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2805
SOMMARIO
Approfondimento
Verso un ordinamento fiscale più moderno, con meno liti e più dialogo
di Maurizio Leo .........................................................................................................................................................
2807
Le novità Ace secondo l’Agenzia delle Entrate
di Stefano Trettel .......................................................................................................................................................
2811
Ancora incompiuta la disciplina della transazione fiscale
di Giulio Andreani e Angelo Tubelli .........................................................................................................................
2816
Voluntary disclosure: minusvalenze e perdite finanziarie nel calcolo analitico
di Roberto Baudino e Carmine Covino ...................................................................................................................
2825
La stabile organizzazione quale debitore d’imposta
di Maurizio Bancalari ................................................................................................................................................
2830
Conferimento d’azienda con successiva cessione di quote: un’operazione ‘‘impossibile’’?
di Giampiero Guarnerio ............................................................................................................................................
2835
L’estinzione delle società e la responsabilità tributaria di liquidatori, amministratori e soci
di Andrea Carinci .......................................................................................................................................................
2843
Impresa multinazionale digitale e tassazione delle transazioni on line
di Gabriele Sepio e Martina D’Orsogna .................................................................................................................
2851
L’Ivie sugli immobili in Francia: le disparità di trattamento emergenti rispetto agli immobili in Italia
di Alberto Crosti .........................................................................................................................................................
2862
Giurisprudenza
Corte di Cassazione
Imposte sui redditi - Componenti del reddito d’impresa - Costi - Provvigioni passive - Competenza Periodo d’imposta di conclusione del contratto di vendita di cosa futura - Sussistenza - Deroga Specifiche pattuizioni contrattuali o incertezza sul quantum delle provvigioni - Necessità
(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Cappabianca, Est. Iofrida - Sent. n. 12274, del 25 febbraio 2015, dep. il
12 giugno 2015) con commento di Alessandro Borgoglio ..................................................................................
2871
Imposte sui redditi e Iva - Impresa esercente attività agricola, agrituristica e immobiliare - Opere
edilizie non conformi a titolo edilizio poi condonate - Deduzione dei costi e detrazione dell’Iva Ammissibilità - Inerenza dell’oggetto sociale - Necessità
(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Cappabianca, Est. Federico - Sent. n. 12535, dell’11 marzo 2015, dep. il
17 giugno 2015) con commento di Stefano Baruzzi ..........................................................................................
2875
Imposta di registro, ipotecaria e catastale - Cessione di terreno - Solidarietà tributaria tra acquirente
e venditore - Sentenza pronunciata tra Amministrazione finanziaria e uno dei condebitori - Opponibilità della sentenza da parte degli altri condebitori - Ammissibilità - Estraneità al giudizio dei richiedenti e passaggio in giudicato della decisione - Necessità
(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Chindemi, Est. Meloni - Sent. n. 12766, del 19 marzo 2015, dep. il 19
giugno 2015) ccon commento di Antonino Russo ...............................................................................................
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2835
APPROFONDIMENTO
Conferimento d’azienda
con successiva cessione di quote:
un’operazione ‘‘impossibile’’?
di Giampiero Guarnerio (*)
Non esiste una definizione di ‘‘cessione d’azienda’’ specifica per l’imposta di registro. Perciò le
riqualificazioni dei conferimenti d’azienda seguiti
da cessioni di quote in atti di cessioni d’azienda
fondate sulle interpretazioni ex art. 20 del Tur
hanno in primis valenza civilistica e, solo come effetto derivato, valenza fiscale. Da questa constatazione emergono le contraddizioni in cui esse
cadono quando si vogliono limitarne gli effetti alla
sola imposta di registro.
Ad esempio, si dovrebbe concludere che ai fini
delle imposte dirette le operazioni mantengono
la ‘‘apparente’’ qualifica di conferimento neutrale,
sebbene si sia concluso che la loro intrinseca natura e il loro effetto giuridico era una cessione
d’azienda. Ovvero che i bilanci – quali che siano
i principi contabili adottati – possono legalmente
riflettere atti diversi da quelli realmente avvenuti,
ovvero che gli aumenti di capitale possono essere
iscritti al registro delle imprese anche quando
non hanno tale intrinseca natura o tale effetto
giuridico.
(*)
Dottore commercialista in Milano, Rödl & Partner.
1
Vedasi anche Cass. n. 8655 del 2015, che ripercorre sinteticamente le medesime considerazioni.
1. Premessa
La nota questione della riqualificazione del conferimento d’azienda con successiva cessione di quote
in ‘‘cessione d’azienda’’ trova sempre più conferme
positive da parte del giudice di legittimità che si è
occupato del tema nell’ambito di accertamenti riguardanti l’applicazione dell’imposta di registro.
Le sentenze che confermano tale orientamento si
collocano in due filoni tra loro inconciliabili, segno della fragilità delle rispettive posizioni.
Un primo filone, sposato ad esempio nella Ord.
