WORKSHOP 7 e 29 MAGGIO 2012 STEFANO BENEMEGLIO

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WORKSHOP 7 e 29 MAGGIO 2012 STEFANO BENEMEGLIO
WORKSHOP 7 e 29 MAGGIO 2012
STEFANO BENEMEGLIO
“IL POTERE DELLA VOLONTA’ E DELLA MOTIVAZIONE. Tu non sei
malato, sei solo infelice”
LA PAURA E L’OSSESSIONE
“Nessuna passione priva la mente così completamente delle
sue capacità di agire e ragionare quanto la PAURA”.
- Edmund Burke
La paura fa parte della nostra vita.
Non esiste un solo individuo che non l’abbia mai avvertita e vissuta sulla propria pelle.
Nella cultura occidentale, quando si fa riferimento al concetto di paura, automaticamente si viene portati a
concentrare l’attenzione su elementi quali ansia, depressione e panico, tanto è vero che spesso si arriva a
concepirli come veri e propri sinonimi.
Tale cultura, o semplicemente il pensiero comune, poiché orientati in questa direzione, arrivano a
dimenticare, a tralasciare una cosa importante: noi tutti nasciamo con la PAURA.
È infatti un elemento insito in noi tanto quanto lo sono le emozioni piuttosto che la ragione. È quindi un
fattore congenito, presente sin dalla nascita e non sono pertanto necessari particolari eventi traumatici per
generarla.
Quando diciamo che la paura è un fattore fisiologico, non diciamo nulla di nuovo. Non dimentichiamo
infatti che è una delle emozioni primarie, dominata dall’istinto e che sorge, o meglio, si manifesta al fine di
far sopravvivere l’individuo di fronte alle situazioni pericolose in cui potrebbe incappare nel corso della sua
vita. Così come l’intelligenza, che come tutti sappiamo è un qualcosa di insito nell’individuo e non di certo
frutto di creazioni “in laboratorio”, ci viene incontro nella vita di tutti i giorni al fine di risolvere situazioni in
cui è necessario aguzzare l’ingegno, allo stesso modo fa la paura di fronte alle situazioni pericolose
avvisandoci di prestare attenzione. Quando però la paura non è più scatenata da una reale situazione di
pericolo, ma piuttosto dal timore che situazioni che normalmente ci arrecano disagio si possano verificare,
ecco che diventa espressione di uno stato mentale.
Eh già, la mente. Quel gran concentrato di emozioni, passioni, sensazioni che ha la prodigiosa capacità di
vedere sempre il rovescio della medaglia di ogni cosa. Il verso e l’inverso, insomma. Ciò che vorremmo ogni
cosa fosse e ciò che poi realmente appare. È il concetto di verso ed inverso che domina la mente umana e
per questo motivo non diciamo una falsità definendola “sistema binario”. Per capire questo, è sufficiente
pensare che quando nella vita ci capita qualcosa di positivo, non è necessario che questo qualcosa si riveli
negativo perché noi possiamo arrivare a capire che in tutte le cose, che siano esse persone, eventi, idee,
esiste il lato positivo e quello negativo. La nostra mente infatti, nel momento in cui è in grado di percepire
un determinato elemento come positivo, allo stesso modo sa che tale elemento potrebbe percepirlo in
maniera negativa. È importante però tenere presente una cosa: siamo in grado di farlo, o meglio, la nostra
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Testo a cura di Francesca Setti
mente è in grado, nel momento in cui ciò che abbiamo davanti è qualcosa/qualcuno per noi SIGNIFICATIVO.
Il termine “significativo” indica l’attribuzione da parte nostra di un valore all’oggetto/soggetto della nostra
attenzione, tale da arrivare ad eleggerlo come un vero e proprio modello, che rappresenterà in sostanza il
metro di paragone che ci guiderà ogni qualvolta ci troveremo di fronte a cose/persone che vi assomigli. Lo
utilizzeremo in sostanza per valutare situazioni , piuttosto che persone, attraverso l’analogia, ossia saremo
portati a ricondurre tali situazioni o persone a situazioni, o a persone, già vissute o già incontrate in passato
in occasione della creazione del modello.
