in questo numero - Fondazione Museo Storico del Trentino

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in questo numero - Fondazione Museo Storico del Trentino
anno quattordicesimo numero trentaquattro gen./apr. 2011
IN QUESTO NUMERO
LE FORME DELLA CENSURA
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La biblioteca di Sarajevo distrutta dai bombardamenti
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2
ALTRESTORIE – Periodico quadrimestrale di informazione
Periodico registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1.132 ISSN 1720-6812
Comitato di redazione: Paola Bertoldi, Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Paolo Piffer, Rodolfo Taiani (segretario)
Direttore responsabile: Sergio Benvenuti
Hanno collaborato a questo numero: Quinto Antonelli, Stefano Chemelli, Elena Corradini, Marcello Farina, Paolo Ghezzi, Serena
Luzzi, Alice Manfredi, Caterina Tomasi, Edoardo Tortarolo, Marta Villa.
Progetto grafico: Graficomp – Pergine (TN). Stampa: Publistampa – Pergine (TN).
Per ricevere la rivista, o gli arretrati, fino a esaurimento, richiedere alla Fondazione Museo storico del Trentino.
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Trentino possono collegarsi all’indirizzo internet http://www.museostorico.it o scrivere all’indirizzo di posta elettronica
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anno quattordicesimo numero trentaquattro gen./apr. 2011
IN QUESTO NUMERO
La forme della censura
Editoriale
4
“Dar potere alla coscienza”: una riflessione sulla censura oggi
di Marcello Farina
5
A proposito di libri e censura in Antico Regime
di Serena Luzzi
6
Libertà di stampa e censura: una relazione dinamica
interviste con Edoardo Tortarolo e Paolo Ghezzi
a cura di Paola Bertoldi
10
La censura nelle biblioteche, una storia che (purtroppo) si ripete
di Elena Corradini
17
I blocchi nella rete: libertà e censura in Internet
di Alice Manfredi
21
Quell’altrastoria: censura tra verbale pubblico e verbale segreto
di Marta Villa
25
La censura militare sul fronte russo (1941-1943)
di Quinto Antonelli
29
La Commissione provinciale di censura di guerra di Mantova
e il suo archivio
di Caterina Tomasi
32
1952, ritorno alla censura: un saggio di Vitaliano Brancati
di Stefano Chemelli
33
Censura e spettacolo: una lunga storia
di Paola Bertoldi
37
La censura fascista
di Stefano Chemelli
39
Infomuseo
41
Edizioni FMST
46
3
G
iorgio Agamben, Nanni Balestrini, Carla Benedetti, Pino Cacucci, Massimo Carlotto, Sandrone Dazieri, Girolamo
De Michele, Valerio Evangelisti,
Giuseppe Genna, Laura Grimaldi, Loredana Lipperini, Gianfranco
Manfredi, Antonio Moresco, Daniel
Pennac, Marco Philopat, Christian Raimo, Tiziano Scarpa, Stefano Tassinari, Vauro, Lello Voce e molti altri ancora... Non sono i nomi dei partecipanti a un prestigioso premio letterario, ma gli scrittori che l’assessore alla
cultura della Provincia di Venezia, Raffaele Speranzon,
avrebbe voluto scomparissero per sempre dagli scaffali delle biblioteche del veneziano poiché colpevoli
nel 2004 di aver firmato un appello dove si chiedeva la
scarcerazione di Cesare Battisti.
Un invito a tutti i bibliotecari di oscurare una parte rilevante della produzione letteraria contemporanea e
che si estendeva anche al divieto di organizzare iniziative con tali scrittori, dichiarati “persone sgradite”. Gli
fa eco nel gennaio 2011, l’assessore regionale veneto
all’Istruzione, Elena Donazzan, che non solo ha plau-
4
dito al collega amministratore, ma
ha rilanciato l’azione annunciando
l’invio di una lettera a tutti gli istituti superiori del Veneto per esortare
insegnanti e bibliotecari a non diffondere tra i ragazzi i libri di questi
autori. “Sono diseducativi” avrebbe
affermato l’assessore regionale.
Questa triste vicenda dei giorni nostri ha immediatamente evocato lo spettro della censura o per meglio
dire del controllo autoritario e repressivo di ogni forma
di espressione del quale la storia non è certo avara di
esempi più o meno noti, più o meno palesi. Una vicenda che la redazione di Altrestorie ha colto immediatamente come pretesto per parlare appunto di come si
è evoluto storicamente il rapporto fra comunicazione
e potere, fra libertà e repressione, fra autonomia e costrizione individuale.
Un approccio condotto secondo la consuetudine della
nostra rivista in una prospettiva agile, ma non superficiale, aperta, ma non dispersiva, leggera, ma non
distratta e ciò a partire dalla riflessione introduttiva di
Marcello Farina (rt).
Editoriale
così da scoraggiare l’impeQuando penso alla censura,
gno, l’interesse, il prendermi viene in mente un gesto
una riflessione
si a cuore; autocensura,
che si è compiuto tante volinfine, come omertà, cioè
te nella storia dell’umanità:
sulla censura oggi
un “tacere calcolato”, del
quello di mettere dei palet“non si sa mai” che non
ti, di segnare un confine, un
di Marcello Farina
se ne possa approfittare!
limite, perché non lo si olSiamo molto lontani, oggi,
trepassi, non lo si violi.
dalla grande parola di PlaIn ballo, di solito, ci sono le
tone, la “phronesis” (la frosvariate forme in cui si denesi), cioè dall’intelligenza
clina la libertà dell’individuo
che “sta in guardia”, che
o delle comunità, in cui, sesa cogliere l’urgenza del
condo alcuni (di solito gli
momento, sollecitata da
“insediati” in qualche foruna libertà coltivata dentro
ma di potere) vanno posti,
la coscienza e considerata,
appunto, dei paletti, delle
insieme con l’amore, come
condizioni, dei controlli. La
l’unico valore non negoziacensura più nota, più eserbile per la dignità di ciascucitata nella storia, è quella
no. Censura e autocensura
che colpisce, dall’esterno, i
si consolidano a vicenda:
modi di pensare e di agire
l’una tende la mano all’altra
delle donne e degli uomini,
a rendere permanente una
che vengono ritenuti “pericomunità di “sudditi” invecolosi” per un assetto civile
ce che di “cittadini” intee politico o per un insieme
ressati e consapevoli della
di valori culturali considerati determinanti per un certo disegno di convivenza e loro esistenza singola e collettiva. Anche nella Chiedi civiltà, o, più semplicemente, per il mantenimento sa, nella comunità cristiana, il tema della censura e
dell’autocensura si pone oggi con vigore e urgenza.
del potere.
Ma mi permetterei di segnalare anche un’altra forma Esso si intreccia, in realtà, con una vera e propria
di censura, più subdola e meno evidente, eppure emergenza, come è quella che riguarda la questione
“imperante” nel nostro tempo: cioè l’autocensura, dell’opinione pubblica dentro la Chiesa stessa. Sono
la censura che nasce “dal di dentro” dell’animo di tempi difficili, incresciosi, quelli che vivono i credenti
ciascuno. Già Freud, come si sa, ne aveva segnalato e i cercatori di Dio, se il potere, in tutte le sue espresla presenza, ma essa si è come dilatata nell’espe- sioni, teme la libertà di coscienza, di parola, di assorienza delle donne e degli uomini del nostro tempo, ciazione, di dissenso. Nella Chiesa Cattolica non c’è
per un “perverso” cedimento che in molte persone oggi il gusto “evangelico” della franchezza, della sinsi è verificato verso atteggiamenti di “sudditanza cerità, dell’accoglienza delle “diversità”.
diffusa” sia nei confronti del potere, sia verso forme Certo, è finita, dal 1966, l’epoca dell’“Indice dei libri
di pensare e di agire acritiche passive, perfino au- proibiti”, costituito al tempo del Concilio di Trento,
tolesionistiche. Ne va dell’amore alla libertà, all’au- ma molti teologi, molti cristiani continuano a essere
tonomia, alla democrazia. Non ci si “ribella” più al messi ai margini delle comunità, se si “permettono”
potere, si teme l’esercizio della libertà, come se il di proporre riflessioni “nuove”, diverse, dall’Ufficiarisultato che esso sedimenta debba essere per forza lità. Un vescovo francese, mons. Favreau, scriveva
l’insicurezza. L’autocensura diventa “spirito di greg- qualche tempo fa che per la Chiesa non è più tempo
ge” cresciuto a dismisura, favorito dal tipo di vita di “riparare”, ma di “traslocare”, per indicare il muche conduciamo. Un grande psichiatra Luigi Zoja tamento in atto per la comprensione del Cristianeafferma che oggi “c’è tanta eccitazione, ma poca simo. In realtà l’istituzione sembra non accorgersi
partecipazione”. È la grande fatica a trovare qual- della crisi profonda che accompagna oggi la stessa
cuno che si impegni in prima persona a cambiare credibilità della fede cristiana. Così mi piace ripetere, per concludere, una grande parola di don Primo
le cose.
Autocensura, quindi, come “ipocrisia”, che sfiora i Mazzolari, un testimone straordinario della libertà di
problemi, li evidenzia, li sbandiera, li trascina fino a coscienza anche dentro la Chiesa: “occorre dar porenderli insignificanti, “insopportabili”; autocensura tere alla coscienza, dopo aver dato per tanti secoli
anche come “accidia”, che ingigantisce le difficoltà, coscienza al potere”.
Dar potere alla coscienza
5
tutti quelli di Rousseau; in
La libertà di stampa è un
Francia ancora a ridosso del
principio piuttosto recente,
1789 autori e tipografi finiche si impone con forza nel
scono alla Bastiglia per aver
corso del Settecento, il sescritto, pubblicato, fatto circolo dei Lumi; ma gran parte
colare opere condannate dai
degli intellettuali dell’epocensori di Luigi XVI.
ca, sì, anche gli illuministi,
di Serena Luzzi
La censura ecclesiastica ha
sostengono le ragioni della
svolto un ruolo fondamencensura – contestano, semtale nel controllo delle comai, la censura ecclesiastica,
scienze e della vita culturama non il diritto dello Stato
di intervenire e controllare stampa e opinioni. Cen- le europea, specie a partire dalla seconda metà del
sura preventiva e censura repressiva, censura eccle- Cinquecento e nel Seicento, quando le Chiese sono
siastica e censura statale, autocensura: sono le va- ormai “istituzionalizzate”. Nel contesto cattolico, i
rianti possibili, e perlopiù complementari, della storia mezzi per raggiungere lo scopo sono introdotti sotto
culturale dell’Europa di Antico Regime. In effetti, non l’urgenza di arrestare la circolazione del verbo luterasi dà una storia della cultura – della circolazione delle no e riformato: nel 1542, prima ancora che a Trento
idee, del libro e del manoscritto, dell’editoria, dell’opi- si aprano i lavori del Concilio, è introdotta la Congrenione pubblica – senza fare i conti con gli apparati isti- gazione del Sant’Uffizio; nel 1571, prende quindi avvio l’attività della Congregazione dell’Indice, che sarà
tuzionali e le dinamiche sociali della censura.
Perfino in Olanda – Paese che nell’immaginario co- abolita solo nel 1966. Di libri si occuperanno l’una e
mune resta associato alla libertà di stampa – assistia- l’altra. Tra gli innumerevoli titoli finiti all’Indice romamo a roghi di libri, come ci avvertono gli studiosi: nel no c’è anche la Bibbia nelle diffusissime versioni in
1765, per non fare che un esempio, una pira è alle- volgare; nel corso del Concilio tridentino si discute
stita nella pubblica piazza all’Aja per bruciare i libri di vivacemente tra favorevoli e contrari alla traduzione
Rousseau e di Voltaire, giudicati esiziali per il corpo delle Sacre Scritture, mentre nei Paesi di lingua tedesca la Bibbia tradotta da Lutero è diffusa in centinaia
politico come per le anime.
Fiamme e roghi di libri, però, sono solo un esito, il di copie. Nel contesto cattolico le traduzioni riprenpiù noto ma anche il meno rappresentativo: esistono deranno a circolare solo a partire dal 1769, nelle vermodalità censorie ben più raffinate e più pervasive. A sioni, s’intende, autorizzate dalla Santa Sede.
partire dalla pratica dell’autocensura, introiettata da Schiere di censori controllano i testi prima che siano
generazioni di scrittori, medici e scienziati, letterati, affidati ai torchi e giudicano se i contenuti dei mafilosofi e artisti: non potremo mai quantificare quan- noscritti siano compatibili con l’ortodossia. È la fase
to siano stati devastanti sulla cultura e la scienza gli della censura preventiva. Se il giudizio è positivo,
effetti della scelta degli autori di non presentare in l’imprimatur (si stampi) delle autorità sarà ben visibipubblico e di non affrontare temi e argomentazioni le sulle prime pagine del libro. In alternativa, l’autore
sensibili che avrebbero sollecitato temuti interventi è sollecitato a metter mano ai passaggi incriminati.
La qualità dei rapdi controllo e di
porti
personali,
censura. Tutti noi
la personalità dei
abbiamo presente
censori e la loro
l’abiura umiliante
cultura, il momencui è costretto il
to storico sono
cattolico
Galilei,
aspetti che possonel 1633, epilogo
no determinare gli
di un processo
esiti censori su un
che pure fu forlibro e sul suo aumalmente impectore, a Roma come
cabile. Un secolo
nelle periferie della
e più dopo, uno
cattolicità. Avverdegli editori più
timenti informali,
famosi d’Europa,
“aggiustamenti”,
Marc-Michel Rey,
complicità fanno
sarà espulso dalparte delle dinamila Chiesa vallone
che che coinvolgoper aver stampato
no censurati e centesti “colmi di emsori, anche questi
pietà” – primi fra
A proposito di
libri e censura
in Antico Regime
6
ultimi non di rado letterati
censurati.
Il controllo insegue quindi i
libri – ma più in generale la
parola stampata – usciti dai
torchi: altamente sospetti
i titoli senza paternità, per
i quali l’autore si cela sotto
pseudonimo o nell’anonimato, e/o accompagnati da
falsi luoghi di stampa, che il
mercato editoriale accoglie
favorevolmente per tutelare
importanti interessi economici.
La
censura
repressiva
ha, naturalmente, valore
retroattivo: all’Indice finiscono volumi noti, che circolano indisturbati ormai da
decenni: per non fare che
un esempio, le Lettres persanes di Montesquieu, uscite nel 1721, sono messe
all’Indice quarant’anni dopo, nel 1762. Talora, i ritardi
sono dovuti anche alla sottovalutazione del potenziale eversivo dei testi, o addirittura a un apprezzamento letterario: è noto che i poemi epici di Voltaire
furono messi all’Indice romano con grande ritardo
da revisori che non erano rimasti estranei al fascino
di quegli scritti. Ma resta il fatto che, nel corso dei
secoli, i titoli condannati dalla Chiesa cattolica all’Indice dei libri proibiti sono migliaia: proibiti per periodi limitati o in eterno, proibiti in toto o accessibili su
richiesta al clero e a letterati di indubbia ortodossia.
Molti libri subiscono, invece, una censura “parziale”,
circoscritta a brani e parole incriminate; per questa
casistica le modalità di espurgazione sono varie: si
tagliano le pagine incriminate, si rendono illeggibili
con spessi tratti di inchiostro nero singoli vocaboli,
frasi o brani interi o le immagini che accompagnano
il volume. Famosa la censura operata da un solerte
censore spagnolo rimasto anonimo su un ritratto di
Erasmo da Rotterdam, le cui opere subiscono una
censura severa: la penna che nervosamente si muove sul profilo inconfondibile del celebre filosofo cattolico esegue una vera e propria damnatio memoriae.
Nel Cinquecento e nel Seicento, l’inserimento di un
titolo nell’Indice poteva condannare un volume alla
scomparsa o a una circolazione molto difficoltosa, e
avere conseguenze imprevedibili sulla vita e l’attività
del suo autore. Nel Settecento la capacità censoria
degli apparati ecclesiastici si indebolisce: mentre il
mercato editoriale internazionale conosce un boom
senza eguali, i libri condannati dalla Chiesa romana,
e più in generale dalle Chiese, circolano e sono letti.
Non solo: uno scritto all’Indice acquista uno specifico appeal e incrementa le vendite (più o meno sotto
banco). Le proibizioni ecclesiastiche non sembrano
avere molta efficacia tra le
nuove generazioni di lettori. A quale scopo, dunque,
le Congregazioni romane
continuano a riunirsi, a esaminare approfonditamente
la stampa, a emettere faticosi giudizi di conformità o
difformità rispetto all’ortodossia cattolica? Cosa ne
legittima la pubblicazione
e la sopravvivenza? Il fatto
è che ormai, nel corso del
Settecento, a giustificare
la compilazione dell’Index
non e’ più una impossibile
volontà censoria allargata
al panorama intellettuale
tutto, quanto la necessità
di non dismettere uno strumento ritenuto ancora necessario alla salvaguardia
dell’ortodossia, per mettere in guardia il cattolico
osservante da letture pericolose e, in definitiva, per
salvare le anime anche di fronte a una realtà non
più obbediente alle regole tridentine. Logiche analoghe guidano le scelte censorie delle chiese cristiane d’Europa. Questo significa che per il Settecento
non ha più senso parlare di censura? Tutt’altro. Ora
più che mai, la pratica censoria, attuata con successo dalle chiese nei secoli precedenti, diventa un irrinunciabile strumento di controllo per i governi laici.
Sotto il segno della continuità, ovunque la censura
secolare adotta modelli e mezzi propri della Chiesa, mostrando una capacità di intervento molto più
efficace e robusta. La tradizionale prerogativa delle
chiese in materia censoria è ora messa in discussione anche per gli ambiti più strettamente religiosi e
morali: anche lungo la penisola l’adozione dell’Index
romano non è più un dato scontato. Per esempio,
la condanna dell’Encyclopédie da parte della Chiesa cattolica, nel 1759, non viene recepita inizialmente dalla Repubblica di Lucca, che nega l’exequatur.
All’Index romano, che fatica ad aggiornarsi, si accostano o si sovrappongono gli elenchi dei libri proibiti
dai singoli governi. Il controllo della stampa e della
censura è considerata in tutto e per tutto come parte dell’amministrazione statale, un «ramo della civile polizia ed economia pubblica dello Stato», come
ebbe a definirla il cancelliere Kaunitz, braccio destro
di Maria Teresa. Controllo della stampa – dalle gazzette alla pornografia – da parte dello Stato significa
anche controllare e guidare l’opinione pubblica e sollecitarla ad appoggiare le politiche dei governi. Per
quanto riguarda l’area trentina, la competenza ecclesiastica nella materia censoria si inserisce nella con-
7
8
gerie di giurisdizioni feudali che costellano l’area e di
porzioni della diocesi che si prolungavano ben oltre
la frontiera, sottomesse alla Corona d’Austria. Qui,
le autorità cittadine spesso operavano in regime di
monopolio per quanto attiene le licenze di stampa:
a Rovereto, per esempio, sottoposta spiritualmente al vescovo di Trento, ma città suddita del conte
del Tirolo, il clero non svolge ruolo alcuno almeno
fino agli anni quaranta del Settecento, fino a quando
Maria Teresa non interviene a ristrutturare gli assetti
amministrativi e di polizia nei propri territori, e sottrae la materia censoria alle magistrature locali.
L’ossessione delle infiltrazioni eretiche della seconda
metà del Cinquecento – quando i processi al notaio
Leonardo Colombino (1564; 1579) avevano rivelato
la presenza di una rete luterana nel cuore stesso del
Principato vescovile – si era ormai esaurita, almeno
nella parte “italiana” della diocesi trentina. Gli apparati censori sono modesti, almeno quanto la qualità
dell’editoria locale. Ancora a metà Settecento si fatica ad assicurare una veste decente anche alla stampa di un corpo di sonetti. Per pubblicare i propri libri
e per gli acquisti si guarda ai tipografi e agli editori
attivi negli altri stati, a partire da uno dei centri editoriali più vivaci della penisola, Venezia (facendo i conti
con gli apparati censori della Serenissima).
Ad agitare i ritmi calmi dell’editoria locale e dei
censori contribuiscono due autori di primo piano
del Settecento trentino e italiano, l’abate Girolamo
Tartarotti (1706-1761) e il giurista riformatore Carlantonio Pilati (1733-1802), entrambi vittime della
censura, ecclesiastica e secolare. Il primo subisce
il rogo di un proprio scritto (pubblicato a Rovereto
con falsa data di Lucca), bruciato a Trento, davanti
al Duomo, nel maggio 1761, alla presenza di un’ampia folla. La condanna era stata emessa dal principe
vescovo Alberti d’Enno, a causa della dura polemica
dell’autore contro il culto del vescovo Adalpreto e la
figura di Cristoforo Madruzzo, che aveva sollevato le
proteste anche della popolazione e dei consoli della
città. Quanto a Pilati, è sottoposto a un processo formalmente gestito dal tribunale vescovile di Trento
(1768-1769), ma voluto e imposto dalla corte di Vienna al riluttante Cristoforo Sizzo; del resto, i censori
cesarei censuravano libri che avevano ottenuto l’imprimatur del vescovo di Trento. Quello di Pilati era
uscito anonimo a Coira con il titolo Di una riforma
d’Italia – un’opera di impostazione giurisdizionalista
e violentemente anticuriale, destinata a svolgere un
ruolo di primo piano nel dibattito italiano dell’epoca.
Sono i ligi funzionari di Maria Teresa a intercettare la
Riforma d’Italia prima che l’opera finisca all’Indice romano; così il libro finisce presto nell’Indice di Stato
austriaco, introdotto da Maria Teresa nel 1754, per
essere quindi condannato anche dalla censura secolare veneziana. La motivazione è sempre la stessa:
si tratta di un libro che pregiudica gli interessi dello
Stato, l’integrità dei costumi e della religione. Con
simili argomenti il governo di Vienna mette al bando nel giro di vent’anni, e piuttosto efficacemente,
almeno 4.150 libri.