5877 del 13 marzo 2014, vede nell’art. 20 del
D.P.R. n. 131/1986 (Tur) una valenza antielusiva,
sicché le parti contraenti dovrebbero difendersi
opponendo essenzialmente argomenti di tipo economico extrafiscale a sostegno della propria scelta.
Un secondo filone, sposato ad esempio dalla Sent.
n. 3481 del 14 febbraio 2014 1, nega che l’art. 20
abbia natura antielusiva. Pur tuttavia, valutando
la natura intrinseca degli atti e la loro consecuzione temporale, esso giunge alla conclusione che ‘‘il
vero atto’’ da assoggettare a tassazione è la cessione d’azienda.
In questa sede si prende in esame soprattutto il
secondo filone, anche considerando che il primo
è già stato ampiamente sviluppato in dottrina 2.
2
Tra i tanti: M. Fanni, L’art. 20 del T.U.R. tra natura antielusiva e valutazione degli effetti giuridici degli atti nella circolazione indiretta delle aziende, in ‘‘GT - Rivista di giurisprudenza
Tributaria’’ n. 6/2014, pag. 494; F. Gallio, Riqualificazione
del conferimento di azienda e della successiva cessione di partecipazioni come contratto di cessione d’azienda, in ‘‘il fisco’’
n. 15/2013, pag. 2311.
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APPROFONDIMENTO – Imposta di registro
Peraltro, secondo lo schema di decreto legislativo
in materia di certezza del diritto 3, l’ambito di applicazione delle disposizioni antielusive dovrebbe
restringersi notevolmente.
Significativa a tal proposito la disposizione che
prevede che l’abuso del diritto può essere configurato solo se i ‘‘vantaggi fiscali’’ non possono essere disconosciuti constatando la violazione di
specifiche disposizioni tributarie 4.
Sicché, immaginiamo, l’Agenzia dovrà scegliere
già nell’accertamento quale dei due filoni seguire
in via esclusiva. Ma a questo punto il primo filone
appare più difficilmente sostenibile: infatti l’Ufficio dovrebbe prima dimostrare che, sulla base
dell’art. 20 del Tur, l’operazione scrutinata sarebbe effettivamente un conferimento con cessione
di quote (ovvero, che i reali effetti giuridici degli
atti sono tali, e che non si tratta nemmeno di
una simulazione), e solo dopo contestare l’elusività di tale comportamento, superando pure la disposizione del comma 4 del nuovo art. 10-bis 5.
Infine, le interpretazioni fondate sulla applicazione dell’art. 20 del Tur risultano spesso insoddisfacenti: pur adagiate sul letto della interpretazione
civilistica, non ne traggono tutte le conseguenze,
ma si limitano ai soli effetti fiscali, e per giunta alla sola imposta di registro, dando cosı̀ l’impressione di essere in realtà fondate proprio sulla lettura
in chiave antielusiva che nelle premesse di tali interpretazioni viene invece negata 6.
2. L’interpretazione degli atti
L’art. 20 in commento prevede la necessità di riconsiderare la ‘‘forma apparente’’ degli atti sottoposti a registrazione in ottica sostanziale: ‘‘L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e
gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o
la forma apparente’’.
3
Atto del Governo sottoposto a parere parlamentare n. 163,
approvato dal Consiglio dei Ministri, in via preliminare, il
21 aprile 2015, in attuazione della legge delega n. 23/2014,
e al momento di andare in stampa in attesa dell’approvazione definitiva da parte del Consiglio dei Ministri, a seguito
dell’acquisizione del prescritto parere delle competenti
Commissioni parlamentari.
4
Art. 10-bis, comma 12, della L. n. 212/2000 cosı̀ come verrebbe introdotto dal decreto certezza del diritto.
5
‘‘Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi
opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale’’.
6
Cfr. sul punto Cass. n. 3481 del 2014, ove nello stabilire che
A differenza di quanto accade nel caso di interpretazione in chiave ‘‘antielusiva’’, ove la ‘‘riqualificazione’’ delle operazioni opererebbe solo ai fini
fiscali, qui la legge richiede che l’imposta sia applicata sulle effettive conseguenze giuridiche
degli atti registrati.
Si tratta di un’attività interpretativa necessaria,
che - a differenza degli altri possibili ‘‘percorsi’’ neppure presuppone un incremento di tassazione, seguendo un approccio sostanzialmente ‘‘di
verità’’.
Ad esempio, se il contribuente sottoponesse a registrazione un atto rubricato ‘‘cessione d’azienda’’,
ma il cui corrispettivo non fosse denaro, bensı̀
azioni che vengono emesse dal soggetto cessionario in conseguenza di un aumento di capitale conseguente al trasferimento dell’azienda, l’Ufficio,
in applicazione dell’art. 20, è tenuto a constatare
che l’effetto giuridico conseguito non è quello della cessione, ma quello del conferimento, conseguentemente è tenuto a disapplicare la tassazione
proporzionale, applicando quella fissa 7.