Verso e inverso agiscono sempre insieme. Non esiste infatti un qualcosa che sia solo verso o solo inverso.
Tutte le cose presentano una percentuale dell’uno e dell’altro e di questo noi siamo perfettamente a
conoscenza nel momento in cui ci troviamo di fronte all’oggetto della nostra attenzione. Quello che però
saremo portati a percepire è il fattore dominante tra i due, che ci porterà poi a sua volta ad elaborare se
l’idea, la cosa o la persona in questione è positiva o negativa per noi.
Spiegate le modalità di funzionamento di questo meccanismo, possiamo dire che la continua
contrapposizione di verso e inverso, di queste vere e proprie energie, genera necessariamente delle
conseguenze. Se è vero infatti che la nostra percezione attiene all’elemento tra i due dominante, è anche
vero che poiché siamo comunque in grado di percepire l’esistenza dell’elemento tra i due minoritario non
siamo in grado di tralasciarlo, di accantonarlo.
Proprio per il fatto che anche l’elemento minoritario assume un certo peso nella nostra mente e non siamo
in grado di lasciar tacere la sua voce, dalla contrapposizione sopra descritta non può quindi che nascere un
ulteriore elemento, ossia il SOSPETTO, frutto del ragionamento in merito all’idoneità o meno della
dominanza dell’uno o dell’altro elemento protagonisti del contrasto.
“Avere dei SOSPETTI può non essere un difetto,
ma è un grave difetto mostrarlo”.
- Milt Barber
Quando parliamo di sospetto, parliamo di una situazione dubbia, che suscita timore e diffidenza.
Chi cova SOSPETTO, ha necessariamente un DIFETTO.
Per comprendere quanto appena affermato, pensiamo ad una situazione in cui ci troviamo a sospettare un
tradimento del nostro partner senza avere le prove reali che giustifichino tale sospetto. Questo può
significare soltanto la presenza in noi di un difetto, che sia esso la mancanza di autostima, la paura
dell’abbandono affettivo piuttosto che la paura di non essere all’altezza di chi abbiamo al nostro fianco.
Questi fattori non fanno quindi altro che alimentare il sospetto d’origine.
In base a quanto finora affermato, è chiaro che DIFETTO e SOSPETTO sono strettamente connessi fra loro:
più si è sospettosi, più si è difettosi e viceversa. È proprio questo forte legame e la forza del suo significato
che ci permettono di affermare che il difetto si configura come uno dei primi turbamenti dell’uomo.
Ricordiamo che le regole della buona vita ci dicono che l’uomo è felice se persegue i suoi sogni in piena
libertà ed in pace con la propria coscienza.
Ma è proprio questa regola che ci fornisce gli spunti validi per estrapolare dalla stessa alcuni tra i primi
difetti che affliggono l’uomo.
Il primo punto trattato riguarda sicuramente la libertà nel perseguire i propri sogni: siamo realmente liberi
di farlo? (1°difetto)
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Testo a cura di Francesca Setti
Se la libertà è la capacità di decidere per se stessi, il sogno è la meta agognata della libertà. Una volta liberi
di scegliere, possiamo dedicarci alla conquista dei nostri sogni. Ma siamo realmente in grado di sognare?
(2° difetto) E soprattutto, siamo realmente in grado di conquistare i nostri sogni? Siamo realmente in grado
di abbattere gli ostacoli che si interpongono sul cammino verso il sogno? (3° difetto)
Questi quesiti trovano chiara esplicazione se di essi viene fatto un esempio chiarificatore.
Metaforicamente parlando, Giulietta e Romeo non avevano di certo problemi a sognare e a voler realizzare
tali sogni. Ma sul loro cammino si sono però interposti degli ostacoli difficilmente superabili: i loro genitori.
Non è stata la mancanza di volontà quindi ad impedire loro il raggiungimento della propria meta, ma bensì
la mancanza di quel coraggio necessario ad abbattere le difficoltà. Tutti conosciamo l’epilogo della loro
storia: l’impossibilità di affrontare le difficoltà avverse e, soprattutto, la presa di coscienza dell’impossibilità
di coronare il loro sogno d’amore li hanno condotti alla morte.