Il processo contro Pilati è emblematico sotto molto
aspetti: a proteggere lo scrittore, contumace, durante i mesi del processo e a mediare in suo favore è
lo stesso vescovo, mentre Vienna vorrebbe condannarlo a una pena esemplare per il fatto stesso di aver
introdotto nei territori della Corona austriaca un libro
altamente sospetto. Suonerà dunque paradossale,
ma solo apparentemente, l’elogio della censura che
Pilati aveva tessuto nella sua opera: nel progetto di
riforma e rinnovamento rivolto alla società italiana, il
controllo della stampa è un fattore non secondario;
servono funzionari statali vigili e preparati, per agire
con misure preventive e repressive. Così ragiona Pilati, futuro censurato:
“I libri ancora possono fare del bene, e del male assai. Quindi devesi essere attento, che i cattivi e stolti
siano banditi dallo Stato... All’incontro cerchisi a tutto potere d’introdurre i buoni libri, e di farli passare nelle mani di molti, e se possibile è, delle donne,
de’ mercanti, e degli artigiani ancora. A questo fine
vuolsi creare de’ censori, i quali siano di finissimo
gusto, e liberi da ogni pregiudizio. A questi avrassi
da dare l’incumbenza di vegliare, perché i cattivi libri che sono nello Stato nel vengano mandati fuori,
e quei che non vi sono ancora, non vi possano venire introdotti giammai. Essi avran pure da rivedere
ogni manuscritto, prima che nello Stato possa venire
stampato, e non potranno a niun libro, che sia cattivo, e contenga qualche errore di questi, che non
vanno sofferti [tollerati], dare la permissione di potere uscire a pubblica luce”.
Quando Pilati scrive, il consenso sulla censura è ancora molto ampio; e d’altra parte, il controllo della
stampa e delle opinioni non è estraneo all’esercizio
della libertà di stampa, ma parte integrante del sistema. I governi hanno tutto l’interesse a instradare
e, insieme, a sorvegliare l’opinione pubblica nascente, cui si chiede una buona dose di prudenza e la
disponibilità all’autocensura. In un tale contesto, gli
imbarazzi dei censori sono ogni giorno più intensi.
Nel 1787, a Trento ci si trovò nella scomoda condizione di censurare sulla gazzetta locale nientemeno
che l’Imperatore: i giornali austriaci riferivano che
Giuseppe II negava l’esistenza del Purgatorio. Che
fare? Stampare la scandalosa notizia o ometterla?
Il cancelliere Gentilotti, censore vescovile, optò per
l’omissione, rischiando la polemica con Vienna. L’anno dopo, il cancelliere si trovò ad adottare la strategia opposta, benché, c’è da crederlo, a malincuore:
il giornale di Trento tralasciò di riferire della festa di
San Vigilio, patrono della diocesi, per non scontrarsi
con l’Imperatore, che mal sopportava simili festività.
In questo caso Gentilottì optò per l’autocensura.
9
Libertà di stampa
e censura: una
relazione ambigua
interviste con
Edoardo Tortarolo
e Paolo Ghezzi
a cura di Paola Bertoldi
Edoardo Tortarolo (Torino,
1956) è professore ordinario di
Storia moderna all’Università del Piemonte orientale
“Amedeo Avogadro”. In anni recenti è stato Fellow
dell’Institute for Advanced Study, Princeton (2006),
professore invitato allo IUSS di Pavia (2008) e Fulbright Lecturer alla Northwestern University di Evanston, Illinois (2010).
È direttore responsabile della rivista Storia della Storiografia. Fa parte del Consiglio di amministrazione
della Fondazione Luigi Firpo di Torino e del Comitato scientifico della Fondazione Federico Chabod di
Aosta. Specialista di cultura europea del Settecento,
si è occupato in particolare delle tradizioni europee
di controllo censorio sulla stampa in età moderna.
Autore di numerose pubblicazioni, il suo ultimo
lavoro è L’invenzione della libertà di stampa: censura e scrittori nel Settecento (2011).
Paolo Ghezzi (Trento, 1957) è
giornalista professionista dal
1979. Lavora nella carta stampata – con qualche
incursione in radio e in tv – da quando aveva 21 anni:
prima ad Affari Italiani, poi a Vita Trentina, quindi
all’Alto Adige, al Mattino di Bolzano e all’Adige di
Trento, di cui è stato direttore per quasi nove anni,
dal 1998 al 2006 e dove ora è inviato speciale nella
redazione economia.
Autore di diversi saggi, è stato fra i fondatori, nel
1981, del mensile di cultura e politica Il Margine, di
cui è tuttora direttore responsabile. Tra i suoi libri, La
Rosa Bianca (1993, nuova edizione 2006), La Voce di
Berlusconi (1995), Sophie Scholl e la Rosa Bianca
(2003), Il Vangelo secondo De André (2003, più volte
ristampato e riproposto in una nuova edizione nel
2006), Cuori Matti (2006). Il suo ultimo libro è Per un
bacio mai dato: l’amore secondo De Andrè (2011).
dell’attività onirica e dei desideri repressi.
Edoardo Tortarolo: “La libertà di stampa è un atteg- Un’altra connotazione che il termine ha assunto nel
giamento, un’eventualità, non un ideale eterno”
corso del Novecento è legata al significato di controllo, in riferimento alla comunicazione di massa.
È possibile dare una definizione di censura trac- Da questo punto di vista, per tracciare un percorso
ciando, per sommi capi, il percorso semantico storico, va sottolineato il carattere di svolta rappredel termine? Come si è evoluto il significato della sentato dall’invenzione di Gutenberg della stampa a
parola e in che contesti è stata usata?
caratteri mobili a metà del Quattrocento. È in questo
Il termine deriva dal latino: la censura fu una magi- momento che è nata la questione, perché si è resa
stratura romana. Il termine, nei secoli successivi e improvvisamente possibile una grande divulgazione
fino al Settecento, indicò un’istituzione che opera di testi e immagini. Fu allora che nacque il problema
dove la legge non può arrivare. A livello di signifi- della democratizzazione della stampa, decidere cioè
cato, il termine censura si colloca a metà fra consi- fino a che punto sia giusto che tutti possano acceglio e repressione, indicando una forma di disappro- dere alle informazioni e alla conoscenza.
vazione morale verso qualcosa che, si auspica, potrà Alla fine del Settecento, con la Rivoluzione Francese,
migliorare.
si afferma, fra l’altro, il principio irrinunciabile della
L’uso del termine censura ha poi avuto grande dif- libertà di comunicare. Nel corso dell’Ottocento il profusione negli ultimi cento anni con la nascita della blema si ripropone e non mancarono tentativi (compsicanalisi, indicando il meccanismo che ci permette plessivamente falliti) di rivitalizzare certi meccanismi
di avere una sana vita psichica attraverso il controllo di censura. Più avanti, con la prima guerra mondiale,
10
si moltiplicarono i canali, come la radio e il cinema,
e più avanti comparvero altri mezzi come la televisione e da ultimo Internet. Oggi abbiamo l’ultima
evoluzione di questo percorso con i blog e i social
network, sistemi che i governi cercano spesso e in
molti modi di controllare.
Che rapporto c’è, anche da un punto di vista storico, fra censura e quarto potere? Come ha inciso la
nascita dell’opinione pubblica su questo equilibrio?
Dobbiamo premettere che la libertà di stampa è un
atteggiamento, un’eventualità, non un ideale eterno;
è una condizione che dipende da molti fattori. Troviamo una maggior avversione alla censura nel
momento in cui c’è un’opinione pubblica forte, attiva
e desiderosa di informazioni corrette. Un’opinione
pubblica di questo tipo, infatti, ha bisogno di spazi per
interagire con il potere politico: tutto questo genera
una reale necessità di notizie veritiere, indispensabili
per il dialogo. La libertà di stampa in questo senso
nasce nell’Inghilterra del Settecento per ragioni pratiche, non ideologiche: in quel contesto si era creata,
tra l’altro, una dinamica classe mercantile che necessitava di informazioni precise su quanto
succedeva in patria e nel mondo
per curare al meglio i propri affari.
In questo non c’è nulla di idealistico, si tratta semplicemente
di una correlazione
fra piano economico e stampa
libera. In Inghilterra c’era inoltre una pluralità
di
confessioni
e l’opinione pubblica poteva quindi
contare su diversi
gradi di libertà che si
intrecciavano.
L’Europa continentale,
al contrario, non visse
questo fermento anche
perché le gazzette erano
in mano ai governanti,
i cui funzionari potevano leggere e censurare gli articoli prima
che questi andassero in
stampa (è la censura preventiva). Questa situazione ovviamente bloccava la nascita
dell’opinione pubblica.
Nell’Ottocento tutto questo
cambiò e i movimenti liberali
chiesero e ottennero il rico-
noscimento della libertà di stampa (che è garantita
anche nello Statuto albertino). Naturalmente, il fatto
che questo diritto venisse “istituzionalizzato” non
comportò la totale abolizione di meccanismi censori perché ci sono molti modi per limitare la libertà
acquisita. Un esempio sono gli ampi poteri concessi
ai prefetti, o l’approvazione di leggi che elencano i
reati a mezzo stampa. Si tratta di un problema vecchio che incide anche nella nostra contemporaneità
perché la libertà di stampa è riconosciuta dalla Costituzione, ma questo non basta: una dimostrazione è
rappresentata dalle statistiche che mettono l’Italia
molto in basso nella lista dei paesi con maggiore
libertà di stampa.
Nella storia è spesso accaduto che le rivoluzioni
scoppiate proprio per ottenere diritti considerati
“inalienabili”, come la libertà di espressione e di
stampa, abbiano poi finito per limitare e imbrigliare
con apposite leggi queste libertà (il caso ad esempio della Rivoluzione Francese). È una contraddizione inevitabile?
È un fenomeno che si può osservare anche oggi:
basta vedere come è stato affrontato il
caso WikiLeaks. Sono espressioni di una
cultura che ha lottato per raggiungere la
sua libertà ma che poi si trova di fronte
ai limiti che si deve porre per
la sua sopravvivenza.
Si tratta di un argomento
importante
che ha a che fare con
i confini entro i quali
si possono diffondere informazioni nel
nome della libertà di
espressione. Per fare un
esempio, è giusto pubblicare vignette razziste per
esercitare il diritto di satira
nei confronti di Obama?
Probabilmente sarebbe
meglio
che
questo
non fosse permesso
perché incitano all’odio
razziale.
Naturalmente
non è facile gestire
questo aspetto e ogni
società deve governare
al meglio i propri meccanismi interni. Il modo che
sceglie dipende da molti
fattori, per lo più storici:
pensiamo alla Russia,
dove non è mai esistita di
fatto la libertà di stampa e
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dove, ancora oggi, le forme di controllo non sono
molto diverse dai metodi zaristi.
C’è in effetti una logica differenza fra quanto viene
enunciato a livello teorico nelle costituzioni e la loro
applicazione. Secondo Montesquieu la cosa importante non è che i regnanti affermino l’esistenza della
libertà di stampa, ma piuttosto il fatto che i cittadini
abbiano la possibilità di criticare il sistema. Ed è
questo che dovrebbe fare oggi chi è al potere: creare
le condizioni affinché possa esserci una reale libertà
di stampa.
Il suo ultimo libro s’ intitola L’invenzione della libertà
di stampa: censura e scrittori nel Settecento. Nella
sua trattazione si capovolge un po’ la prospettiva
che vede la censura come un aspetto per forza di
cose negativo. In che senso la censura è un diritto?
E in che modo è giusto che venga esercitata?
Bordieu sosteneva che la censura è tanto più efficace
quanto più è invisibile. Questo si verifica quando i
meccanismi censori sono superflui perché nessuno
formula critiche o concepisce un pensiero che non
sia ammesso dall’autorità. In altre parole è come se
non servissero guardiani perché nessuno infrange le
regole. Da questo punto di vista, il fatto che esista
una qualche forma di censura è importante, perchè
significa che c’è qualcuno che “sgarra”, che esce
dagli schemi. Nella storia, in ogni società le persone
hanno sempre cercato uno spazio di libertà dove
potersi esprimere in maniera diretta. Una delle forme
più note e diffuse è il teatro: grazie alla recitazione
era possibile rivolgersi in modo diretto e non filtrato
a grandi quantità di persone. Ma un altro esempio in
questo senso sono i sermoni dei sacerdoti: la gente
andava a messa almeno una volta in settimana e la
predica rappresentava un grande canale di comunicazione, tanto è vero che spesso c’era un accordo
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fra potere politico e potere religioso sui contenuti da
veicolare.
Nel suo libro viene riportata una considerazione
provocatoria, ma interessante, a proposito della
censura come forma di controllo alternativa e
migliore rispetto a metodi più violenti.
È una delle tante boutades di George Bernard Shaw,
il quale sosteneva che, dopo tutto, l’omicidio è la
forma estrema e definitiva di censura. In una prospettiva di lungo periodo la censura può essere considerata una forma di (limitata) tolleranza, preferibile
alla soppressione fisica di un interlocutore sgradito.
In realtà in Europa si è sviluppata, malgrado tanti
ostacoli e momenti di accecamento, una cultura contraria alla violenza bruta, per un suo percorso storico
che l’ha portata a un crescente rispetto per l’opinione
altrui. Ci troviamo di fronte a una maggiore empatia
verso chi non la pensa come noi; come diceva Voltaire, la vera tolleranza si mette in evidenza quando
abbiamo a che fare con chi non ha le nostre stesse
idee.
Lo stato di salute della libertà di stampa si può misurare dalla varietà di opinioni che animano il dibattito pubblico e da questo punto di vista il fatto che
oggi ci siano così poche idee in circolazione non
è un buon segno. In Italia si sente la mancanza di
riflessioni nuove, punti di vista insoliti, opinioni che
affrontano i problemi da diverse angolazioni. Non si
concepiscono pensieri differenti da quelli in circolazione e questo è grave perché i grandi mutamenti
nella storia sono venuti sempre da questo cercare
di guardare con occhi nuovi. La libertà di stampa è il
fattore decisivo di una società aperta.
In base a questa analisi, qual è la sua opinione sulla
stampa italiana oggi?
In generale devo dire che la trovo fatta male, di
bassa qualità, con qualche eccezione. Il problema
del nostro Paese è che si rimane troppo legati all’occasionalità della notizia, non esiste il confine fra
calunnia e affermazione verificata, si dedica troppo
spazio a notizie come la vita privata delle persone o
lo sport e il modello è quello, pessimo, imposto dalla
televisione. Le informazioni che vengono proposte
non aggiungono niente al dibattito e non dicono
niente di reale o di utile sulla società italiana. È quasi
come se la stampa italiana si stesse autocensurando: prevalgono solo le logiche della vendita con
un processo di sfalsamento delle prospettive. Io non
credo che questo corrisponda a quello che vuole la
gente, anzi, se ci fossero dei tentativi per cambiare
questa situazione la società civile risponderebbe con
interesse. Oggi per fortuna inizia a diffondersi l’importanza di forum, blog e riviste online: sono esperienze che negli Stati Uniti hanno già dato origine a
casi di successo, che forniscono spunti nuovi e che
propongono discorsi articolati e complessi. Questo
per ora manca nella stampa italiana, la quale, non lo
dobbiamo dimenticare, svolge comunque un compito didattico non secondario in un contesto spesso
difficile.
Paolo Ghezzi: “Possiamo dire di essere in una fase
di passaggio, una fase dove una maggioranza poco
reattiva si contrappone a una sempre più consistente
minoranza che non accetta di essere ingannata”
Quali sono, se esistono, le forme di censura presenti oggi nel sistema dei mezzi d’informazione? È vero
che la libertà di espressione è un diritto garantito
dalla Costituzione, ma ci sono ancora dei meccanismi censori?
Nel contesto attuale ci sono in effetti alcune forme
atipiche di censura. Una di queste è l’applicazione
rigida, in televisione, della legge sulla par condicio
che, di fatto, limita la libertà del giornalista di intervistare chi ritiene più idoneo per l’argomento in discussione. Questo implica che, ad esempio, non si
possano chiamare i testimoni più qualificati indipendentemente dalla loro collocazione o colorazione,
ma solo personaggi targati e spartiti politicamente. E
così si mina la possibilità di fare informazione libera.
Un altro esempio di censura atipica è la restrizione
già in vigore per la pubblicazione di documenti giudiziari, mentre nuove proposte di legge (soprattutto
governative) puntano a vincolare ulteriormente la
possibilità di diffondere il contenuto di atti giudiziari
di vario genere. È chiaro che va rispettata la legge
sulla privacy e tutelata la persona, ma è anche evidente che il potere politico sta cercando di restringere la libertà del giornalista di fare il suo mestiere. In
pratica, schermandosi dietro la difesa della privacy,
si tentano manovre censorie per impedire alla stampa di gestire la libera diffusione delle informazioni. È
come se il potere politico volesse sostituirsi al giornalista nel decidere che cosa pubblicare e con quale
impostazione. È anche a causa di questo, oltre che
per la concentrazione delle testate in poche mani,
che l’Italia ha un ranking molto basso nelle classifiche mondiali sul livello di libertà di stampa.
Quando si parla di censura, un ruolo importante
è quello rivestito dall’opinione pubblica. Quando
questa è forte, informata, critica, è più difficile censurare le notizie. Com’è oggi l’opinione pubblica in
Italia?
Oggi l’opinione pubblica si divide in maniera abbastanza netta: da una parte c’è una maggioranza grigia,
poco vivace e non interessata all’informazione libera
e critica. È quella consistente fetta di popolazione
che ha come riferimento principale la televisione: vedendo quali sono i programmi più seguiti, è evidente
che non stimolano la coscienza critica collettiva. Ma,
a differenza di pochi anni fa, sta aumentando il peso
di una minoranza significativa, interessata, dinamica
e partecipe. Sono persone che utilizzano i nuovi mezzi, soprattutto internet e le sue applicazioni, cioè quei
canali che stanno dimostrando una grande capacità
di mobilitazione. Questi nuovi sistemi stanno cambiando molto il giornalismo perché gli autori di buona parte della comunicazione prima prodotta erano
i giornalisti, mentre adesso chiunque ha a disposizione svariati canali per la trasmissione delle notizie.
Molti sono critici verso questo cambiamento (in rete
c’è di tutto, se non c’è selezione critica si rischia la
diffusione selvaggia di news incontrollate) ma io credo che i vantaggi siano superiori ai rischi. Grazie a
questi strumenti forti e difficili da censurare andiamo
incontro a una crescente democratizzazione dell’informazione.
Parecchie notizie, che non passano per la tv, arrivano
ai cittadini grazie alla rete con un conseguente recupero di libertà di informazione e possibilità di critica:
non ci sono più i filtri di prima e diventa molto più
difficile nascondere le cose alla gente. Quindi, possiamo dire di essere in una fase di passaggio, una
fase dove una maggioranza poco reattiva si contrappone a una sempre più consistente minoranza che
non accetta di essere ingannata.
Una delle critiche che vengono mosse alla stampa
oggi è la mancanza di voci fuori dal coro, di idee
nuove e pensieri che escano dagli schemi, quasi
come se la stampa si stesse autocensurando. Da
cosa nasce questo atteggiamento e quanto è diffuso fra i giornalisti e gli editori?
Dal mio punto di vista l’autocensura non è un comportamento diffuso solo ai giorni nostri, ma credo
che ci sia sempre stata. Bisogna però fare una distin-
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zione: il fatto che la Stampa di Torino non abbia mai
criticato i modelli della Fiat o che Avvenire non abbia mai preso posizione contro il Vaticano è un’ovvia
constatazione dell’autocensura strutturale rispetto a
chi è il proprietario del tuo mezzo di comunicazione.
Ben diversa è l’autocensura che potremmo chiamare programmatica, un fenomeno nuovo che invece è
molto più preoccupante. Siamo, infatti, passati da un
modello di informazione che insisteva sull’indipendenza della stampa da qualunque tipo di potere, ad
un modello neo-fazioso, neo-partigiano. Oggi l’atteggiamento più frequente è quello della testata schierata per partito preso, al di qua o al di là degli assetti
proprietari del giornale, senza più alcuna preoccupazione di tenere la barra dell’imparzialità tendenziale.
Mi spiego meglio: l’atteggiamento di una stampa
sana deve essere quello di giudicare le informazioni
in base agli oggettivi criteri di notiziabilità, indipendentemente dal contenuto o dalla parte politica che
le ha generate.
A partire dall’ultimo decennio del secondo millennio,
in Italia, in coincidenza con la discesa in campo politico di un tycoon dei mass media, c’è stata invece una
polarizzazione, per cui una testata si dichiara sostenitrice di una parte piuttosto che di un’altra e rinuncia all’obiettività che dovrebbe contraddistinguere il
giornalismo. In pratica si fa una scelta di campo di
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tipo politico dando rilevanza alle notizie che danneggiano una certa parte e sminuendo invece le informazioni “scomode” per la corrente opposta. Tutto
questo avviene anche con eccessi verbali che a volte
sono quasi imbarazzanti rispetto al tono e allo stile
che dovrebbero usare i professionisti.
Quindi la politica è entrata in maniera sempre più
invadente nelle logiche giornalistiche.
È un fenomeno interessante ma al tempo stesso inquietante perché porta nelle pagine dei giornali una
carica di faziosità nociva al dibattito pubblico. Questa
deformazione è uno degli effetti della radicalizzazione della contesa politica, è un riflesso del berlusconismo, inteso come visione del mondo dicotomica,
dove ci sono due parti che si scontrano, buoni e cattivi, amici e nemici, l’impero del bene e il potere del
male. L’informazione ha purtroppo assunto il modus
operandi di questa politica polarizzata con il risultato
che si rinuncia ad analizzare una notizia per quello
che è e la si considera solo per quello che serve, per
l’effetto che avrà su chi legge. Molte redazioni trattano ormai le informazioni per la loro funzione, non per
la loro rilevanza.
Per esemplificare la questione, basta ricordare un
episodio accaduto pochi giorni prima dei ballottaggi
per le amministrative di Milano e Napoli. Il 25 maggio Il Mattino di Napoli ha pubblicato un editoriale a
firma del prof. Giovanni Orsina che parlava di politica ma con un contenuto tendenzialmente neutro.
