in questo numero - Fondazione Museo Storico del Trentino
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anno quattordicesimo numero trentaquattro gen./apr. 2011 IN QUESTO NUMERO LE FORME DELLA CENSURA 3RVWH,WDOLDQH6S$6SHGL]LRQHLQDEERQDPHQWRSRVWDOH'/FRQYLQ/QDUWFRPPD'&%7UHQWR3HULRGLFRTXDGULPH VWUDOHUHJLVWUDWRGDO7ULEXQDOHGL7UHQWRLOQ'LUHWWRUHUHVSRQVDELOH6HUJLR%HQYHQXWL'LVWULEX]LRQHJUDWXLWD7D[HSHUoXH,661 La biblioteca di Sarajevo distrutta dai bombardamenti Via Torre d’Augusto, 35/41 38122 TRENTO Tel. 0461.230482 Fax 0461.237418 [email protected] www.museostorico.it 2 ALTRESTORIE – Periodico quadrimestrale di informazione Periodico registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1.132 ISSN 1720-6812 Comitato di redazione: Paola Bertoldi, Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Paolo Piffer, Rodolfo Taiani (segretario) Direttore responsabile: Sergio Benvenuti Hanno collaborato a questo numero: Quinto Antonelli, Stefano Chemelli, Elena Corradini, Marcello Farina, Paolo Ghezzi, Serena Luzzi, Alice Manfredi, Caterina Tomasi, Edoardo Tortarolo, Marta Villa. Progetto grafico: Graficomp – Pergine (TN). Stampa: Publistampa – Pergine (TN). Per ricevere la rivista, o gli arretrati, fino a esaurimento, richiedere alla Fondazione Museo storico del Trentino. I lettori interessati ad acquistare o a informarsi sull’insieme della pubblicazioni della Fondazione Museo storico del Trentino possono collegarsi all’indirizzo internet http://www.museostorico.it o scrivere all’indirizzo di posta elettronica [email protected] anno quattordicesimo numero trentaquattro gen./apr. 2011 IN QUESTO NUMERO La forme della censura Editoriale 4 “Dar potere alla coscienza”: una riflessione sulla censura oggi di Marcello Farina 5 A proposito di libri e censura in Antico Regime di Serena Luzzi 6 Libertà di stampa e censura: una relazione dinamica interviste con Edoardo Tortarolo e Paolo Ghezzi a cura di Paola Bertoldi 10 La censura nelle biblioteche, una storia che (purtroppo) si ripete di Elena Corradini 17 I blocchi nella rete: libertà e censura in Internet di Alice Manfredi 21 Quell’altrastoria: censura tra verbale pubblico e verbale segreto di Marta Villa 25 La censura militare sul fronte russo (1941-1943) di Quinto Antonelli 29 La Commissione provinciale di censura di guerra di Mantova e il suo archivio di Caterina Tomasi 32 1952, ritorno alla censura: un saggio di Vitaliano Brancati di Stefano Chemelli 33 Censura e spettacolo: una lunga storia di Paola Bertoldi 37 La censura fascista di Stefano Chemelli 39 Infomuseo 41 Edizioni FMST 46 3 G iorgio Agamben, Nanni Balestrini, Carla Benedetti, Pino Cacucci, Massimo Carlotto, Sandrone Dazieri, Girolamo De Michele, Valerio Evangelisti, Giuseppe Genna, Laura Grimaldi, Loredana Lipperini, Gianfranco Manfredi, Antonio Moresco, Daniel Pennac, Marco Philopat, Christian Raimo, Tiziano Scarpa, Stefano Tassinari, Vauro, Lello Voce e molti altri ancora... Non sono i nomi dei partecipanti a un prestigioso premio letterario, ma gli scrittori che l’assessore alla cultura della Provincia di Venezia, Raffaele Speranzon, avrebbe voluto scomparissero per sempre dagli scaffali delle biblioteche del veneziano poiché colpevoli nel 2004 di aver firmato un appello dove si chiedeva la scarcerazione di Cesare Battisti. Un invito a tutti i bibliotecari di oscurare una parte rilevante della produzione letteraria contemporanea e che si estendeva anche al divieto di organizzare iniziative con tali scrittori, dichiarati “persone sgradite”. Gli fa eco nel gennaio 2011, l’assessore regionale veneto all’Istruzione, Elena Donazzan, che non solo ha plau- 4 dito al collega amministratore, ma ha rilanciato l’azione annunciando l’invio di una lettera a tutti gli istituti superiori del Veneto per esortare insegnanti e bibliotecari a non diffondere tra i ragazzi i libri di questi autori. “Sono diseducativi” avrebbe affermato l’assessore regionale. Questa triste vicenda dei giorni nostri ha immediatamente evocato lo spettro della censura o per meglio dire del controllo autoritario e repressivo di ogni forma di espressione del quale la storia non è certo avara di esempi più o meno noti, più o meno palesi. Una vicenda che la redazione di Altrestorie ha colto immediatamente come pretesto per parlare appunto di come si è evoluto storicamente il rapporto fra comunicazione e potere, fra libertà e repressione, fra autonomia e costrizione individuale. Un approccio condotto secondo la consuetudine della nostra rivista in una prospettiva agile, ma non superficiale, aperta, ma non dispersiva, leggera, ma non distratta e ciò a partire dalla riflessione introduttiva di Marcello Farina (rt). Editoriale così da scoraggiare l’impeQuando penso alla censura, gno, l’interesse, il prendermi viene in mente un gesto una riflessione si a cuore; autocensura, che si è compiuto tante volinfine, come omertà, cioè te nella storia dell’umanità: sulla censura oggi un “tacere calcolato”, del quello di mettere dei palet“non si sa mai” che non ti, di segnare un confine, un di Marcello Farina se ne possa approfittare! limite, perché non lo si olSiamo molto lontani, oggi, trepassi, non lo si violi. dalla grande parola di PlaIn ballo, di solito, ci sono le tone, la “phronesis” (la frosvariate forme in cui si denesi), cioè dall’intelligenza clina la libertà dell’individuo che “sta in guardia”, che o delle comunità, in cui, sesa cogliere l’urgenza del condo alcuni (di solito gli momento, sollecitata da “insediati” in qualche foruna libertà coltivata dentro ma di potere) vanno posti, la coscienza e considerata, appunto, dei paletti, delle insieme con l’amore, come condizioni, dei controlli. La l’unico valore non negoziacensura più nota, più eserbile per la dignità di ciascucitata nella storia, è quella no. Censura e autocensura che colpisce, dall’esterno, i si consolidano a vicenda: modi di pensare e di agire l’una tende la mano all’altra delle donne e degli uomini, a rendere permanente una che vengono ritenuti “pericomunità di “sudditi” invecolosi” per un assetto civile ce che di “cittadini” intee politico o per un insieme ressati e consapevoli della di valori culturali considerati determinanti per un certo disegno di convivenza e loro esistenza singola e collettiva. Anche nella Chiedi civiltà, o, più semplicemente, per il mantenimento sa, nella comunità cristiana, il tema della censura e dell’autocensura si pone oggi con vigore e urgenza. del potere. Ma mi permetterei di segnalare anche un’altra forma Esso si intreccia, in realtà, con una vera e propria di censura, più subdola e meno evidente, eppure emergenza, come è quella che riguarda la questione “imperante” nel nostro tempo: cioè l’autocensura, dell’opinione pubblica dentro la Chiesa stessa. Sono la censura che nasce “dal di dentro” dell’animo di tempi difficili, incresciosi, quelli che vivono i credenti ciascuno. Già Freud, come si sa, ne aveva segnalato e i cercatori di Dio, se il potere, in tutte le sue espresla presenza, ma essa si è come dilatata nell’espe- sioni, teme la libertà di coscienza, di parola, di assorienza delle donne e degli uomini del nostro tempo, ciazione, di dissenso. Nella Chiesa Cattolica non c’è per un “perverso” cedimento che in molte persone oggi il gusto “evangelico” della franchezza, della sinsi è verificato verso atteggiamenti di “sudditanza cerità, dell’accoglienza delle “diversità”. diffusa” sia nei confronti del potere, sia verso forme Certo, è finita, dal 1966, l’epoca dell’“Indice dei libri di pensare e di agire acritiche passive, perfino au- proibiti”, costituito al tempo del Concilio di Trento, tolesionistiche. Ne va dell’amore alla libertà, all’au- ma molti teologi, molti cristiani continuano a essere