Commiss. Trib. Reg. Lombardia Milano Sez. XXXIV, Sent

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Commiss. Trib. Reg. Lombardia Milano Sez. XXXIV, Sent
Commiss. Trib. Reg. Lombardia Milano Sez. XXXIV, Sent., 13-04-2015, n. 1453
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con autonomi atto di ricorso depositati tempestivamente, l'ufficio e la società (...) interponevano
appello alle sentenze in epigrafe con cui i Giudici di prime cure, rispettivamente, accoglievano (con
sentenza n. 83/16/13) e respingevano (con sentenza n. 862/36/14) i ricorsi promossi dalle due
società in questione avverso il medesima avviso di liquidazione dell'imposta n. (...), relativo all'
imposta di registro, anno 2008.
La pretesa erariale traeva origine dall'attività ispettiva svolta dalla Guardia di Finanza - Nucleo di
Polizia Tributaria di Milano, eseguita per l'anno 2007, nei confronti della società (...) , al termine
della quale veniva redatto il relativo P.V.C., contenente rilievi fiscali.
Era infatti emerso che in data 21 novembre 2007 la suddetta (...) aveva costituito la società
appellante (...) a socio unico, con capitale sociale di Euro. 20.000,00.
In esecuzione di un aumento di capitale sociale da Euro. 20.000,00. ad Euro. 100.000,00. con
sovrapprezzo di Euro. 39.420.000,00. deliberato in data 13 dicembre 2007 dalla neo costituita (...) ,
la società (...) con atto registrato a Milano il 4 gennaio 2008, al n. 17, serie 1T, conferiva in tale
società appellante il ramo d'azienda relativo alla galleria commerciale del centro commerciale sito
in Pavia (immobile, autorizzazioni commerciali, beni, rapporti giuridici, crediti e debiti) per un
valore complessivo netto di conferimento pari ad Euro. 39.500,000,00..
Quale corrispettivo di tale conferimento, veniva assegnata alla (...) una partecipazione della società
conferitaria del valore nominale di Euro. 80.000,00., imputando la differenza rispetto al valore
contabile netto di conferimento a riserva sovrapprezzo.
In data 21 dicembre 2007, la (...) trasferiva, con atto registrato il 10 gennaio 2008, la quota di
partecipazione appena ricevuta, quale corrispettivo del conferimento, dalla (...) , alla società
appellante (...) (già (...) ) al prezzo di Euro. 42.699,138,48..
Sulla base di ciò l'ufficio, individuando in tale complessa operazione posta in essere la cessione di
un ramo d'azienda, procedeva ad emettere l'avviso di liquidazione sopra citato, con il quale a'sensi
dell'art. 20, D.P.R. n. 131 del 1986, riqualificava l'intera operazione come "cessione di ramo
d'azienda", accertando maggiori imposte complementari di registro per Euro. 3.158.290,00.,
ipotecaria per Euro. 1.350,500,00. e catastale per Euro. 675.250,00., oltre interessi.
Avverso tale atto impositivo, le società (la (...) in qualità di acquirente e la (...) in qualità di
coobbligata) proponevano autonomi ricorsi con i quali ne chiedevano l'annullamento.
L'ufficio si costituiva in giudizio eccependo la bontà del proprio operato, del quale chiedeva la
conferma.
Con autonome sentenze, emesse da differenti sezioni della medesima C.T.P. di Milano, i primi
Giudici esprimevano pareri contrastanti. Con la sentenza n. 83/16/13 del 25 febbraio 2013,
depositata il 15 marzo 2013 infatti, veniva accolto il ricorso della (...) (acquirente), con conseguente
annullamento dell'atto impugnato; le spese di giudizio venivano compensate. Con la sentenza n.
862/36/14 del 27 giugno 2013, la Sezione 36 respingeva, invece, il ricorso proposto dalla società
(...) (società conferitaria ceduta), confermando così il medesimo avviso di liquidazione annullato
con la sentenza sopra citata e condannando parte ricorrente al pagamento delle spese processuali
liquidate in Euro. 6.700,00..
Con proprio appello depositato l'8 novembre 2013 l'ufficio impugnava la sentenza n. 83/16/13,
ritenuta infondata ed erronea.
Ribadiva, in primis, il fatto che risultava palese come le operazioni poste in essere e tra loro
collegate avessero realizzato una cessione d'azienda; dette operazioni, a suo dire, costituivano infatti
il frutto di un'attenta ed analitica pianificazione fiscale volta a conseguire un rilevante risparmio
d'imposta.