Questa attività interpretativa richiede un’analisi
obiettiva del contenuto legale (effetti giuridici)
e l’analisi degli effetti civilistici che le parti hanno
ricercato con gli atti realizzati, a prescindere dalle
conseguenze fiscali. Anzi, una rilettura in chiave
solamente fiscale (ed ancor peggio, considerando
solamente gli effetti sull’imposta di registro) sarebbe proprio l’opposto delle finalità dell’art. 20, il quale suggella la indisponibilità del trattamento fiscale
dell’atto rispetto ai suoi effettivi contenuti legali.
L’Agenzia ha la possibilità - cosı̀ come è stato più
volte chiarito da varie sentenze della Suprema Corte - di riconsiderare l’effettiva volontà delle parti.
Ma tale ricostruzione è finalizzata - ed al tempo
stesso limitata - alla reinterpretazione civilistica
dell’atto. Talché tale ricostruzione finisce necessariamente per avere analoghe conseguenze a tutti i
fini, sia per l’imposta di registro, che per i rapporti
tra le parti in caso di lite (in primis, sulle responsa‘‘i termini giuridici della questione sono tutti interni al criterio di cui all’art. 20’’ e che ‘‘non si è al cospetto di ipotesi di
elusione fiscale cui associare il criterio antiabuso basato sulla preclusione del conseguimento di vantaggi fiscali mediante uso distorto di strumenti giuridici’’ si condivide, riportandola, altra Cassazione (n. 16345 del 2013) ‘‘sul rilievo che
una simile operazioni produce altrimenti un indebito risparmio sull’imposta di registro’’.
7
Ciò esclude una volta di più la natura antielusiva della disposizione: infatti essa non trova applicazione solo quando
c’è stato un risparmio d’imposta, ma anche quando è stata
versata un’imposta maggiore del dovuto.
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Imposta di registro – APPROFONDIMENTO
bilità del cessionario d’azienda), che per le altre
imposte che da tali atti potrebbero conseguire.
Ammettere che la rivisitazione interpretativa dell’Agenzia possa esplicare i suoi effetti soltanto ai
fini dell’imposta di registro significherebbe ammettere situazioni ai limiti dell’assurdo: ad esempio, sarebbe possibile che, ai fini dell’imposta di
registro, un certo atto possa essere qualificato secondo la sua intrinseca natura e gli effetti giuridici, mentre invece ai fini delle imposte dirette possa essere qualificato sulla base della sua ‘‘forma
apparente’’.
Guardando poi agli effetti civilistici, secondo
questa corrente di pensiero (Cassazione, Sent. n.
8655 del 2015 8), si sostiene che le parti hanno veramente inteso regolare i loro rapporti come conferimento e cessione quote, e quindi tra di loro
l’effetto giuridico è esattamente quello. Ciò nonostante, ai fini dell’imposta di registro - che pure
per l’interpretazione degli atti fa riferimento ai loro effetti giuridici - ciò non sarebbe più vero.
Un pensiero che non ci sentiamo di condividere,
oltre che per le ragioni che seguono, anche perché
la circostanza che gli atti sottoscritti siano conferimenti o compravendite non ha effetti civilistici
solo tra le parti in causa, ma anche verso i terzi,
i quali godono di garanzie patrimoniali ben diverse rispetto alla conferitaria/cessionaria nei due
casi. Sicché, seguendo quel ragionamento, le operazioni sarebbero conferimenti e cessioni di quote ai fini civilistici tra le parti in causa e per tutti i
terzi interessati alle informazioni riportate al registro delle imprese, nonché per lo stesso Fisco lato imposte dirette. Mentre invece, ai soli fini
dell’imposta di registro, e proprio sulla base di
una disposizione che richiede una interpretazione degli atti secondo gli effetti giuridici, sarebbero cessioni d’azienda.
Il dato normativo non lascia scampo ed è coerente: la norma chiede che gli atti registrati siano valutati secondo i loro reali effetti giuridici. È non
v’è possibilità di impiegare canoni interpretativi
diversi da quelli di cui agli artt. 1362 e seguenti
del codice civile, se non cadendo nella assurda
8
Cass. n. 8655 del 2015 precisa, tra l’altro, quanto segue. ‘‘Ne
consegue che, contrariamente a quanto ritenuto dalla commissione tributaria regionale, l’autonomia contrattuale nella
scelta degli strumenti ritenuti più idonei per il conseguimento dello scopo perseguito e la rilevanza degli effetti giuridici dei singoli negozi a esso preordinati restano circoscritte sul piano della regolamentazione formale degli interessi
delle parti, e non si estendono alla loro rilevanza fiscale
(cfr. tra le tante Sez. trib., n. 10273 del 2007; n. 3584 del
2012; n. 14150 del 2013; n. 17965 del 2013; n. 6405 del
conclusione che il codice civile non è ‘‘arbitro’’
in tema di effetti giuridici degli atti. Insomma:
non crediamo esistano ‘‘canoni fiscali’’ per valutare gli effetti giuridici di atti legali.