Prima di pubblicarlo, uno dei redattori del giornale
ha aggiunto allo scritto di Orsina 31 righe per dare
un taglio più schierato, contro il governo e il premier.
Due giorni dopo il Giornale, di proprietà della famiglia Berlusconi, è uscito con il titolone in prima pagina che accusava il Mattino di manipolazione, mentre
gli altri quotidiani hanno dato la notizia nelle pagine
interne e senza enfasi. Questo è sintomatico: da un
lato la direzione della testata partenopea che ha effettivamente commesso un atto grave, modificando un
editoriale senza preavviso né confronto con l’autore,
dall’altra però il Giornale che ha utilizzato la notizia
non per il suo valore in sé (limitato), ma per attaccare e accusare fragorosamente gli avversari politici
del premier, e capovolgere la vulgata del Cavaliere
censorio.
Esiste un diritto alla censura? Oppure esiste solo il
diritto di esprimersi pubblicamente senza nessun
tipo di freno?
Esiste un diritto assai circoscritto a porre dei limiti
alla libertà di stampa. L’articolo 21 della Costituzione
recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni
altro mezzo di diffusione”. La stampa non può essere
soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’au-
torità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge
sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso
di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili”.
La censura in linea di principio è dunque esclusa
dall’orizzonte costituzionale. In termini sostanziali,
alla parola censura io associo un potere dall’alto che
interviene nel merito dei contenuti e mi impedisce di
pubblicare notizie che io ritengo degne di divulgazione. Ma questo non accade in sistemi democratici in
cui esiste una libera informazione; nella nostra realtà
abbiamo delle forme di controllo, cioè delle norme
che tutelano la persona, come la famosa legge sulla
privacy. In questo caso però non parliamo di censura
ma di applicazione di una legge votata democraticamente che salvaguarda certi valori inerenti la sfera privata e la dignità della persona: stato di salute,
convinzioni religiose, opinioni politiche e così via.
È una legge equilibrata che però viene troppo spesso tirata in ballo a sproposito e sulla quale c’è anche
parecchia ignoranza: c’è chi invoca la privacy addirittura sui dibattimenti processuali, che sono pubblici. Un altro tema di cui si parla spesso ultimamente
sono le intercettazioni: in quest’ultimo caso chi critica la normativa è spesso chi ha interesse a fare o
non fare uscire certe notizie.
Anche qui una regolamentazione di legge va bene,
ma tutto il polverone che si solleva intorno alle trascrizioni è strumentale, un malcostume viziato da
partigianeria. In conclusione, io credo che le leggi
limitative degli abusi della libertà di stampa ci siano
e che, se applicate correttamente, siano sufficienti
a garantire i diritti di tutti ma anche a salvaguardare
una libera informazione oggi in Italia. Resta il problema – sostanziale, giuridico e politico – dell’oligopolio
del mercato dei media.
Che cosa ne pensa della situazione della libertà di
stampa in Trentino? Nel corso della sua esperienza
le è mai capitato di scontrarsi o di venire a conoscenza di casi più o meno gravi di censura?
In Trentino per fortuna certi meccanismi non esistono e non mi pare che accadano episodi come quello del Mattino di Napoli. Questo per due motivi: la
proprietà delle testate – parlo per la carta stampata
che è quella che conosco meglio – non ha particolari
interessi in grado di condizionare l’informazione e,
per quanto riguarda la politica, non ci sono contese
violente né scontri molto accesi. Però anche in Trentino sono accaduti episodi che hanno implicato forme più o meno esplicite di censura o autocensura:
me ne vengono in mente tre.
In primis, è capitato recentemente che alcune notizie siano state date dai quotidiani locali in ritardo,
perché considerate sospette in quanto la fonte era
una parte politica che aveva interesse a diffondere
una notizia contro la parte avversaria. In questi casi
c’è stato un atteggiamento di autocensura da parte
della stampa la quale era in possesso di una notizia
ma, sapendo quale fosse la fonte, ha messo un filtro
per evitare che la pubblicazione venisse poi strumentalizzata dalla politica. Si è trattato di un eccesso di
prudenza: per paura delle conseguenze non c’è stata
una corretta valutazione dell’informazione. La notizia
deve essere valutata in maniera neutrale per ciò che
è in sé, indipendentemente dall’uso politico che può
esserne fatto.
Un secondo caso di tentativo di censura è capitato con alcuni inserzionisti pubblicitari, che, vista la
costante contrazione di risorse a disposizione delle
testate, sono sempre più indispensabili per i ricavi
delle testate stesse, specialmente negli ultimi anni.
In seguito alla pubblicazione di notizie non gradite
ad alcuni inserzionisti, questi si sono rivolti alla proprietà minacciando di sospendere la campagna pubblicitaria. Non si è trattato di censura vera e propria,
ma comunque di un pesante tentativo di condizionamento. Devo peraltro dire che in questa situazione
non ci si è sottomessi al ricatto ma la cosa è stata
risolta con una mediazione che non ha poi inficiato i
rapporti fra le parti coinvolte.
Infine, un ultimo caso ricorrente ma che è probabilmente inevitabile, riguarda l’autocensura nei confronti di fonti importanti. Per chi fa questo lavoro, specie
in una realtà piccola come la nostra, è fondamentale
poter contare su contatti fiduciari con informatori in
grado di dare notizie fresche e di interesse giornalistico, possibilmente in anticipo e in esclusiva. Sono
rapporti di confidenza e di fiducia che si costruiscono
nel tempo e che sono troppo preziosi per rischiare di
perderli. Per questo, il giornalista tenderà a essere
molto protettivo con la sua fonte e può capitare che
rinunci a pubblicare subito alcune notizie pur di non
danneggiare in qualche modo il suo contatto. Questo
è, credo, un problema ineliminabile sia per i meccanismi intrinseci della professione, sia perché psicologicamente la contiguità con le fonti porta ad avere
atteggiamenti di favore verso chi fornisce il maggior
numero di informazioni, mentre al contrario crea pregiudizio negativo nei confronti di chi le informazioni
non le dà mai, o le fornisce con il contagocce, e solo
quando gli conviene.
In base a queste considerazioni, qual è secondo lei
il futuro dell’informazione e della libertà di stampa?
I nuovi media stanno cambiando e cambieranno il
mondo dell’informazione. Noi in Trentino forse non
percepiamo con chiarezza quanto succede altrove,
ma stiamo intravedendo ora un cambiamento che
sarà radicale. Oggi il dramma della stampa scritta è
che i lettori più fedeli invecchiano e non vengono più
sostituiti dalle giovani generazioni. Ma i nuovi mezzi
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permettono una maggiore pluralità di fonti informative e questo è un bene. È vero che c’è il rischio di
trovare qualunque cosa nella confusione della rete,
ma la scommessa del giornalista è proprio quella di
utilizzare i nuovi canali mettendo la sua professionalità a disposizione degli utenti. Sulla rete chiunque si
può improvvisare giornalista, ma sopravviverà solo
chi saprà essere una fonte di informazioni solida e
credibile, perché le bugie si smascherano in fretta.
In questa nuova ottica, quindi, il rischio della censura
appare in buona parte un problema vecchio e superato. La trasversalità dell’informazione fatta dai social
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network e dai blog è già un’alluvione e travolgerà i
vecchi paletti e i confini canonici.
Al momento ne vediamo solo l’inizio, ma questa “rivoluzione” (non a caso osteggiata dalla censura dei
Paesi non democratici) colpirà anche le residue forme
di censura, con effetti positivi. I nuovi mezzi rendono, infatti, ridicolo il tentativo di imbrigliare e mettere
dei limiti alle notizie. Ci potrà sempre essere chi cerca
di intervenire con leggi censorie apposite ma credo
che non potranno resistere alla meravigliosa (e anche
un po’ terribile, s’intende) invadenza alluvionale del
world wide web.
La censura
nelle biblioteche
Nell’opinione comune, la centive di fatti giudiziari prima che
sura, intesa come “controllo
vengano emesse le sentenze
preventivo delle opere da difdi condanna degli imputati
fondere o da rappresentare in
(di
qualsiasi colore politico).
una storia che
pubblico” (Giacomo Devoto
Viviamo circondati di infor(purtroppo) si ripete
– Gian Carlo Oli, Vocabolario
mazione, dunque tutto si può
della lingua italiana, Firenze, Le
venire a sapere, niente è cenMonnier, 2007, p. 498), viene
surato. Ma è veramente così o
di Elena Corradini
ritenuta una pratica diffusa nei
questa è solo un’impressione?
regimi totalitari, estranea alla
In realtà, il rischio della cenvita dei paesi democraticasura è ancora presente, ma
“La censura è pubblicità
mente più avanzati, che esplinon
solo (o non tanto) a un
pagata dal governo”
citamente dichiarano nelle legilivello che potremmo dire
Federico Fellini
slazioni nazionali la libertà di
“superficiale” della diffusione
espressione quale uno dei diritti
dell’informazione nella società,
fondamentali
dell’individuo,
ma a un livello più subdolo
facendo così propria la Dichiae profondo. Ed è un rischio
razione universale dei diritti
che corriamo e correremo
dell’uomo approvata dall’ONU
ancora, laddove, per i motivi
nel 1948. In Italia, la carta costipiù diversi, vengono disattesi i
tuzionale riconosce la libertà di espressione, di infor- presupposti della libertà di espressione e informamazione e di essere informati, con l’unico limite del zione, pur sanciti a livello internazionale dall’Unerispetto del buon costume (articolo 21). Sembre- sco (con il Manifesto per le biblioteche del 1994) e
rebbe quindi che l’informazione possa circolare libe- dall’International Federation of Library Associations
ramente, fatto salvo il limite del “decoro”, un con- and Institutions (IFLA), in particolare grazie all’attività
cetto che, negli anni, ha conosciuto certamente una del Comitato Free Access to Information and Freesorta di “deriva semantica”. Al di là di questo, consi- dom of Expression (FAIFE).
derato il tipo di notizie che siamo abituati a leggere, Un contesto in mutamento
ascoltare e vedere quotidianamente, sembrerebbe a La produzione editoriale, in costante mutamento e
uno sguardo superficiale che l’informazione circoli accresciuta anche dal fenomeno dell’auto-produeffettivamente in modo libero: si possono conoscere zione attraverso il web, specchio della frammentaparticolari delle vite private di personaggi in vista, zione della nostra società, si è ormai evoluta da un
si può assistere a debita distanza a fatti occorsi in ambiente informativo organizzato esclusivamente
ogni parte del mondo (e quanti di noi non pensano, sulla base di un modello gerarchico e verticale a
a volte, che talune delle immagini viste sui giornali un modello dove coesistono varie modalità di proo trasmesse in tv siano addirittura raccapriccianti, duzione e comunicazione. La circolazione delle
eccessive, moleste?), si leggono ricostruzioni defini- informazioni avviene in modalità multicanale (per
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via scritta, audio e video) e multi-autoriale, con un
impatto diversificato sul pubblico. La pluralità dell’offerta induce a pensare che non solo aumenti la libertà
di scelta fra molteplici opzioni, ma che inoltre la possibilità di controllo sulla produzione di informazioni
(e tra queste di letteratura) venga affievolendosi.
Tuttavia, fatti di censura implicita ed esplicita, più
o meno consapevolmente perseguiti, si ripetono e
ricorrono anche oggi, in contesti che farebbero supporre l’esistenza di condizioni favorevoli al pluralismo, come le democrazie più avanzate, tra le quali
vorremmo annoverare l’Italia.
Ma talvolta la tentazione di censurare c’è, anche
vicino a noi.
Censura e libertà di informazione: un perenne contrasto?
Non sempre la censura viene riconosciuta come tale
da chiunque, né la libertà di informazione è ritenuta
sempre assoluta. A discriminare fra questi due poli è
spesso l’atteggiamento culturale di chi invoca il
ricorso all’una o all’altra posizione, in situazioni limite
o comunque in partenza controverse. Si ricorderà
che nel 1976 in Trentino fu sollevato un caso e fu
celebrato un processo per il prestito di un’enciclopedia per ragazzi, l’Enciclopedia della vita sessuale,
edita da Mondadori, che a detta di alcuni conteneva
immagini scabrose. Forse il fatto si può interpretare
con una maggiore preoccupazione per l’educazione
alla moralità delle giovani generazioni rispetto che al
consentire loro il diritto di informarsi su un tema,
quello della sessualità, certamente delicato ma inevitabilmente da affrontare proprio in età adolescenziale. Più controversa, qualche anno fa, la vicenda di
una bibliotecaria che si vide imputata per aver concesso in prestito a una giovane ragazza, uno dei casi
letterari dell’anno, Scopami, che il Ministero del lavoro
e delle politiche sociali aveva inserito nell’elenco dei
testi consigliati agli adolescenti nell’ambito della campagna antidroga “Il vero sballo è dire no”.
Se questi furono casi portati alla ribalta della cronaca
in seguito ad azioni di querela o esposto da parte
di privati, più recentemente, nel gennaio scorso,
l’Assessore alla Cultura della Provincia di Venezia
ha chiesto il ritiro dalle biblioteche civiche di tutti i
libri degli autori che nel 2004 firmarono un appello
per Cesare Battisti. In questo caso si è trattato di
un’azione pubblica, e perciò ingiustificata e ingiustificabile, di censura contro tutta la produzione editoriale di un vasto numero di scrittori, fra i quali Valerio
Evangelisti, Massimo Carlotto, Tiziano Scarpa, Nanni
Balestrini, Daniel Pennac, Giuseppe Genna, Giorgio
Agamben, Girolamo De Michele, Vauro, Lello Voce,
Pino Cacucci, Christian Raimo, Sandrone Dazieri,
Loredana Lipperini, Marco Philopat, Gianfranco
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Manfredi, Laura Grimaldi, Antonio Moresco, Carla
Benedetti, Stefano Tassinari, Wu Ming (Giovanna
Cosenza, blog: http://giovannacosenza.wordpress.
com/2011/01/19/lincredibile-storia-della-censuranelle-biblioteche-venete).
In tutti questi casi, l’Associazione italiana biblioteche (AIB) ha espresso chiaramente la propria posizione, difendendo la libertà di espressione e di informazione; richiamandosi doverosamente al proprio
codice deontologico, ha messo in chiaro come le
biblioteche debbano difendere il diritto di accesso
all’informazione da parte di ciascun individuo.
Forme di censura interna alle biblioteche
Come ha giustamente osservato Fausto Rosa qualche anno fa oltre alla censura editoriale, vi sono
anche altre forme di censura, più subdole, che possono colpire le biblioteche.
Si tratta di una fattispecie insita nel lavoro stesso
dei bibliotecari, da un certo punto di vista implicita,
che necessita di una forte capacità di autocritica per
essere smascherata e allontanata. Nella fattispecie,
Rosa distingue fra censura libraria e del mercato editoriale, censura organizzativa e strutturale presente
nelle biblioteche, censura nel comportamento professionale del bibliotecario.
Pensiamo alle attuali riduzioni di risorse economiche
(in alcuni casi molto consistenti) e alla conseguente
diminuzione degli acquisti. A che cosa dare maggior
risalto? Che cosa si può considerare secondario? La
competenza del bibliotecario e le sue conoscenze
delle dinamiche del mercato editoriale possono
ridurre il rischio di escludere dalle raccolte opere
“marginali” ma non per questo meno importanti.
Le biblioteche, nella loro essenza di strumento di
politica culturale, possono inoltre essere “orientate”
dalle amministrazioni di riferimento, e sta al bibliotecario esercitare una funzione di riequilibrio delle
esigenze di tutti.
Da questo punto di vista, soltanto un costante riferirsi all’etica professionale può liberare da possibili
condizionamenti. Il bibliotecario, infatti, secondo
Rosa, “rischia di incorrere in attività censoria in
molte situazioni: nella gestione amministrativa
del servizio, [...] nella corretta applicazione delle
normative di settore, [...] nella selezione / sfoltimento delle collezioni”, nell’attenzione alla corretta
gestione dei servizi bibliografici e informativi (senza
far prevalere l’aspetto didattico-educativo), nell’evitare di “cadere in comportamenti di eccessiva personalizzazione” [Fausto Rosa, La censura nelle
biblioteche e l’etica del bibliotecario, in: “Bibliotime”, anno X, n. 1 (marzo 2007), disponibile su:
http://didattica.spbo.unibo.it/bibliotime/num-x-1/rosa.htm].
Solo un richiamo sempre più forte all’etica professio-
nale può allontanare il pericolo della censura interna dati di informazioni riservate, ma rese pubbliche in
alle biblioteche.
rete da Assange, possiamo certamente capire che
addentrarsi in un dibattito a questo livello risulteCensura in rete
rebbe quantomeno spinoso.
La responsabilità delle biblioteche termina però ladPer concludere, come si è visto da questa breve
dove esse esercitano un controllo diretto sulle prorassegna, non si può mai del tutto escludere la preprie raccolte. Da questo punto di vista, il web rappresenza della censura, per diversi ordini di motivi. Il
senta un universo a sé stante, che però può essere
più importante di questi ci pare tuttavia essere la
oggetto di attenzione qualora nascano dei palesi eleresponsabilità dei singoli nel porsi in modo automenti di distorsione alla libertà di informazione. È il
critico verso ogni espressione di pensiero, e nel
caso delle azioni messe in atto, a livello italiano, dalle
riconoscere agli altri, come a se stessi, la possibiassociazioni dei consumatori Adiconsum, Altroconlità di accedere a ogni tipo di informazione. Certo,
sumo, Assoprovider, Assonet, Agorà digitale contro
da questo consegue la necessità di attrezzarsi per
la chiusura di siti, blog e pagine web da parte della
comprendere come valutare criticamente le inforAGCOM, in modo unilaterale. Non è sempre facile
mazioni che ci vengono proposte o che reperiamo
però distinguere, nelle azioni delle autorità per la
autonomamente. Vi sono istituzioni e professionisti
garanzia delle comunicazioni, fra vera censura e
che possono guidare verso questa consapevolezza,
necessità di evitare la diffusione di informazioni non
le biblioteche e i bibliotecari. Sempre che riescano,
attendibili, non verificate o addirittura false. Se penfacendo leva sulla propria deontologia e professiosiamo all’effetto che ha avuto WikiLeaks, la banca
nalità, ad allontanare le insidie della censura.
Free Access to Information and Freedom of Expression
FAIFE è un Comitato interno all’International Federation of Library Associations and Institutions (IFLA)
creato per difendere e promuovere i diritti umani fondamentali definiti dall’articolo 19 della Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo dell’ONU. Il Gruppo FAIFE promuove la libertà di accesso all’informazione
e la libertà di espressione in tutti i suoi aspetti, direttamente o indirettamente, in relazione alle biblioteche e alla professione di bibliotecario. FAIFE verifica che venga difesa la libertà di espressione nella
comunità bibliotecaria internazionale, supporta l’attività dell’IFLA per lo sviluppo di politiche specifiche
e di coordinamento con altre organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani e reagisce
alle violazioni sul libero accesso all’informazione e
alla libertà di espressione.
I suoi principi fondamentali sono riassumibili nei
seguenti punti:
• la libertà intellettuale è il diritto di ogni individuo
di avere ed esprimere opinioni e cercare e ottenere informazioni;
• la libertà intellettuale è alla base della democrazie;
• la libertà intellettuale è al centro della concezione
della biblioteca.
Ultimi rapporti pubblicati nel 2011:
• Report on the Public Access to Health Information
Workshop in Mozambique;
• The role of Information Technology in defeating
the Arab regimes: Facebook 2-0 Arab Presidents.
Fonte: http://www.ifla.org/en/about-faife
19
Il Codice deontologico dei bibliotecari italiani
Il Codice deontologico è un codice etico, approvato dall’Assemblea generale dell’Associazione
italiana biblioteche, tenuta a Napoli il 30 ottobre
1997 (ultimo aggiornamento 23 marzo 1999) che
impegna il bibliotecario nei confronti dell’utente
e della professione.Al Codice hanno l’obbligo di
conformarsi i membri dell’Associazione italiana
biblioteche che è guida professionale e garante sia
per i bibliotecari che per le realtà esterne. Il Codice
deontologico del bibliotecario rappresenta lo statuto dell’autonomia della professione.
1. Doveri verso l’utente
1.1. Il bibliotecario garantisce
all’utente l’accesso alle informazioni pubblicamente disponibili e
ai documenti senza alcuna restrizione che non sia esplicitamente
e preliminarmente definita attraverso leggi o regolamenti.
1.2. L’informazione fornita dal
bibliotecario è completa, obiettiva e imparziale, cioè non condizionata da punti di vista, idee
e valori del bibliotecario stesso
né da enti politici o economici
esterni.
1.3. Nella gestione della biblioteca e nel servizio al pubblico
il bibliotecario non accetta condizionamenti in ordine a sesso,
etnia, nazionalità, condizione
sociale, fede religiosa o opinioni politiche.
1.4. Il bibliotecario ripudia e
combatte qualsiasi forma di
censura sui documenti che raccoglie e organizza e sull’informazione che fornisce.
1.5. Il bibliotecario garantisce
la riservatezza dell’utente, delle
informazioni che ha richiesto o
ricevuto e delle fonti utilizzate.
1.6. Il bibliotecario, nello svolgimento della sua professione,
non deve trovarsi in posizione
di conflitto di interessi e non
utilizza per interesse personale
informazioni e risorse di cui
dispone per il proprio ufficio.
20
1.7. È dovere del bibliotecario promuovere singolarmente e in forma associativa l’efficienza e l’autonomia del servizio bibliotecario in quanto strumento di democrazia.
2. Doveri verso la professione
2.1. Il bibliotecario deve onorare la professione,
con profonda consapevolezza della sua utilità
sociale.
2.2. Il bibliotecario deve possedere un’ampia e
approfondita cultura professionale mediante la
quale fornisce all’utente un servizio di alta qualità, secondo parametri definiti di
efficienza delle prestazioni e perseguendo l’utilizzazione ottimale
delle risorse.
2.3. La cultura professionale deve
essere continuamente e costantemente aggiornata anche tramite
la partecipazione ad associazioni
e organizzazioni bibliotecarie.