tonomia, alla democrazia. Non ci si “ribella” più al messi ai margini delle comunità, se si “permettono” potere, si teme l’esercizio della libertà, come se il di proporre riflessioni “nuove”, diverse, dall’Ufficiarisultato che esso sedimenta debba essere per forza lità. Un vescovo francese, mons. Favreau, scriveva l’insicurezza. L’autocensura diventa “spirito di greg- qualche tempo fa che per la Chiesa non è più tempo ge” cresciuto a dismisura, favorito dal tipo di vita di “riparare”, ma di “traslocare”, per indicare il muche conduciamo. Un grande psichiatra Luigi Zoja tamento in atto per la comprensione del Cristianeafferma che oggi “c’è tanta eccitazione, ma poca simo. In realtà l’istituzione sembra non accorgersi partecipazione”. È la grande fatica a trovare qual- della crisi profonda che accompagna oggi la stessa cuno che si impegni in prima persona a cambiare credibilità della fede cristiana. Così mi piace ripetere, per concludere, una grande parola di don Primo le cose. Autocensura, quindi, come “ipocrisia”, che sfiora i Mazzolari, un testimone straordinario della libertà di problemi, li evidenzia, li sbandiera, li trascina fino a coscienza anche dentro la Chiesa: “occorre dar porenderli insignificanti, “insopportabili”; autocensura tere alla coscienza, dopo aver dato per tanti secoli anche come “accidia”, che ingigantisce le difficoltà, coscienza al potere”. Dar potere alla coscienza 5 tutti quelli di Rousseau; in La libertà di stampa è un Francia ancora a ridosso del principio piuttosto recente, 1789 autori e tipografi finiche si impone con forza nel scono alla Bastiglia per aver corso del Settecento, il sescritto, pubblicato, fatto circolo dei Lumi; ma gran parte colare opere condannate dai degli intellettuali dell’epocensori di Luigi XVI. ca, sì, anche gli illuministi, di Serena Luzzi La censura ecclesiastica ha sostengono le ragioni della svolto un ruolo fondamencensura – contestano, semtale nel controllo delle comai, la censura ecclesiastica, scienze e della vita culturama non il diritto dello Stato di intervenire e controllare stampa e opinioni. Cen- le europea, specie a partire dalla seconda metà del sura preventiva e censura repressiva, censura eccle- Cinquecento e nel Seicento, quando le Chiese sono siastica e censura statale, autocensura: sono le va- ormai “istituzionalizzate”. Nel contesto cattolico, i rianti possibili, e perlopiù complementari, della storia mezzi per raggiungere lo scopo sono introdotti sotto culturale dell’Europa di Antico Regime. In effetti, non l’urgenza di arrestare la circolazione del verbo luterasi dà una storia della cultura – della circolazione delle no e riformato: nel 1542, prima ancora che a Trento idee, del libro e del manoscritto, dell’editoria, dell’opi- si aprano i lavori del Concilio, è introdotta la Congrenione pubblica – senza fare i conti con gli apparati isti- gazione del Sant’Uffizio; nel 1571, prende quindi avvio l’attività della Congregazione dell’Indice, che sarà tuzionali e le dinamiche sociali della censura. Perfino in Olanda – Paese che nell’immaginario co- abolita solo nel 1966. Di libri si occuperanno l’una e mune resta associato alla libertà di stampa – assistia- l’altra. Tra gli innumerevoli titoli finiti all’Indice romamo a roghi di libri, come ci avvertono gli studiosi: nel no c’è anche la Bibbia nelle diffusissime versioni in 1765, per non fare che un esempio, una pira è alle- volgare; nel corso del Concilio tridentino si discute stita nella pubblica piazza all’Aja per bruciare i libri di vivacemente tra favorevoli e contrari alla traduzione Rousseau e di Voltaire, giudicati esiziali per il corpo delle Sacre Scritture, mentre nei Paesi di lingua tedesca la Bibbia tradotta da Lutero è diffusa in centinaia politico come per le anime. Fiamme e roghi di libri, però, sono solo un esito, il di copie. Nel contesto cattolico le traduzioni riprenpiù noto ma anche il meno rappresentativo: esistono deranno a circolare solo a partire dal 1769, nelle vermodalità censorie ben più raffinate e più pervasive. A sioni, s’intende, autorizzate dalla Santa Sede. partire dalla pratica dell’autocensura, introiettata da Schiere di censori controllano i testi prima che siano generazioni di scrittori, medici e scienziati, letterati, affidati ai torchi e giudicano se i contenuti dei mafilosofi e artisti: non potremo mai quantificare quan- noscritti siano compatibili con l’ortodossia. È la fase to siano stati devastanti sulla cultura e la scienza gli della censura preventiva. Se il giudizio è positivo, effetti della scelta degli autori di non presentare in l’imprimatur (si stampi) delle autorità sarà ben visibipubblico e di non affrontare temi e argomentazioni le sulle prime pagine del libro. In alternativa, l’autore sensibili che avrebbero sollecitato temuti interventi è sollecitato a metter mano ai passaggi incriminati. La qualità dei rapdi controllo e di porti personali, censura. Tutti noi la personalità dei abbiamo presente censori e la loro l’abiura umiliante cultura, il momencui è costretto il to storico sono cattolico Galilei, aspetti che possonel 1633, epilogo no determinare gli di un processo esiti censori su un che pure fu forlibro e sul suo aumalmente impectore, a Roma come cabile. Un secolo nelle periferie della e più dopo, uno cattolicità. Avverdegli editori più timenti informali, famosi d’Europa, “aggiustamenti”, Marc-Michel Rey, complicità fanno sarà espulso dalparte delle dinamila Chiesa vallone che che coinvolgoper aver stampato no censurati e centesti “colmi di emsori, anche questi pietà” – primi fra A proposito di libri e censura in Antico Regime 6 ultimi non di rado letterati censurati. Il controllo insegue quindi i libri – ma più in generale la parola stampata – usciti dai torchi: altamente sospetti i titoli senza paternità, per i quali l’autore si cela sotto pseudonimo o nell’anonimato, e/o accompagnati da falsi luoghi di stampa, che il mercato editoriale accoglie favorevolmente per tutelare importanti interessi economici. La censura repressiva ha, naturalmente, valore retroattivo: all’Indice finiscono volumi noti, che circolano indisturbati ormai da decenni: per non fare che un esempio, le Lettres persanes di Montesquieu, uscite nel 1721, sono messe all’Indice quarant’anni dopo, nel 1762. Talora, i ritardi sono dovuti anche alla sottovalutazione del potenziale eversivo dei testi, o addirittura a un apprezzamento letterario: è noto che i poemi epici di Voltaire furono messi all’Indice romano con grande ritardo da revisori che non erano rimasti estranei al fascino di quegli scritti. Ma resta il fatto che, nel corso dei secoli, i titoli condannati dalla Chiesa cattolica all’Indice dei libri proibiti sono migliaia: proibiti per periodi limitati o in eterno, proibiti in toto o accessibili su richiesta al clero e a letterati di indubbia ortodossia. Molti libri subiscono, invece, una censura “parziale”, circoscritta a brani e parole incriminate; per questa casistica le modalità di espurgazione sono varie: si tagliano le pagine incriminate, si rendono illeggibili con spessi tratti di inchiostro nero singoli vocaboli, frasi o brani interi o le immagini che accompagnano il volume. Famosa la censura operata da un solerte censore spagnolo rimasto anonimo su un ritratto di Erasmo da Rotterdam, le cui opere subiscono una censura severa: la penna che nervosamente si muove sul profilo inconfondibile del celebre filosofo cattolico esegue una vera e propria damnatio memoriae. Nel Cinquecento e nel Seicento, l’inserimento di un titolo nell’Indice poteva condannare un volume alla scomparsa o a una circolazione molto difficoltosa, e avere conseguenze imprevedibili sulla vita e l’attività del suo autore. Nel