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Una «filiera integrata» per le sfide del futuro
Spunti, riflessioni e proposte dal tavolo di venerdì 23 settembre
27 settembre 2016
Clicca qui per scaricare la presentazione di Gianfranco Tosini
Overcapacity, frammentazione del mercato, erosione di redditività, pratiche di dumping. Sono i macrotemi – o, meglio, problemi – evidenziati venerdì 23
settembre da Gianfranco Tosini (Ufficio Studi Siderweb) nell’introduzione dei lavori del tavolo «Geografia e Mercato dell’Acciaio» di Stati Generali
dell’ACCIAIO. Un incontro partecipato, intenso, carico di spunti di rilievo, aperto dal presidente di Siderweb Emanuele Morandi e dal direttore
generale Lucio Dall’Angelo. A coordinare i venti partecipanti è stato Stefano Ferrari, responsabile dell’Ufficio Studi Siderweb. A tener banco nella
discussione, tra le altre, una domanda fondamentale: è la Cina è la causa di tutti i mali della siderurgia? Sì, no, forse.
Le colpe della Cina (e le nostre)
Luigi Cuzzolin (Pipex) si è detto «stanco di sentire che il problema è la Cina. Negli Stati Uniti i cinesi non vendono e in Europa sono esclusi per alcune
categorie di prodotto». Quale sarebbe dunque la paternità dei grattacapi che rovinano il sonno alla siderurgia? Proprio «i suoi attori storici – incalza
Cuzzolin – i player del mondo occidentale. Sono rimasti pochi, se non nessuno, i mercati da aggredire, senza contare che il sistema creditizio non ci
sostiene». Insomma, ci stiamo tirando la zappa sui piedi. E se nei prossimi vent’anni si potrà vivere ancora di siderurgia, è la provocazione finale di Luigi
Cuzzolin, sarà solo perché «torneremo pubblici».
I prossimi 15 anni
A integrare le prospettive dipinte dal direttore generale di Pipex è Tommaso Sandrini, presidente di Assofermet Acciai, il quale sottolinea come i
prossimi 15 anni «saranno meno steel intensive rispetto al quindicennio appena passato. Lo scenario attuale, già complesso, si complicherà
ulteriormente»: in particolare, la crescita rallenterà ancora, le commodity si sgonfieranno via via e l’incertezza aumenterà. Che fare dunque? «Innovare i
processi interni – è la ricetta di Sandrini – e rivedere le modalità in cui la filiera comunica e collabora». Ricetta che si lega a doppio filo a quanto avviato da
Manni Group, come ha spiegato il presidente Giuseppe Manni: «Fino al 2008 il nostro mercato di riferimento era l’Italia con il 95% del fatturato totale, un
mercato che in questi anni ha perso il 50% dei volumi». Ragion per cui il gruppo veronese, nella consapevolezza che sia impensabile un ritorno dell’edilizia
ai livelli pre crisi, ha investito «100 milioni, di cui 40 destinati all’efficientamento e al personale e 60 per la creazione di unità produttive all’estero». Ciò che
emerge dall’esperienza di Manni Group è che il lavoro – inteso come operatività d’azienda e ruolo occupazionale – dovrà vestirsi di una nuova cultura,
preparazione e capacità di fronteggiare scenari nuovi. Anzi, lo scenario nuovo: «La digital transformation – prosegue Manni – per cui abbiamo
stanziato 5 milioni su tre anni». Ma qui affiora un altro nodo che dovrà trovare un balsamo per essere sciolto: l’eccesso di colletti bianchi. Infatti tanto più i
processi saranno efficienti e automatizzati, quanto meno saranno necessarie persone. Persone che però potranno essere orientate su altri fronti, per
esempio sulla strutturazione, organizzazione e gestione di un processo che è stato citato più volte nel corso dell’incontro: la filiera integrata,
un’interconnessione sempre più stretta fra produttori e clienti finali fatta di comunicazioni immediate e prodotti tarati specificamente sulle esigenze
del cliente. In tal senso le persone attive nella distribuzione diventeranno «dei veri e propri consulenti – riprende Sandrini – e le aziende saranno partner
dei loro clienti».