2.4. Il bibliotecario, nella propria
attività professionale, ispira il
proprio comportamento verso i
colleghi di lavoro a correttezza,
rispetto e spirito di collaborazione.
3. Doveri verso i documenti e le
informazioni
3.1. Il bibliotecario si impegna
a promuovere la valorizzazione e
tutela dei documenti e delle informazioni.
3.2. Il bibliotecario si impegna
a garantire la trasmissione della
conoscenza mediante la razionale
organizzazione dei documenti e
agendo con imparzialità e cultura
professionale.
3.3. Il bibliotecario, consapevole
del contesto globale in cui opera,
si impegna a promuovere singolarmente e in forma cooperativa
l’integrazione dei diversi sistemi
informativi e la rimozione degli
ostacoli organizzativi e geografici
che limitano la circolazione delle
informazioni e dei documenti.
Ginevra – introduce l’ultimo
Scrivere di internet è rischioso.
tassello. Si chiama HYPER
I discorsi relativi a questo tema
libertà e censura
TEXT TRANSFER PROTOCOL,
sono spesso intrisi di esageraabbreviato in HTTP. È un prozioni e ovvietà. Per cercare di
in Internet
tocollo che consente di realizevitarle, seguiamo l’evoluzione
zare testi adatti a una lettura
del mezzo facendo riferimento
di Alice Manfredi
non sequenziale caratterizzata
ad alcune parole che l’hanno
da rimandi su più documenti.
caratterizzata.
È l’applicazione del concetto
All’inizio fu ARPANET.
di rete ai contenuti. Non solo
La DARPA – cioè l’americana
le macchine sono collegate tra
Defence advanced research
loro, ma anche testi e dati. Atprojects agency (Agenzia per
traverso questo sistema, Tim
i progetti di ricerca di difesa
Berners-Lee crea il primo sito
avanzata) – finanziò un progetto
Web, dando vita al fenomeno
volto a collegare e far comuniWORLD WIDE WEB, abbrecare tra loro i computer negli
viato in WWW. In Italia,
Stati Uniti. Da subito si parlò
per alcuni anni, si usa
di NET cioè di rete, quindi
l’espressione “Grande
di una pluralità di legami
ragnatela
mondiale”
tra un numero elevato
poi andata in disuso.
di punti. La potenzialità
In realtà, la dicitura
espansiva dello struinglese significa temento, sebbene ancora
stualmente “Ragnalimitato e riservato agli
tela grande quanto
specialisti, era già in
il mondo”. Le parole
nuce. ARPANET fisicaora condensano pomente fu costruita nel
tenzialità e obiettivi di
1969 per collegare quatun progetto che, a poco
tro nodi: l’Università della
più di vent’anni dalla sua
California di Los Angeles
nascita, ha raggiunto una
e quella di Santa Barbara,
conformazione adatta a una
l’SRI di Stanford e l’Università
diffusione planetaria. Compare
dello Utah. Già nel 1971 a questo
la parola world (mondo) a indicare
sistema si aggiunse la posta elettrol’orizzonte di riferimento. E si passa
nica. Negli anni settanta e ottanta i nodi
da net a web, da rete a ragnatela. Concettualdi ARPANET aumentarono e in Europa si comente la struttura, oltre a crescere, si infittisce: comstruirono e collegarono tra loro nuove reti.
È il 1979 quando vengono introdotti gli emoticon, puter, reti e contenuti sono sempre più collegati. E
le “faccine” utilizzate per indicare un particolare sul WWW si NAVIGA (netsurf in inglese), un termine
stato d’animo attraverso una successione di segni che trasmette un senso di libertà, sconfinamento, ridi punteggiatura. Il nuovo arrivo – che può apparire cerca.
irrilevante se non frivolo – è invece emblematico. L’infrastruttura, anche se cambierà ancora, è però ora
La parola EMOTICON deriva dall’unione dei due delineata nei suoi tratti caratteristici. L’evoluzione del
termini inglesi emotion e icon. Immagini. Emozioni. mezzo si sposta sui piani del contenuto e dell’uso.
Addirittura stati d’animo. La rete può ospitare anche Nel nuovo millennio si comincia a parlare di WEB
elementi diversi da semplici informazioni e dati. Due 2.0 e di SOCIAL NETWORK. La prima espressione
anni dopo, è il 1981, fa il suo ingresso sulla scena sta a indicare una cesura tra l’utilizzo dello strumento
la parola INTERNET derivante da Inter-Networking. negli anni novanta e quello successivo. Interazione
Non compare però sola; si diffonde invece un Inter- diventa la parola d’ordine, e strumenti come chat,
net Protocol, abbreviato in IP, un sistema in grado di blog, Facebook, Twitter, Wikipedia la consentono. La
far dialogare tra loro reti eterogenee per tecnologia, maggior parte di questi sistemi si basa su social netprestazioni, gestione. La rete delle reti è nata. E la work, cioè su reti sociali. Due parole, che abbiamo
possibilità di scambiare dati, informazioni, notizie è ormai interiorizzato, e che però sono dirompenti. Internet – luogo del virtuale – contiene le persone e le
cresciuta in modo esponenziale.
Manca però ancora un decennio alla svolta che com- relazioni tra esse. È diventato uno spazio sociale.
pleta l’infrastruttura tecnica base della sfera on-line. Questa incompleta cronologia delle principali tappe
Nel 1991, Tim Berners-Lee – ricercatore al CERN di della storia di Internet costruita seguendo le trasfor-
I blocchi nella rete
21
mazioni del linguaggio non ha pretese di esaustività.
Può far emergere però un senso di fondo. Quale? È
l’accessibilità. La sensazione di poter facilmente raggiungere ciò che si cerca percorrendo un’infrastruttura libera composta da molteplici legami. Ma Internet è davvero questo?
La protezione del business
La rete è stata fin da subito percepita come strumento libero e democratico. Una mole imponente di
contenuti e informazioni. Tasselli che con facilità gli
utenti possono aumentare, facendo circolare i propri
materiali. Il mezzo garantisce flessibilità e partecipazione. La capacità della rete di essere permeabile
dalle voci di coloro che non hanno accesso ai media
tradizionali ha giustificato continui elogi. E da due
anni sono in molti a chiedere per Internet il premio
Nobel per la pace.
Eppure la rappresentazione di un mezzo libero e
democratico è quantomeno parziale. Anche qui esistono barriere. Legittime. Legittimate. Criticate. Nascoste. Evidenti. Talvolta addirittura inconsapevoli.
Molte aziende private sono approdate nel nuovo
mezzo intravedendo un mercato allettante. Internet
però è la sfera in cui gli utenti si sono abituati a ricercare, scambiare, trovare liberamente – e senza spendere nulla – informazioni, video, immagini, musica e
dati. Quando si è cercato di frenare alcune di queste
pratiche, dichiarandole illegittime, erano già diffuse
e nel senso comune accettate. L’idea di un mezzo
libero, senza barriere, era stata interiorizzata.
I produttori di contenuti sono corsi al riparo utilizzando su larga scala tecnologie di protezione. Come
osserva però Nicola Lucchi in I contenuti digitali: tecnologie, diritti e libertà (Springer, 2009) tali strumenti
vanificano le eccezioni al diritto d’autore. Impediscono, infatti, quegli usi liberi che, tanto nei paesi di
common law quanto in quelli di civil law, sono considerati legittimi. Ci si riferisce alle attività didattiche e
scientifiche, agli usi per citazione, parodia o riproduzione per un utilizzo personale. La questione si colloca soprattutto a livello normativo: c’è confusione
riguardo a come garantire contemporaneamente
il diritto d’autore e le sue eccezioni. Ogni paese ha
norme diverse, spesso messe a punto in epoche e
contesti distanti da quello in cui vengono applicate e
dunque inadeguate.
C’è poi una questione relativa al business privato online inversa rispetto a quella appena descritta. Abituati a considerare la rete come il luogo della ricerca
di informazioni da parte dei singoli, solo da poco
ci stiamo interessando alle strategie delle aziende.
È evidente però che Internet fornisce una preziosa
mole di informazioni relative tanto a comportamenti,
atteggiamenti, gusti degli utenti – cui indirizzare reclame personalizzate – quanto alla percezione diffusa
di una determinata impresa.
La ricerca di questo capitale è diventata più semplice
22
con l’avanzamento tecnologico. Un esempio? È facile imbattersi online in contenuti che promuovono
– a pagamento – strumenti di web listening (ascolto
della rete). Programmi in grado di individuare parole
chiave nelle conversazioni in Internet e di costruire,
su questa base, un profilo di come una certa azienda
è percepita dal pubblico.
Gli Stati nemici di Internet
La censura o la protezione dei contenuti su Internet
sono attuate anche a un livello superiore a quello del
“business”. Parliamo di Stati, pur nella consapevolezza che trattando di World Wide Web, restano sottoinsiemi. L’organizzazione non governativa Reporters sans frontières (RSF) pubblica annualmente dal
2006 una lista di paesi nemici di Internet. L’elenco
comprende i paesi che “si contraddistinguono non
solo per la loro capacità di censurare notizie e informazioni online ma anche per la loro quasi sistematica repressione degli utenti di Internet” (RSF, Internet Enemies, 2009). La composizione della lista non
è variata molto negli anni, anche se alcuni stati sono
passati in una speciale categoria “sotto controllo”,
ma non più “nemica”. Il 12 marzo 2011, RSF ha pubblicato l’elenco aggiornato che annovera Birmania,
Cina, Cuba, Iran, Corea del Nord, Arabia Saudita, Siria, Turkmenistan, Uzbekistan e Vietnam.
Stranamente, l’Egitto, che fino al 2010 era considerato “nemico”, da quest’anno è stato inserito nel
gruppo dei paesi sotto sorveglianza. Eppure proprio
l’Egitto si è reso protagonista di uno dei casi più evidenti di censura totale nella breve storia della rete.
In quella che è stata definita la “Primavera araba del
2011” Internet ha giocato un ruolo di mezzo di lotta,
oltre che di informazione, cui il Governo egiziano ha
risposto con il blackout. Giovedì 27 gennaio 2011
sul blog di RENESYS – Internet intelligence authority appare un articolo di James Cowie che contiene,
già nell’incipit, una chiara denuncia: “con un’azione
che non ha precedenti nella storia di Internet, il governo egiziano sembra aver ordinato ai fornitori di
contenuti di spegnere tutte le connessioni interna-
zionali a Internet”. Lo spegnimento ha interessato
prima Twitter – martedì 25 gennaio – poi Facebook
e Google – mercoledì 26 gennaio – e, entro il fine
settimana, quasi tutte le connessioni private e dei siti
web. In alcune parti del Paese sono stati bloccati anche gli sms e le telefonate da cellulare. Come è stato
possibile? “Anche in Egitto la rete telefonica, su cui
viaggiano pure i dati Internet, non è posseduta dallo
stato – scrive Gabriele De Palma su Corriere.it il 29
gennaio – quindi Mubarak non ha un interruttore da
spegnere”. E, infatti, le comunicazioni hanno subito
blocchi scaglionati nel tempo. L’ipotesi più verosimile è che il Governo abbia obbligato di volta in volta
i fornitori a interrompere i servizi, intervenendo sui
router – gli snodi che regolano le autostrade digitali
– e fermando prima le comunicazioni da Twitter, poi
quelle da Facebook e Google, infine tutte le altre.
Ma la rete è mondiale e anche un grande paese è
un sottoinsieme. Inventato il blocco, è subito saltato fuori il modo per aggirarlo. Giovedì 27 gennaio
appare sul sito www.dailywired.it un articolo dal titolo “Sarah, blogger: come ho aggirato la censura
in Internet”. Segue una lista degli strumenti e dei siti
attraverso i quali comunicare online nonostante il
blackout.
I regimi autoritari fanno largo uso di sistemi per controllare la rete. Ma non solo loro, ovviamente. Jo
Glanville in un articolo del 2008 intitolato “The big
business of net censorship” (Il grande affare della cesura in rete) scrive che Smart Filter, uno dei più popolari programmi per filtrare contenuti è largamente
utilizzato anche da Gran Bretagna e Stati Uniti. E
proprio negli USA, dopo l’attacco alle Torri Gemelle
si è scatenato un dibattito relativo all’uso di Carnivore, un programma implementato dall’FBI in grado
di copiare e selezionare i dati che un determinato
utente produce. Un sistema di intercettazione online
insomma. Negli anni successivi al 2005 questo strumento è stato sostituito da altri più sofisticati.
In Italia: il dibattito
In Italia stiamo attraversando un periodo in cui il dibattito relativo alla regolamentazione di Internet, in
particolare in materia di controllo, è particolarmente
vivace. Qui, come ovunque, si riscontra il problema
della tutela del diritto d’autore, in un contesto di diffusione della pirateria di contenuti. La norma vigente
che protegge tale diritto risale addirittura al periodo
fascista. È la numero 633 del 22 aprile 1941 e forse
non deve stupire che sia inadatta a garantire un giusto bilanciamento dei diritti di chi vende i contenuti e
degli utenti della rete.
Il 15 marzo dello scorso anno è stato varato un decreto – il numero 44, cosiddetto decreto Romani –
che attribuisce all’Autorità garante delle Comunicazioni (AGCOM) il compito di emanare disposizioni regolamentari in materia. Nel dicembre del 2010, l’Autorità ha indetto una consultazione pubblica su una
bozza di regolamento e nel gennaio di quest’anno
ha istituito un apposito gruppo di lavoro. Le norme
proposte non hanno mancato di destare critiche. In
pratica, l’Autorità dovrebbe agire su segnalazione
di chi ritiene di aver subito una lesione del proprio
diritto d’autore e, dopo valutazione, ordinare al gestore del sito o ai fornitori del servizio di rimuovere
il contenuto incriminato. Tutto ciò nell’eventualità
di siti i cui server sono collocati in Italia e che propongono anche materiali ritenuti leciti. In tutti gli altri
casi – server esteri o siti considerati completamente
da censurare – l’AGCOM propone due ipotesi: mettere a disposizione dei provider una lista di siti illegali
verso cui sbarrare l’accesso, oppure inibire il nome
del sito o l’indirizzo IP. Dal punto di vista dell’utente
italiano, il risultato non cambia. Si procederebbe a
una cancellazione, pratica che secondo molti è materia di autorità giudiziaria e non amministrativa, com’è
l’AGCOM.
Fatto il regolamento, comunque il modo per aggirarlo ci sarà. Anzi, esiste già. Si chiama Tor. È un’applicazione che consente di uscire dal proprio provider per raggiungere il sito desiderato da un altro
nodo, di solito collocato all’estero. L’AGCOM sembra
essere ben consapevole di questi problemi visto che,
nel documento sottoposto a consultazione pubblica,
scrive di aver deciso “di segnalare al Governo e al
Parlamento l’opportunità di una revisione complessiva delle norme sul diritto d’autore che risultano
inadeguate allo sviluppo tecnologico e giuridico del
settore.”
Dinamismo
Il tema dell’accessibilità delle informazioni su Internet è molto complesso. Esistono, è ovvio, altri casi di
censura. Si potrebbe per esempio considerare il digital divide, ovvero quel confine tra chi ha accesso a
Internet e chi non lo ha per fattori anagrafici, geografici o sociali. Anche questo è un caso di informazione
negata, anche se involontaria. Ed esistono, è altrettanto evidente, altre violazioni dei sistemi di protezione: Wikileaks è solo la più eclatante di queste.
Molto dunque ci sarebbe ancora da dire, ma già i fenomeni sopra descritti permettono di individuare
un movimento nel web. Una relazione dinamica tra le
spinte all’accessibilità dei dati e quelle alla censura.
Entrambe sono uscite rafforzate dalla breve intensa
storia di questo mezzo: sono cresciute con l’avanzamento tecnologico e con l’instaurarsi di nuovi interessi economici. Non a caso Jo Glanville sostiene
che la censura su Internet sia diventata business.
Entrambe le forze portano comunque con sé contraddizioni e pericoli, nei confronti della privacy e
del diritto d’autore in un caso, della libertà di espressione nell’altro. È certo però che il ragionamento
sulla rete ed eventualmente una sua regolamentazione devono considerare l’orizzonte di riferimento.
Il mondo, nientedimeno.
23
Pubblicità da censurare
Nel 2006 l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (IAP), fondato nel 1966, ha allestito una mostra itinerante
nella quale sono stati esposti manifesti e comunicati pubblicitari sospesi dalla diffusione per i contenuti
ritenuti non conformi alle regole tutelate dall’Istituto stesso. In questa pagina ne sono riporati alcuni esempi.
24
La censura è una tematica
verbale, fatto di aggiustamenti
esplorata da tempo dalle discie di atteggiamenti compiacenti.
censura tra
pline antropologiche, perché
“Con rare anche se significative
fa parte di una modalità di
eccezioni, il comportamento
verbale pubblico
comportamento che si verifica
pubblico del subordinato sarà
e verbale segreto
non solo nelle dinamiche relamodulato, per prudenza, paura,
tive all’esercizio del potere, ma
o per il desiderio di guadagnarsi
di Marta Villa
anche nelle relazioni interpersoil favore, in modo da adeguarsi
nali.
alle aspettative del potente” (J.
“Quando passa il gran signore,
Interessante è notare che,
C. Scott, Il dominio e l’arte della
il saggio villico
in un secolo di operatività di
resistenza, Milano, Eleuthera
fa un profondo inchino
questa disciplina scientifica, si
2006, p. 15).
e silenziosamente scorreggia”
sono riportati numerosi casi di
L’arte della dissimulazione perProverbio etiope
osservazione di atteggiamenti
mette di scartare la censura e
di censura non solo da parte
di nascondere i veri sentimenti,
del potere, ma anche da parte
che invece è il verbale segreto
di chi ne è subordinato o addia svelare. L’antropologia ha
rittura ostile. Il proverbio citato
cercato di indagare la relazione
in apertura, introduce semplicemente, ma efficace- tra queste due forme di verbale, tentando di dare
mente, quella dimensione dialettica che vede scon- voce, ove possibile, soprattutto a quello segreto.
trarsi due verbali, definiti l’uno pubblico e l’altro Un esempio di dissimulazione avveniva durante la
segreto. Il comportamento del villico è diviso tra ver- Guerra di secessione americana: gli schiavi neri non
bale pubblico (il profondo inchino che denota inequi- argomentavano mai riguardo le notizie che giungevocabilmente una manifestazione di rispetto) e ver- vano dal fronte, a tal proposito Mary Chesnut ha osbale segreto (la scoreggia che invece testimonia un servato nel suo Diary from Dixie: “Portano in giro le
atteggiamento deriloro maschere nere,
sorio e di insuborsenza mostrare nemdinazione). Questa
meno un briciolo di
pratica viene, ad
emozione;
eppure
esempio, impiegata
su tutti gli altri argoanche dai bambini
menti che non siano
sinti e rom quando
la guerra sono la più
non sono d’accordo
eccitabile di tutte le
con il potere esercirazze” (citato in Ortato da qualcuno. A
lando Patterson, Slascuola in mezzo ai
very and social debambini non sinti,
ath: a comparative
i bimbi sinti emetstudy, Harvard, Unitono silenziose flaversity Press, 1982,
tulenze per rivendip. 208). Questo atcare la loro diversità
teggiamento non pue l’orgoglio che pronibile e chiaramente
vano a far parte del
falso, rende rabbioloro popolo e poi si
so il potere perché è
vantano della loro
impossibilitato a inazione con i propri
tervenire, seppur cogenitori e amici.
sciente di essere preLa censura, eserso in giro e deriso.
citata dal potere
L’atteggiamento dei
ufficiale, induce chi
subordinati di fronte
non si trova d’aca restrizioni del pocordo a recitare una
tere, come può esseparte, mascherarsi
re la censura, è stato
attraverso un lindefinito dall’antropoguaggio, anche non
logia come ritualisti-
Quell’altrastoria
25
co: più il potere è minaccioso, più la maschera diviene impenetrabile.
“La figura di potere mette in atto un atteggiamento di
autorità e comando mentre tenta di intravedere cosa
si cela dietro la maschera dei subordinati, per leggere le loro reali intenzioni. La dialettica del mascheramento e della sorveglianza, che pervade le relazioni tra il debole e il forte, ci può aiutare a capire i
modi culturali del dominio e della subordinazione. In
questa messinscena, gli imperativi che normalmente
prevalgono nelle situazioni di dominio producono
un verbale pubblico strettamente conforme al modo
in cui il gruppo dominante vorrebbe che le cose
apparissero. Questo non controlla mai totalmente la
scena, ma i suoi desideri prevalgono. Nel breve termine, è interesse del subordinato assumere un atteggiamento abbastanza credibile, pronunciando le frasi
e compiendo i gesti che sa che ci si aspetta da lui” (J.
C. Scott, Il dominio e l’arte della resistenza, Milano,
Eleuthera 2006, p. 16-17). Per capire se davvero si
tratta di una dissimulazione risulta importante parlare dietro le quinte con i subordinati, in un luogo e in
una condizione ambientale dove non c’è bisogno di
recitare, dove la maschera può essere posata e viene
svelato il verbale segreto. Un esempio interessante
viene di nuovo dalla situazione dei neri in America
durante la Guerra di secessione. La cieca obbedienza
dei servi, soprattutto donne, che dimoravano in
casa di padroni bianchi e la loro silenziosa presenza
nascondeva una rabbia molto più che momentanea:
le parole usate nel verbale segreto svelavano invece
una convinzione radicata dell’avvento di un tempo
di vendetta e di trionfo, nelle loro parole si delineava l’immagine chiara di un’apocalisse dopo la quale
si instaurava un mondo alla rovescia (da Albert J.
Raboteau, Slave religion: the “invisible insitution” of
the antebellum South, New York, Oxford University
Press 1978, p. 313).
Ma può capitare anche che, in casi rari, questo verbale segreto divenga pubblico: si ha allora la sfida
aperta e rabbiosa alla censura o a qualsiasi altro
mezzo utilizzato dal dominio per esercitare il controllo.