Ed allora esaminiamo i canoni interpretativi disposti dal codice civile.
Dispone l’art. 1362 c.c.: ‘‘Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune
intenzione delle parti e non limitarsi al senso
letterale delle parole’’, disposizione assolutamente
coerente con quella fiscale ‘‘L’imposta è applicata
secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici
degli atti presentati alla registrazione, anche se
non vi corrisponda il titolo o la forma apparente’’.
Anzi, proprio il richiamo agli effetti giuridici dell’atto, contenuto nella norma fiscale, fa concludere che l’interpretazione dell’atto debba dipendere
dalla interpretazione civilistica e non possa assolutamente discostarsene.
Prosegue l’art. 1362 c.c.: ‘‘Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche se posteriore alla conclusione del contratto’’.
Da quest’ultima disposizione discendono due valutazioni.
La prima è che qualsiasi dubbio in ordine alla interpretazione di un dato contratto va prioritariamente risolto 9 – ai sensi del codice civile – valutando le intenzioni delle parti. Anche in relazione
al loro comportamento successivo. Ebbene, se dovesse succedere che tutte le parti coinvolte confermassero che la loro volontà fosse stata quella di
eseguire un conferimento d’azienda con successiva cessione di quote, non si vede come possa un
giudice ‘‘civile’’ disattendere una volontà cosı̀ confermata e coerente con il tenore letterale degli atti
sottoposti a valutazione senza violare le disposizioni del codice civile.
La seconda è che sarebbe contraddittorio, incompatibile e paradossale che l’eventuale riqualificazione delle operazioni effettuate, sulla base di criteri di sostanzialità, e per quel che si è detto, valide sia per il fisco ‘‘del registro’’ che per il codice
civile, non fosse operata anche ai fini delle impo2014; n. 12775 del 2014). In questo specifico senso il
D.P.R. n. 131/1986, art. 20, introduce un criterio di qualificazione autonomo rispetto alle ordinarie ipotesi interpretative
civilistiche, che impone di tener conto, nella qualificazione
del negozio, della sua causa reale e degli interessi effettivamente perseguiti dai contraenti, anche qualora siano stati
stipulati, pur in tempi diversi, più atti’’.
9
L’intenzione delle parti prevale nettamente sul senso letterale delle parole.
29/2015
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APPROFONDIMENTO – Imposta di registro
ste dirette. Se le operazioni de quo, reinterpretate
sulla base dei comuni canoni civilistici e del registro, vanno riqualificate come cessione d’azienda,
significa che tali operazioni ‘‘sono’’ una cessione
d’azienda. E ovviamente non si può dare che
una operazione sia qualificata come cessione d’azienda quando si parla di imposta di registro in
considerazione dei suoi ‘‘effetti giuridici’’ e della
sua ‘‘intrinseca natura’’, ma resti un conferimento
d’azienda quando si parla di imposte dirette: quale che sia la conclusione, essa deve valere in entrambi gli ambiti.
Una conferma del fatto che la ‘‘ricostruzione’’
dell’operazione non possa essere effettuata ‘‘soltanto ai fini dell’imposta di registro’’ si ravvisa
nella violazione della direttiva comunitaria in materia di imposte sui conferimenti che, altrimenti,
si verificherebbe.
Come è già stato giustamente osservato 10, l’imposta sui conferimenti è stata abolita da direttive
comunitarie (da ultimo, la Dir. n. 2008/7/CE del
12 febbraio 2008, che ha sostituito la precedente
n. 69/335/CEE del 17 luglio 1969), e l’Italia non
ha più accesso alle poche deroghe ivi concesse
agli stati che alla data del 1º gennaio 2006 avevano ancora in vigore una forma di tassazione sui
conferimenti.
È chiaro che se il giudice riqualificasse l’operazione concatenata come ‘‘cessione d’azienda’’, in senso civilistico, e solo come conseguenza applicasse
l’imposta proporzionale, non vi sarebbe alcuna
violazione della direttiva. Ma se invece il giudice
confermasse – come in effetti sembra confermare
in questo filone interpretativo – che l’atto conserva tra le parti e tra i terzi la valenza civilistica assegnata di conferimento, avremmo una tassazione proporzionale che confligge con la direttiva.
Guardando al lato imposte dirette, dopo aver contestato che ‘‘l’intrinseca natura e l’effetto giuridico’’ degli atti è quello di una cessione d’azienda,
pare complicato per l’Agenzia contestare che l’acquirente ha diritto a dedursi gli ammortamenti
sui valori aggiornati relativi all’azienda acquistata.
Ecco che, nel valutare una cosı̀ importante modifica della struttura contrattuale dell’operazione, il
giudice deve eseguire, in via incidentale, una prioritaria ed analitica ricostruzione delle obbligazioni contrattuali, spiegandone le ragioni, e
provvedendo sulle conseguenze civilistiche anche
rispetto agli obblighi pubblicistici a tutela dei terzi.