Il problema sociale
In un contesto simile, naturalmente, non si può non parlare di interventi pubblici: le aziende da sole non riescono a sostenersi, non sempre trovano
adeguata sponda nel credito e pertanto devono poter contare sul soggetto pubblico che, secondo Francesco Semino (direttore relazioni esterne
Acciaierie Venete), «dovrà fare anche da regia complessiva sui fenomeni da arginare». Quali, per esempio, la gestione del problema sociale legato alla
chiusura delle imprese o al taglio di produttività e il sovraffollamento produttivo che contraddistingue in particolare alcuni comparti come quello dei
prodotti lunghi, a fronte di una maggiore concentrazione nei piani. Non è nemmeno pensabile, d’altro canto, «che tutti si attrezzino per elevare la qualità
dei prodotti, altrimenti ci troveremmo a fronteggiare il medesimo problema spostato però sui top di gamma». Sempre nell’opinione di Semino, le istituzioni
europee dovrebbero rivedere la normativa antitrust - «Un ostacolo alla necessaria concentrazione del settore» - mentre quelle italiane dovrebbero
mettere mano alla legge fallimentare, rendendo più rapidi i relativi procedimenti.
Combattere la debolezza e la frammentazione
Giuseppe Pasini, presidente di Feralpi Group, interviene esprimendo una posizione intermedia fra quelle precedentemente emerse. Secondo Pasini,
infatti, il problema non è la Cina, «ma anche la Cina, senza negare che pure noi europei abbiamo la nostra parte di colpa». Prendendo come esempio
positivo il protezionismo statunitense, Giuseppe Pasini passa poi a interrogarsi sul futuro: «Se è vero com’è vero che nei prossimi 15 anni la popolazione
aumenterà di un miliardo nei Paesi emergenti, perché non spostarsi là? Semplice: perché non abbiamo le dimensioni per farlo». Riflessione che, ancora
una volta, richiama al bisogno di maggiore integrazione fra gli operatori del settore. Antonio Marcegaglia, presidente dell’omonimo gruppo, è invece
convinto che ragionare in termini di protezionismo sia ormai «anacronistico, tanto più in un mondo che si evolve così rapidamente». Ciò non toglie che le
operazioni di dumping che distorcono le logiche di mercato «debbano essere corrette, anche perché non c’è nessun elemento che a oggi qualifichi la
Cina come economia di mercato». Il presidente del Gruppo Marcegaglia fa notare come il mercato americano e quello europeo «non siano in alcun modo
paragonabili. Da noi il consumo continuerà a essere modesto e parallelamente l’Europa continuerà a soffrire il deficit competitivo». Motivo? Non ci
sono materie prime, i costi dell’energia e del lavoro non sono concorrenziali e gli oneri ambientali sono destinati ad aumentare. Dinanzi a tale contesto,
«isolarci non è di certo la soluzione», ravvisabile invece – ancora una volta – in una riconfigurazione della filiera, allargabile a Paesi come «Turchia,
Russia o Iran». Antonio Marcegaglia conclude introducendo la sua visione di «cambio di cultura»: «Dobbiamo aprirci verso altri Paesi potenzialmente
partner e non scagliarci contro tutti».
Piani vs lunghi
Visto quanto è composito il mercato della siderurgia, non poteva mancare una riflessione sulle differenze tra lunghi e piani. Enrico Fornelli, direttore
commerciale di Afv Beltrame, sottolinea come la situazione «sia molto differente tra piani e lunghi. La sovraccapacità nei lunghi è significativa, su alcuni
prodotti si arriva anche al 30-35%». Nella visione di Fornelli la siderurgia soffre del fatto che «nessuna azienda chiuda mai davvero, in quanto spesso gli
impianti delle imprese fallite vengono rilevati e fatti funzionare dai competitor». Fortunatamente, incalza il direttore commerciale del Gruppo vicentino,
«siamo guariti dalla “tonnellite” e stiamo capendo che gli sforzi devono essere orientati sul recupero di redditività, su investimenti sul personale e
sulla catena distributiva». In poche parole serve un cambio radicale di approccio, soprattutto nei confronti della clientela. «Attualmente siamo come un
acquedotto che perde, inseguiamo il prezzo più basso ma così facendo la battaglia è persa in partenza. Dovremmo selezionare meglio i clienti e recuperare
il rapporto, razionalizzando i prodotti e migliorando la supply chain».