Da ciò ne derivava, a suo dire, tenuto altresì conto della giurisprudenza della Corte di Cassazione in
materia di "abuso del diritto" che per effetto dell'art. 20 dei D.P.R. n. 131 del 1986 la fattispecie in
esame, così come individuata nell'atto impositivo, dovesse scontare le imposte proporzionali di
registro, ipotecaria e catastale nella misura propria della cessione d'azienda.
L'AdE riteneva, pertanto, che la C.T.P. adita, rigettata l'eccezione di nullità della notifica, avesse
erroneamente accolto le doglianze di parte ricorrente sull'assunto per cui l'ufficio avrebbe applicato
l'ipotesi dell'abuso di diritto, tento conto che nel caso di specie, secondo i primi Giudici, i singoli
atti registrati apparivano autonomi in quanto aventi soggetti e finalità differenti.
Tenuto conto dell'assorbimento dell'eccezione relativa alla violazione del contraddittorio, l'ufficio,
appellante con riferimento al procedimento R.G.A. 5392/13, precisava che nel caso di specie la
normativa citata dalla società non era applicabile in quanto relativa agli avvisi di accertamento.
L'ufficio, ex adverso, aveva proceduto all'emissione di un avviso di liquidazione con il quale aveva
provveduto a liquidare maggiori imposte senza tuttavia operare alcuna rettifica di valore, Per tale
motivo, a suo dire, trattandosi di un recupero della differenza tra l'imposta versata al momento della
registrazione e quella dovuta in misura proporzionale e non essendovi alcuna possibilità di
instaurare tra A.F. e contribuente un contraddittorio, non erano applicabili, al caso in oggetto, le
norme citate dalla allora ricorrente Union Investment. Aggiungeva a ciò il fatto che, in ogni caso,
nessuna norma imponeva l'instaurazione di un contraddittorio con la parte in caso di emissione di
avviso di liquidazione.
Sulla fondatezza e legittimità della riqualificazione giuridica operata, lo stesso ufficio evidenziava
che l'intera operazione posta in essere dai soggetti giuridici era riconducibile ad una effettiva
cessione di ramo d'azienda.
Motivava l'affermazione sostenendo che la scelta del conferimento atteneva esclusivamente alle
modalità attuative con le quali le parti avevano strutturato l'operazione di cessione del suddetto
ramo d'azienda. L'atto di conferimento e la successiva cessione di quote realizzavano, a suo dire,
nella sostanza, effetti parziali che, sebbene autonomi dal punto di vista civilistico, secondo le norme
speciali e settoriale dettate in materia di imposta di registro, risultavano meramente strumentali
rispetto all'effetto giuridico finale dell'intera operazione costituente una fattispecie complessa ed
orientata ad una cessione.
In riferimento alla presunta violazione e falsa applicazione dell'art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986,
così come deciso dai primi Giudici, l'ufficio ribadiva la correttezza e la legittimità dell'applicazione
di tale norma al caso di specie, evidenziando che l'imposta di registro andava applicata attribuendo
preminenza al dato giuridico reale, conseguente alla natura intrinseca degli atti ed ai loro effetti
giuridici, piuttosto che al dato formale enunciato frazionatamene negli atti presentati alla
registrazione.
A supporto di quanto sostenuto, citava giurisprudenza di legittimità e di merito favorevole
all'ufficio.
Riteneva pertanto erronea ed infondata la pronuncia di primo grado, in quanto risultava palese che i
negozi posti in essere erano solo formalmente autonomi, in quanto collegati tra loro e tendenti al
raggiungimento di un unico scopo; per tale motivo, a suo dire, erano da ritenere produttivi di un
unico effetto giuridico rilevante ai fini dell'art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986.
Alla luce di ciò, l'AdE invocava la nullità dell'impugnata sentenza e, in riforma della stessa,
chiedeva l'accoglimento del proprio appello.
La società appellata (...) in data 16 dicembre 2013 si costituiva in giudizio e proponeva proprìe
controdeduzioni con le quali replicava all'ufficio, riproponendo anche le eccezioni già sollevate in
primo grado.
In particolare, eccepiva la correttezza della sentenza impugnata e l'infondatezza delle
argomentazioni di controparte con riguardo alla violazione e alla falsa applicazione dell'art. 20
sopra citato.
Sottolineava preliminarmente che, a dispetto delle sentenze menzionate dall'ufficio, si era formato
altresì un consolidato orientamento giurisprudenziale a favore del contribuente.