Il senso di sopruso percepito da un singolo diviene
nel suo animo desiderio di vendetta personale e di
conflitto, se invece è una collettività a sentirlo tale
Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino
I libri proibiti da Gutenberg all’Encyclopédie, di Mario Infelise, Laterza, 2009
La storia della censura e della sua fine viaggia di pari passo con la storia dei diritti politici e civili, con la loro
acquisizione da parte di popoli precedentemente privi, con l’insediamento di un sistema di potere “illuminato”. Ma anche parallelamente alla storia del libro a stampa che, nella sua possibilità di essere riprodotto in
un notevole numero di copie, costituisce per il potere un pericolo diretto
e immediato di diffusione di un pensiero reputato per vari motivi “da
censurare”. Nel momento in cui un potere “forte” vuole insediarsi fermamente, quando un credo religioso non ammette che si diffondano
critiche ai propri dogmi né che possibili idee devianti si insinuino nel
pensiero popolare, prende corpo la censura nelle sue forme tradizionali,
tra le quali gli indici dei libri proibiti sono un triste “classico”.
Il primo indice italiano, con 150 divieti, di cui 50 colpivano l’intera produzione di un autore, risale al 1549. Infelise parte proprio da questo primo
elenco per realizzare una vera storia degli indici e delle forme di censura
e per arrivare (attraverso l’analisi del mercato clandestino e delle prime
forme di tolleranza) alla libertà di stampa.
Dall’indice tridentino a quello clementino, culmine dell’attività di ingerenza della Chiesa di Roma, si sviluppa un’analisi molto interessante di
una delle forme di repressione più radicata e dura a morire se, ancora
“negli anni cinquanta di questo secolo si poteva leggere in una Enciclica
apologetica della religione cattolica (1953) che alle accuse laiche contro
l’indice occorreva rispondere che la libertà ha bisogno di essere illuminata, aiutata, protetta e che la Chiesa nella sua missione doveva essere
considerata come la madre che restringe la libertà del bambino, per
porlo al riparo da ogni pericolo”.
26
allora si crea un vero e proprio prodotto culturale del
gruppo oppresso che viene nascosto al potere e
nutrito in quei luoghi dove è possibile essere liberi.
Scott cita ad esempio la cultura europea attorno alle
birrerie, ai pub, alle taverne e alle osterie o agli spacci
di alcolici che erano visti dalle autorità secolari ed
ecclesiastiche come luoghi di sovversione. “Qui le
classi subordinate si riunivano fuori scena e fuori
ambito lavorativo, in una atmosfera di libertà incoraggiata dall’alcol. Erano anche un luogo privilegiato
per la trasmissione di una cultura popolare fatta di
battute, canzoni, scommesse, bestemmie e disordine, generalmente antitetica alla cultura ufficiale.
L’importanza della taverna o del suo equivalente
come luogo di discorso anti-egemonico non sta
tanto nel consumo di alcolici o nel suo relativo isolamento dalla sorveglianza, quanto nel fatto che era il
principale punto di riferimento per le riunioni non
autorizzate di ceti bassi e operai” (James C. Scott, Il
dominio e l’arte della resistenza, Milano, Eleuthera
2006, p. 163). I subordinati mettono in azione diverse
modalità per tenere segreto quel verbale e per comunicare solo tra di loro: tutte le diverse tecniche sviluppate per coprire la propria identità, ma per criticare apertamente, minacciare e contestare sono
osservabili in ogni società dove è presente l’esercizio di un potere censorio e di controllo. Le pratiche
più significative possono essere: la possessione spiritica, la maldicenza, i riti magici, il pettegolezzo, le
minacce e le lettere anonime, le sfide anonime di
massa. Quest’arte del travestimento politico serve ai
subordinati per trasmettere il proprio messaggio di
opposizione, cercando di rimanere nella legalità.
Nelle società pre-industriali la possessione è un
valido metodo per dire la verità e opporsi da parte di
gruppi emarginati (donne principalmente, o clan
maschili oppressi). Mentre è posseduto, il soggetto
può parlare liberamente e viene trattato con indulgenza, perché si trova in uno stato di trance che non
dipende dalla propria razionalità. I diversi riti dionisiaci, i rituali di ubriacatura, le stesse manifestazioni
di isteria (di freudiano interesse) hanno come elemento accomunante proprio l’espressione libera
della insoddisfazione, anche se non sempre cosciente
(un interessante studio a tal proposito è quello di
Ioan Murddin Lewis, Ecstatic religion, an anthropological study of spirit possession and shamanism,
Hammondsworth, Penguin, 1971). La maldicenza è
un’altra strategia molto impiegata: in Malesia per
indicarla si usa l’espressione khabar angin, ossia
notizia del vento che chiaramente evidenzia l’anonimato della fonte. In Andalusia invece la pratica è utilizzata per consolidare il fronte comune contro lo
Stato e i ricchi proprietari terrieri. La maldicenza, poi,
anticipa l’accusa di stregoneria: le parole cattive si
trasformano in azioni cattive e aggressive (il malocchio, i rituali magici per portare sventura, le maledizioni). In Africa, in molte zone dove si pratica ancora
la magia, gli antropologi hanno riportato moltissime
osservazioni, e spesso questo rituale si divide in
due: da un lato gli stregoni e i guaritori che praticano
una magia che aiuta e dall’altro streghe che invece
agiscono con malignità. La stregoneria diviene anche
un’accusa per eliminare politicamente determinati
avversari, o per togliere potere o addirittura per
distruggere la vita di specifici soggetti. A tal proposito risulta estremamente emblematico il caso riportato da Alice Bellagamba, antropologa africanista:
“Nel 1988 Mr. Msovela era un curatore piuttosto
rinomato. Abitava da diversi anni a Lupalamwa, un
villaggio a una quarantina di chilometri da Iringa.
Aveva una grande abitazione circondata da campi
coltivati. C’erano stanze per accogliere i pazienti e le
loro famiglie. Appena fuori, all’ombra degli alberi, il
luogo dove divinava era ben protetto, grazie a tutta
una serie di medicine, dagli attacchi degli stregoni.
Nel 1990 la sua situazione personale era radicalmente cambiata. Stava per essere espulso dal villaggio, pubblicamente accusato di rapimento. Un ragazzino di 10 anni, scomparso mesi prima da un vicino
villaggio, tanto da indurre la famiglia a ritenerlo
morto, era tornato a casa in stato confusionale, senza
riuscire a dire dove era stato né cosa avesse fatto.
Genitori e parenti avevano chiamato a dirimere la
questione un curatore particolarmente stimato per le
sue capacità di individuare la stregoneria. Gli spiriti
ancestrali gli avevano rivelato che il ragazzino era
stato in quei mesi schiavo di Mr. Msovela, il quale ne
aveva incatenato la volontà ricorrendo all’uso di
medicine malefiche. Alcune persone testimoniarono
davanti al consiglio del villaggio di avere effettivamente visto il ragazzino nell’abitazione del curatore. I
familiari di un altro giovane, seppellito pochi mesi
prima, immediatamente si fecero avanti sostenendo
che il loro congiunto era solo apparentemente morto,
ma che in realtà era anch’egli trattenuto in schiavitù.
Mr. Msovela, protestando la propria innocenza, e
rischiando il linciaggio, chiese alle autorità il permesso
di trasferirsi altrove, chiudendo, così almeno temporaneamente la vicenda. Progressivamente aveva
creato intorno a sé una rete di rapporti difficili. L’accusa di stregoneria può trasformarsi in uno strumento
per livellare le differenze all’interno del gruppo”,
Antropologia del rito: interpretazioni e spiegazioni, a
cura di Pietro Scarduelli, Torino, Bollati Boringhieri
2000, pp. 135-136). La censura, inoltre, spinge all’utilizzo di eufemismi e di mugugni: i primi sono presenti
nei racconti popolari e nella dimensione folklorica dei
gruppi subordinati e permettono di svicolare la censura e non incappare in atti sanzionatori. I secondi
27
sono una vera e propria forma di protesta, ma velata.
Tutte le forme di espressione della cultura collettiva
dei subordinati sono architettate in modo da eludere
la censura del potere ufficiale, ma permettono di trasmettere idee comuni: canzoni, danze, storie, testi,
rituali, invenzioni di personaggi trickster (il trickster è
una figura leggendaria solitamente bagaglio culturale delle società di servi, contadini o schiavi, che
compie in modo quasi soprannaturale delle burle
colossali al potere: grazie alla sua astuzia riesce a
superare le prove cui i nemici lo sottopongono per
sopraffarlo o addirittura mangiarlo. Uno tra i più leggendari è Brer Rabbit degli schiavi neri nordamericani) vengono adottati per significare l’altra storia,
raccontata solo a chi deve conoscerla. Nelle Filippine,
ad esempio, la tradizionale rappresentazione della passione del Cristo viene usata per criticare la cultura
dominante: i filippini hanno dato a questo evento un
significato diverso rispetto a quello ufficiale dei loro
“padroni” coloniali cattolici (la descrizione di questo
rituale e del suo doppio significato è presente nel testo
di Reynaldo Clemena Ileto, Payson and revolution
popular movements in the Philippines, 1840-1910,
Manila, Ateneo de Manila University Press 1979).
28
Il carnevale e determinate feste sono state il modo
più semplice per permettersi una temporanea deroga
dall’azione di censura: fuori dall’ordinario e capaci di
sovvertire momentaneamente l’ordine sociale e di
rendere ufficiale la risata, questi eventi sono tollerati
dalla società e dal potere ufficiale. Interessante è
ricordare che in Spagna una delle prime leggi promulgate dal governo del generale Franco fu di mettere fuori legge il carnevale e ogni tipo di travestimento. Possiamo notare che il verbale segreto può
essere visto come una censura all’opposto: i veri
sentimenti vengono autocensurati dai soggetti e
vengono controllati all’interno dello stesso gruppo di
subordinati. Anche all’interno di questo ambiente
esistono regole di potere, a volte molto simili a quelle
esercitate nella società allargata di cui fanno parte.
Accade un’autocensura soggettiva e una censura
determinata dalle regole del gruppo per tenere celato
il verbale segreto agli occhi e alle orecchie dei dominanti. C’è un proverbio giamaicano che ben riassume come il verbale segreto sia la modalità di
mascheramento adottata più utile e la forma di dissimulazione più facilmente adottabile per sopravvivere: “Fa lo scemo, per mantenerti saggio!”.
“25 novembre [1942]. Ho preso
ria deve condurci più avanti…;
possesso del tavolo nel coLa buona Vittoria…; Quando
stituendo ufficio censura del
anche voi sentirete che la vittocorpo d’armata alpino: siamo in
ria ci ha seguito”.
un altro settore di Rossosch, in
Ma facciamo un passo indietro.
un edificio scolastico piuttosto
La trafila che doveva seguire la
di Quinto Antonelli
moderno, ma grigio, scalcinato
corrispondenza una volta imbue freddo oltre ogni dire, fra la
cata nella cassetta del comando
zona ospedaliera e la stazione
di compagnia, era piuttosto
ferroviaria. […] Nel nuovo uffilunga e non priva di incognite:
cio pare di essere in una cella frigorifera. Il capo è doveva giungere al comando di reggimento dove
un tenente colonnello che subito mi istruisce e mi dà veniva smistata, quindi essere portata (generalmente
gli attrezzi di lavoro: forbici, inchiostro, penna, colla in motocicletta) al concentramento di posta militare,
e due o tre timbri e fascette con ‘verificato per cen- da qui doveva essere inviata per ferrovia o per mare
sura’ e numeri di riconoscimento. Bella solfa anche verso la destinazione. Ma contemporaneamente doquesta, proprio contraria al mio spirito. Speriamo veva passare e sostare negli uffici di censura istituiti
presso le grandi unità mobilitate (come quella, ad
che duri poco. […]
26 novembre. Questo nuovo mestiere di censore esempio, dove operava Cereghini) oppure, come
non è poi meno interessante di tanti altri. Ricordo più frequentemente accadeva, in quelli organizzati
che me la sono presa anch’io tante volte con le ri- dalle commissioni provinciali in patria (Loris Rizzi, Lo
ghe nere poste sugli scritti dalla zia Anastasia, come sguardo del potere: la censura militare in Italia nella
si chiama nel gergo. Per conto mio, non ci sarebbe seconda guerra mondiale 1940-45, Milano, Rizzoli
bisogno di cancellare mai niente. Se mai, vien voglia 1984, pp. 14-20. Cfr. anche Aurelio Lepre, L’occhio
del Duce: gli italiani e la censura di guerra 1940di sottolineare”.
Chi scrive è Mario Cereghini (Lecco, 1903-Madesimo 1943, Milano, Mondadori 1992; Amedeo Cignitti e
di Sondrio, 1966), già architetto di fama che stava Paolo Momigliano Levi, La censura postale di guerra
giusto progettando l’ambiziosa “Acropoli alpina” in Valle d’Aosta 1940-1945, Aosta, Istituto storico
da collocare sul Doss Trento. Arruolato negli apini, della Resistenza in Valle d’Aosta 1987; Giuseppe
nell’autunno del 1942 lo ritroviamo sulle sponde del Pardini, Sotto l’inchiostro nero: fascismo, guerra e
censura postale in Lucchesia (1940-1944), MonteDon in qualità di censore.
Nel diario, che pubblicherà dieci anni più tardi, si spertoli (Fi), Istituto storico della Resistenza e dell’età
rappresenta più interessato a cogliere qualche inge- contemporanea in provincia di Lucca 2001). Stesso
nua espressione dell’anima alpina, che a lui sembra percorso, all’incontrario, seguiva la corrispondenza
scaturire da “cuori limpidi come il cristallo, semplici che dall’Italia si indirizzava verso i vari fronti. Sul giorcome le conche smeraldine dei vostri pascoli, forti naletto “di trincea” dell’ottava armata Fronte russo,
come le rupi dei nostri paesi”. Ma non può fare a un anomimo redattore descrive il percorso della pomeno di annotare, nella ripetizione delle parole d’or- sta indirizzata al fronte: “imbucate all’ufficio di posta
di un comunello. Raccolte
dine del regime, la fiducia
in pacchi – detti dispacci
delle truppe nella vittoria
– convogliate ai capoluofinale: “Per i soldati poi
ghi di Provincia e di là,
la vittoria è qualche cosa
dopo verifica, agli uffici
di sostanziale: a decine
di concentramento P. M.
e decine essi ne parlano
d’Armata, passate quindi
come di una cosa reale,
agli uffici di unità minore,
palpabile. Ti par di vederla
smistate e spedite ai regquesta bella donna con
gimenti, ai battaglioni alle
una stella in fronte che
compagnie… Il lavoro
li guida verso la meta ranon ha sosta. Nella giordiosa. Certamente la loro
nata stessa le lettere in
fantasia ricalca i luoghi
arrivo sono avviate in saccomuni delle illustrazioni
chi sigillati, distinti da carda copertina di quaderno
tellini con la destinazione.
scolastico o dei foglietti
Aerei, treni, autocarri e,
di propaganda: “Finché
per le località collegate da
Dio ci darà per noi questa
via marittima, piroscafi e
cara Vittoria…; La Vittoria
perfino sommergibili reci condurrà fino al cuore di
cano la corrispondenza
queste steppe…; La Vitto-
La censura militare
sul fronte russo
(1941-1943)
29
dagli uffici di grande unità a quelli di unità minore,
fino ai minori comandi; fino a noi, per mano del postino che arriva impolverato, col prezioso pacchetto,
all’ora del rancio”.
In media ciascun censore esaminava giornalmente
150-200 lettere. Cereghini è più alacre; scrive il 27
novembre: “Mi sono subito abituato a leggere centinaia di lettere e cartoline al giorno. Ritiro anche la
parte delle quote spettanti al tenente colonnello e
al capitano. Mi sembrano molto lenti, mentre a me
avanzano persino due ore per continuare l’istruzione
della squadra guerrieri”. Forse Cereghini non aveva
preso sul serio il manuale del perfetto censore che
raccomandava di “non leggere come farebbe un
estraneo: cercare di immedesimarsi in chi scrive.
Cercare di comprendere ogni parola. […] Se a prima
vista la lettera potesse apparire strana, esaminare
con cura e con calma. Ricordarsi sempre che la qualità del lavoro di censore è molto più importante
della quantità. Molti indizi possono rivelare una lettera illecita”.
Le frasi riconosciute pericolose per la difesa del segreto militare (notizie sul dislocamento della truppa),
e quelle dannose per lo spirito dell’esercito e del
paese (espressioni di disfattismo e di malcontento,
lamentele per il rincaro della vita, frasi relative a rapporti intimi) erano cancellate dai censori con un inchiostro indelebile. La lettera veniva poi richiusa con
la fascetta Verificato per censura e quindi timbrata
con il bollo convenzionale della commissione e con
il numero personale del censore che aveva compiuto l’esame.
Oltre alle funzioni repressive, il servizio censura
doveva rilevare e registrare il morale delle truppe,
i motivi di malcontento e di insofferenza come le
espressioni di consenso e di adesione ideologica. Le
commissioni provinciali di censura avevano quindi
il compito di inviare settimanalmente una relazione
30
al Ministero dell’interno con i passi più significativi
delle lettere esaminate.
Il piccolo fondo Censura Mantova (1941-1943), conservato presso l’archivio della Fondazione Museo
storico del Trentino ci sembra, a questo punto, straordinariamente rappresentativo dell’operosità degli
organi di censura e, nel contempo, dei motivi ricorrenti nella corrispondenza di guerra.
Il fondo (cfr. scheda a p. 32) è costituito dalle relazioni
settimanali che l’Ufficio Censura di Mantova inviava
alla Prefettura (dal 1941 al 1943), da stralci di lettere
dattiloscritti (circa 5.000) e da circa 250 cartoline spedite dai vari fronti, che prelevate per controllo dall’Ufficio Censura, non giunsero mai a destinazione.
Che cosa scrivevano, dunque, i soldati dal fronte?
Una rapida incursione tra gli “stralci di corrispondenze provenienti dallo C.S.I.R” nella primavera del
1942, permette già un primo inventario di espressioni, di motivi, di atteggiamenti.
Il Corpo di spedizione italiano in Russia aveva lasciato
l’Italia il 10 luglio dell’anno precedente. In agosto era
passato alle dirette dipendenze del Gruppo corazzato
von Kleist (poi prima Armata corazzata), con il quale
aveva operato per circa dieci mesi soprattutto nel
bacino minerario del Donez.
In primavera il morale delle truppe sembrava alto e
poi in Italia si profilava l’invio di una nuova spedizione militare.
“La guerra in Rusia – scrive un fante dell’80° – è una
guerra magnifica perché cuando i russi ci vedono
scappano”.
“A volte attaccano in masse disarmate e la maggior
parte disarmati e si fanno delle vere carneficine. Crepano con uno stoicismo non comune” (ten. Montanarini).
“Carlo immaginati che quando vedono noi bersaglieri la danno a gambe senza sparare e non si fermano più” (bers. Dozzani Giuseppe).
La guerra totale scatenata contro un nemico considerato inferiore e disumano sembra sopprimere ogni
remora morale. Scrive il fante Adamo Bignotti alla
moglie: “Se vedessi davanti alla nostra linea quanti
bolscevichi morti e che non puoi mai credere sono
come tanti mucchi di sassi per terra, ma la nostra
divertimento e quando si sente le nostre care mitragliatrici a cantare non puoi mai credere che soddisfazione è a vedere a cadere per terra quella malvagia
di gente russa”.
Certo non tutti sono brutalizzati dalla propaganda.
La stanchezza, l’acuta nostalgia per la casa e la vita
familiare, la speranza per una rapida fine, a volte, si
impongono con forza e con realismo. Scrive Cesare
Culatina alla moglie: “Siamo diventati come i vecchi
di 80 anni e siamo sotto le intemperie di neve e la
pioggia delle artiglierie e mortai e mitragliatrici. Qui
siamo sicuri come essere in una barca buca in mezzo
al mare, puoi immaginare”.
La scoperta della realtà della guerra irrompe, in tutta
la sua verità (censurabile e censurata) nella lettera
affaticata di Armando Bolloni: “Io in Russia sono ormai già stanco di questa brutta vitacia la guerra sono
bruta io non credevo che la guera era bruta e adesso
credo molto, Maria io ò passato dei bruti momenti
sono stato in mezzo al fuoco e poi ho patito molto
freddo che cera i miei compagni sia gelato i piedi poi
le mani il naso Maria il tuo cognato è rimasto ferito
e adesso sono a casa in convalescenza è stato fortunato è stata una ferita di furbo è stata sua fortuna
dessere stato ferito Maria sono due volte che ti scrivo
sarà andata persa la mia cartolina non fa niente riverà
Maria oramai sono già stanco di questa Russia”.
Ma il peggio (la disfatta militare e il tragico ripiegamento) doveva ancora arrivare. Giungerà all’improvviso come un’amara sorpresa. L’artigliere Lelio Barazzari, confermando la fama dell’italiano “buono”
(una bontà tutta paternalista e coloniale beninteso)
il 6 gennaio 1943 avrà appena il tempo di scrivere a
casa quanto stia bene: “Nella casa di russi in cui mi
trovo sono molto buoni e ci trattano come figli, questa famiglia è composta tutta di donne da vent’anni
una di sessantacinque e questa è la nostra mamma
infine una che ha già sorpassato i cento anni, vi sono
anche due bambine piccole che sono il nostro divertimento, però dovresti vedere come questo popolo
è indietro di civiltà, sai quale il suo pasto? Patate e
frumento cotto e nient’altro fanno anche il pane ma
rimane molto nero e crudo però se abbiamo la fortuna di rimanere qualche tempo gli faremo imparare
così che vedranno come vivono gli Italiani. Ieri sera
gli ho dato un poco del mio rancio (minestrone di
tubi) e dovresti aver visto come lo mangiavano di
gusto, non che non abbiano niente, anzi hanno tutto,
patate, frumento, galline, maiali, insomma tutto, ma
non li sanno sfruttare ed appunto ora stiamo facendogli imparare a cucinare all’Italiana”.
Un cretino di censore
Il capitano Luigi Guerrieri Gonzaga (artiglieria a cavallo) scrive apparentemente alla moglie insultando il
censore che ha “sporcacciato” la sua lettera. In realtà è un messaggio (minaccioso) indirizzato all’Ufficio di
censura, che infatti recepisce, trattiene e segnala alle autorità superiori per i provvedimenti del caso.