Settecento la capacità censoria degli apparati ecclesiastici si indebolisce: mentre il mercato editoriale internazionale conosce un boom senza eguali, i libri condannati dalla Chiesa romana, e più in generale dalle Chiese, circolano e sono letti. Non solo: uno scritto all’Indice acquista uno specifico appeal e incrementa le vendite (più o meno sotto banco). Le proibizioni ecclesiastiche non sembrano avere molta efficacia tra le nuove generazioni di lettori. A quale scopo, dunque, le Congregazioni romane continuano a riunirsi, a esaminare approfonditamente la stampa, a emettere faticosi giudizi di conformità o difformità rispetto all’ortodossia cattolica? Cosa ne legittima la pubblicazione e la sopravvivenza? Il fatto è che ormai, nel corso del Settecento, a giustificare la compilazione dell’Index non e’ più una impossibile volontà censoria allargata al panorama intellettuale tutto, quanto la necessità di non dismettere uno strumento ritenuto ancora necessario alla salvaguardia dell’ortodossia, per mettere in guardia il cattolico osservante da letture pericolose e, in definitiva, per salvare le anime anche di fronte a una realtà non più obbediente alle regole tridentine. Logiche analoghe guidano le scelte censorie delle chiese cristiane d’Europa. Questo significa che per il Settecento non ha più senso parlare di censura? Tutt’altro. Ora più che mai, la pratica censoria, attuata con successo dalle chiese nei secoli precedenti, diventa un irrinunciabile strumento di controllo per i governi laici. Sotto il segno della continuità, ovunque la censura secolare adotta modelli e mezzi propri della Chiesa, mostrando una capacità di intervento molto più efficace e robusta. La tradizionale prerogativa delle chiese in materia censoria è ora messa in discussione anche per gli ambiti più strettamente religiosi e morali: anche lungo la penisola l’adozione dell’Index romano non è più un dato scontato. Per esempio, la condanna dell’Encyclopédie da parte della Chiesa cattolica, nel 1759, non viene recepita inizialmente dalla Repubblica di Lucca, che nega l’exequatur. All’Index romano, che fatica ad aggiornarsi, si accostano o si sovrappongono gli elenchi dei libri proibiti dai singoli governi. Il controllo della stampa e della censura è considerata in tutto e per tutto come parte dell’amministrazione statale, un «ramo della civile polizia ed economia pubblica dello Stato», come ebbe a definirla il cancelliere Kaunitz, braccio destro di Maria Teresa. Controllo della stampa – dalle gazzette alla pornografia – da parte dello Stato significa anche controllare e guidare l’opinione pubblica e sollecitarla ad appoggiare le politiche dei governi. Per quanto riguarda l’area trentina, la competenza ecclesiastica nella materia censoria si inserisce nella con- 7 8 gerie di giurisdizioni feudali che costellano l’area e di porzioni della diocesi che si prolungavano ben oltre la frontiera, sottomesse alla Corona d’Austria. Qui, le autorità cittadine spesso operavano in regime di monopolio per quanto attiene le licenze di stampa: a Rovereto, per esempio, sottoposta spiritualmente al vescovo di Trento, ma città suddita del conte del Tirolo, il clero non svolge ruolo alcuno almeno fino agli anni quaranta del Settecento, fino a quando Maria Teresa non interviene a ristrutturare gli assetti amministrativi e di polizia nei propri territori, e sottrae la materia censoria alle magistrature locali. L’ossessione delle infiltrazioni eretiche della seconda metà del Cinquecento – quando i processi al notaio Leonardo Colombino (1564; 1579) avevano rivelato la presenza di una rete luterana nel cuore stesso del Principato vescovile – si era ormai esaurita, almeno nella parte “italiana” della diocesi trentina. Gli apparati censori sono modesti, almeno quanto la qualità dell’editoria locale. Ancora a metà Settecento si fatica ad assicurare una veste decente anche alla stampa di un corpo di sonetti. Per pubblicare i propri libri e per gli acquisti si guarda ai tipografi e agli editori attivi negli altri stati, a partire da uno dei centri editoriali più vivaci della penisola, Venezia (facendo i conti con gli apparati censori della Serenissima). Ad agitare i ritmi calmi dell’editoria locale e dei censori contribuiscono due autori di primo piano del Settecento trentino e italiano, l’abate Girolamo Tartarotti (1706-1761) e il giurista riformatore Carlantonio Pilati (1733-1802), entrambi vittime della censura, ecclesiastica e secolare. Il primo subisce il rogo di un proprio scritto (pubblicato a Rovereto con falsa data di Lucca), bruciato a Trento, davanti al Duomo, nel maggio 1761, alla presenza di un’ampia folla. La condanna era stata emessa dal principe vescovo Alberti d’Enno, a causa della dura polemica dell’autore contro il culto del vescovo Adalpreto e la figura di Cristoforo Madruzzo, che aveva sollevato le proteste anche della popolazione e dei consoli della città. Quanto a Pilati, è sottoposto a un processo formalmente gestito dal tribunale vescovile di Trento (1768-1769), ma voluto e imposto dalla corte di Vienna al riluttante Cristoforo Sizzo; del resto, i censori cesarei censuravano libri che avevano ottenuto l’imprimatur del vescovo di Trento. Quello di Pilati era uscito anonimo a Coira con il titolo Di una riforma d’Italia – un’opera di impostazione giurisdizionalista e violentemente anticuriale, destinata a svolgere un ruolo di primo piano nel dibattito italiano dell’epoca. Sono i ligi funzionari di Maria Teresa a intercettare la Riforma d’Italia prima che l’opera finisca all’Indice romano; così il libro finisce presto nell’Indice di Stato austriaco, introdotto da Maria Teresa nel 1754, per essere quindi condannato anche dalla censura secolare veneziana. La motivazione è sempre la stessa: si tratta di un libro che pregiudica gli interessi dello Stato, l’integrità dei costumi e della religione. Con simili argomenti il governo di Vienna mette al bando nel giro di vent’anni, e piuttosto efficacemente, almeno 4.150 libri. Il processo contro Pilati è emblematico sotto molto aspetti: a proteggere lo scrittore, contumace, durante i mesi del processo e a mediare in suo favore è lo stesso vescovo, mentre Vienna vorrebbe condannarlo a una pena esemplare per il fatto stesso di aver introdotto nei territori della Corona austriaca un libro altamente sospetto. Suonerà dunque paradossale, ma solo apparentemente, l’elogio della censura che Pilati aveva tessuto nella sua opera: nel progetto di riforma e rinnovamento rivolto alla società italiana, il controllo della stampa è un fattore non secondario; servono funzionari statali vigili e preparati, per agire con misure preventive e repressive. Così ragiona Pilati, futuro censurato: “I libri ancora possono fare del bene, e del male assai. Quindi devesi essere attento, che i cattivi e stolti siano banditi dallo Stato... All’incontro cerchisi a tutto potere d’introdurre i buoni libri, e di farli passare nelle mani di molti, e se possibile è, delle donne, de’ mercanti, e degli artigiani ancora. A questo fine vuolsi creare de’ censori, i quali siano di finissimo gusto, e liberi da ogni pregiudizio. A questi avrassi da dare l’incumbenza di vegliare, perché i cattivi libri che sono nello Stato nel vengano mandati fuori, e quei che non vi sono ancora, non vi possano venire introdotti giammai. Essi avran pure da rivedere ogni manuscritto, prima che nello Stato possa venire stampato, e non potranno a niun libro, che sia cattivo, e contenga qualche errore di questi, che non vanno sofferti [tollerati], dare la permissione di potere uscire a pubblica luce”. Quando Pilati scrive, il consenso sulla censura è ancora molto ampio; e d’altra parte, il controllo della stampa e delle opinioni non è estraneo all’esercizio della libertà di stampa, ma parte integrante del sistema. I governi hanno tutto l’interesse a instradare e, insieme, a sorvegliare l’opinione pubblica nascente, cui si chiede una buona dose di prudenza e la disponibilità all’autocensura. In un tale contesto, gli imbarazzi dei censori sono ogni giorno più intensi. Nel 1787, a Trento ci si trovò nella scomoda condizione di censurare sulla gazzetta locale nientemeno che l’Imperatore: i giornali austriaci riferivano che Giuseppe II negava l’esistenza del Purgatorio. Che fare? Stampare la scandalosa notizia o ometterla? Il cancelliere Gentilotti, censore vescovile, optò per l’omissione, rischiando la polemica con Vienna. L’anno dopo, il cancelliere si trovò ad adottare la strategia opposta, benché, c’è da crederlo, a malincuore: il giornale di Trento tralasciò di riferire della festa di San Vigilio, patrono della diocesi, per non scontrarsi con l’Imperatore, che mal sopportava simili festività. In questo caso Gentilottì optò per l’autocensura. 