Al riguardo evidenziava infatti che, come già osservato nel corso del primo grado, la circolazione di
un complesso aziendale poteva avvenire non solo attraverso la sua diretta cessione a terzi, ma anche
mediante il ricorso a strumenti alternativi quali, appunto la cessione delle partecipazioni, il
conferimento o la scissione.
Con riferimento alla riqualificazione operata dall'ufficio, la società ne contestava l'illegittimità e
l'infondatezza, così come rilevato dai primi Giudici.
Evidenziava, al proposito, che nell'ambito delle imposte dirette, ove esisteva la c.d. clausola
antielusiva generale di cui all'art. 37 bis del TUIR, il conferimento dell'azienda e la successiva
cessione della partecipazione ricevuta non erano da considerare operazioni elusive (non rilevano ai
fini del suddetto art. 37 bis del TUIR), così come previsto dall'art. 176, comma 3 del TUIR.
A suo dire tale norma, essendo generale, era da considerare valida anche ai fini delle imposte
indirette e, quindi, anche al caso di specie.
In ogni caso, l'appellata società lamentava l'erronea applicazione da parte dell'ufficio dell'art. 20 del
D.P.R. n. 131 del 1986.
Contestava inoltre l'insussistenza di elusione o di abuso di diritto nel caso di specie, dal momento
che non ricorrevano gli elementi caratterizzanti l'aggiramento delle norme al mero fine del
conseguimento di un indebito vantaggio d'imposta, in quanto si erano prodotti gli effetti
economico/giuridici tipici del conferimento di ramo d'azienda e della successiva cessione di
partecipazioni, ma non, a suo dire, quelli tipici della vendita di ramo d'azienda.
Dal momento che il conferimento d'azienda e la successiva cessione delle partecipazioni non
costituivano operazione elusiva per espressa disposizione di legge, riteneva che l'ufficio avesse
emesso un atto illegittimo, correttamente annullato dai primi Giudici.
A ciò aggiungeva che lo stesso atto era illegittimo in quanto emesso a seguito dell'utilizzo
improprio ed illegittimo dell'art. 20 del T.U. da parte dell'AdE; a suo dire, infatti, nel caso di specie,
l'art. 20 era tecnicamente inapplicabile al caso de quo tenuto anche conto che l'imposta di registro
costituiva "imposta d'atto", il cui presupposto imponibile era sempre e soltanto l'oggetto di ciascun
singolo atto presentato per la registrazione.
Per tutto quanto esposto, l'appellata società chiedeva il rigetto dell'appello dell'ufficio e la conferma
della sentenza di primo grado.
Con proprio appello depositato il 29 maggio 2014, la società (...) (in qualità di soggetto
coobbligato) impugnava la sentenza n. 862/36/14, ritenuta illegittima ed erronea.
La parte lamentava altresì il fatto che i primi Giudici avevano respinto il ricorso ponendosi così in
contrasto con la sentenza n. 83/16/13 (il cui procedimento è qui riunito) pronunciata dalla medesima
C.T.P. di Milano il 25 febbraio 2013 e depositata il 15 marzo 2013 e prodotta in sede di giudizio di
primo grado.
L'appellante lamentava pertanto l'illegittimità dell'impugnata sentenza per carente e contraddittoria
motivazione, dal momento che aveva del tutto ignorato il fatto che il medesimo avviso di
liquidazione fosse già stato annullato da altra sezione della medesima C.T.P.; aggiungeva a ciò
l'infondatezza delle argomentazioni in quanto riferite al tema dell'abuso di diritto, fattispecie ben
diversa, a suo dire, da quello della riqualificazione in tema di imposta di registro.
Lamentava poi il fatto che il Collegio di prime cure avesse considerato infondata l'eccezione di
nullità dell'atto impositivo per carenza di legittimazione passiva della società, ritenuta coobbligata
in solido per il solo fatto di essere parte dell'operazione posta in essere. Al proposito, la società
evidenziava di essere stata soltanto la società trasferita da un soggetto ad un altro soggetto e,
pertanto, non costituiva né parte venditrice e neppure parte acquirente.
Lamentava poi la violazione del principio del contraddittorio di cui agli artt. 6 e 12 della L. n. 212
del 2000 (c.d. Statuto del Contribuente), eccezione assorbita dai primi Giudici, nonché la carenza
dei presupposti legittimanti l'applicazione dell'art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986. A tal proposito,
eccepiva e ribadiva quanto già esposto dall'altra appellante in sede di controdeduzioni.