“8 aprile 1942/XX
Mi secca molto che un cretino di censore abbia sporcacciato tutta una mia lettera per te; deve essere un
gran fesso quel tale e gli farebbe bene un po’ di Russia vorrei ritrovarlo quando rientreremo in Patria. Io sono
sicuro di quanto scrivo; non metto mai nulla che possa anche lontanamente servire di indicazione o comunque essere ‘pericoloso’. Ma non mi stupisce: quando il censore dimostra di essere tanto cretino – fesso e
deficiente da cancellare ‘Bacino del Donez’ quando tutti i giornali italiani la radio – i comunicati ufficiali e i bollettini parlano sempre delle truppe italiane nel Bacino del Donez e tutti i bambini dell’Asilo sanno che il C.S.I.R.
opera nel Bacino del Donez e non in Finlandia non ci vuole che uno stupido ignorante censore o una carogna
per cancellare ciò. Spero che questa mia la legga proprio quel tale disgraziato ignorante maligno sciagurato
fesso e spero avere occasione un giorno di conoscerlo: sono di quella categoria di eroi-domestici che dicono
frasi rimbombanti nei caffè e ti scrivono ‘Vincere’ su ogni pezzo di carta e fanno finta di fare la guerra tragicamente in Patria. Quanto farebbe loro bene un po’ di Russia sia di quella di dicembre e gennaio scorsi – con
contorno di Russi in proporzione di 4 contro uno … Basta mi sono sfogato abbastanza… per ora…”.
31
Con Regio Decreto 8 luglio
ra, dispersi o smobilitati dopo
1938 n. 1415 il Regime fascista
l’8 settembre 1943, ripresero
aveva previsto che durante lo
a funzionare nell’inverno del
stato di guerra la corrispon1943/1944. Le commissioni
denza postale e le comunicafunzionarono fino al 1945.
zioni telegrafiche, telefoniche
Nel 1961 l’allora Museo del
e radioelettriche fossero sotRisorgimento e della lotta per
di Caterina Tomasi
toposte a controllo censorio.
la libertà acquistò da Mario CeA questo provvedimento seola il fondo della Commissione
guirono i Regi Decreti n. 2247
provinciale di censura di guere 2248 del 12 ottobre 1939,
ra di Mantova (n. di inventario
entrati in vigore il 15 giugno
attribuito: 10086). Ceola fu as1940. I due dispositivi stabilisegnato a quell’ufficio – come
vano che agli ufficiali militari incaricati della cen- addetto militare – dal 1942 fino al 5 settembre 1943
sura si aggiungessero le Commissioni provinciali e alla fine di quel periodo ne trattenne alcune carte
di censura postale (poi Commissioni provinciali di che adesso sono conservate presso la Fondazione
guerra), dipendenti dai Prefetti e aventi sede pres- Museo storico del Trentino.
so le Direzioni provinciali delle poste e dei telegrafi. La documentazione è relativa al periodo 1940L’8 luglio 1940 il Ministero dell’interno stabiliva l’ac- 1943, con documenti dal 1939, occupa due buste
centramento di tutte le operazioni di censura della (14 fascicoli), e comprende: relazioni settimanali e
corrispondenza sia
quindicinali, lettere,
civile che militare
biglietti e cartoline
presso le Commiscensurate dall’uffisioni provinciali e
cio, quaderni con
la contemporanea
stralci di lettere
soppressione degli
censurate,
stralci
Uffici militari di cendi corrispondenza
sura. Le commissiosoprattutto del Corni controllavano la
po di spedizione
corrispondenza da
italiano in Russia
o per militari (con(CSIR) e dell’Armatrollo totale), la corta italiana in Russia
rispondenza civile
(ARMIR), fotografie
(controllo parziale),
sequestrate,
oputelegrammi e coscoli vari, giornali di
municazioni telefotrincea (Dovunque,
niche (controllo toFronte russo, La
tale). Le commissiotradotta, Tradotta
ni erano presiedute
libica, La tradotta
da un funzionario
del fronte Giulio),
civile della pubblica
norme, mappe e
amministrazione, da
schizzi della difesa
circa trenta ufficiali
contraerea.
L’archidi complemento e
vio
è
stato
dichiarada circa quindici
to di notevole intecensori civili (iscritti
resse storico locale
al Partito nazionale
secondo la legge
fascista). Le comprovinciale del 14
missioni inviavano
febbraio 1992, n.
ogni settimana una
11, art. 18, con derelazione alla Queliberazione
della
stura e un’altra, ogni
Giunta provinciale
quindici giorni, al Midi Trento, 22 ottonistero della guerra.
bre 1993, n. 14971.
Gli organi di censu-
La Commissione
provinciale di censura
di guerra di Mantova
e il suo archivio
32
È interessante prendere in
fauna umana attraverso la
mano un libro che Vitaliano
quale “qualcosa passò”, grazie
un saggio di
Brancati nell’aprile 1952 puba quest’ultima categoria, una
blicò con Laterza, dedicandolo
sorta di contraltare, di voce
Vitaliano Brancati
in gran parte al copione della
dissonante rispetto persino al
commedia in tre atti “La gover“tetro fanatico” dal “cervello
di Stefano Chemelli
nante”, appena respinta dall’Ufnotturno”, l’uomo che impersoficio censura teatrale il 18 gennificava l’ultima parola, a volte
naio 1952; testo preceduto dal
incapace di cogliere l’allegoria
saggio “Ritorno alla censura”,
avversa al regime.
scritto nel marzo dello stesso
Con involontarie eccezioni,
anno e che dà il titolo al volume.
prepotenze e stupidità ebbero
Brancati dichiarava senza reil sopravvento, e non pare acmore il proprio fervore affinché le libertà di pensiero cessorio stilare un resoconto visivo delle malefatte,
e di espressione non fossero immolate sull’altare del letterarie e non, nella viva voce di uno stile censorio
benessere ostentato dai “possidenti”, i ricchi, coloro che può avvertire anche il presente, tenendo accesa
che sarebbero stati disposti a qualsiasi mercimonio un’attenzione che osservi l’orizzonte scrutando l’avvipur di non disperdere i propri averi. Qui risiedeva saglia della prevaricazione gratuita.
il vallo incolmabile con il ceto intellettuale, con gli Dagli atti ufficiali Flora-Matteini:
scrittori soprattutto, – proseguiva Brancati – scan- 2 marzo 1935: sarà pubblicato il nuovo romanzo di
dendo a chiare lettere che la classe dirigente – “l’Ita- Moravia. Quando la pubblicazione avverrà è opporlia possidente” – non aveva a cuore la cultura proprio tuno occuparsene con intelligente misura. Non è
perché la cultura nel profondo coltivava le libertà di certo opportuno farlo così estesamente come stasera
pensiero e di espressione: essa perdeva le sue pre- il Giornale d’Italia.
rogative nel momento in cui venivano depotenziati 25 marzo 1935: non occuparsi del Diario di guerra di
i margini di libertà. Diventava stridente il contrasto Bissolati.
a contatto con l’amplificata azione dell’ignoranza e 18 giugno 1936: per la morte di Massimo Gorki nesdella rozzezza italiana sotto il fascismo, con l’istitu- sun articolo, nessun commento, nessun accenno
zione presso il Ministero
biografico. Pubblicare
della Cultura popolare
la notizia senza alcun ri– dizione nobile ma non
lievo.
praticata – della cultura
23 marzo 1938: non pubdel “buio”: la censura
blicare più lettere intime
come impedimento e
di Gabriele d’Annunzio.
proibizione.
“Piccoli
25 luglio 1938: non ocambiziosi”, “funzionari
cuparsi
dell’Antologia
scettici”, “aspiranti alla
dei Poeti milanesi conpoesia”, “qualche brava
temporanei a cura di S.
persona” (Brancati riPagani, ed. Ceschina.
corda in nota “il primo
31 ottobre 1938: non
censore, un prefetto
occuparsi di eventuali
del tempo giolittiano, è
candidature di scrittori e
ancora ricordato per la
uomini italiani per il presua discrezione. I primi
mio Nobel, anche se le
tempi di una dittatura
proposte sono fatte da
che succeda alla degiornali stranieri.
mocrazia sono migliori
19
dicembre
1939:
dei primi tempi di una
i giornali italiani si astendemocrazia che sucgano di parlare della
ceda a una dittatura:
Storia della letteratura
perché i componenti
italiana del De Sanctis
di una società nuova
nella edizione pubblicata
appartengono in gran
in questi giorni da Hoeparte all’antica”) copli, fino a che non esca
stituivano la variegata
la seconda edizione.
1952, ritorno alla censura
33
Febbraio 1941: si ricorda il divieto di occuparsi di
Annie Vivanti.
13 febbraio 1941: non occuparsi di Moravia e delle
sue pubblicazioni.
18 settembre 1941: è superfluo recensire il Diario di
Cavour di recente pubblicazione.
22 settembre 1941: i quotidiani, i periodici e le riviste non devono più occuparsi in modo assoluto del
dialetto.
5 novembre 1941: non occuparsi del libro di Giovanni Comisso Avventurieri e spie veneziani del settecento.
30 dicembre 1941: non occuparsi del libro di Luigi
Salvatorelli Vent’anni fra due guerre.
6 gennaio 1942: non riprendere dalla Nuova Antologia, Lettere a Lidia di Carducci.
3 febbraio 1942: tener presente che la collaborazione
letteraria di Luigi Bartolini non è gradita.
21 febbraio 1942: morte di Annie Vivanti: astenersi
da notizie e necrologi.
5 agosto 1942: non dare alcun rilievo alla notizia
della morte di Guglielmo Ferrero.
29 agosto 1942: non occuparsi del libro di Luigi
Russo: La critica letteraria contemporanea, edito da
Laterza.
2 settembre 1942: non occuparsi del teatro vernacolo. Questa disposizione ha carattere tassativo e
permanente.
21 aprile 1943: morte di Roberto Bracco: pubblicare
la notizia e solo sette od otto righe di commento biografico.
Giugno 1943: non occuparsi di produzioni dialettali
e dialetti in Italia, sopravvivenze del passato che la
dottrina morale e politica del Fascismo tende decisamente a superare.
Il Messaggero del 20 corrente ha pubblicato un’inserzione tra i Matrimoniali che suona così: “Professore ventinovenne distintissimo, occhi bellissimi,
sentimentale, sposerebbe dotata carina anche provinciale disposta aiutarlo consolidargli posizione”. Le
espressioni “occhi bellissimi” ecc. sono eccessive e
bisogna evitarle.
9 luglio 1943: la ditta Spagnoli di Perugia, produttrice di lana di coniglio Angora, ha fatto pubblicare
sui giornali una réclame nella quale è detto che “La
lana di coniglio è la lana degl’italiani”. Superfluo rilevare il sarcasmo che tale infelice inserzione ha sollevato. Provvedere d’urgenza perché tale infelicissima
réclame non sia assolutamente più pubblicata dai
giornali.
26 dicembre 1936: non interessarsi mai di qualsiasi
cosa riguardi Einstein.
12 marzo 1938: si conferma la disposizione di non
occuparsi di Greta Garbo.
1° marzo 1941: è fatto divieto di pubblicare fotografie,
34
articoli e notizie riguardanti i seguenti attori stranieri:
Charlie Chaplin, Eric von Stronheim, Bette Davis,
Douglas Fairbanks junior, Myrna Loy, Fred Astaire e
la Casa cinematografica Metro Goldwyn Mayer.
28 settembre 1942: qualche giornale ha pubblicato qualche trafiletto sull’antibolscevismo di Greta
Garbo. Va bene. Ma dato che Greta Garbo non è soltanto antibolscevica, ma antitotalitaria e quindi si potrebbe avere una presa di posizione da parte dell’interessata, è inutile insistere su questo argomento.
17 agosto 1940: ignorare il mitragliamento dei cacciatorpediniere greci.
18 agosto: ignorare il discorso di Wilkie e quello alla
radio di Cooper.
20 agosto: ignorare il discorso di Bullit.
8 ottobre: ignorare le voci circa l’entrata in guerra
degli Stati Uniti.
17 ottobre: ignorare la pellicola propagandista
dell’ebreo Chaplin.
18 ottobre: ignorare i cinque discorsi programmatici
di Roosevelt. Ignorare il passaggio di Eden da Malta
ed ignorare l’articolo conciliante del ‘Vreme’.
6 novembre: ignorare il discorso di Halifax.
22 febbraio 1941: ignorare le dichiarazioni dell’ex
primo ministro olandese de Geer.
22 maggio: ignorare i discorsi di Eden e Menzies.
29 luglio: ignorare le dichiarazioni di Churchill e di
Eden alla Camera dei Comuni.
3 agosto: ignorare le dichiarazioni del presidente elvetico.
7 agosto: ignorare il discorso di Attlee.
22 settembre: ignorare il discorso di Pétain.
7 novembre: ignorare il discorso di Roosevelt al B.I.T.
12 novembre: ignorare l’iniziativa del governo cileno
per l’umanizzazione della guerra in relazione con la
fucilazione degli ostaggi.
13 novembre: ignorare l’ennesimo discorso di Roosevelt. Ignorare l’ex presidente del partito del Congresso Indiano Box.
18 dicembre: ignorare assolutamente l’articolo
dell’ex ambasciatore Corbin sui suoi colloqui con
Halifax.
1 marzo 1942: ignorare il discorso tenuto a Bristol
dal ministro inglese dell’aria Sinclair.
18 giugno: ignorare il discorso tenuto da De Kallay
dopo il suo viaggio in Transilvania.
11 luglio: ignorare la notizia secondo cui l’Argentina
avrebbe sospeso le comunicazioni telefoniche e radiotelevisive con l’Asse e con il Giappone.
13 luglio: ignorare le mene dello Sforza in Brasile.
20 ottobre: ignorare l’anniversario della firma del
Patto turco-anglo-francese.
29 dicembre: ignorare la notizia di un incontro che
dovrebbe aver luogo fra Eden, Stalin e Molotoff.
1 aprile 1943: ignorare il discorso di Wallace.
19 aprile: ignorare l’insignificante discorso di Cripps.
15 maggio: ignorare il discorso di Churchill.
Sono solo degli exempla che non contemplano il
“non tener conto”, il “non pubblicare”, il “non far
cenno”, il perentorio “è assolutamente vietato di
riprendere”, le formule esplicative e assertive del
buio allargano l’orizzonte della mancata visione. Di
contro si esorta a pubblicare, a esaltare, a mettere in
evidenza, nella luce dell’assoluta mediocrità ciò che
nemmeno i più volenterosi avrebbero degnato di
uno sguardo celebrativo. Eppure, caduto il regime, il
Sottosegretariato per lo spettacolo e le informazioni
presentava, a distanza di una manciata di anni, i medesimi organici, seppur
sotto altro nome. La
libertà dichiarata non
corrispondeva pienamente alla libertà agita,
la cultura libera avrebbe
chiamato in campo la
libertà di biblioteche
poco frequentate, abbandonate o dimenticate persino nel privato
di abitazioni agiate, in
un Paese dove la formazione aveva a che
fare con la vita schietta
e nuda del quotidiano,
lontano dai libri e dalle
loro suggestioni, addirittura
pericolose
secondo una certa
specola. Una classe dirigente che “anche del
teatro diffida, perché
dietro lo spettacolo teatrale c’è sempre un
libro” – sentenzia Brancati – scommettendo a
priori sul proprio intuito, sul genio del momento, nel carpe diem
spesso grigio delle convenienze immediatamente esigibili. La cultura in Italia, nel migliore dei casi, è stata appena sopportata,
solo in brevissimi frangenti ha goduto di quel raggio
d’azione di piena liberalità coincidente a quel formidabile biennio di azione, reazione e riscatto aderente
al 1945-1946, nello specchio di una società aperta al
tempo di edificare spregiudicato, nel quale l’esercizio
dell’”esame di coscienza” consentiva agli animi colti
e intelligenti di giocare il ruolo di un’avanguardia di
riferimento. In questo breve lasso di tempo emerge
quanto di meglio il Paese potesse offrire – sostiene
Brancati – nelle diverse espressioni dell’editoria e del
giornalismo, del teatro e della politica, nell’impulso
civile e vitale della ricostruzione fisica e mentale della
nazione. Sarà una stagione disposta a distinguere le
diverse responsabilità ma durerà troppo poco; si illanguidirà ben presto nel vago, in un’immagine mista
e sfuocata capace di far rivivere ambiguità e ambivalenze, nostalgie e appartenenze, un contesto nel
quale la censura ritrova la sua ragion d’essere guadagnando terreno a scapito della libertà: “Il libro in Italia
è ancora libero; ma il cinema e il teatro sono già dentro il torchio. Una volta la settimana si riunisce una
commissione di censura composta delle solite due
o tre brave persone,
che in Italia si vanno
a ficcare dappertutto,
e di un gran numero
d’impiegati prelevati
da dietro i paraventi
dei vari Ministeri, nei
corridoi oscuri ove l’inchino è più strisciante
e il sorriso al capodivisione luminoso di pallore come la fiamma
della candela davanti
al quadro sacro” tratteggia beffardo Brancati
l’atteggiamento
degli italiani a fronte
del nuovo potente
di turno, incardinato
nello “stabile Governo
democristiano”.
È mutata un’epoca
ma i comportamenti
riguadagnano gli stilemi della protervia e
del servilismo, torna
la proibizione dell’allusione, una sorta di
filo sottile raccorda
volontà gesuitica, azionismo cattolico, vecchi
modi e costumi del ventennio azzarda lo scrittore siciliano, ed è la parola diretta del teatro a subire uno
stillicidio di soprusi: nel 1950 Le uova dello struzzo
di Roussin, un successo mondiale, viene proibito in
Italia, Il germoglio del vecchio Feydeau ha voce soltanto a Milano, nel 1951 la censura colpisce Shakespeare con tagli al Falstaff dell’Enrico IV che non può
pronunciare il nome della Madonna, saltano del tutto
Nina di Roussin, Clérambard di Marcel Aymé, Girotondo di Arthur Schnitzler, Notturno di Gennaro Pistilli, L’imitazione di Cristo di Berto e Biancoli, La ca-
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lunnia di Lilian Hellmann, Eloisa e Abelardo di Roger
Vaillant, Madre Coraggio di Brecht; subisce una censura retroattiva dopo due anni di recite Un tram che
si chiama desiderio. La Mandragola di Machiavelli,
uno dei capolavori del teatro italiano, viene proibito.
Sono solo degli esempi, ma bastano a descrivere
un clima. Non è lontana dal vero la battuta che l’arte
si fa anche vietandola, come sosteneva un bello
spirito, ma il parallelo che corre è quello che accomuna l’Italia fascista del 1936 e l’Italia democristiana
del 1952, l’impossibilità a quell’altezza temporale di
tracciare critiche al regime o di posizionare trappole
anticlericali, ed è singolare che la tensione censoria si accenda con maggior vigore in direzione del
teatro ancor più negli anni cinquanta che nel famigerato ventennio, dove, non va mai dimenticato, si
potevano cogliere straordinarie gemme in una rivista
specializzata, Dramma, che farebbe impallidire per
qualità e vitalità culturale rappresentata anche panorami odierni.
La libertà di cui gode ancora il libro consente a Brancati di pubblicare nel 1952 il copione integrale de La
governante non approvato dall’ufficio censura teatrale; una vicenda che insinua una corrispondenza
d’amorosi sensi tra una governante e una cameriera,
un rapporto irregolare lo definisce Brancati, ma in
realtà ci si sofferma altresì sulla dimensione della calunnia nella sfaccettatura più ampia e dilatata del rapporto personale. La trama di fatto non si discosta da
una conclusione politically correct, la peccatrice arriverà a sopprimere la propria vita, di qui la virulenta
reazione dell’autore che accusa senza mezzi termini
il partito democristiano di patire una vera ossessione
perversa verso tutta la sfera sessuale.
Ossessione che prevede un’alchimia singolare tra
moralismo e morbosa libidine (icastico il possesso
compulsivo a Villa Borghese di un monsignore capace di consumare in compagnia di tre prostitute
“con la rapidità che avrebbe impiegato per pugnalarle”) elevata a omissione, a occultamento, minando
anche qui dall’interno la libertà di espressione che
si manifesta anche con una educazione sessuale
matura e moderna tra i giovani. Poesia e letteratura
devono poter liberamente trattare certi argomenti
proprio con la motivazione aurea di non poter essere
esse stesse violentate nel profondo, nella loro insopprimibile delicatezza, afferma Brancati con espressione di straordinaria efficacia e consapevolezza.
“Quando l’amore falso per la Moralità coincide con
l’odio vero per la Cultura, chi potrà battere il Paese,
in cui avviene questa felice coincidenza, nella produzione di ‘strumenti censori’? E infatti i nostri censori sono i più perfetti mandatari dell’odio per la cultura. (In verità essi personalmente non la odiano né
l’amano: l’efficacia, con cui eseguono il mandato di
sicari ai danni della fantasia o del pensiero, è dovuta
alla loro freddezza professionale)”. La “dittatura clericale” la chiamerà con la crudezza dell’esasperazione
a fronte della censura preventiva che indirizza, devia,
impedisce “il gusto, il pensiero e la fantasia”, una dittatura democristiana nel grottesco interrogativo di
un movimento di popolo verso il futuribile papa-re da
contrastare con l’estensione delle libertà, nel segno
dei valori universali. Sembra ruggire Brancati nel
tono quasi incredulo della resurrezione clericalista e
la battuta fulminante della chiusa vede un Mussolini
inedito con un sorriso ultraterreno quanto paradossale nel registrare una realtà del tutto imprevedibile.
Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino
Dizionario della censura nel cinema. Tutti i film tagliati dalle forbici del censore
nella storia mondiale del grande schermo, di Jean-Luc Douin, a cura di Paolo
Bignamini, Mimesis, 2010
Edizione italiana di un vero e proprio best-seller degli ultimi dieci anni in Francia.