Non è tuttavia sufficiente saper affrontare gli ostacoli per ottenere ciò che si desidera. Sicuramente una
bella dose di motivazione, forza di volontà e di coraggio aiuta, ma tutto ciò non basta se non si è in grado di
conquistare i propri obiettivi.
Per poterlo fare è necessario anche apparire desiderabile agli occhi dell’oggetto del desiderio. Se non si è in
grado di fare questo, se si è incapaci di catturare letteralmente l’oggetto dei propri sogni, non si
conquisterà mai la propria meta. È sufficiente pensare a Dante e Beatrice. Dante ha cercato in tutti i modi di
rendersi affabile agli occhi di Beatrice. L’ha eletta sua musa ispiratrice, nella sua opera l’ha addirittura
affiancata alla figura della Madonna al fine di rappresentare nel migliore dei modi la venerazione nei suoi
confronti. Ma tutti sappiamo come è andata a finire. Dante ha sposato un’altra donna, ma ha sempre
amato solo e solamente lei senza tuttavia averla mai per sé.
Incapacità di superare gli ostacoli e di conquistare ciò che si desidera, rappresentano gli elementi principali
che impediscono la realizzazione dei propri sogni.
Per questo motivo possiamo dire che quando ci troviamo in una delle due situazioni sopra citate è come se
fossimo difettati. Le paure che impediscono la nostra azione o semplicemente la nostra bassa motivazione,
la nostra mancanza di coraggio, l’incapacità nella sua accezione più ampia ci rendono difettosi.
Se si ripensa al caso di Romeo e Giulietta, possiamo affermare che la loro vicenda incarna perfettamente il
problema di libertà nella sua essenza.
Come già detto in occasioni passate, il problema di libertà ha matrice genitoriale. Sono infatti i genitori a
rappresentare l’ostacolo verso il raggiungimento della meta. Il conflitto genitoriale rappresenta quindi
l’ostacolo per eccellenza quando trattiamo del problema di libertà.
Tuttavia non bisogna farsi ingannare dal termine “conflitto”. Nonostante infatti a primo impatto generi
un’impressione negativa, nella realtà dei fatti il conflitto genitoriale acquisisce connotati quasi del tutto
positivi se si pensa che svolge un’importante funzione: esso viene altrimenti definito, non a caso, “conflitto
evolutivo”, poiché consente all’individuo la formulazione della sua identità personale. Nel fare questo, il
conflitto genitoriale sopra descritto ha il ruolo di rappresentare il “modello” dal quale discostarsi.
L’individuo cercherà di dar forma alla propria identità evitando infatti quella che viene definita “emulazione
genitoriale”, ossia discostandosi il più possibile da quegli aspetti che in passato ha sempre individuato come
propri nel genitore e quindi costantemente criticato. Il conflitto genitoriale viene altrimenti chiamato
turbamento base, non solo per via del fatto che i successivi turbamenti vissuti dall’individuo, appunto detti
turbamenti relativi, saranno solamente una reincarnazione del turbamento originario, ma anche per via del
fatto che rappresenta il primo turbamento manifestato dall’individuo stesso nella sua vita.
Più il conflitto genitoriale è forte, più saranno altrettanto forti e difficili gli ostacoli che nella vita ci si
ritroverà ad affrontare per poter realizzare i propri sogni. È come assistere ad una vera e propria traslazione
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Testo a cura di Francesca Setti
e reincarnazione del conflitto genitoriale negli ostacoli della vita. Possiamo quindi affermare che l’intensità
del conflitto genitoriale è un fattore puramente soggettivo.
La genesi del problema di sogno è invece rappresentata da ostacoli interposti da terzi soggetti che sono per
noi significativi, ossia da soggetti diversi da noi stessi e dai nostri genitori.
Quando parliamo di difetto, dobbiamo tener presente che l’essere difettosi rappresenta tuttavia la
normalità. Poiché infatti tutti siamo “portatori sani” di un problema di libertà o di sogno, tutti coviamo
automaticamente un difetto.