Si tratta esattamente del caso previsto dall’art. 2,
comma 3, del D.Lgs. n. 546/1992 11: il giudice tributario si deve ‘‘mettere il cappello del giudice civile’’ e ricostruire il contratto dissimulato (la supposta ‘‘cessione d’azienda’’) sostituendolo ai contratti simulati (conferimento e cessione di quote),
avvalendosi dei mezzi istruttori necessari secondo i canoni interpretativi civilistici sopra richiamati.
Nasce a tal proposito un’ulteriore questione, che
non ci risulta sia mai stata affrontata. In tema
di simulazione, l’art. 1417 c.c. prevede che ‘‘La
prova per testimoni della simulazione è ammissibile senza limiti, se la domanda è proposta da creditori o da terzi (come sarebbe qui il caso - N.d.A.)
e, qualora sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato, anche se è proposta dalle parti’’. Ma sappiamo che la prova testimoniale non è
ammessa nell’ambito del processo tributario (art.
7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/1992). Occorre dunque chiedersi se, in questo caso, prevalga la regola
generale del processo tributario, che impedisce la
formazione della prova per testimoni, ovvero la
regola speciale dettata dall’art. 1417 c.c. ‘‘ratione
materiae’’, ovvero in termini più generali occorre
valutare se l’art. 1417 c.c., in questo contesto, contiene effettivamente una disposizione speciale e
derogatoria rispetto all’art. 7, comma 4, del
D.Lgs. n. 546/1992, ovvero se sia quest’ultima a
dover essere considerata una deroga speciale della prima.
Ebbene, si ritiene che in questo particolare contesto debba prevalere il codice civile.
La fattispecie oggetto di valutazione, in effetti, è
prettamente civilistica: non si sta valutando se alla fattispecie vada applicata la regola tributaria
‘‘X’’ o la regola tributaria ‘‘Y’’, ma si sta valutando
se la fattispecie sia ‘‘A’’, ovvero ‘‘B’’. Il fisco ne trae
solo le conseguenze.
In mancanza della specifica deroga di cui all’art.
2, comma 3, del D.Lgs. n. 546/1992 citata, in effetti, il giudice tributario dovrebbe astenersi dal giudizio ed inoltrare il fascicolo al giudice ordinario
competente, ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. n. 546/
1992. Ma proprio in virtù di quella disposizione,
il giudice tributario assume la competenza giudiziaria anche della sottostante questione civile.
Avendo quella competenza, e limitatamente al-
10
11
F. Gallio, Il trattamento fiscale dell’operazione di conferimento di azienda e successiva cessione di partecipazioni, in ‘‘il fisco’’ n. 19/2011, pag. 2983.
‘‘Il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti
nella propria giurisdizione’’.
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l’oggetto da scrutinare, deve avere gli stessi mezzi
istruttori del giudice civile, altrimenti si avrebbe
un ‘‘giudizio civile’’, sia pure incidentale, potenzialmente errato per il solo fatto di non aver potuto utilizzare i mezzi istruttori espressamente previsti per quella fattispecie.
A questo punto di vista si affianca quello delle
parti interessate: pure loro potrebbero lamentare
un giudizio errato per mero fatto che la questione
- prettamente civilistica - sulla simulazione dei
contratti è stata valutata senza utilizzare i mezzi
di prova che sono espressamente riconosciuti anche per rispettare il supremo diritto di difesa costituzionalmente protetto.
D’altra parte, ci pare quantomeno paradossale
che, nella valutazione della simulazione di un certo atto, si possano effettuare valutazioni basate
soltanto su fonti documentali: da che mondo è
mondo, i documenti simulati non sono una
fonte di prova affidabile.
Dunque, il giudice tributario, investito incidentalmente della questione prettamente civilistica se le
parti intendevano stipulare una cessione d’azienda, ovvero intendevano effettivamente stipulare
un conferimento con successiva cessione di quote, sentiti i testimoni che lui o le parti avranno ritenuto di dover sentire in giudizio, dovrà giungere
alle sue motivate conclusioni, chiarendo, quantomeno, qual è il soggetto che ha comprato l’azienda (la ‘‘conferitaria’’ ovvero i suoi soci), e traendo i
conseguenti provvedimenti civilistici:
a) nel caso ritenga che l’acquirente sia la conferitaria, dovrebbe annullare l’aumento di capitale, imponendo l’iscrizione del provvedimento
nel registro delle imprese. Per l’effetto, la apparente conferitaria sarà gravata da un debito
verso il cedente, e dovrà iscrivere tale debito
nel proprio bilancio in vece dell’incremento
del capitale sociale;
b) nel caso ritenga che gli acquirenti sono i soci,
dovrà disporre l’annullamento dell’iscrizione
del conferimento e disporre, invece, l’iscrizione dell’acquisto d’azienda in capo a questi ultimi, con le ulteriori conseguenze che ci possiamo immaginare: se vi è un solo socio persona
fisica, avrà una ditta individuale, se sono più
soci persone fisiche (o giuridiche) si avrà ‘‘società di fatto’’, se il socio è un’impresa estera
si avrà una ‘‘stabile organizzazione’’ nel territorio dello Stato.