9 Libertà di stampa e censura: una relazione ambigua interviste con Edoardo Tortarolo e Paolo Ghezzi a cura di Paola Bertoldi Edoardo Tortarolo (Torino, 1956) è professore ordinario di Storia moderna all’Università del Piemonte orientale “Amedeo Avogadro”. In anni recenti è stato Fellow dell’Institute for Advanced Study, Princeton (2006), professore invitato allo IUSS di Pavia (2008) e Fulbright Lecturer alla Northwestern University di Evanston, Illinois (2010). È direttore responsabile della rivista Storia della Storiografia. Fa parte del Consiglio di amministrazione della Fondazione Luigi Firpo di Torino e del Comitato scientifico della Fondazione Federico Chabod di Aosta. Specialista di cultura europea del Settecento, si è occupato in particolare delle tradizioni europee di controllo censorio sulla stampa in età moderna. Autore di numerose pubblicazioni, il suo ultimo lavoro è L’invenzione della libertà di stampa: censura e scrittori nel Settecento (2011). Paolo Ghezzi (Trento, 1957) è giornalista professionista dal 1979. Lavora nella carta stampata – con qualche incursione in radio e in tv – da quando aveva 21 anni: prima ad Affari Italiani, poi a Vita Trentina, quindi all’Alto Adige, al Mattino di Bolzano e all’Adige di Trento, di cui è stato direttore per quasi nove anni, dal 1998 al 2006 e dove ora è inviato speciale nella redazione economia. Autore di diversi saggi, è stato fra i fondatori, nel 1981, del mensile di cultura e politica Il Margine, di cui è tuttora direttore responsabile. Tra i suoi libri, La Rosa Bianca (1993, nuova edizione 2006), La Voce di Berlusconi (1995), Sophie Scholl e la Rosa Bianca (2003), Il Vangelo secondo De André (2003, più volte ristampato e riproposto in una nuova edizione nel 2006), Cuori Matti (2006). Il suo ultimo libro è Per un bacio mai dato: l’amore secondo De Andrè (2011). dell’attività onirica e dei desideri repressi. Edoardo Tortarolo: “La libertà di stampa è un atteg- Un’altra connotazione che il termine ha assunto nel giamento, un’eventualità, non un ideale eterno” corso del Novecento è legata al significato di controllo, in riferimento alla comunicazione di massa. È possibile dare una definizione di censura trac- Da questo punto di vista, per tracciare un percorso ciando, per sommi capi, il percorso semantico storico, va sottolineato il carattere di svolta rappredel termine? Come si è evoluto il significato della sentato dall’invenzione di Gutenberg della stampa a parola e in che contesti è stata usata? caratteri mobili a metà del Quattrocento. È in questo Il termine deriva dal latino: la censura fu una magi- momento che è nata la questione, perché si è resa stratura romana. Il termine, nei secoli successivi e improvvisamente possibile una grande divulgazione fino al Settecento, indicò un’istituzione che opera di testi e immagini. Fu allora che nacque il problema dove la legge non può arrivare. A livello di signifi- della democratizzazione della stampa, decidere cioè cato, il termine censura si colloca a metà fra consi- fino a che punto sia giusto che tutti possano acceglio e repressione, indicando una forma di disappro- dere alle informazioni e alla conoscenza. vazione morale verso qualcosa che, si auspica, potrà Alla fine del Settecento, con la Rivoluzione Francese, migliorare. si afferma, fra l’altro, il principio irrinunciabile della L’uso del termine censura ha poi avuto grande dif- libertà di comunicare. Nel corso dell’Ottocento il profusione negli ultimi cento anni con la nascita della blema si ripropone e non mancarono tentativi (compsicanalisi, indicando il meccanismo che ci permette plessivamente falliti) di rivitalizzare certi meccanismi di avere una sana vita psichica attraverso il controllo di censura. Più avanti, con la prima guerra mondiale, 10 si moltiplicarono i canali, come la radio e il cinema, e più avanti comparvero altri mezzi come la televisione e da ultimo Internet. Oggi abbiamo l’ultima evoluzione di questo percorso con i blog e i social network, sistemi che i governi cercano spesso e in molti modi di controllare. Che rapporto c’è, anche da un punto di vista storico, fra censura e quarto potere? Come ha inciso la nascita dell’opinione pubblica su questo equilibrio? Dobbiamo premettere che la libertà di stampa è un atteggiamento, un’eventualità, non un ideale eterno; è una condizione che dipende da molti fattori. Troviamo una maggior avversione alla censura nel momento in cui c’è un’opinione pubblica forte, attiva e desiderosa di informazioni corrette. Un’opinione pubblica di questo tipo, infatti, ha bisogno di spazi per interagire con il potere politico: tutto questo genera una reale necessità di notizie veritiere, indispensabili per il dialogo. La libertà di stampa in questo senso nasce nell’Inghilterra del Settecento per ragioni pratiche, non ideologiche: in quel contesto si era creata, tra l’altro, una dinamica classe mercantile che necessitava di informazioni precise su quanto succedeva in patria e nel mondo per curare al meglio i propri affari. In questo non c’è nulla di idealistico, si tratta semplicemente di una correlazione fra piano economico e stampa libera. In Inghilterra c’era inoltre una pluralità di confessioni e l’opinione pubblica poteva quindi contare su diversi gradi di libertà che si intrecciavano. L’Europa continentale, al contrario, non visse questo fermento anche perché le gazzette erano in mano ai governanti, i cui funzionari potevano leggere e censurare gli articoli prima che questi andassero in stampa (è la censura preventiva). Questa situazione ovviamente bloccava la nascita dell’opinione pubblica. Nell’Ottocento tutto questo cambiò e i movimenti liberali chiesero e ottennero il rico- noscimento della libertà di stampa (che è garantita anche nello Statuto albertino). Naturalmente, il fatto che questo diritto venisse “istituzionalizzato” non comportò la totale abolizione di meccanismi censori perché ci sono molti modi per limitare la libertà acquisita. Un esempio sono gli ampi poteri concessi ai prefetti, o l’approvazione di leggi che elencano i reati a mezzo stampa. Si tratta di un problema vecchio che incide anche nella nostra contemporaneità perché la libertà di stampa è riconosciuta dalla Costituzione, ma questo non basta: una dimostrazione è rappresentata dalle statistiche che mettono l’Italia molto in basso nella lista dei paesi con maggiore libertà di stampa. Nella storia è spesso accaduto che le rivoluzioni scoppiate proprio per ottenere diritti considerati “inalienabili”, come la libertà di espressione e di stampa, abbiano poi finito per limitare e imbrigliare con apposite leggi queste libertà (il caso ad esempio della Rivoluzione