In base a quanto affermato finora, il raggiungimento dell’oggetto del nostro desiderio è un fattore
soggettivo. Parliamo di soggettività poichè l’oggetto del nostro desiderio sarà tanto più difficile da afferrare
tanto più è forte il conflitto genitoriale, e questo per via del fenomeno della traslazione sopra citato.
Se davvero si può parlare di soggettività in questo senso, se esiste davvero un diverso grado di difficoltà per
ciascuno di noi nel raggiungimento dei nostri obiettivi, come è possibile gestire in maniera efficiente tali
difficoltà?
È necessario sfruttare le energie propulsive presenti in noi.
Se il nostro problema consiste nella presenza sul nostro cammino di ostacoli che non siamo a primo
impatto in grado di superare, allora dobbiamo far leva sulla nostra VOLONTA’ , altrimenti chiamata
CORAGGIO.
Se il nostro turbamento non è infatti esageratamente marcato, ossia lo si può ancora catalogare come
problema ordinario, la presenza di ostacoli non fa che rafforzare la volontà presente in noi venendoci in
aiuto al fine di permetterci la vittoria.
Se invece il nostro problema consiste in una difficoltà nella conquista dell’oggetto del desiderio perchè
questo ci rifiuta piuttosto che tale rifiuto ci abbatte in maniera eccessiva, allora dovremo far leva sulla
nostra MOTIVAZIONE. La parola motivazione è perfettamente esplicativa: letteralmente significa “motivo
all’azione”, pertanto dobbiamo fare in modo di avere un motivo molto forte affinchè la nostra energia
motivazionale ne tragga beneficio in favore della conquista.
Frequentemente in occasione di questi incontri si utilizza il termine “problema” facendo riferimento a
quell’ostacolo che rende difficile raggiungere un determinato obiettivo o soddisfare una certa esigenza,
frapponendosi tra la volontà dell'individuo e la realtà oggettiva.
Tuttavia, nonostante questa definizione corrisponda al vero, spesso ci si dimentica che un problema è di
fatto il risultato di un qualcosa, di un meccanismo, che ha iniziato molto prima a dispiegare i propri effetti.
È inoltre molto frequente, anzi possiamo dire addirittura che si tratti della normalità, che non ci si accorga
di covare un problema fintanto che non si arriva ad accusarne i sintomi. Sintomi che non sono altro che il
prodotto di una cattiva gestione degli ostacoli e della conquista finora descritte.
A questo proposito, è importante mantenere sempre ben saldo e chiaro un concetto fondamentale: è il
difetto, generato dal sospetto, che si manifesta sottoforma di complessi, paranoie, sensi di colpa, etc. a
impedire la vittoria e il raggiungimento dei nostri obiettivi.
Se permettiamo al difetto che è in noi di avere la meglio sulle nostre scelte, sul nostro modo di affrontare le
situazioni e sul modo che abbiamo di gestire le nostre relazioni, il risultato non può che essere disastroso.
Ci porta infatti ad una vera e propria DISSOCIAZIONE fra la nostra parte logica ed emotiva. Quando
parliamo di dissociazione, possiamo dire con certezza che nel momento in cui l’individuo accusa un
problema di tipo ordinario, che esso sia di libertà piuttosto che di sogno, è ancora perfettamente in grado
di prendere coscienza del fatto che in lui è in atto questa dissociazione, poiché è in grado di avvertirne gli
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Testo a cura di Francesca Setti
effetti. Non riesce infatti a raggiungere i suoi obiettivi, ma sa perfettamente attribuirne la causa al difetto
che è in lui. Ha quindi ben chiara la relazione di causa-effetto legata ai suoi disagi.
Il soggetto “difettato” si ritroverà a vivere una vita costellata di “lacrime e sangue”, ossia di una serie di
esperienze che oltre a limitarlo nel viversi a pieno suddette esperienze (poiché incastrato in una spirale di
meccanismi che forniscono un’immagine distorta della realtà), instillano in lui il DUBBIO, che si configura
come evoluzione e trasformazione del difetto d’origine. Una volta che il dubbio si insinua in noi, perdiamo
cognizione della relazione di causa-effetto dei nostri disagi e ci avviamo sulla strada che conduce ad un vero
e proprio problema patologico, ossia un problema di coscienza.