Come semplice lettura o come strumento di consultazione, questo dizionario, nel
quale i casi di censura sono raccontati attraverso l’esperienza di attori, cineasti,
film, nazioni, percorsi tematici, mostra la molteplicità di un fenomeno che mutila,
taglia, cattura, sequestra, brucia, tiranneggia, uccide.
Le voci vanno da titoli censurati come “Addio mia concubina” e “Assassini nati”,
a cineasti come Bernardo Bertolucci e Pier Paolo Pasolini, passando per percorsi
tematici come “Locandine” e “Pornografia” fino alle grandi cinematografie nazionali. Un percorso attraverso quella che è sempre apparsa inapellabilmente come
l’ottusità della censura.
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Le Muse imprigionate abortique inseriti in un mercato, in
scono scriveva il poeta polacun tipo di industria che proco Stanisław Jerzy Lec nella
prio per le sue caratteristiche
sua opera più conosciuta,
ha
un enorme bisogno degli
una lunga storia
Pensieri spettinati. Se è vero
aiuti governativi. Negli anni si
che l’espressione artistica,
è quindi diffuso il comune atdi Paola Bertoldi
nelle sue varie forme, non può
teggiamento di autocensura
per la sua stessa definizione
da parte dei vari soggetti che
essere imbrigliata o costretta
operano nel campo (produttoentro schemi predeterminati,
ri, registi, sceneggiatori): per
è anche vero che non è quasi mai esistita una pro- evitare di incorrere nella censura sul prodotto finiduzione artistica senza il parallelo intervento di un to, e consapevoli dell’importanza del credito pubbliapparato di controllo.
co, si evitano a priori certe scelte. In pratica vengono
La censura è il frutto di molti e complessi fattori: tolti, già in fase progettuale, tutti gli elementi che popaura, desiderio di potere, smania di notorietà, ne- trebbero poi venire tagliati.
cessità di far rispettare le leggi, convinzione di dover Ci sono poi i casi di censura che vanno a colpire non
fornire esemplari modelli di comportamento e così l’arte, ma l’artista nel suo privato, condannandone la
via. Se diamo uno sguardo sul mondo dello spetta- “moralità controversa”. È successo nel 1963 a Mina,
colo in Italia dal secondo dopoguerra ad oggi, vedia- “colpevole” di essere incinta di un uomo che non
mo subito che negli anni cinquanta, il primo, costan- era suo marito: additata come peccatrice è stata isote motivo di censura è quello legato all’eros e alla lata dalla RAI per quasi due anni. Anche Nilla Pizzi
sessualità. Si vigila con particolare attenzione sul les- subisce un periodo di ostracismo perché viveva sesico radiofonico con una lista davvero lunga di pa- parata dal marito. Ma il caso più eclatante è forse
role proibite. Per fare qualche esempio, sono vieta- quello di Umberto Bindi, considerato oggi uno dei
te le parole adulterato (ricorda l’adulterio), letto, ma maggiori musicisti della scena italiana, che si trova
anche amante (non si può nemmeno dire amante tutte le porte sbarrate per via della sua dichiarata
del bello o amante del vino). Ci sono poi altre parole omosessualità. Già nel 1961, quando arriva sul palco
proibite, anche se spesso si fatica a capire dove sia dell’Ariston, la stampa non considera minimamenil problema di termini come ascella, parto, sudore, te la sua canzone ma si concentra sul suo abbigliaintestino, tutti sulla lista nera. Lo stesso succede pa- mento e sulla sua vita sentimentale. Questo tipo di
rallelamente al cinema dove l’influenza cattolica crea censura arriva fino ai giorni nostri, come dimostra il
problemi a moltissime pellicocaso di Morgan che nel 2010
le accusate di oscenità, offesa
viene escluso da Sanremo per
al comune senso del pudore
via di una sua intervista rilae via dicendo. Naturalmente,
sciata al mensile Max. L’artista
quest’operazione “moralizzaaveva dichiarato di fare uso di
trice” può avere effetti signicocaina come antidepressivo
ficativi perché si può avvalere
e questo venne ritenuto inacdella leva economica. Grazie a
cettabile dagli organizzatori
una politica di incentivi e aiuti
del festival. È difficile elencare
messa in campo dalla Demotutti i motivi che hanno messo
crazia cristiana, le sale parrocin moto il meccanismo censochiali conoscono una crescita
rio: dopo l’accanimento verso
rapidissima e già nel 1953 raple tematiche a sfondo sessuapresentano un terzo dell’intero
le, sono stati incriminati i film
circuito nazionale: un fatto che
considerati troppo violenti,
condiziona necessariamente
le canzoni che peccavano
l’industria cinematografica. Il
di turpiloquio, i riferimenti a
potere economico, al di là deldroghe o sostanze stupefacenti, le opere che in generale forze cattoliche, è chiarale “offendevano” la religione.
mente un aspetto chiave per
Uno degli artisti più colpiti è
leggere il fenomeno della censenz’altro Fabrizio De Andrè
sura: film, canzoni, spettacocui viene chiesto in continuali sono prodotti culturali, opezione di modificare i testi delle
re dell’ingegno, ma comun-
Censura e spettacolo
in Italia
37
sue canzoni. Carlo Martello torna dalla battaglia di
Poitiers gli procura addirittura una denuncia per oltraggio alla monarchia, alla cristianità e al comune
senso del pudore. Un altro grande tema oggetto, per
forza di cose, di grande attenzione da parte del censore, è la politica: vengono censurati molti versi di
canzoni dove si ironizza o critica un partito piuttosto
che un personaggio politico. Una cosa comunque è
certa: la censura non rispecchia i gusti del pubblico e
gli artisti più censurati sono stati i più seguiti e amati.
Questo è in fondo un logico corollario delle motivazioni che muovono i censori: paura del cambiamento, tentativo di non modificare gli equilibri, il potere
nelle sue varie espressioni. Come riassume Mino
Argentieri nel suo testo La censura nel cinema italiano: “in ultima analisi, è contro una nuova concezione
del mondo che si alzano i muri; è contro una nuova
morale che si alzano le barriere; è contro l’abbattimento delle divisioni di classe che si alzano gli scudi,
è contro una reale democrazia che censori, magistrati e moralisti, reazionari di ogni risma congiurano…”.
Se in parecchi casi la censura è giustificata (nel caso
della pornografia o della trasmissione di film in prima
serata televisiva), in altri casi è curioso e interessante capire dove stiano i motivi del presunto scandalo.
È il caso di quelle opere che vengono incriminate
perché troppo rivoluzionarie, perché portatrici di una
carica innovativa considerata pericolosa dai censori. Un esempio su tutti è La dolce vita di Federico
Fellini, un capolavoro indiscusso del cinema italiano,
che ebbe parecchi problemi quando uscì nel 1960.
La prima proiezione venne interrotta da urla rabbiose di alcuni spettatori e uno di loro sputò in faccia al
regista all’uscita. Arrivarono attacchi da ogni parte,
compreso il Consiglio araldico nazionale che ritenne
offesa la categoria dei nobili. Il questore di Novara
ordinò la chiusura della sala in cui si proiettava la
pellicola e un padre gesuita propose di far celebrare
delle messe per permettere agli spettatori che avevano visto il film di espiare il loro “peccato”. È successo anche ad altri grandi maestri, la lista sarebbe
lunga: se sono stati i principali bersagli della censura
conservatrice è anche perché, guardando le cose da
una diversa prospettiva, i censori stessi avevano percepito e temevano la carica rivoluzionaria delle loro
opere e delle loro provocazioni.
Ed è questo uno degli aspetti che oggi preoccupano: non sarà che – suppongono alcune teorie – l’indebolimento del controllo sia dovuto alla carenza di
opere “degne” di essere censurate? Serpeggia cioè
l’ipotesi che le acque si siano placate perché sono
scomparsi certi autori rappresentativi: Pasolini ha
subito decine di processi perché provocava, perché
non sapevano come prendere i suoi film, non lo si
riusciva a inquadrare né gestire. De Andrè scriveva testi troppo crudi, realistici, fuori dai cardini per
essere considerati innocui. Negli ultimi anni sembra
mancare quella carica polemica ed eversiva, quella
voglia di trasgressione che possa stimolare significativi interventi censori. È come se si fosse spenta una
stagione di particolare creatività senza un adeguato
ricambio generazionale. Questo filone di pensiero
mette in guardia contro l’atteggiamento “tollerante”
del giorno d’oggi, contro questa incapacità di indignarsi, contro l’omologazione a un unico modello
diffuso, che porta al conformismo, alla mancanza di
nuovi stimoli. In questo senso non è la censura che
spaventa, ma il fatto che non ce ne sia più bisogno.
Nella lunga storia della censura in Italia, per un certo
periodo c’è un trentino fra i protagonisti di spicco,
Renzo Helfer. Ex ufficiale degli alpini, nel luglio del
1960 diventa Sottosegretario per il turismo e spettacolo. Ha presto l’occasione di chiarire la sua linea
strategica quando afferma che nel cinema italiano si
registra “una nuova ondata di violenza e sensualità”
dovuta alla ricchezza che fa desiderare agli italiani
“discutibili eccitazioni”, nonché a un decadimento morale causato dalla “influenza del cosiddetto
realismo nella letteratura” che non va trasferito al
cinema visto che “i registi sono tutti comunisti”.
Secondo Helfer “la censura sui film è ritenuta generalmente indispensabile per la natura stessa del
cinema e per quella sua capacità di raggiungere gli
spettatori più sprovveduti”. Non a caso viene definito dal Daily Express “l’uomo della censura”.
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ti stampa delle prefetture di RoLa censura fascista fu un mecma, Firenze, Bologna, Milano,
canismo di carattere regolativo
Torino, Napoli e Palermo sono
che divenne negli anni sempre
di Stefano Chemelli
nominati da Ciano, tutti giorpiù invasivo e sofisticato. Lo
nalisti professionisti incardinati
spettro della sua influenza fu
nell’organico dell’Ufficio Stamampio e dilatato a tal punto da
pa. Nel 1937 Starace avrebestendere il suo controllo non
be voluto ricondurre il controlsolo alla sfera della vita publo all’Istituto fascista di cultura,
blica e alla sostanza degli stili
e dei contenuti nella comunicazione delle idee, ma ma è nel 1938, nel pieno delle leggi antisemite, che
incise nel profondo dei rapporti individuali attra- viene costituita la Commissione per la bonifica libraverso tutta una serie di condizionamenti sociali e lin- ria che colpisce nella sostanza l’editoria ebraica.
guistici che interessavano gli stessi profili della con- L’azione della censura penetrò in profondità a tutti
versazione minuta e privata, per non comprendere i livelli, diventò un tratto precipuo della società ital’azione preventiva nei confronti della parola scritta, liana, non solo per la capillare rete dei controlli
messa in atto, ma perché era lo stato stesso a incarsia essa giornalistica che di natura letteraria.
Funzionari di polizia, addetti della Stampa e Pro- nare un’invadenza della quale non si aveva avuto
paganda, ministero della Cultura Popolare costitui- contezza con quella forza in precedenza. Ecco allora
scono la filiera di un apparato che si affina incorpo- che le conseguenze non potevano che essere evirando figure professionali variegate, giornalisti, scrit- dentemente inedite, con una tendenza ad assorbire
tori, poeti, impiegati civili, militari, affiancati di volta le forme della comunicazione imposta, i nuovi linin volta da attori esterni ma influenti quali potevano guaggi pesantemente assertivi e inequivocabili, e
essere critici, direttori di riviste, gerarchi, se non addi- per altro verso si avvertiva una sorta di resistenza,
rittura dal Duce in persona; concorrono tutti in varia di autodifesa che conduceva in altre direzioni, latemisura e con peso diverso a determinare la ramifica- rali e non pienamente impattanti con il nuovo verbo.
zione delle carriere, a stabilire il mutevole gioco delle Tra norme e divieti si faceva luce una via mediana di
appartenenze e delle affiliazioni più o meno fedeli sopravvivenza, almeno tra coloro che non aderivano
alla causa, secondo una logica che tende sempre più appieno al nuovo corso. Negli anni trenta si assiste,
a centralizzare nelle mani di pochi ciò che, almeno nel quadro severo della censura, a una tensione che
nella fase iniziale, rispondeva ad apparati più perife- coinvolgeva i diversi enti culturali e istituzionali del
rici. Dagli uffici della polizia si passa, gradualmente paese, le personalità e gli attori nei diversi ruoli, la
ma senza ritorno, sino al vertice del potere in capo rete delle clientele e delle affiliazioni mobili e precaal dittatore. Il ministero dell’Interno, le prefetture rie che facevano i conti con un sistema apicale che
cedono all’Ufficio Stampa ogni competenza di con- tentava di risolvere le sue insite contraddizioni.
trollo. Giornali, libri, cinema, radio, musica compon- Il cono d’ombra della censura e del suo potente
gono un conglomerato di media sottoposto a cen- influsso di condizionamento è presente in modo
sura secondo un criterio unitario che si rifà a un’ade- molto netto nel mercato editoriale del paese. Gli esiti
pongono vincoli precisi, indirizzano verso mete ricosione supina al punto di vista politico prevalente.
Capo dell’Ufficio stampa nell’agosto del 1933 è Gale- nosciute. I famosi pareri di lettura delle più imporazzo Ciano. Di qui si sviluppa una progressiva acce- tanti case editrici indicano con chiarezza lo spirito
lerazione del processo che porta nel giro di due anni del tempo, la gabbia ideologica entro la quale è
alla costituzione della Direzione generale per la cine- possibile muovere il proprio passo. «Se io fossi l’editore» era un incipit che
matografia, alla riorsi poteva leggere in
ganizzazione del Coquesti pareri, una
mitato superiore di vipresa di distanza che
gilanza sulle radiodifproduceva uno spazio
fusioni. Viene istituito
di
negoziazione
e
anche un Ispettorato
avvertiva per tempo
del teatro. La censura
lo stesso editore su un
dei libri fu appannagtesto preso in esame.
gio della Divisione III,
Il 27 maggio 1937 fu
un ufficio insediato
istituito il ministero
nell’ambito della Diredella Cultura popolare
zione generale per la
con organi di constampa italiana con a
trollo e gestione che
capo Gherardo Casispaziavano in ambiti
ni. Dal 1934 gli addet-
La censura fascista
39
dal dramma antico ai cinegiornali, dal turismo alla
lirica. Originato dal ministero per la Stampa e la
Propaganda, era un ministero con caratteristiche
particolari, con una centralità di importanza formidabile in relazione all’opera di propaganda, una delle
missioni principe di tutto il regime. È evidente che
l’impronta, il modello perseguito con progressivo
sforzo, era quello di avvicinarsi all’efficienza tedesca,
all’opera per certi versi prodigiosa di Goebbels e del
suo Reichsministerium für Volksaufklärung und Propaganda. Goebbels stesso nel 1933 ebbe modo di
illustrare la propria organizzazione in Italia e Ciano
la studiò a fondo dedicando studi specifici all’argomento. La costruzione del consenso passava non
solo dall’informazione, ma anche da tutti i canali
culturali che la permeavano in una sfera più ampia
e accessibile, con una politica che si premuniva di
affrontare nuovi sistemi di significato nel mutevole
relazionarsi di potere e cultura, in un quadro tutt’altro
che monolitico, viste le significative presenze di una
cultura alto-borghese, di una tradizione risorgimentale, della stessa Chiesa, che costituivano sistemi
concorrenziali non secondari.
Il processo di centralizzazione nel controllo della
comunicazione fu un’acquisizione perseguita con
tenacia e determinazione, ma ciò non toglie che la
stampa mantiene nel regime un ruolo guida sia nella
modulazione del linguaggio che nella diffusione dei
contenuti. Più lenta è l’assimilazione e la piena messa
in opera delle potenzialità espresse dai nuovi media
(radio e cinema soprattutto) dimostrata da una sensibile e vivace mobilità negli uffici preposti, a causa
dell’innovazione profonda portata da mezzi di comunicazione più immediati ma anche meno conosciuti.
Nel settembre del 1934 le competenze cinematografiche passarono al sottosegretariato per la Stampa e
la Propaganda per produzione e censura, nell’aprile
del 1935 si avvia l’Ispettorato del teatro.
La censura entra nella fase di piena e matura istituzionalizzazione nella metà degli anni trenta, radicandosi
in un sentore politico e culturale che trova nell’apparato totale giustificazione e impulso.
Il ministero della Cultura popolare unifica e accentra tutta una serie di poteri e di funzioni che comunque generano una qualche resistenza negli enti che
cedono le proprie prerogative. Non si dimentichi che
il ministero della Cultura popolare diviene all’altezza
del 1938 lo snodo vitale della campagna fascista
per la difesa della razza e contro gli ebrei. Giuseppe
Bottai, uno dei cervelli più lucidi del regime, interpreta la partita da protagonista cogliendo il pretesto
per affermare e imporre la propria supremazia burocratica e amministrativa, di coordinamento unitario
nell’interventismo culturale.
L’idea di cultura come funzione pubblica, come
responsabilità dello stato e come impegno civile e
nazionale degli intellettuali sopravvisse al fascismo, e
non è estranea a quella fase l’influenza della politica e
la preminenza dell’interesse nazionale in molti settori
dell’informazione e dell’economia libera di mercato,
che si svilupperanno ma con molti distinguo nell’Italia repubblicana (fonte: Dizionario del Fascismo,
2 vol., Einaudi, Torino, 2002, a cura di Victoria de
Grazia e Sergio Luzzato).
Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino
La censura nel secolo dei lumi: una visione internazionale, a cura di
Edoardo Tortarolo, UTET, 2011
L’odierna discussione sulla libertà di stampa riprende un lungo dibattito
il cui svolgimento ha attraversato la storia europea dall’invenzione della
stampa a caratteri mobili. Che ogni uomo e donna abbia diritto a esprimersi
liberamente rappresenta un principio entrato relativamente tardi nell’orizzonte della cultura europea. La profondità storica e la complessità delle
riflessioni e delle situazioni politiche, legislative e sociali non sono tuttavia
sufficientemente presenti quando si tenta di affrontare il tema dello spazio
di non interferenza nel quale possono muoversi gli autori di libri, direttori di giornali e - dall’inizio del ventesimo secolo - responsabili dei mezzi
di comunicazione di massa. I saggi raccolti in questo volume presentano
un’ampia panoramica europea dei contesti nei quali sono stati elaborati
argomenti pro e contro la libertà di stampa e hanno effettivamente operato
le istituzioni di controllo nel corso del Settecento. La presenza della libertà
di stampa nelle dichiarazioni dei diritti formulate in occasione delle rivoluzione americana e francese aggiunge un elemento di grande interesse a
questo quadro complessivo.
40
INFOM USE O
interpreti Antonia Dalpiaz, curatrice e conduttrice dell’evento, e
gli attori Piergiorgio Lunelli e Massimo Pezzedi che hanno alternato
la lettura di poesie e scene teatrali
in dialetto trentino. La componente musicale è stata affidata al
Coro Genzianella di Roncogno. Lo
spettacolo è stato preceduto da
un incontro con il curatore della
mostra, Francesco Nicotra, e da
una visita guidata all’esposizione.
Il Giorno della Memoria
GENNAIO 2011
Recital sull’emigrazione
Sabato 22 gennaio, in occasione
della mostra fotografica e documentaria sull’emigrazione in America “Partono i bastimenti” – visitabile presso le Gallerie di Piedicastello – l’Assessorato provinciale
alla Cultura, in collaborazione con
la Fondazione Museo storico del
Trentino, ha inteso promuovere
un momento di approfondimento
e riflessione su quello che è stato
il grande esodo delle famiglie trentine verso la “Merica”.
La rappresentazione di questo
“viaggio” è stata affidata alla
musica, alla poesia e al teatro attraverso un percorso della memoria
in forma di recital. Ne sono stati
In ricordo della fine della Shoah, il
27 gennaio, il Comune di Trento, il
Museo storico in Trento e la Fondazione Museo storico del Trentino hanno celebrato il Giorno della
Memoria. Nella Sala Falconetto di
Palazzo Geremia a Trento sono
intervenuti Alessandro Andreatta,
sindaco di Trento, Renato Pegoretti, presidente del Consiglio
Comunale di Trento, Giuseppe
Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino.
Al termine della celebrazione
Renzo Fracalossi e Antonia Dalpiaz hanno proposto delle letture
tratte da “I bambini di Bullenhuser
Damm”.
Lo stesso giorno è partito da
Trento il Treno della Memoria che
ogni anno, dal 2005, viaggia lungo
i binari che portavano i prigionieri
nei campi di lavoro e sterminio di
Auschwitz e Birchenau. La Fondazione Museo storico del Trentino
è stata rappresentata da Lorenzo
Gardumi, che ha accompagnato i
giovani partecipanti alla scoperta
della storia attraverso il dialogo, lo
scambio, la riflessione.
FEBBRAIO 2011
Conferenza sull’alluvione del 1966
L’11 febbraio, nell’ambito del ciclo
di incontri “Il Trentino degli anni
‘60”, organizzato dal Centro Studi
sulla Storia dell’Europa Orientale
in collaborazione con il Comune di
Levico Terme, Giuseppe Ferrandi,
direttore della Fondazione Museo
storico del Trentino, ha condotto
l’incontro dal titolo “L’alluvione del
1966”. Presso la Sala del Consiglio
comunale di Levico Terme si è
parlato della terribile alluvione che
sconvolse il Trentino devastando
il territorio con una impressionante serie di frane e allagamenti e
lasciando un segno profondo nella
cultura e nella memoria collettiva.
Lezioni pubbliche sul 150° anniversario dell’Unità d’Italia
In occasione della ricorrenza del
150° anniversario dell’Unità d’Italia
la Fondazione Museo storico del
Trentino e l’Università degli Studi
di Trento hanno promosso una
serie di iniziative volte a offrire una
ricostruzione del Risorgimento e
della complessa storia dell’Italia
unita.
Il programma si è articolato in
alcune lezioni pubbliche, nelle
quali si sono coniugati il rigore
scientifico e la capacità di alta
divulgazione.
La prima lezione si è tenuta il 25
febbraio presso la Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento. Il
Professor Alberto Maria Banti,
dell’Università di Pisa, ha parlato
de “Il Risorgimento dei patrioti”.
