Ritratto di Jack Wilshere - Una Questione di Centimetri

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Ritratto di Jack Wilshere - Una Questione di Centimetri
Ritratto di Jack Wilshere
di Mattia Zucchiatti, 27 Gennaio 2016
Jack Wilshere è il meno inglese dei calciatori inglesi. Ma lui non lo sa e cova lo stesso il suo
jingoismo sfrenato. Sì perché se Jack Wilshere fosse vissuto negli anni ‘70 del ‘800
probabilmente al grido di “By jingo” avrebbe sostenuto le minacce imperialiste della perfida
albione di Benjamin Disraeli ma essendo un prodotto cristallino del vivaio calcistico inglese,
nato nel 1992, deve limitarsi a difendere la nazionale dei “Three Lions”.
Esatto, non toccategli la nazionale a Jack Wilshere. Ci provò l’altrettanto talento cristallino (ma
con meno personalità) Adnan Januzaj che, per via della sua tripla cittadinanza albanese, belga
e appunto inglese, avanzò una timida candidatura futura nella selezione inglese scatenando
l’ira del fiero Jack: “In nazionale possono giocare solo inglesi, dobbiamo ricordare chi siamo.
Noi siamo inglesi, contrastiamo duro e siamo difficili da battere. Se vivo 5 anni in Spagna ciò
non mi da il diritto di giocare per le furie rosse”. Una dichiarazione che scatenò l’opinione
pubblica inglese e in particolare la Football association che rivendicò la piena appartenenza
allo sport inglese di Mohamed Farah, di origine somala e campione olimpico per l’Inghilterra
nei 5.000 e 10.000 metri.
Lo stesso Wilshere probabilmente capì di aver espresso un concetto, forse giusto, ma troppo
estremo nell’esposizione. Infatti, apparve debole e poco convincente la sua risposta (“cricket e
atletica sono altri sport”) a Kevin Pietersen, giocatore di cricket sudafricano militante nella
Nazionale inglese, che gli chiese spiegazioni su twitter.
E ancor più debole appare l’argomentazione di Wilshere se pensiamo che l’allenatore che lo
fece esordire in Nazionale è di nazionalità italiana e risponde al nome di Fabio Capello.
Ma torniamo al calcio giocato. Wilshere è il meno inglese degli inglesi, dicevamo. Questa è la
tesi anche di Xavi Hernandez (“con tutto il rispetto, il suo stile di gioco non è inglese”) che in
un’intervista dichiarò di essere rimasto colpito dalle doti del centrocampista dell’Arsenal. Con
buona pace di Arsene Wenger che azzardò il paragone con Wayne Rooney. Sì perché
tralasciando l’esuberanza, quella sì tutta inglese, Jack Wilshere appare chiaramente
influenzato dallo stile di gioco e dall’importanza che un personaggio come Dennis Bergkamp
ha avuto nel mondo Arsenal. La visione di gioco eccezionale, una grande duttilità che gli
permette di ricoprire anche il ruolo di regista davanti alla difesa, alla Pirlo per intenderci, una
protezione di palla che a tratti può ricordare quella di “tottiana” memoria e un piede sinistro
che nel tiro, parafrasando una celebre battuta di un film di Verdone, può essere ferro (vedi gol
al West Bromwich) e può essere piuma (gol al Marsiglia).
Queste le caratteristiche fondamentali di Wilshere sul rettangolo verde. Arrivò all’Arsenal
all’età di 9 anni. Esordì nel 2008 in Premier League nella sfida vinta contro il Blackburn
diventando il più giovane giocatore della storia dell’Arsenal ad esordire nella massima serie.
Nel 2010 fu ceduto al Bolton per farsi le ossa e per acquistare minutaggio e nello stesso anno
esordì in nazionale. Finito il prestito tornò alla base e divenne un punto fermo dell’undici di
Wenger. “Se tutto va bene può essere il centrocampista del futuro per l’Inghilterra” dice
sempre Xavi.
Già, se tutto va bene. Nulla è scontato con Jack Wilshere e in particolar modo se si parla della
sua costanza e della sua integrità fisica. La caviglia che lo tormenta da tre anni non sembra
dargli pace e contribuisce a ridurre drasticamente il numero di presenze durante la stagione.
Dalla sua parte ha la fortuna di avere come mentore il manager più ostinato di sempre quando
si parla di talenti ovvero tale Arsene Wenger che raramente abbandona un suo pupillo anche
quando questo è in grande difficoltà. Tuttavia, l’acquisto di Ozil lasciò presagire quello che tutti
ormai avevano ben chiaro: non si può costruire l’Arsenal su Wilshere. Troppo poco affidabile e
non si parla solo di infortuni.
Passiamo quindi ad un altro aspetto della sua personalità. Wilshere, infatti, si trova al centro di
una drammatica dialettica che ancora non vede un vincitore. Da un lato il leader designato dai
tifosi a trascinare la squadra del dopo Fabregas e dall’altro lo scanzonato ragazzo sempre in
cerca di divertimenti che spesso oltrepassano il limite della normale vita professionale di uno
sportivo. Ed ecco che nel 2011 venne arrestato per aggressione ai danni di un tassista e, per due
volte nel giro di due anni, immortalato dai paparazzi in una villa a Las Vegas in compagnia di
sigarette e alcol. “Ho sbagliato, ho figli e non voglio che pensino che loro padre fumi” in questo
modo si scusa Wilshere che però non sembra più in grado di sfuggire alle etichette di “bad boy”
della severa stampa britannica. Etichette che si fecero più insistenti dopo il dito medio
mostrato ai tifosi del Manchester City dopo una pesante sconfitta con i citizens e dopo i cori ai
tifosi del Tottenham. E qui apriamo un nuovo discorso: il derby nord di Londra. In assoluto, il
derby Arsenal-Tottenham è tra le stracittadine più sentite d’Inghilterra e gli sfottò ovviamente
non possono mancare. Wilshere, infatti, durante i festeggiamenti per la FA cup vinta nel 2014 (
suo primo trofeo) si rivolse al pubblico di fede Gunners con la domanda “What do you think of
Tottenham?”- “Shit”, la risposta dei tifosi che cominciarono ad adorare sempre più il ragazzo di
Stevenage, tanto da minacciare di morte il compagno di squadra Gabriel Paulista che
sfortunatamente gli causò un nuovo infortunio in allenamento. Sempre più gunner, sempre più
anti spurs, Wilshere ha incanalato alla perfezione gli umori di una tifoseria e di una squadra
che si vede ormai da parecchi anni attribuito l’appellativo di eterna incompiuta e sfodera nelle
prestazioni e nei comportamenti quella rabbia agonistica che i tifosi gli trasmettono.
Anche Wilshere sarà l’eterno incompiuto? Wilshere come Balotelli? Macché, Wilshere vincerà
la sua sfida. A differenza di Mario, ha dalla sua parte tifosi, compagni, manager e il carisma di
un leader che ancora non è ma che sarà. E poco importa se Gareth Bale in un derby lo
apostrofò “midget” (nano) perché nello spogliatoio e nell’ambiente Arsenal, Jack Wilshere
assume quasi le sembianze di un gigante.
E se tutte le potenzialità saranno espresse, non c’è Kane che tenga, il leader del calcio inglese
sarà lui. Arrogante, talentuoso e anche un po’ simpatico.
Evviva Jack Wilshere.