“Il cuore e la ragione discutevano. E il dubbio sedeva tra loro”.
- Nino Salvaneschi
Cogliamo l’occasione per ricordare nuovamente che la genesi del dubbio risiede nel conflitto che ciascuno
di noi vive con i propri genitori, o comunque con uno di loro in particolare.
Nell’intento di dar forma alla propria identità di persona, uomo ed individuo, il soggetto tende a discostarsi
dal pensiero genitoriale, evitando in tutti i modi di emulare il loro comportamento, mettendo in scena un
vero e proprio atto di ribellione.
Quest’ultimo, porta il genitore a conclamare con forza un vero e proprio rifiuto nei confronti
dell’atteggiamento tenuto dal figlio piuttosto che in merito a decisioni da lui prese. Ai suoi occhi infatti
tutto apparirà come errato e sicuramente fuori dagli schemi tradizionali, certamente non in linea con il
modo in cui egli è sempre stato abituato a veder agire il figlio. Essendo la natura del genitore quella di avere
nei confronti del figlio un istinto di protezione smisurato, egli non riuscirà mai ad accettare un fallimento
del figlio stesso, qualunque ambito della sua vita riguardi, poichè questo significherebbe necessariamente
anche un fallimento della sua immagine e figura di genitore.
L’unica carta che il genitore può giocare a suo vantaggio è dunque quella di opporsi al fallimento del figlio
attraverso la cosiddetta profezia, che, ricordiamo, può avere diversa natura: può manifestarsi sottoforma di
PRESAGIO, di INCAPACITA’ o di IMPEDIMENTO. Indipendentemente dalla forma da essa assunta, ciò che
conta è che il sol fatto che questa venga instillata nel figlio, comporta necessariamente un legame ad essa
che inconsciamente lo condizionerà in ogni situazione. Vivrà in sostanza in funzione della profezia
genitoriale, che peserà sulle sue spalle come un macigno.
Per quanto infatti ci si sforzi di non dar voce all’eco genitoriale, di non permettere alla loro opinione e al
loro punto di vista di avere il controllo del nostro modo di agire e di fare le nostre scelte, è tuttavia difficile
mettere in pratica quanto detto. Tutto questo ci permette di prendere coscienza di un fatto importante:
attraverso la profezia, i nostri genitori riusciranno sempre a “dire la loro” su ciò che ci vede protagonisti
nella nostra vita. Parliamo di vita nella sua interezza perché, come abbiamo già avuto modo di precisare, la
profezia non ha limiti di tempo e rappresenta in sostanza la SANZIONE che siamo obbligati a pagare in
seguito al nostro atto di ribellione; per la serie: “Se mi fossi comportato bene con i miei genitori, non sarei
caduto nella loro profezia”.
Quando arriviamo ad elaborare un pensiero di questo tipo, questo iniziamo a ragionare in questa direzione,
in maniera sottile arriviamo a covare una vera e propria paura, ossia la PAURA DELL’EMULAZIONE DEL
MITO GENITORIALE.
Senza nemmeno accorgerci, a questo punto della nostra trattazione siamo passati dal disquisire sul
concetto di dubbio, la cui massima espressione rappresenta la profezia genitoriale, al concetto di PAURA,
concetto con il quale, tra l’altro, Benemeglio ha aperto la serata.
Avendo a quest’ultima già dedicato ampio spazio in apertura, ora proviamo a fare un passo in avanti.
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Testo a cura di Francesca Setti
Sempre continuando sul filo del dubbio e della profezia genitoriale, possiamo a questo punto affermare con
tranquillità che nel momento in cui cominciamo a subire gli effetti della profezia stessa e incappiamo nella
paura di incorrere nella sanzione inflittaci dai nostri genitori, ecco che cadiamo nel baratro
dell’OSSESSIONE, altrimenti detta PUNTA OSSESSIVA, che si configura come effetto collaterale della paura.
“Quanti uomini conoscono la differenza tra un'OSSESSIONE che si subisce e un
destino che si sceglie?”