Francese). È una contraddizione inevitabile? È un fenomeno che si può osservare anche oggi: basta vedere come è stato affrontato il caso WikiLeaks. Sono espressioni di una cultura che ha lottato per raggiungere la sua libertà ma che poi si trova di fronte ai limiti che si deve porre per la sua sopravvivenza. Si tratta di un argomento importante che ha a che fare con i confini entro i quali si possono diffondere informazioni nel nome della libertà di espressione. Per fare un esempio, è giusto pubblicare vignette razziste per esercitare il diritto di satira nei confronti di Obama? Probabilmente sarebbe meglio che questo non fosse permesso perché incitano all’odio razziale. Naturalmente non è facile gestire questo aspetto e ogni società deve governare al meglio i propri meccanismi interni. Il modo che sceglie dipende da molti fattori, per lo più storici: pensiamo alla Russia, dove non è mai esistita di fatto la libertà di stampa e 11 dove, ancora oggi, le forme di controllo non sono molto diverse dai metodi zaristi. C’è in effetti una logica differenza fra quanto viene enunciato a livello teorico nelle costituzioni e la loro applicazione. Secondo Montesquieu la cosa importante non è che i regnanti affermino l’esistenza della libertà di stampa, ma piuttosto il fatto che i cittadini abbiano la possibilità di criticare il sistema. Ed è questo che dovrebbe fare oggi chi è al potere: creare le condizioni affinché possa esserci una reale libertà di stampa. Il suo ultimo libro s’ intitola L’invenzione della libertà di stampa: censura e scrittori nel Settecento. Nella sua trattazione si capovolge un po’ la prospettiva che vede la censura come un aspetto per forza di cose negativo. In che senso la censura è un diritto? E in che modo è giusto che venga esercitata? Bordieu sosteneva che la censura è tanto più efficace quanto più è invisibile. Questo si verifica quando i meccanismi censori sono superflui perché nessuno formula critiche o concepisce un pensiero che non sia ammesso dall’autorità. In altre parole è come se non servissero guardiani perché nessuno infrange le regole. Da questo punto di vista, il fatto che esista una qualche forma di censura è importante, perchè significa che c’è qualcuno che “sgarra”, che esce dagli schemi. Nella storia, in ogni società le persone hanno sempre cercato uno spazio di libertà dove potersi esprimere in maniera diretta. Una delle forme più note e diffuse è il teatro: grazie alla recitazione era possibile rivolgersi in modo diretto e non filtrato a grandi quantità di persone. Ma un altro esempio in questo senso sono i sermoni dei sacerdoti: la gente andava a messa almeno una volta in settimana e la predica rappresentava un grande canale di comunicazione, tanto è vero che spesso c’era un accordo 12 fra potere politico e potere religioso sui contenuti da veicolare. Nel suo libro viene riportata una considerazione provocatoria, ma interessante, a proposito della censura come forma di controllo alternativa e migliore rispetto a metodi più violenti. È una delle tante boutades di George Bernard Shaw, il quale sosteneva che, dopo tutto, l’omicidio è la forma estrema e definitiva di censura. In una prospettiva di lungo periodo la censura può essere considerata una forma di (limitata) tolleranza, preferibile alla soppressione fisica di un interlocutore sgradito. In realtà in Europa si è sviluppata, malgrado tanti ostacoli e momenti di accecamento, una cultura contraria alla violenza bruta, per un suo percorso storico che l’ha portata a un crescente rispetto per l’opinione altrui. Ci troviamo di fronte a una maggiore empatia verso chi non la pensa come noi; come diceva Voltaire, la vera tolleranza si mette in evidenza quando abbiamo a che fare con chi non ha le nostre stesse idee. Lo stato di salute della libertà di stampa si può misurare dalla varietà di opinioni che animano il dibattito pubblico e da questo punto di vista il fatto che oggi ci siano così poche idee in circolazione non è un buon segno. In Italia si sente la mancanza di riflessioni nuove, punti di vista insoliti, opinioni che affrontano i problemi da diverse angolazioni. Non si concepiscono pensieri differenti da quelli in circolazione e questo è grave perché i grandi mutamenti nella storia sono venuti sempre da questo cercare di guardare con occhi nuovi. La libertà di stampa è il fattore decisivo di una società aperta. In base a questa analisi, qual è la sua opinione sulla stampa italiana oggi? In generale devo dire che la trovo fatta male, di bassa qualità, con qualche eccezione. Il problema del nostro Paese è che si rimane troppo legati all’occasionalità della notizia, non esiste il confine fra calunnia e affermazione verificata, si dedica troppo spazio a notizie come la vita privata delle persone o lo sport e il modello è quello, pessimo, imposto dalla televisione. Le informazioni che vengono proposte non aggiungono niente al dibattito e non dicono niente di reale o di utile sulla società italiana. È quasi come se la stampa italiana si stesse autocensurando: prevalgono solo le logiche della vendita con un processo di sfalsamento delle prospettive. Io non credo che questo corrisponda a quello che vuole la gente, anzi, se ci fossero dei tentativi per cambiare questa situazione la società civile risponderebbe con interesse. Oggi per fortuna inizia a diffondersi l’importanza di forum, blog e riviste online: sono esperienze che negli Stati Uniti hanno già dato origine a casi di successo, che forniscono spunti nuovi e che propongono discorsi articolati e complessi. Questo per ora manca nella stampa italiana, la quale, non lo dobbiamo dimenticare, svolge comunque un compito didattico non secondario in un contesto spesso difficile. Paolo Ghezzi: “Possiamo dire di essere in una fase di passaggio, una fase dove una maggioranza poco reattiva si contrappone a una sempre più consistente minoranza che non accetta di essere ingannata” Quali sono, se esistono, le forme di censura presenti oggi nel sistema dei mezzi d’informazione? È vero che la libertà di espressione è un diritto garantito dalla Costituzione, ma ci sono ancora dei meccanismi censori? Nel contesto attuale ci sono in effetti alcune forme atipiche di censura. Una di queste è l’applicazione rigida, in televisione, della legge sulla par condicio che, di fatto, limita la libertà del giornalista di intervistare chi ritiene più idoneo per l’argomento in discussione. Questo implica che, ad esempio, non si possano chiamare i testimoni più qualificati indipendentemente dalla loro collocazione o colorazione, ma solo personaggi targati e spartiti politicamente. E così si mina la possibilità di fare informazione libera. Un altro esempio di censura atipica è la restrizione già in vigore per la pubblicazione di documenti giudiziari, mentre nuove proposte di legge (soprattutto governative) puntano a vincolare ulteriormente la possibilità di diffondere il contenuto di atti giudiziari di vario genere. È chiaro che va rispettata la legge sulla privacy e tutelata la persona, ma è anche evidente che il potere politico sta cercando di restringere la libertà del giornalista di fare il suo mestiere. In pratica, schermandosi dietro la difesa della privacy, si tentano manovre censorie per impedire alla stampa di gestire la libera diffusione delle informazioni. È come se il potere politico volesse sostituirsi al giornalista nel decidere che cosa pubblicare e con quale impostazione. È anche a causa di questo, oltre che per la concentrazione delle testate in poche mani, che l’Italia ha un ranking molto basso nelle classifiche mondiali sul livello di libertà di stampa. Quando si parla di censura, un ruolo importante è quello rivestito dall’opinione