Possiamo immaginarci che una sentenza che sta12
bilisse la riqualificazione, ma che non determinasse sui punti appena descritti 12, sarebbe una
sentenza con motivazione insufficiente, giacché
proprio su tali aspetti dovrebbe fondarsi il convincimento del giudice.
La eventuale mancanza di tali indicazioni legittimerebbe il dubbio che il giudice abbia ‘‘veramente’’ deciso sul contenuto civilistico degli atti scrutinati, seguendo invece un approccio che potremmo definire ‘‘di natura sostanzialmente antielusiva’’, disconoscendo la valenza del conferimento
‘‘ma solo ai fini dell’imposta di registro’’.
Al di là della contraddizione che ne seguirebbe (il
giudizio ‘‘incidentale’’ non sarebbe veramente tale, ma sarebbe solo una sorta di ‘‘giudizio sommario’’ limitato agli effetti solo fiscali e per giunta
per una sola imposta, lasciando cosı̀ aperta la porta ad una diversa interpretazione da parte di un
altro giudice della medesima fattispecie per
un’imposta diversa), un simile esito aprirebbe la
strada ad ulteriori contenziosi.
Ad esempio il Fisco potrebbe aver interesse ad
utilizzare il ‘‘giudicato civile’’ per applicare una
tassazione sulla plusvalenza in capo al cedente.
Oppure il cedente potrebbe aprire una causa di
merito chiedendo una integrazione del prezzo,
provando che esso era stato ridotto proprio in
considerazione della neutralità fiscale che è venuta a mancare. Si andrebbe cosı̀ davanti ad un giudice civile che dovrà interpretare nuovamente la
vicenda, e che certamente vorrà e dovrà sentire i
testimoni la cui audizione potrebbe essere stata
negata dal precedente giudice tributario applicando rigidamente la norma processuale (art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/1992). Ebbene, quid juris
se il giudice civile dovesse invece confermare la
validità degli atti concatenati, disconoscendo l’esistenza di una ‘‘cessione d’azienda’’?
3. La teorizzata inesistenza
dell’operazione di conferimento
e successiva cessione di quote
C’è un secondo punto di vista che evidenzia la
contraddittorietà delle ricostruzioni ‘‘civilistiche’’
sottese al filone giurisprudenziale in commento.
Sempre ricordando che, in assenza di diversa specifica definizione ‘‘fiscale’’ di cessione d’azienda e/
o di conferimento, tali istituti debbono essere
Che peraltro ci risulta essere sempre stato il caso, sinora.
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scrutinati sulla base delle comuni disposizioni del
codice civile, vien da chiedersi se la disposizione
di cui all’art. 176, comma 3, del Tuir che assegna
una chiara patente di non elusività alla operazione concatenata di ‘‘conferimento dell’azienda
secondo i regimi di continuità dei valori fiscali riconosciuti o di imposizione sostitutiva di cui al
presente articolo e la successiva cessione della
partecipazione ricevuta per usufruire dell’esenzione di cui all’art. 87, o di quella di cui agli artt.
58 e 68, comma 3’’ riguardi una fattispecie esistente, o sia inutiliter data.
La domanda è evidentemente provocatoria: se
esiste la possibilità di far seguire un conferimento
ed una cessione delle quote ricevute grazie a quel
conferimento, significa che quella operazione
concatenata è possibile ed è tutelata dalla legge,
a maggior ragione in un caso come questo ove
una norma dello Stato non solo la descrive compiutamente, ma ne rafforza la patente di legittimità escludendone ipso jure la natura elusiva. A dirla
con linguaggio poco professionale ma efficace,
sembra quasi che il legislatore, ‘‘conoscendo i suoi
polli’’, abbia voluto ergere una diga a tutela dei
contribuenti contro possibili contestazioni di natura imprevedibile da parte dell’Agenzia delle Entrate e dei giudici della Suprema Corte.
Ebbene, se tale operazione concatenata esiste, come si può sostenere che proprio la concatenazione sarebbe il fondamento per negarne gli effetti
giuridici?
Ecco dunque che la teoria ‘‘ricostruttiva’’ sposata
da questo filone giurisprudenziale porterebbe alla
conseguenza che l’operazione di conferimento
d’azienda e successiva cessione di quote è in realtà un’operazione di impossibile realizzazione.
4. L’accordo sul prezzo tra le parti e sua
significatività nell’interpretazione della
reale causa contrattuale
Il prezzo dell’azienda trasferita dipende anche
dalla variabile fiscale. Laddove il trasferimento
avvenisse con una cessione d’azienda, il cedente
assumerebbe un’obbligazione tributaria rilevante
sulla plusvalenza (27,5% Ires), mentre l’acquirente otterrebbe un analogo – anzi più elevato – beneficio fiscale per via del riconoscimento del costo
di acquisto (risparmio 27,5% Ires + 3,9% Irap) 13.