- Denis de Rougemont in
“L’amore e l’occidente”
L’ossessione è uno stato psicologico. È difficile darne una definizione chiara ed esaustiva, essendo un
qualcosa di mutevole, in continuo cambiamento e che può manifestarsi sotto svariate forme. Possiamo
tuttavia delinearne alcuni dei tratti salienti: sicuramente quando parliamo di ossessione e aspetti ossessivi,
facciamo riferimento ad atteggiamenti, idee e comportamenti che nella mente dell’individuo appaiono
come elementi ricorrenti. La ricorrenza, che si manifesta in maniera eccessiva, spinge l’individuo a voler
schivare tali pensieri e atteggiamenti, ma nel tentativo di farlo necessariamente fallisce. Il continuo
presentarsi di un pensiero fa sì che questo divenga tormentoso per l’individuo, sino a diventare vera e
propria fissazione. La volontà dell’individuo stesso di respingere ciò che lo tormenta, lo spinge a rivolgere
l’attenzione ad altre idee e atteggiamenti che tuttavia non fanno altro che acquisire a loro volta carattere
ossessivo.
La punta ossessiva può assumere due diverse configurazioni: può essere di tipo NEVROTICO o di tipo
PSICOTICO.
Nel primo caso, le conseguenze, o meglio, i sintomi accusati dall’individuo sono legati principalmente alla
paura del coinvolgimento emotivo. Generalmente possiamo dire che tutti coloro che accusano tali sintomi,
manifestano un problema di sogno e pertanto i sintomi stessi rientrano nella categoria dei disturbi
dell’emotività.
Quando invece parliamo di aspetti psicotici, parliamo di tutti quei sintomi e atteggiamenti legati alla paura
di decidere. Ci troveremo di fronte ad un soggetto che manifesterà stati d’ansia, di angoscia e di panico
consentendoci di affermare che il soggetto in questione altro non accusa che un problema di libertà.
Nella fattispecie della punta ossessiva di tipo nevrotico, l’individuo che si priva del coinvolgimento emotivo
sicuramente subirà un’implosione emotiva; nel caso della punta ossessiva di tipo psicotico invece, il tipo di
implosione che interesserà l’individuo sarà un’implosione legata al ragionamento.
Se l’individuo arriva a questo punto, se permette ai suoi disagi e alle sue paure di prendere il sopravvento,
sicuramente il risultato finale sarà l’evoluzione da un problema ordinario ad un problema di COSCIENZA,
caratterizzato dall’aspetto sintomatico che impedirà all’individuo di agire e conquistare in virtù del
raggiungimento dei suoi obiettivi, costringendolo a vivere in un vero e proprio limbo.
Ma come mai talvolta si perde il controllo delle proprie emozioni e della propria capacità di gestione di
queste, arrivando a toccare una punta ossessiva?
In relazione a quanto trattato finora, abbiamo avuto modo di comprendere il meccanismo che porta alla
seguente evoluzione:
SOSPETTO
DIFETTO
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PAURA
OSSESSIONE
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Testo a cura di Francesca Setti
Il meccanismo a cui facciamo riferimento prende vita da una legge dinamica: il conflitto genitoriale, che si
configura come il turbamento per eccellenza, ossia il turbamento base, è legato all’impossibilità da parte
dell’individuo di essere libero di prendere decisioni in autonomia, il che lo fa rientrare in quella categoria di
individui incapaci di gestire gli ostacoli e le difficoltà che appaiono sul proprio cammino. Il turbamento base
continuerà a presentarsi continuamente nella vita dell’individuo, in maniera sottile o in maniera manifesta,
in relazione a tutti i successivi conflitti che egli si ritroverà a gestire con i diversi protagonisti della sua
esistenza. Per questo motivo, per via cioè del fatto che sono connessi al turbamento base, come già detto
in precedenza, prendono il nome di turbamenti relativi.
