/11/11 10 Testi-CMC “Bernard O’Donoghue: l’architettura dello spirito” negli anni Cinquanta, ma anche in quelli prima che si nascesse in famiglie allargate e si morisse. Io sto parlando della Lombardia, ma vale per l’Irlanda: il mondo contadino è uguale in tutto il mondo. DOMANDA: Io sento che, nonostante questo attaccamento alla terra, un senso di spaesamento nel mondo, che sembra una contraddizione. B. O’DONOGHUE (in traduzione di Sampietro): Nonostante sia andato via molto giovane dall’Irlanda, credo che il posto del mio attaccamento primario e più forte sia nei confronti dell’Irlanda. Ciò non toglie che si possa avere un attaccamento per un altro posto. L. SAMPIETRO: Ma io credo che succeda a tutti: io ho un grande affetto per i posti in cui andavo in vacanza e grande affetto per i posti in cui sono cresciuto. E non so se sia lecito con il partner o con la partner della propria vita avere due, tre o quattro mogli, ma avere due, tre o quattro patrie credo sia lecito e sia possibile. Almeno, nella mia esperienza sì. Io ci sono almeno due, tre, quattro (forse) posti che riconosco come casa mia. Ho sentito un ortolano l’altro giorno, una venditrice di frutta nel paesino dove vivo che parlava con una donna incinta, la quale era preoccupata, avendo già un bambino piccolo, se la nascita di un nuovo bambino avrebbe limitato l’amore per il primo. E la fruttivendola diceva che, avendone non so se due o tre, così non avviene, anzi si moltiplica: si vede che l’amore per i luoghi o per i propri figli è qualche cosa che si moltiplica. DOMANDA: La mia più che una domanda è un’osservazione. Sono stata molto colpita proprio da quel senso di sorpresa, di stupefazione, di meraviglioso che appare in questa poesia, su una grana narrativa, che è di base semplice, ma attraverso un avvitamento di eventi e di significati il procedere e l’andamento del discorso, quasi ad ogni passo ci si meraviglia e secondo me questo è un pregio. Perciò quel discorso di una sottocorrente che procede per salti di stupore, che non è tranquilla. B. O’DONOGHUE (in traduzione di Sampietro): Questa domanda si connette, secondo me, all’altra domanda sulla malinconia e richiama un’espressione inglese “A world well lost” ossia “Un mondo felicemente perduto”, mentre la mia opinione sarebbe diversa da quella del proverbio inglese che il mondo è sempre e comunque tristemente perduto quando lo si perde, quindi quello che io penso di trasmettere è un attaccamento alla vita. L. SAMPIETRO: Anche secondo me! Vari di questi anedotti ed episodi sono tutti episodi che finiscono apparentemente male, ma a me non danno l’impressione di disperazione o di caduta. E’ piuttosto che viene colto il momento glorioso del desiderio nei confronti di qualcosa di fortemente voluto o scoperto o sorpreso davanti al quale si sbarrano gli occhi e che poi svanisce. Ma non c’è una disperazione, almeno io percepisco una sorta di accettazione, così è il mondo in fondo… ma l’enfasi è sulla scoperta del fatto che qualcuno è capace di vedere, di scoprire, di desiderare e di sbarrare gli occhi. MARIELLA DE SANTIS: Io prosaicamente dico di leggere, nel frattempo, un libro di poesia di O’Donoghue tradotto in italiano (per chi volesse approfondire) con un saggio ovviamente molto accurato di Anthony Robbins e un’antologia, una selezione di poesie. C. FORNASIERI: Ringrazio per questo incontro, per questa scoperta. Mi sento molto in sintonia con le prime interpretazioni che dava Bernard e anche Sampietro, di questa realtà che è segno. Non è la semplice registrazione di dati, questo non ci farebbe scrivere nulla. Da un certo punto di vista il cattolicesimo ci ha insegnato a mangiare e a bere, perché è una religiosità allegra, perché non è come diceva il conterraneo Oscar Wilde, il cinico, «colui che conosce di ogni cosa il prezzo, ma non il valore». Qualcuno può raccontare il valore proprio perché si lascia sorprendere dai pensieri collegati agli aneddoti, alle cose, come traspare nella sua poesia. Vorrei concludere con un piccolo 17/11/11 11 Testi-CMC “Bernard O’Donoghue: l’architettura dello spirito” contributo sul titolo di questa sera L’architettura dello spirito e nella poesia Viaggiando verso casa ponente, con bellissime traduzioni di Robbins e Mariella, che dice: «Si tratta dell’architettura dello spirito il vecchio dolorino che pensavi di aver dimenticato». Questo “vecchio dolorino” non ce lo togliamo dalla vita. È quello che fa l’uomo, ha fatto grande Leopardi che ha cantato e per questo non è affatto un poeta triste; è questo “vecchio dolorino” che nella vita punge e tiene svegli perché permette di scegliere la strada dell’umano, della ragione vissuta come bisogno del vero, del grande. Grazie. 17/11/11 12