13
Il confronto tra la tassazione per il cedente ed il risparmio
fiscale dell’acquirente porta peraltro a concludere che anche
la cessione d’azienda, dal punto di vista dell’Erario, è neutra-
Evidentemente, mettendo a confronto questa
operazione con la sua alternativa (conferimento
+ cessione quote), il venditore sarebbe quantomeno poco avveduto se si accontentasse del medesimo prezzo in entrambe le alternative. Ed altrettanto vale per l’acquirente: sarebbe poco avveduto
se accettasse di pagare il medesimo prezzo indipendentemente dal riconoscimento fiscale dell’acquisizione.
È quindi ovvio che il prezzo che le parti converranno sarà a sua volta determinato dalla scelta
tra le due legittime modalità di effettuazione
dell’operazione.
Ebbene, ipotizzare la possibilità per un terzo di riqualificare l’operazione in modo diverso rispetto
a quello voluto e confermato dalle parti, ma senza
ricalcolare anche il prezzo dell’operazione determinerebbe una alterazione del contenuto economico dell’operazione stessa, con grave nocumento dell’autonomia contrattuale delle parti, determinando un arricchimento ingiusto per l’una (acquirente) ed un depauperamento altrettanto ingiusto per l’altra (venditore).
Addirittura, la conferitaria avrebbe tutto l’interesse di sostenere sistematicamente la tesi dell’Agenzia, potendo cosı̀ beneficiare di un risparmio fiscale consistente (27,5 + 3,9 = 31,4%) a fronte di
un onere limitato (3% + interessi), ed avendo peraltro negoziato il prezzo di acquisto con la parte
venditrice nel presupposto della neutralità fiscale
dell’operazione beneficiando del relativo sconto
sul prezzo.
5. Altre obiezioni alle tipiche
considerazioni dell’Agenzia sul punto
Le tipiche contestazioni dell’Agenzia sono sostanzialmente fondate sulla pretesa di poter riqualificare le due operazioni sotto una prospettiva solamente economica e limitatamente all’imposta di
registro. Ma senza contestare la natura civilistica
di conferimento. Non si spiegherebbero, ad esempio, quei casi ove l’Ufficio indirizza l’accertamento alla conferitaria laddove essa fosse venuta in
esistenza proprio all’atto del conferimento, e
quindi ‘‘se e nella misura in cui’’ il conferimento
sia giuridicamente avvenuto.
In realtà, nell’ottica dell’Agenzia delle Entrate, e
della Cassazione quando vi si allinea, si tende a
le. Anzi, nel complesso è persino migliorativa per i contribuenti!
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confondere un fatto economico che pacificamente le parti intendono mettere in atto (il trasferimento dell’azienda) con l’effetto legale che dipende dallo strumento giuridico adottato (il
trasferimento sarebbe possibile solo come cessione e non come conferimento, ed a nulla rileverebbero la circostanza che la conferitaria/cessionaria
abbia ottenuto un aumento patrimoniale ovvero
abbia contratto un debito, con buona pace della
tutela dei terzi creditori della società).
Sempre secondo tale ottica, i due atti concatenati sarebbero ‘‘meramente strumentali’’ rispetto
all’effetto giuridico finale della ‘‘cessione d’azienda’’. Affermazione tautologica che vuol far passare come provata la riqualificazione giuridica: le
parti hanno già confermato che i due atti sono assolutamente strumentali per addivenire ad un trasferimento d’azienda. Ciò non significa che i due
atti possano essere ‘‘trasformati’’ in una cessione
d’azienda, le cui conseguenze civilistiche (e fiscali, sotto il profilo delle imposte dirette) sarebbero
assolutamente diverse da quelle del conferimento
+ cessione quote.
Talvolta, seguendo tale filone giurisprudenziale
della ricostruzione civilistica parziale degli atti,
emergono ulteriori problematiche che, a ben vedere, sono insuperabili.
Normalmente le operazioni straordinarie vengono deliberate da organi collegiali, che delegano
un amministratore alla sottoscrizione dei contratti, o talora nominano un procuratore speciale. Tali procuratori o ‘‘delegati’’, agiscono in virtù di
procure limitate che descrivono compiutamente
gli atti da sottoscrivere. Ad esempio, un ‘‘conferente’’ potrebbe aver conferito procura per la sottoscrizione di un atto di conferimento ad un professionista, specificando nella procura tutti i termini contrattuali (partecipazione all’assemblea
della società per sottoscrivere un aumento di capitale mediante apporto in natura).
Evidentemente, se l’Ufficio ritenesse di riqualificare gli atti ai sensi dell’art. 20, dovrebbe preoccuparsi degli ‘‘effetti giuridici’’ degli stessi. E quale
effetto giuridico avrebbe un contratto di cessione
d’azienda sottoscritto da persona non munita dei
necessari poteri, essendo questi limitati alla sottoscrizione di un atto di conferimento? Sarebbe un
atto valido? È dunque possibile per il ‘‘cedente’’
chiederne l’annullamento?