La parola al rottame
Non è possibile riunire attorno a un tavolo i principali player della siderurgia senza parlare di rottame. Argomento affrontato dal presidente di
Assofermet Rottami Paolo Pozzato. «Intendiamo far crescere la cultura della categoria – ha detto – per troppo tempo considerata al limite del rispetto
delle norme e molto chiacchierata. Ma la coscienza ambientale è cambiata e stiamo assistendo a diversi investimenti in tal senso, pertanto siamo convinti
sia arrivato il momento per fare un ulteriore salto di qualità». Assofermet sta predisponendo un decalogo a beneficio dei fornitori di rottame, una
sorta di modello comportamentale di riferimento, premessa alla creazione di una filiera certificata del rottame in stretta collaborazione con le acciaierie.
«L’obiettivo – chiude Pozzato – è quello di aumentare efficienza e qualità aiutando tutti a diventare più virtuosi».
Il ruolo delle istituzioni
«Il problema della sovrapproduzione è più che acclarato; la soluzione va ricercata non soltanto sul lato dei costi ma puntando sul servizio alla clientela e
sulla proattività ambientale». Ha aperto così il suo intervento Giuseppe Cavalli, direttore generale di Alfa Acciai, convinto della necessità «di un
ragionamento che abbracci l’intera catena del valore. In base a quanto rottame ci sarà in Europa nei prossimi anni riusciremo ad aprirci dei varchi verso i
Paesi in via di sviluppo e rivedere il business. Gli spazi per lavorare ci sono, come pure per dare valore aggiunto al nostro lavoro e ai nostri prodotti».
Diventare una lobby
A chiudere il tavolo è stato il direttore generale di Federacciai Flavio Bregant. «Non è vantaggioso che sul mercato ci siano due o più soggetti che fanno
la stessa cosa – ha affermato – pertanto è bene pensare a qualche razionalizzazione che ci consenta di avere in mano gli strumenti per presentarci alle
istituzioni non per chiedere una difesa, ma un sostegno costruttivo». Fare lobby, non più su normative e proposte calate dall’alto dal pubblico, ma su
proposte in grado di ottenere gli strumenti mirati di cui necessitiamo.
Cosa ne pensano credito e consulenza?
Seduti attorno al tavolo c’erano anche i rappresentanti del mondo del credito e della consulenza, rispettivamente Fabio Bragantini e Costantino Miri per
Banco Popolare e Marco Serafini di EY. Miri ha affermato che «in un contesto come quello del tavolo di Stati Generali, siamo convinti che le banche
debbano accompagnare le imprese a stare al meglio sul mercato e per questo siamo qui, per capire cosa ci si aspetti da noi». Serafini, dal canto suo, ha
messo l’accento sulla valenza «della messa a fattor comune delle buone pratiche di ciascuno» e ha sintetizzato come i piani di ragionamento siano due,
da non sovrapporre: quello delle leve aziendali di ciascuna impresa e quello delle leve del Sistema Paese.
Le conclusioni di Emanuele Morandi
Il presidente di Siderweb Emanuele Morandi ha tratto la sintesi dell’incontro evidenziando l’opportunità «di far valere i nostri punti di forza, anziché
nascondere le nostre debolezze. Abbiamo specificità chiare e definite, superiamo le difficoltà e creiamo davvero una “filiera integrata”, un concetto che mi
piace molto perché si lega a doppio filo con il motto scelto per la prossima edizione di “Made in Steel”, “Stronger Together”. Mettiamo in discussione le
nostre conoscenze e rendiamole sempre più traversali guardando anche ad altri settori, a chi è più bravo di noi e restando aperti alle contaminazioni.
Questa è l’ultima occasione a disposizione del manifatturiero italiano e dell’acciaio, cerchiamo di coglierla e di coglierla al meglio».
R. M.