Concludeva invocando, previa riunione del procedimento con quello rubricato al n. R.G.A. 5392/13,
la riforma dell'impugnata sentenza e l'accoglimento dell'appello.
L'ufficio si costituiva in giudizio il 22 settembre 2014repliando alle eccezioni di controparte e
ribadendo la legittimità e la correttezza dell'applicazione dell'art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986, così
come già argomentato in sede di appello avverso la sentenza n. 83/16/13.
Concludeva chiedendo la conferma dell'impugnata sentenza e il rigetto dell'appello della società.
La Sezione giudicante, riuniti gli appelli per connessione oggettiva, così decide.
Conferma la pronuncia di primo grado n. 83/16/13 emessa dalla Commissione Tributaria
Provinciale di Milano in quanto la ritiene prima facie completa ed esaustiva e riforma la pronuncia
n. 862/36/14 emessa sempre dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano. Le motivazioni e
le ragioni vengono qui evidenziate.
Per capire meglio il problema, oggetto dell'odierno contendere, a giudizio di questo Collegio
giudicante, l'ufficio per giungere nella determinazione di ricavare l'avviso di liquidazione con
l'imposta di registro, ove la stessa era di importo robusto (rispetto alla di gran lunga minor cifra
pagata a suo tempo) ha dovuto riunire fra di loro gli effetti di più atti notarili, con i quali erano stati
posti in essere distinti negozi giuridici. La preoccupazione principale dell'ufficio è stata quella di
collegare fra di loro fatti economici di contenuto diverso, da contratto a contratto, anche se legittimi.
L'intento principale di questo Giudice d'appello verte invece nel dissociare tali atti fra di loro, così
come contrariamente sostenuto dal funzionario con i propri atti di liquidazione (imposta di registro,
anno 2008), considerando ogni singolo atto l'uno diverso dall'altro, come in effetti lo è, mettendo in
risalto, quindi, la loro singola autonomia.
Per la parte di merito, vale a dire la costituzione di nuova società, la fase di aumento del capitale
sociale, il conferimento del ramo d'azienda, l'assegnazione della partecipazione della società
conferitaria e il trasferimento della partecipazione, questo Giudice d'appello si riporta integralmente
a quanto dettagliatamente indicato nella parte descrittiva della presente sentenza.
L'ufficio, con notevole sforzo interpretativo, ha fatto ricadere nella fattispecie di cui all'art. 20 del
D.P.R. n. 131 del 1986 i negozi giuridici sopra citati, strutturalmente e funzionalmente collegati al
fine di produrre un unico effetto giuridico finale.
Gli stessi sono stati considerati ai fini dell'imposta di registro, come un fenomeno unitario, il cui
scopo ultimo era quello di giungere alla cessione d'azienda.
L'ufficio procedendo alla riqualificazione ai soli fini tributari degli atti sopra citati, provvedeva in
tema di imposte di registro, alla tassazione con l'imposta proporzionale sul prezzo pagato, ottenendo
così, da dette valutazioni un'imposta complessiva, ai fini di imposte indirette, di gran lunga
superiore all'imposta fissa di Euro 168,00.
Questo Collegio giudicante d'appello, tenuto conto di quanto sopra descritto, condivide in modo
appieno l'operato del Collegio di primo grado, per quanto riguarda la pronuncia 83/16/13 in quanto
nel caso de quo non si è in presenza di operazione elusiva, a' sensi dell'art. 20 del D.P.R. n. 131 del
1986, e riforma la pronuncia n. 862/36/14, sempre per le medesime argomentazioni.
Gli atti economici sopra descritti, che sono poi sfociati in atti notarili autonomi fra loro, devono
essere considerati indipendenti l'uno dall'altro e, quindi, gli stessi non possono essere caratterizzati
da collegamento negoziale, in quanto sono intervenuti fra soggetti diversi.
Secondo questo Giudice d'appello, le scelte economiche devono essere lasciate alla libertà
dell'imprenditore e, pertanto, i fatti aziendali che ne derivano (ad esempio cessioni di quote o atti di
fusione e quant'altro) non possono subire un'analisi critica, o non corretta da parte
dell'amministrazione finanziaria. L'imprenditore é libero di fare le scelte aziendali che meglio gli si
addicono, con riguardo al contesto sociale in cui viene a trovarsi, senza elementi di criticità e di
censura che, purtroppo, portano ad interpretare in modo diverso, il vero negozio giuridico compiuto,
anche con fatica, dall'imprenditore. L'ufficio non può, a giudizio di questo Consesso, riqualificare
l'atto che deve tassare, ma deve limitarsi ad esigere imposte che il negozio giuridico, così intestato o
denominato, anche ai fini della legge notarile, fa scaturire in capo ai contraenti stessi.