Oppure, guardando all’altro lato dell’operazione,
quale validità avrebbe un atto di acquisto d’azien14
da, che anziché essere sottoscritto dal legale rappresentante della società acquirente, è stato ‘‘deciso’’ dall’assemblea dei soci di altra società sulla
base di un voto espresso da soci privi di potere gestionale e per giunta su un argomento diverso 14?
Addirittura, in tale situazione, gli amministratori
della conferitaria - e cioè gli organi rappresentanti
della società - potrebbero non essere presenti alla
sottoscrizione dell’atto. Come neppure sono presenti alla sottoscrizione della cessione delle azioni
della conferitaria (che invece sono sottoscritte dal
socio), né hanno alcun potere al riguardo.
Può il notaio rogante ricevere ugualmente l’atto di
conferimento (che, ricordiamo, viene rogato come un atto pubblico) se la procura dell’agente
non lo comprende? Siamo sicuri che sarebbe un
atto valido?
Sussisterebbe una responsabilità professionale
del notaio?
Ancora: se si fosse inteso effettuare giuridicamente un acquisto d’azienda, a quale scopo l’acquirente dovrebbe prestare il fianco a possibili censure
della controparte (che potrebbe, ad esempio, pretendere una rimodulazione del prezzo per via delle considerazioni sulle imposte dirette sopra menzionate), mascherando il passaggio diretto con
due atti separati? E come l’acquirente avrebbe
poi pensato di convincere l’Agenzia delle Entrate
- con il cappello delle imposte dirette - che i due
atti erano in realtà una cessione d’azienda e quindi sarebbe spettato il riconoscimento dei valori fiscali aggiornati? Siamo sicuri che il valore di avviamento insito nel valore delle quote acquistate
(peraltro dal suo socio) sarebbe stato ugualmente
riconosciuto dall’Agenzia delle Entrate in capo alla ‘‘cessionaria’’, sebbene non sia stato indicato
espressamente un prezzo pagato a tale titolo, come dovrebbe fare se si fosse trattato di una cessione d’azienda?
Insomma: perché mettere a repentaglio la deducibilità di costi con un’aliquota complessiva del
31,4% in cambio di un risparmio del 3% di imposta di registro?
6. Conclusioni
A nostro avviso, le ‘‘riqualificazioni’’ delle operazioni di conferimento e successiva cessione di
quote hanno mantenuto un sapore ‘‘antielusivo’’
anche nella più recente interpretazione fornita
Ci riferiamo evidentemente all’assemblea che ha deliberato
l’aumento di capitale a mezzo conferimento.
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dalla giurisprudenza laddove si dice di aver proceduto alla ricostruzione ‘‘reale’’ dell’operazione
voluta dalle parti.
Se infatti la norma antielusiva tende a disapplicare i soli effetti fiscali favorevoli al contribuente, mantenendo intatte le conseguenze civilistiche, la ‘‘riqualificazione civilistica’’ sottesa alla
mera interpretazione giuridica degli atti ai sensi
dell’art. 20 del Tur non consente di limitarne
gli effetti alla sola imposta di registro, come invece sino ad oggi tali sentenze sembrano aver deciso. Anzi, proprio nell’ottica della interpretazione giuridica degli atti occorrerebbe prima dar
conto delle ragioni che ne impongono una riqualificazione civilistica (stabilendo in primis chi, tra
conferitaria e socio, ha effettivamente ‘‘comprato’’, e che fine fa l’aumento di capitale formalmente deliberato) e solo dopo passare alle conseguenze fiscali - che vanno estese anche alle imposte dirette.
Ma tali conseguenze appaiono di solito inconciliabili con la volontà delle parti, con la legalità degli atti compiuti, con i contenuti economici (il
prezzo in primis) e, in definitiva, con la stessa legge dello stato (art. 176, comma 3, del Tuir), la
quale avrebbe regolato una fattispecie irrealizzabile, seppur dandone espressamente una patente
di legalità rafforzata.
Talché tali ricostruzioni, che paiono in realtà fondare le loro motivazioni sul mero concatenamento degli atti, non ci risultano per lo più adeguatamente motivate sotto il prioritario profilo civilistico.
Infine, la ‘‘non ricaduta’’ civilistica di simili riqualificazioni, che non imponessero anche la ricostruzione del contenuto degli atti e delle rispettive
obbligazioni nel senso del ‘‘contratto di cessione
d’azienda’’, imponendo anche le necessarie iscrizioni correttive al registro delle imprese, ma si limitassero a decidere il solo destino dell’imposta
di registro, comporterebbe una probabile violazione della Direttiva n. 2008/7/CE in tema di
esenzione di tassazione delle operazioni di
conferimento, risolvendosi nella applicazione di
un’imposta proporzionale su un atto che è rimasto ‘‘di conferimento’’ per i terzi.
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