pubblica. Quando questa è forte, informata, critica, è più difficile censurare le notizie. Com’è oggi l’opinione pubblica in Italia? Oggi l’opinione pubblica si divide in maniera abbastanza netta: da una parte c’è una maggioranza grigia, poco vivace e non interessata all’informazione libera e critica. È quella consistente fetta di popolazione che ha come riferimento principale la televisione: vedendo quali sono i programmi più seguiti, è evidente che non stimolano la coscienza critica collettiva. Ma, a differenza di pochi anni fa, sta aumentando il peso di una minoranza significativa, interessata, dinamica e partecipe. Sono persone che utilizzano i nuovi mezzi, soprattutto internet e le sue applicazioni, cioè quei canali che stanno dimostrando una grande capacità di mobilitazione. Questi nuovi sistemi stanno cambiando molto il giornalismo perché gli autori di buona parte della comunicazione prima prodotta erano i giornalisti, mentre adesso chiunque ha a disposizione svariati canali per la trasmissione delle notizie. Molti sono critici verso questo cambiamento (in rete c’è di tutto, se non c’è selezione critica si rischia la diffusione selvaggia di news incontrollate) ma io credo che i vantaggi siano superiori ai rischi. Grazie a questi strumenti forti e difficili da censurare andiamo incontro a una crescente democratizzazione dell’informazione. Parecchie notizie, che non passano per la tv, arrivano ai cittadini grazie alla rete con un conseguente recupero di libertà di informazione e possibilità di critica: non ci sono più i filtri di prima e diventa molto più difficile nascondere le cose alla gente. Quindi, possiamo dire di essere in una fase di passaggio, una fase dove una maggioranza poco reattiva si contrappone a una sempre più consistente minoranza che non accetta di essere ingannata. Una delle critiche che vengono mosse alla stampa oggi è la mancanza di voci fuori dal coro, di idee nuove e pensieri che escano dagli schemi, quasi come se la stampa si stesse autocensurando. Da cosa nasce questo atteggiamento e quanto è diffuso fra i giornalisti e gli editori? Dal mio punto di vista l’autocensura non è un comportamento diffuso solo ai giorni nostri, ma credo che ci sia sempre stata. Bisogna però fare una distin- 13 zione: il fatto che la Stampa di Torino non abbia mai criticato i modelli della Fiat o che Avvenire non abbia mai preso posizione contro il Vaticano è un’ovvia constatazione dell’autocensura strutturale rispetto a chi è il proprietario del tuo mezzo di comunicazione. Ben diversa è l’autocensura che potremmo chiamare programmatica, un fenomeno nuovo che invece è molto più preoccupante. Siamo, infatti, passati da un modello di informazione che insisteva sull’indipendenza della stampa da qualunque tipo di potere, ad un modello neo-fazioso, neo-partigiano. Oggi l’atteggiamento più frequente è quello della testata schierata per partito preso, al di qua o al di là degli assetti proprietari del giornale, senza più alcuna preoccupazione di tenere la barra dell’imparzialità tendenziale. Mi spiego meglio: l’atteggiamento di una stampa sana deve essere quello di giudicare le informazioni in base agli oggettivi criteri di notiziabilità, indipendentemente dal contenuto o dalla parte politica che le ha generate. A partire dall’ultimo decennio del secondo millennio, in Italia, in coincidenza con la discesa in campo politico di un tycoon dei mass media, c’è stata invece una polarizzazione, per cui una testata si dichiara sostenitrice di una parte piuttosto che di un’altra e rinuncia all’obiettività che dovrebbe contraddistinguere il giornalismo. In pratica si fa una scelta di campo di 14 tipo politico dando rilevanza alle notizie che danneggiano una certa parte e sminuendo invece le informazioni “scomode” per la corrente opposta. Tutto questo avviene anche con eccessi verbali che a volte sono quasi imbarazzanti rispetto al tono e allo stile che dovrebbero usare i professionisti. Quindi la politica è entrata in maniera sempre più invadente nelle logiche giornalistiche. È un fenomeno interessante ma al tempo stesso inquietante perché porta nelle pagine dei giornali una carica di faziosità nociva al dibattito pubblico. Questa deformazione è uno degli effetti della radicalizzazione della contesa politica, è un riflesso del berlusconismo, inteso come visione del mondo dicotomica, dove ci sono due parti che si scontrano, buoni e cattivi, amici e nemici, l’impero del bene e il potere del male. L’informazione ha purtroppo assunto il modus operandi di questa politica polarizzata con il risultato che si rinuncia ad analizzare una notizia per quello che è e la si considera solo per quello che serve, per l’effetto che avrà su chi legge. Molte redazioni trattano ormai le informazioni per la loro funzione, non per la loro rilevanza. Per esemplificare la questione, basta ricordare un episodio accaduto pochi giorni prima dei ballottaggi per le amministrative di Milano e Napoli. Il 25 maggio Il Mattino di Napoli ha pubblicato un editoriale a firma del prof. Giovanni Orsina che parlava di politica ma con un contenuto tendenzialmente neutro. Prima di pubblicarlo, uno dei redattori del giornale ha aggiunto allo scritto di Orsina 31 righe per dare un taglio più schierato, contro il governo e il premier. Due giorni dopo il Giornale, di proprietà della famiglia Berlusconi, è uscito con il titolone in prima pagina che accusava il Mattino di manipolazione, mentre gli altri quotidiani hanno dato la notizia nelle pagine interne e senza enfasi. Questo è sintomatico: da un lato la direzione della testata partenopea che ha effettivamente commesso un atto grave, modificando un editoriale senza preavviso né confronto con l’autore, dall’altra però il Giornale che ha utilizzato la notizia non per il suo valore in sé (limitato), ma per attaccare e accusare fragorosamente gli avversari politici del premier, e capovolgere la vulgata del Cavaliere censorio. Esiste un diritto alla censura? Oppure esiste solo il diritto di esprimersi pubblicamente senza nessun tipo di freno? Esiste un diritto assai circoscritto a porre dei limiti alla libertà di stampa. L’articolo 21 della Costituzione recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’au- torità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili”. La censura in linea di principio è dunque esclusa dall’orizzonte costituzionale. In termini sostanziali, alla parola censura io associo un potere dall’alto che interviene nel merito dei contenuti e mi impedisce di pubblicare notizie che io ritengo degne di divulgazione. Ma questo non accade in sistemi democratici in cui esiste una libera informazione; nella nostra realtà abbiamo delle forme di controllo, cioè delle norme che tutelano la persona, come la famosa legge sulla privacy. In questo caso però non parliamo di censura ma di applicazione di una legge votata democraticamente che salvaguarda certi valori inerenti la sfera privata e la dignità della persona: stato di salute, convinzioni religiose, opinioni politiche e così via. È una legge equilibrata che però viene troppo spesso tirata in ballo a sproposito e sulla quale c’è anche parecchia ignoranza: c’è chi invoca la privacy addirittura sui dibattimenti processuali, che sono pubblici. Un altro tema di cui si parla spesso ultimamente sono le intercettazioni: in quest’ultimo caso chi critica la normativa è spesso chi ha interesse a fare o non fare uscire certe notizie. Anche qui una regolamentazione di legge va bene, ma tutto il polverone che si solleva intorno alle trascrizioni è strumentale, un malcostume viziato da partigianeria. In conclusione, io credo che le leggi limitative degli abusi della libertà di stampa ci siano e che, se applicate