L'elemento ostile addotto dall'ufficio, avvalorato nel caso de quo anche dal primo Consesso
giudicante, (almeno per la pronuncia n. 862/36/14), che ha considerato la natura degli atti posti in
essere come fatti di un'unica operazione di cessione d'azienda, con l'unico scopo di assoggettare a
tassazione in materia di imposta di registro, nella misura proporzionale, sulla base dell'applicazione
dei dettami di cui all'art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986, non regge affatto.
Nel caso specifico, non si è in presenza di negozi giuridici strutturalmente e funzionalmente
collegati al fine di produrre un unico effetto giuridico finale, che per l'imposta di registro, devono
essere considerati come un fenomeno unitario. Tutto questo non può ricondursi ad un unicum
negoziale. I comportamenti contrattuali e la "consecutio" degli atti negoziali posti in essere, non
sono da considerarsi, come ha fatto l'ufficio, produttivi di un unico effetto giuridico - tributario, ma
devono essere visti come negozi giuridici autonomi e non collegabili fra loro, perché sono
indipendenti l'uno dall'altro.
L'ufficio, partendo dall'assunto generale "dell'abuso di diritto" è riuscito a intendere l'artificioso
utilizzo di schemi giuridici leciti, con il principale motivo di ottenere un vantaggio fiscale, che nel
caso in esame ha causato - a suo dire - per le società in esame, il risparmio di imposta, in tema di
imposizione indiretta, alquanto notevole. A giudizio del Collegio giudicante non è vietato al
contribuente ricercare legittimamente il risparmio d'imposta, così come garantito da più articoli
della Costituzione, con la scelta di atti che gli consentono tutto questo.
Nel caso in esame non si è in presenza di elusione d'imposta, così come sostenuto dall'ufficio, in
quanto, le parti ricorrenti non hanno "raggirato" norme fiscali.
Con gli atti sopra descritti, per il Consesso, non si è in presenza di comportamenti che possono aver
sfociato nell'elusione mediante l'uso di strumenti contrattuali e di documenti ad essi connessi. La
fattispecie in esame non può rientrare in un contesto elusivo, e quindi nel citato abuso di diritto. Le
operazioni poste in essere con gli atti sopra descritti non integrano gli estremi del comportamento
abusivo, in quanto la finalità elusiva non è stata posta come elemento predominante ed assorbente,
nei medesimi atti. Pertanto il contenuto giuridico deve essere riqualificato sulla base di ogni singolo
atto, con la specifica finalità economica, e non come complessiva serie di atti, disconoscendo i
singoli effetti fiscali. Vi è di più. L'imposta di registro ha ad oggetto gli effetti giuridici dell'atto
presentato per la registrazione, e non i suoi effetti economici. E' assolutamente illegittimo l'operato
dell'ufficio che, in mancanza di una specifica norma di legge, (attualmente tanto auspicata), come
quella dell'abuso di diritto, pretenda di interpretare unitariamente, attraverso la configurazione di
un'unica presunta causa negoziale, quelli che sono in realtà distinti atti giuridici, assoggettati nel
sistema dell'imposta di registro, che è "un'imposta di atto" a distinta ed autonoma imposizione.
Ogni atto è autonomo, e come tale, va trattato. Alla luce delle argomentazioni e motivazioni sopra
esposte, la sentenza qui impugnata n. 83/16/13 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano
trova conferma, mentre viene riformata la sentenza qui impugnata n. 862/36/14, sempre della
Commissione Tributaria Provinciale di Milano. Per l'effetto, il Collegio giudicante condanna
l'ufficio, quale parte soccombente, alla rifusione delle spese di giudizio di Euro 5.000,00
onnicomprensivi.
Il Collegio giudicante
P.Q.M.
riuniti i ricorsi per connessione oggettiva, respinge l'appello dell'ufficio riguardante la sentenza n.
83/16/13 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano; accoglie l'appello della società
riguardante la sentenza n. 862/36/14 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano.
Condanna l'ufficio, quale parte soccombente, alla rifusione delle spese di giudizio di Euro 5.000,00
onnicomprensivi.