Essendo il turbamento base, quel turbamento che ti impedisce di prendere decisioni in totale
indipendenza, ed essendo i turbamenti relativi legati invece ad un difetto di conquista insito nell’individuo,
possiamo affermare che questi ultimi altro non sono che turbamenti di natura derivata e questo trova
chiara esplicazione nel fatto che per poter perseguire i propri sogni (turbamento relativo) è necessario
essere liberi (turbamento base), dove per libertà ricordiamo che la Psicologia Analogica fa riferimento alla
capacità dell’individuo di prendere decisioni in autonomia. Il legame che unisce il turbamento base al
turbamento relativo è quindi un legame molto forte, che dà vita alla cosiddetta SOFFERENZA
VOCAZIONALE, intesa come quel fenomeno di traslazione del turbamento base nei vari turbamenti relativi
vissuti dall’individuo: più è forte il conflitto genitoriale, e quindi il turbamento base, più forte saranno le
difficoltà legate alla conquista dei propri obiettivi (turbamenti relativi).
Quanto appena detto non è altro che una ripetizione di quanto già detto in precedenza, quindi ciò che ci
interessa a questo punto della trattazione è fare un ulteriore passo in avanti. Tuttavia è opportuno al fine di
mantenere ben saldo il filo del discorso tornare talvolta a concetti già espressi in precedenza.
Ciò che attira la nostra attenzione ora, è scoprire quali reazioni la nostra parte logica avrà di fronte a tutto
questo, avendo finora analizzato solamente le reazioni della nostra parte emotiva.
La nostra parte logica sicuramente appare fortemente stressata e reagisce con un vero e proprio atto di
ribellione: essa infatti rifugge qualsiasi tensione che le arrechi sofferenza e desidera fortemente tensioni in
grado di arrecarle piacere. Per farlo incorre nella necessità di appellarsi, a seconda dei casi, ad un
GUARDIANO DI PORTA o ad un MASTRO DI CHIAVI. Il congegno che muove l’intero meccanismo azionato
dalla parte logica è la paura, la decisione di appellarsi all’uno o all’altro infatti non è certamente
consapevole.
Nell’ambito delle Discipline Analogiche di Stefano Benemeglio, il guardiano di porta può essere
metaforicamente definito come il “mare calmo”, ossia la sicurezza, il porto sicuro dove potersi rifugiare.
Il mastro di chiavi è invece l’emblema della trasgressione, è l’inaffidabilità allo stato puro. Maggiore è il
grado di trasgressione connesso a tale soggetto, maggiore sarà il potenziale che esso rivestirà e che potrà
sfruttare per giocare con la nostra parte emotiva. Essendo in grado, in misura nettamente maggiore
rispetto al guardiano di porta, di incidere sulla nostra sfera emotiva, altrettanto maggiore sarà il
coinvolgimento che ognuno di noi proverà nei confronti di soggetti come quelli appena descritti. Il
guardiano di porta al contrario, non avendo un potenziale tale, almeno non a livello emotivo, da poterci
coinvolgere e agganciare allo stesso modo del rivale, non otterrà mai da noi la medesima ammirazione e
venerazione.
Ecco perché la nostra parte logica, di fronte ad una espressa paura di decidere, farà appello alla nostra
parte più istituzionale, ossia al guardiano di porta, affinchè questa ci faccia da ausilio nel momento in cui
dovremo a tutti costi prendere una decisione. Per capirci, si tratta di tutte quelle situazioni della vita in cui
ci troviamo di fronte a delle difficoltà e sappiamo di poter sempre contare su una persona speciale che
sicuramente sarà in grado di aiutarci, perché per noi rappresenta un modello di sicurezza e saggezza. È
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Testo a cura di Francesca Setti
esattamente questo il meccanismo attuato dalla nostra parte logica: si appella a quel soggetto che per noi è
fonte di protezione e aiuto, che in gergo benemegliano prende il nome di guardiano di porta.
Di fronte invece ad una paura legata al coinvolgimento emotivo, la nostra parte logica farà appello alla
nostra parte più trasgressiva affinchè il suo potenziale ci permetta di uscire dai nostri blocchi nel
coinvolgimento. Nel farlo agisce in maniera molto arguta, poiché la nostre parte logica sa perfettamente
che il mastro di chiavi ha una grande capacità di incidere sulla nostra parte emotiva e di conseguenza sa
anche che siamo del tutto incapaci di resistergli. In lui sicuramente troveremo appagamento e pertanto ha
la sicurezza che i nostri blocchi troveranno espletamento.