correttamente, siano sufficienti a garantire i diritti di tutti ma anche a salvaguardare una libera informazione oggi in Italia. Resta il problema – sostanziale, giuridico e politico – dell’oligopolio del mercato dei media. Che cosa ne pensa della situazione della libertà di stampa in Trentino? Nel corso della sua esperienza le è mai capitato di scontrarsi o di venire a conoscenza di casi più o meno gravi di censura? In Trentino per fortuna certi meccanismi non esistono e non mi pare che accadano episodi come quello del Mattino di Napoli. Questo per due motivi: la proprietà delle testate – parlo per la carta stampata che è quella che conosco meglio – non ha particolari interessi in grado di condizionare l’informazione e, per quanto riguarda la politica, non ci sono contese violente né scontri molto accesi. Però anche in Trentino sono accaduti episodi che hanno implicato forme più o meno esplicite di censura o autocensura: me ne vengono in mente tre. In primis, è capitato recentemente che alcune notizie siano state date dai quotidiani locali in ritardo, perché considerate sospette in quanto la fonte era una parte politica che aveva interesse a diffondere una notizia contro la parte avversaria. In questi casi c’è stato un atteggiamento di autocensura da parte della stampa la quale era in possesso di una notizia ma, sapendo quale fosse la fonte, ha messo un filtro per evitare che la pubblicazione venisse poi strumentalizzata dalla politica. Si è trattato di un eccesso di prudenza: per paura delle conseguenze non c’è stata una corretta valutazione dell’informazione. La notizia deve essere valutata in maniera neutrale per ciò che è in sé, indipendentemente dall’uso politico che può esserne fatto. Un secondo caso di tentativo di censura è capitato con alcuni inserzionisti pubblicitari, che, vista la costante contrazione di risorse a disposizione delle testate, sono sempre più indispensabili per i ricavi delle testate stesse, specialmente negli ultimi anni. In seguito alla pubblicazione di notizie non gradite ad alcuni inserzionisti, questi si sono rivolti alla proprietà minacciando di sospendere la campagna pubblicitaria. Non si è trattato di censura vera e propria, ma comunque di un pesante tentativo di condizionamento. Devo peraltro dire che in questa situazione non ci si è sottomessi al ricatto ma la cosa è stata risolta con una mediazione che non ha poi inficiato i rapporti fra le parti coinvolte. Infine, un ultimo caso ricorrente ma che è probabilmente inevitabile, riguarda l’autocensura nei confronti di fonti importanti. Per chi fa questo lavoro, specie in una realtà piccola come la nostra, è fondamentale poter contare su contatti fiduciari con informatori in grado di dare notizie fresche e di interesse giornalistico, possibilmente in anticipo e in esclusiva. Sono rapporti di confidenza e di fiducia che si costruiscono nel tempo e che sono troppo preziosi per rischiare di perderli. Per questo, il giornalista tenderà a essere molto protettivo con la sua fonte e può capitare che rinunci a pubblicare subito alcune notizie pur di non danneggiare in qualche modo il suo contatto. Questo è, credo, un problema ineliminabile sia per i meccanismi intrinseci della professione, sia perché psicologicamente la contiguità con le fonti porta ad avere atteggiamenti di favore verso chi fornisce il maggior numero di informazioni, mentre al contrario crea pregiudizio negativo nei confronti di chi le informazioni non le dà mai, o le fornisce con il contagocce, e solo quando gli conviene. In base a queste considerazioni, qual è secondo lei il futuro dell’informazione e della libertà di stampa? I nuovi media stanno cambiando e cambieranno il mondo dell’informazione. Noi in Trentino forse non percepiamo con chiarezza quanto succede altrove, ma stiamo intravedendo ora un cambiamento che sarà radicale. Oggi il dramma della stampa scritta è che i lettori più fedeli invecchiano e non vengono più sostituiti dalle giovani generazioni. Ma i nuovi mezzi 15 permettono una maggiore pluralità di fonti informative e questo è un bene. È vero che c’è il rischio di trovare qualunque cosa nella confusione della rete, ma la scommessa del giornalista è proprio quella di utilizzare i nuovi canali mettendo la sua professionalità a disposizione degli utenti. Sulla rete chiunque si può improvvisare giornalista, ma sopravviverà solo chi saprà essere una fonte di informazioni solida e credibile, perché le bugie si smascherano in fretta. In questa nuova ottica, quindi, il rischio della censura appare in buona parte un problema vecchio e superato. La trasversalità dell’informazione fatta dai social 16 network e dai blog è già un’alluvione e travolgerà i vecchi paletti e i confini canonici. Al momento ne vediamo solo l’inizio, ma questa “rivoluzione” (non a caso osteggiata dalla censura dei Paesi non democratici) colpirà anche le residue forme di censura, con effetti positivi. I nuovi mezzi rendono, infatti, ridicolo il tentativo di imbrigliare e mettere dei limiti alle notizie. Ci potrà sempre essere chi cerca di intervenire con leggi censorie apposite ma credo che non potranno resistere alla meravigliosa (e anche un po’ terribile, s’intende) invadenza alluvionale del world wide web. La censura nelle biblioteche Nell’opinione comune, la centive di fatti giudiziari prima che sura, intesa come “controllo vengano emesse le sentenze preventivo delle opere da difdi condanna degli imputati fondere o da rappresentare in (di qualsiasi colore politico). una storia che pubblico” (Giacomo Devoto Viviamo circondati di infor(purtroppo) si ripete – Gian Carlo Oli, Vocabolario mazione, dunque tutto si può della lingua italiana, Firenze, Le venire a sapere, niente è cenMonnier, 2007, p. 498), viene surato. Ma è veramente così o di Elena Corradini ritenuta una pratica diffusa nei questa è solo un’impressione? regimi totalitari, estranea alla In realtà, il rischio della cenvita dei paesi democraticasura è ancora presente, ma “La censura è pubblicità mente più avanzati, che esplinon solo (o non tanto) a un pagata dal governo” citamente dichiarano nelle legilivello che potremmo dire Federico Fellini slazioni nazionali la libertà di “superficiale” della diffusione espressione quale uno dei diritti dell’informazione nella società, fondamentali dell’individuo, ma a un livello più subdolo facendo così propria la Dichiae profondo. Ed è un rischio razione universale dei diritti che corriamo e correremo dell’uomo approvata dall’ONU ancora, laddove, per i motivi nel 1948. In Italia, la carta costipiù diversi, vengono disattesi i tuzionale riconosce la libertà di espressione, di infor- presupposti della libertà di espressione e informamazione e di essere informati, con l’unico limite del zione, pur sanciti a livello internazionale dall’Unerispetto del buon costume (articolo 21). Sembre- sco (con il Manifesto per le biblioteche del 1994) e rebbe quindi che l’informazione possa circolare libe- dall’International Federation of Library Associations ramente, fatto salvo il limite del “decoro”, un con- and Institutions (IFLA), in particolare grazie all’attività cetto che, negli anni, ha conosciuto certamente una del Comitato Free Access to Information and Freesorta di “deriva semantica”. Al di là di questo, consi- dom of Expression (FAIFE). derato il tipo di notizie che siamo abituati a leggere, Un contesto in mutamento ascoltare e vedere quotidianamente, sembrerebbe a La produzione editoriale, in costante mutamento e uno sguardo superficiale che l’informazione circoli accresciuta anche dal fenomeno dell’auto-produeffettivamente in modo libero: si possono conoscere zione attraverso il web, specchio della frammentaparticolari delle vite