41
Le lezioni sono proseguite il 4
marzo con il professor Tommaso
Detti dell’Università di Siena che
ha parlato de “Il Risorgimento del
popolo”. L’11 marzo è stata la volta
del professor Gian Enrico Rusconi
che ha proposto la relazione dal
titolo “Il Risorgimento nella politica internazionale”, mentre il 25
marzo il professor Piero Bevilacqua, dell’Università “La Sapienza”
di Roma, ha affrontato il tema “Il
dualismo economico”.
Le ultime due lezioni sono state
tenute l’1 e l’8 aprile dal professor
Raffaele Romanelli dell’Università
“La Sapienza” di Roma e dal professor Antonio M. Chiesi dell’Università di Milano che hanno parlato rispettivamente di “Centralismo e regionalismo” e de “L’Italia
unita: 150 anni di trasformazioni e
persistenze”.
e Maurizio Cau hanno presentato
la relazione dal titolo “Territori e
‘nazioni’: lo sguardo lungo degli
storici sul significato di un ‘confine’”. Successivamente si è svolta
una tavola rotonda con Marcello
Bonazza, presidente della Società
di studi trentini di scienze storiche,
Giuseppe Ferrandi, direttore della
Fondazione Museo storico del
Trentino e Paolo Pombeni, direttore FBK-Isig .
L’”Ufficio Zone di Confine”
Ferrandi (Fondazione Museo storico del Trentino) sono intervenuti
Maria Maione (segretariato generale della Presidenza del Consiglio
dei ministri), Raoul Pupo (Università di Trieste), Giorgio Mezzalira
(Storia e regione) e Andrea Di
Michele (Archivio provinciale di
Bolzano).
Lo stesso incontro è stato ripetuto a Trento il giorno successivo
presso la Fondazione Cassa di
Risparmio di Trento e Rovereto.
Vi hanno partecipato gli stessi
Raoul Pupo, Giorgio Mezzalira e
Andrea Di Michele, Lorenzo Gardumi (Fondazione Museo storico
del Trentino) e Luigi Blanco (Università di Trento). Ha moderato la
discussione Giuseppe Ferrandi.
La notte tricolore e i festeggiamenti per il 150° anniversario
dell’Unità d’Italia
MARZO 2011
Il Trentino e i 150 anni dell’Unità
d’Italia
Il 9 marzo il Centro per gli studi
storici italo-germanici, in collaborazione con la Fondazione Museo
storico del Trentino e la Società di
studi trentini di scienze storiche,
ha proposto l’incontro dal titolo
“Trentini e italiani: riflessioni sul
150° dell’Unità d’Italia”. Dopo il
saluto di Paolo Pombeni, direttore del Centro per gli studi storici
Italo-germanici, i tre ricercatori
Emilie Delivré, Marco Bellabarba
42
Il 10 marzo Palazzo Rottenbuch
di Bolzano ha ospitato l’incontro
“L’ufficio zone di confine (19461954): tra italianità e governo delle
minoranze” organizzato dalla Fondazione Museo storico del Trentino
e dall’Archivio provinciale di Bolzano, in seguito all’apertura di un
fondo archivistico che documenta,
appunto, l’attività dell’Ufficio zone
di confine, interessato a tutti gli
affari relativi alle complesse questioni delle aree di confine durante
i primi governi repubblicani.
Dopo i saluti di Leo Andergassen
(direttore della Ripartizione Beni
culturali della Provincia di Bolzano), Christine Roilo (Archivio
provinciale di Bolzano) e Giuseppe
Anche la Fondazione Museo storico del Trentino ha aderito, in
collaborazione con l’associazione
Terradelfuoco, il Forum trentino per la pace e i diritti umani e
l’ANPI, ai festeggiamenti in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia organizzando alcuni momenti
di musica e di riflessione. Mercoledì 16 marzo le Gallerie di Piedicastello hanno ospitato la “Notte
tricolore”; a partire dalle 22.30 i
ragazzi dell’associazione Memo
che hanno partecipato al Treno
della Memoria hanno eseguito
una performance dal titolo “Cittadini italiani d’oggi” con l’accompagnamento musicale degli Apocrifi.
Il giorno successivo, il 17 marzo,
Giuseppe Ferrandi, direttore della
Fondazione Museo storico del
Trentino e Sandro Schmid, presidente ANPI del Trentino hanno
introdotto il lungo pomeriggio di
parole, riflessioni e musica. Alcuni
articoli della Costituzione italiana
sono stati letti e commentati da
Paolo Burli, Segretario CGIL del
Trentino, Pasquale Profiti, Presidente dell’Associazione nazionale
dei magistrati del Trentino-Alto
Adige, Cristina Donei, procuradora del Comun General de
Fascia, Aboulkheir Breigheche,
presidente della Comunità Islamica del Trentino-Alto Adige, Anamaria Stanescu, rappresentante
degli studenti del Liceo L. da Vinci
di Trento, Ehsan Soltani, rifugiato
politico dall’Iran, Michele Nardelli,
presidente del Forum Trentino
per la pace e i diritti umani. L’accompagnamento musicale è stato
affidato al Corpo Musicale Città di
Trento e al gruppo degli Apocrifi.
con la Fondazione Museo storico
del Trentino e aperta al pubblico
fino al primo maggio. L’esposizione, attraverso le opere di Franz
e Michela Molinari e le installazioni di Aldo Pavan, Angela Prati e
Marisa Bartoletto, è nata dall’idea
di unire la sostenibilità ambientale
all’arte e alla cultura. “Une nouvelle vie” ha cercato, utilizzando
differenti linguaggi espressivi, di
trovare nuove forme produttive,
stili di vita e modelli di consumo
che comportassero un utilizzo
oculato delle risorse naturali, ma
che nello stesso tempo sapessero
sedurre attraverso l’affascinante
sfida di dover convivere con nuovi
limiti: ecologici, ambientali, economici e sociali.
Spettacolo su Garibaldi
APRILE 2011
Un filo di Arianna
La Biblioteca della Fondazione
Museo storico del Trentino, in
collaborazione con la Casa Editrice Curcu & Genovese, il 7 aprile
ha ospitato la presentazione del
libro di Micaela Bertoldi “Un filo
di Arianna: di mano in mano”
(Trento, Curcu & Genovese, 2010),
opera che ribadisce l’importanza
del raccontare in educazione e
sottolinea il ruolo importantissimo rappresentato dalla voce
dell’adulto che interpreta storie
già scritte.
Assieme all’Autrice sono intervenuti Giuseppe Ferrandi, direttore
della Fondazione Museo storico
del Trentino e Beatrice Carmellini,
presidente dell’Associazione mnemoteca Basso Sarca.
La guerra negli occhi
Une nouvelle vie
Il 18 marzo alle Gallerie di Piedicastello è stata inaugurata la
mostra “Une nouvelle vie”, curata
da Cafè culture in collaborazione
Nell’ambito delle lezioni pubbliche
sul 150° anniversario dell’Unità
d’Italia, il 18 marzo al Teatro Cuminetti di Trento si è tenuto lo spettacolo di e con Emilio Franzina
“L’altro mondo del Generale. Garibaldi a cento anni dallo scoglio
di Quarto”. Assieme a Franzina
hanno suonato e cantato Luca
Bassanese, Stefano Florio e Mirco
Maistro.
La serata si è avvalsa della collaborazione della Fondazione Museo
storico del Trentino e dell’Università degli studi di Trento.
L’8 aprile, presso le Gallerie di
Piedicastello, è stata inaugurata
“La guerra negli occhi”, mostra
fotografica di Romano Cagnoni,
uno dei fotoreporter contemporanei italiani più importanti: oltre
100 fotografie scattate tra il 1958
e il 1998 in paesi come la Yugoslavia, la Cambogia, Israele, il Ban-
43
gladesh, il Biafra, l’Afghanistan.
L’esposizione, curata da Alberta
Gnugnoli, è stata aperta fino al 26
giugno 2011.
trasformazioni. I due percorsi proposti sono stati “Alla ricerca del
fiume perduto” e “Gli anni trenta:
il periodo fascista a Trento”.
La mostra “Feuer!” a Schio
Mostra a Strasburgo sull’unità
d’Italia
La mostra “Feuer! I grandi rastrellamenti antipartigiani dell’estate
1944 tra Veneto e Trentino”,
curata da Lorenzo Gardumi della
Fondazione Museo storico del
Trentino, è stata ospitata nelle
sale di Palazzo Fogazzaro a Schio
(Vicenza). L’inaugurazione è avvenuta il 9 aprile e il percorso espositivo è rimasto a disposizione del
pubblico fino al primo maggio.
Settimana della cultura: le proposte didattiche della Fondazione
In occasione della Settimana della
cultura la Fondazione Museo storico del Trentino, tramite il proprio
Laboratorio di formazione storica,
ha proposto due attività rivolte alla
cittadinanza.
Ogni giorno, tra il 9 e il 17 aprile,
un operatore ha guidato gli interessati in due distinti percorsi cittadini, camminando per le vie di
Trento, scoprendone il passato e
sostando per osservare consapevolmente il tessuto urbano e le sue
44
Mercoledì 13 aprile, presso il
Consiglio d’Europa a Strasburgo,
si è svolta l’inaugurazione della
mostra curata dalla Fondazione
Museo storico del Trentino “Trentino, Italia, Europa: il 150° ai confini dell’unita”. Sono intervenuti
Sergio Busetto, capo della Rappresentanza permanente d’Italia presso il Consiglio d’Europa,
Giacomo Santini, senatore della
Repubblica italiana e membro
della Delegazione parlamentare
italiana presso l’Assemblea del
Consiglio d’Europa, Giuseppe
Ferrandi, direttore generale della
Fondazione Museo storico del
Trentino, Alberto Robol, reggente
della Fondazione Opera Campana
dei Caduti.
La mostra ha analizzato l’ampio
processo di unificazione dello
Stato nazionale mettendo in evidenza i piani differenti sui quali si
è articolato il percorso risorgimentale italiano.
“La storia e i nostri figli”. Premio
letterario “Francesco Gelmi di Caporiacco”
Si è svolta il 14 aprile nella Sala
degli Affreschi della Biblioteca
comunale di Trento la premiazione
del concorso letterario “Francesco
Gelmi di Caporiacco”, giunto alla
sua quinta edizione e promosso
dall’Associazione culturale “Francesco Gelmi di Caporiacco” dai
giornali l’Adige, Corriere del Trentino, Corriere dell’Alto Adige e
dalla rivista Archivio trentino.
La giuria ha attribuito il primo
premio al romanzo L’uomo che
amava i cani (Tropea, 2009) dello
scrittore e giornalista cubano
Leonardo Padura Fuentes. Tra
gli inediti, l’opera migliore è stata
ritenuta quella di Patrizia Belli
intitolata “Figlia di tante lacrime”.
Nell’ambito della stessa sezione
Claudio Quinzani con “Fiori recisi”
e Alessandro Tamburini con “Un
sabato del 1944” hanno ottenuto il secondo premio ex-equo.
Gabriella Brugnara, infine, con il
saggio dal titolo “Òccupati, preòccupati? “Occupàti, preoccupàti…”
è risultata vincitrice della terza
sezione del Premio riservata agli
inediti dedicati al mondo dell’infanzia.
Una “menzione speciale” è stata
assegnata alla narrazione inedita
di Predrag Matvejeviþ “Nostri talebani”.
Alla premiazione ha partecipato
l’intera giuria, presieduta dall’insigne filologo, storico e saggista Luciano Canfora e composta
da Edoardo Barbieri, ordinario
di Storia del libro e dell’editoria
presso l’Università Cattolica del
Sacro Cuore di Milano, Gianmario Baldi, direttore della Biblioteca
civica “G. Tartarotti” di Rovereto,
Franca Eller, bibliotecaria e cri-
tica letteraria, Paola Maria Filippi,
docente di letteratura tedesca
presso l’Università di Bologna,
Enrico Franco, direttore del Corriere del Trentino e del Corriere
dell’Alto Adige, Pierangelo Giovanetti, direttore de L’Adige e la presidente dell’Associazione Marina
Gelmi di Caporiacco.
attivi sul territorio sono stati organizzati degli eventi aperti, chiamati
“cantieri”, il primo del quale sì è
svolto appunto il 19 aprile. Gli altri
cantieri si sono svolti tra maggio
e giugno e sono stati dedicati a
“Università e giovani”, “Scuola e
formazione”, “Territorio”.
Presentazione del volume “Di Terlizzi: carteggi sull’arte”
Il volume “Di Terlizzi: carteggi
sull’arte 1928-1932”, curato da
Mara Kutinceff e pubblicato dalle
Edizioni Pancheri è stato presentato il 15 aprile nella Biblioteca
della Fondazione Museo storico
del Trentino. Con la curatrice del
volume sono intervenuti Gianni
Faustini, giornalista, Paola Pettenella, responsabile del settore
archivi storici del MART, Vincenzo
Calì, storico. Hanno portato il loro
saluto, inoltre, Silvano Rauzi, Presidente Federazione Allevatori
e Luisa Dallafior, assessore alla
cultura del Comune di Baselga di
Pinè.Per l’occasione è stata esposta l’opera di Francesco Di Terlizzi
“La malga” (Collezione Federazione Trentina della Cooperazione).
Il nuovo progetto HistoryLab
Il 19 aprile a Trento la Fondazione
Museo storico del Trentino ha presentato HistoryLab, il nuovo progetto della Fondazione in collaborazione con l’Opera Universitaria
di Trento. Tale progetto desidera
mettere a disposizione uno spazio
laboratoriale che sia luogo di
incontro tra soggetti diversi interessati ai temi della storia e della
memoria; riflettere sulle possibili
forme di comunicazione visiva
nella divulgazione delle ricerche
di carattere storico; sperimentare
l’utilizzo di un canale digitale terrestre. Per raccogliere proposte
e idee da parte dei vari soggetti
Liberazione. Al termine degli interventi di Alessandro Andreatta, sindaco di Trento, di Bruno Dorigatti,
presidente del Consiglio della
Provincia Autonoma di Trento,
di Giuseppe Ferrandi, direttore
della Fondazione Museo storico
del Trentino e di Sandro Schmid,
presidente dell’ANPI del Trentino,
il Gruppo Neruda ha letto alcune
poesie sulla Resistenza, i giovani
che hanno partecipato al “Treno
della Memoria” hanno offerto la
loro testimonianza e infine si è esibita la Corale “Bella Ciao”.
Oltre un secolo di propaganda della Lega Nazionale
Incontro sulla Galleria Adige-Garda
La Provincia autonoma di Trento,
la Fondazione Museo storico del
Trentino, il Comune di Mori e il
Comune di Nago-Torbole hanno
proposto, il 19 aprile, presso l’Auditorium comunale di Mori, la serata
dal titolo “Galleria Adige-Garda: il
progetto, l’opera, gli uomini”, un
incontro dedicato ai testimoni della
comunità e al confronto su idee
e proposte per proseguire nella
raccolta di memorie del lavoro e
storia del territorio. Hanno partecipato all’incontro Roberto Caliari,
sindaco di Mori, Luca Civettini,
sindaco di Nago-Torbole, Maria
Bertizzolo, assessore alla cultura di
Mori, Giuseppe Ferrandi, direttore
della Fondazione Museo storico
del Trentino. Nel corso della serata
è stato proiettato il documentario “Il fiume in galleria” del regista
Lorenzo Pevarello.
Il 29 aprile lo Spazio Incontri della
Fondazione Museo storico del
Trentino ha ospitato la presentazione del volume di Piero Delbello “Lega Nazionale: cento anni di
propaganda” (Trento, UCT, 2007).
Erano presenti Paolo Sardos Albertini, presidente Lega Nazionale
di Trieste, Piero Delbello, direttore Istituto Regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata, Trieste, Vincenzo Calì, vicepresidente
dell’Associazione Museo storico
in Trento, Lucia Maestri, assessore
alla cultura del Comune di Trento,
Sergio Bernardi, direttore della rivista Uomo Città Territorio.
Celebrazioni del 25 aprile
Si sono svolte a Palazzo Geremia
a Trento le tradizionali celebrazioni
per il 25 aprile, anniversario della
45
EDIZIONI
PRESE N TA Z I ON I
24 gennaio, Bolzano; 13 aprile,
Brentonico
Il volume di Beatrice Primerano
“Ernesta Bittanti e le leggi razziali del 1938” è stato presentato
in due occasioni: il 24 gennaio
presso la Biblioteca provinciale
italiana “Claudia Augusta” di Bolzano, il 13 aprile presso il Centro
culturale di Brentonico. A Bolzano, con l’Autrice sono intervenuti Lionello Bertoldi dell’ANPI di
Bolzano, Vincenzo Calì della Fondazione Museo storico del Trentino, Andrea Felis e Diego Quaglioni dell’Università degli studi di
Trento. A Brentonico invece Beatrice Primerano ha dialogato con
Diego Quaglioni, Rodolfo Taiani
ed Enrica Volpi, assessore alla cultura del Comune di Brentonico.
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15 febbraio, Trento
Del volume di Andreas Oberhofer “Andreas Hofer (1767-1810):
dalle fonti alla storia” se ne è parlato nella Sala di rappresentanza
del Consiglio Regionale assieme
all’autore, a Franco Panizza,
assessore provinciale alle Cultura, rapporti europei e cooperazione, Martha Stocker, assessora regionale alla Previdenza e
pacchetto famiglia, Marco Bellabarba dell’Università degli studi
di Trento, Marcello Bonazza,
presidente della Società di studi
trentini di scienze storiche. Il
compito di moderatore della
serata è spettato a Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione
Museo storico del Trentino.
30 marzo 2011, Salorno
La Biblioteca comunale di Salorno
ha ospitato la presentazione del
libro curato da Rolando Pizzini
“Nagoyo: la vita di don Angelo
Confalonieri fra gli aborigeni
d’Australia”. La serata ha visto
la partecipazione del curatore e
dei due coautori del libro Maurizio Dalla Serra ed Elena Franchi.
20 aprile, Trento
Lorenzo Gardumi, introdotto
dal direttore della Fondazione
Museo storico del Trentino Giuseppe Ferrandi, ha presentato a
Palazzo Geremia il suo volume
“Feuer! I grandi rastrellamenti
antipartigiani dell’estate 1944 tra
Veneto e Trentino”.
EDIZIONI
NOVITÀ
Renzo Maria Grosselli, Un urlo
da San Ramon: la colonizzazione trentina in Cile, 1949-1974,
pp. 647; € 28,00
Il volume ricostruisce la vicenda
che condusse molte famiglie
trentine a trasferirsi in Cile nella
speranza, spesso delusa, di trovarvi condizioni di vita migliori. Il
periodo che vi viene focalizzato
è quello che va dalla genesi di
questi flussi, dal 1949 cioè, alla
«stabilizzazione» di ciò che ne
era rimasto, sostanzialmente i
successivi anni sessanta. Sullo
sfondo si muovono gli scenari
politici, economici e sociali, che
interessarono il Cile soprattutto
negli anni settanta: il governo
delle sinistre (Unidad Popular), l’opposizione, l’inflazione,
la svalutazione della moneta,
poi il golpe militare che portò al
potere il generale Augusto José
Ramón Pinochet Ugarte. Si narra
infine dell’attività pubblica e del
volontariato trentino che cercò di
affiancare in qualche modo chi in
Cile era rimasto e, più ancora, chi
decise di rientrare.
Carlo Hendel, Russia 1942-1943:
diario di guerra, a cura di Quinto
Antonelli; con un commento di
Adriano Sofri, pp. 143 + DVD
allegato, € 18,00
Il volume e il dvd allegato raccontano l’”avventura di guerra” di
un giovane ufficiale, allora poco
più che ventenne, catapultato
nelle steppe russe, a contatto
con una realtà che ben presto
diventò teatro di quell’immane
tragedia che fu l’insensata campagna di Russia, costata al Corpo
d’Armata Alpino ingenti perdite
umane. Nelle parole di Carlo
Hendel rivive dunque la terribile
esperienza di migliaia e migliaia
di uomini.
Rodolfo Taiani (a cura di), Il farmacista filantropo: percezione
ed esercizio della professione
farmaceutica in Trentino fra
secolo XVIII e XX, pp. 82, € 8,00
Due importanti protagonisti della
storia della farmacia trentina,
Piero Cristofori e Giulio Conci, si
confrontano a distanza di circa
novant’anni sui contenuti e sui
destini della professione farmaceutica soprattutto nel corso
dell’Ottocento. Un secolo di
grandi cambiamenti che racconta
della progressiva responsabilizzazione di una figura e della
radicale trasformazione delle
modalità di produzione e commercializzazione del farmaco. In
definitiva il passaggio da speziale
a farmacista.
immediatamente successivi alla
Liberazione fino alle elezioni politiche del 1958, che segnano la
sua partenza per Roma e l’inizio
della lunghissima militanza parlamentare (36 anni). Il periodo
del «Piccoli trentino» sono quelli
della Ricostruzione, delle durissime battaglie con i comunisti,
dei difficili rapporti con i «tedeschi» dell’Alto Adige. Dalla tribuna de Il Popolo Trentino e
poi de L’Adige Piccoli segue
con attenzione gli avvenimenti
locali, ma lo sguardo dei suoi
«fondi», quasi sempre domenicali, va sempre oltre, a indagare
su ciò che succede a Roma e
fuori dell’Italia. La preoccupazione per la «questione comunista» è costante, incalzante, quasi
ossessiva, mentre la lotta giornalistica, eminentemente politica,
è serrata, senza sconti ed esclusioni di colpi. La storia del «Piccoli trentino» racchiude dunque
tredici anni di densa vita politica
meritevole senz’altro di ulteriori
approfondimenti.
Luigi Targher, Gli esordi di un
politico nazionale: Flaminio Piccoli, 1945-1958: materiali per
una biografia politica, pp. 152,
€ 13,00
Il volume racconta i primi anni
di impegno politico di Flaminio Piccoli, a partire dai giorni
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Rovereto e Vallagarina
> Tel. 0464 395149
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E-mail: [email protected]
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