La figura del guardiano di porta e del mastro di chiavi, come dovrebbe apparire logico a seguito della
trattazione fin qui effettuata, sono fortemente connessi al turbamento base e al turbamento relativo. Il
guardiano di porta appare fortemente connesso al turbamento base, infatti generalmente il guardiano di
porta è colui che riveste un ruolo per così dire “istituzionale”, facilmente assimilabile a quello del genitore,
causa appunto del turbamento base. L’obiettivo del guardiano di porta è quello di innalzare il potenziale del
turbamento base al fine di farlo prevalere sul turbamento relativo consentendo così di dichiarare la vittoria
della parte che per comodità definiremo “istituzionale”. Il mastro di chiavi in contraltare gioca esattamente
il ruolo contrario cercando di innalzare il potenziale del turbamento relativo al fine di consentirgli di
prevaricare su quello base, aggiudicando così la vittoria alla nostra parte trasgressiva, ossia a quella che si
ribella alla profezia genitoriale, sinonimo e genesi del turbamento base.
Il seguente schema approfondisce la tematica del legame esistente fra turbamento base e relativo e fra
guardiano di porta e mastro di chiavi, essendo più esplicativo di tante parole:
se
TURB. BASE
GUARDIANO DI PORTA
=
TURB. RELATIVO
MASTRO DI CHIAVI
PROBLEMA DI
LIBERTA’ O SOGNO
(problema ordinario)
se
Il blocco creato
rappresenta un
ostacolo che
impedisce l’azione
della MOTIVAZIONE
se
TURB. BASE
GUARDIANO DI PORTA
>
TURB. RELATIVO
MASTRO DI CHIAVI
PROBLEMA DI COSCIENZA originato da un
PROBLEMA DI LIBERTA’(paura di decidere).
Il GP è più forte del MC e crea un blocco che porta all’implosione
e il Turb. Base si riflette nel Turb. Relativo
TURB. BASE
GUARDIANO DI PORTA
<
Lo fa aprendo GRANDI
PATOLOGIE segnando
così il passaggio da pr.
Ordinario a
pr. PATOLOGICO
TURB. RELATIVO
MASTRO DI CHIAVI
PROBLEMA DI COSCIENZA originato da un
PROBLEMA DI SOGNO (paura del coinvolgimento emotivo).
Il GP è più debole del MC, il quale frena l’influenza istituzionale del genitore
e impedisce il riflettersi del Turb. Base nel Turb. Relativo
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Testo a cura di Francesca Setti
Giunti quindi all’evoluzione da problema ordinario a problema patologico, è importante prestare
attenzione alle modalità attraverso le quali è possibile risolvere un problema di questo genere.
È innanzitutto fondamentale cercare di ridurre il potenziale della parte prevaricante tra le due e questo è
possibile farlo attraverso una regressione, che ci offre la possibilità di ristabilire un equilibrio.
Fatto questo, l’individuo sarà in grado di tornare a stabilire un’analogia fra turbamento base e turbamento
relativo, cosa che con il problema di coscienza che lo affliggeva prima della regressione non era in grado di
fare. Nel momento in cui tutto ciò è possibile, ecco che siamo riusciti a ristabilire una situazione ordinaria,
ossia siamo riusciti a tornare al problema ordinario che rappresentava la genesi del problema di coscienza.
Molte altre parole e soprattutto molti altri concetti potrebbero essere espressi in merito alle tematiche
finora affrontate, tuttavia il tempo è tiranno ed è sempre troppo poco.
Al termine della serata, Benemeglio ci ricorda l’importanza di comprendere i meccanismi che sottostanno al
manifestarsi di sintomi e relativi problemi, perchè sono sostanzialmente la chiave della felicità di ciascuno
di noi. La Psicologia Analogica infatti parte dal concetto che se ciascuno di noi fosse in grado di vivere la
propria vita in maniera serena, non accuserebbe alcun sintomo poiché nessun problema lo affliggerebbe.
Solamente agendo sulle cause si possono quindi guarire gli effetti, e la consapevolezza delle modalità con
cui tali effetti si manifestano rappresentano un importantissimo e validissimo strumento per consentire
alla nostra felicità di spiccare il volo.
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