private di personaggi in vista, zione della nostra società, si è ormai evoluta da un si può assistere a debita distanza a fatti occorsi in ambiente informativo organizzato esclusivamente ogni parte del mondo (e quanti di noi non pensano, sulla base di un modello gerarchico e verticale a a volte, che talune delle immagini viste sui giornali un modello dove coesistono varie modalità di proo trasmesse in tv siano addirittura raccapriccianti, duzione e comunicazione. La circolazione delle eccessive, moleste?), si leggono ricostruzioni defini- informazioni avviene in modalità multicanale (per 17 via scritta, audio e video) e multi-autoriale, con un impatto diversificato sul pubblico. La pluralità dell’offerta induce a pensare che non solo aumenti la libertà di scelta fra molteplici opzioni, ma che inoltre la possibilità di controllo sulla produzione di informazioni (e tra queste di letteratura) venga affievolendosi. Tuttavia, fatti di censura implicita ed esplicita, più o meno consapevolmente perseguiti, si ripetono e ricorrono anche oggi, in contesti che farebbero supporre l’esistenza di condizioni favorevoli al pluralismo, come le democrazie più avanzate, tra le quali vorremmo annoverare l’Italia. Ma talvolta la tentazione di censurare c’è, anche vicino a noi. Censura e libertà di informazione: un perenne contrasto? Non sempre la censura viene riconosciuta come tale da chiunque, né la libertà di informazione è ritenuta sempre assoluta. A discriminare fra questi due poli è spesso l’atteggiamento culturale di chi invoca il ricorso all’una o all’altra posizione, in situazioni limite o comunque in partenza controverse. Si ricorderà che nel 1976 in Trentino fu sollevato un caso e fu celebrato un processo per il prestito di un’enciclopedia per ragazzi, l’Enciclopedia della vita sessuale, edita da Mondadori, che a detta di alcuni conteneva immagini scabrose. Forse il fatto si può interpretare con una maggiore preoccupazione per l’educazione alla moralità delle giovani generazioni rispetto che al consentire loro il diritto di informarsi su un tema, quello della sessualità, certamente delicato ma inevitabilmente da affrontare proprio in età adolescenziale. Più controversa, qualche anno fa, la vicenda di una bibliotecaria che si vide imputata per aver concesso in prestito a una giovane ragazza, uno dei casi letterari dell’anno, Scopami, che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali aveva inserito nell’elenco dei testi consigliati agli adolescenti nell’ambito della campagna antidroga “Il vero sballo è dire no”. Se questi furono casi portati alla ribalta della cronaca in seguito ad azioni di querela o esposto da parte di privati, più recentemente, nel gennaio scorso, l’Assessore alla Cultura della Provincia di Venezia ha chiesto il ritiro dalle biblioteche civiche di tutti i libri degli autori che nel 2004 firmarono un appello per Cesare Battisti. In questo caso si è trattato di un’azione pubblica, e perciò ingiustificata e ingiustificabile, di censura contro tutta la produzione editoriale di un vasto numero di scrittori, fra i quali Valerio Evangelisti, Massimo Carlotto, Tiziano Scarpa, Nanni Balestrini, Daniel Pennac, Giuseppe Genna, Giorgio Agamben, Girolamo De Michele, Vauro, Lello Voce, Pino Cacucci, Christian Raimo, Sandrone Dazieri, Loredana Lipperini, Marco Philopat, Gianfranco 18 Manfredi, Laura Grimaldi, Antonio Moresco, Carla Benedetti, Stefano Tassinari, Wu Ming (Giovanna Cosenza, blog: http://giovannacosenza.wordpress. com/2011/01/19/lincredibile-storia-della-censuranelle-biblioteche-venete). In tutti questi casi, l’Associazione italiana biblioteche (AIB) ha espresso chiaramente la propria posizione, difendendo la libertà di espressione e di informazione; richiamandosi doverosamente al proprio codice deontologico, ha messo in chiaro come le biblioteche debbano difendere il diritto di accesso all’informazione da parte di ciascun individuo. Forme di censura interna alle biblioteche Come ha giustamente osservato Fausto Rosa qualche anno fa oltre alla censura editoriale, vi sono anche altre forme di censura, più subdole, che possono colpire le biblioteche. Si tratta di una fattispecie insita nel lavoro stesso dei bibliotecari, da un certo punto di vista implicita, che necessita di una forte capacità di autocritica per essere smascherata e allontanata. Nella fattispecie, Rosa distingue fra censura libraria e del mercato editoriale, censura organizzativa e strutturale presente nelle biblioteche, censura nel comportamento professionale del bibliotecario. Pensiamo alle attuali riduzioni di risorse economiche (in alcuni casi molto consistenti) e alla conseguente diminuzione degli acquisti. A che cosa dare maggior risalto? Che cosa si può considerare secondario? La competenza del bibliotecario e le sue conoscenze delle dinamiche del mercato editoriale possono ridurre il rischio di escludere dalle raccolte opere “marginali” ma non per questo meno importanti. Le biblioteche, nella loro essenza di strumento di politica culturale, possono inoltre essere “orientate” dalle amministrazioni di riferimento, e sta al bibliotecario esercitare una funzione di riequilibrio delle esigenze di tutti. Da questo punto di vista, soltanto un costante riferirsi all’etica professionale può liberare da possibili condizionamenti. Il bibliotecario, infatti, secondo Rosa, “rischia di incorrere in attività censoria in molte situazioni: nella gestione amministrativa del servizio, [...] nella corretta applicazione delle normative di settore, [...] nella selezione / sfoltimento delle collezioni”, nell’attenzione alla corretta gestione dei servizi bibliografici e informativi (senza far prevalere l’aspetto didattico-educativo), nell’evitare di “cadere in comportamenti di eccessiva personalizzazione” [Fausto Rosa, La censura nelle biblioteche e l’etica del bibliotecario, in: “Bibliotime”, anno X, n. 1 (marzo 2007), disponibile su: http://didattica.spbo.unibo.it/bibliotime/num-x-1/rosa.htm]. Solo un richiamo sempre più forte all’etica professio- nale può allontanare il pericolo della censura interna dati di informazioni riservate, ma rese pubbliche in alle biblioteche. rete da Assange, possiamo certamente capire che addentrarsi in un dibattito a questo livello risulteCensura in rete rebbe quantomeno spinoso. La responsabilità delle biblioteche termina però ladPer concludere, come si è visto da questa breve dove esse esercitano un controllo diretto sulle prorassegna, non si può mai del tutto escludere la preprie raccolte. Da questo punto di vista, il web rappresenza della censura, per diversi ordini di motivi. Il senta un universo a sé stante, che però può essere più importante di questi ci pare tuttavia essere la oggetto di attenzione qualora nascano dei palesi eleresponsabilità dei singoli nel porsi in modo automenti di distorsione alla libertà di informazione. È il critico verso ogni espressione di pensiero, e nel caso delle azioni messe in atto, a livello italiano, dalle riconoscere agli altri, come a se stessi, la possibiassociazioni dei consumatori Adiconsum, Altroconlità di accedere a ogni tipo di informazione. Certo, sumo, Assoprovider, Assonet, Agorà digitale contro da questo consegue la necessità di attrezzarsi per la chiusura di siti, blog e pagine web da parte della comprendere come valutare criticamente le inforAGCOM, in modo unilaterale. Non è sempre facile mazioni che ci vengono proposte o che reperiamo però distinguere, nelle azioni delle autorità per la autonomamente. Vi sono istituzioni e professionisti garanzia delle comunicazioni, fra vera censura e che possono guidare verso questa consapevolezza, necessità di evitare la diffusione di informazioni non le biblioteche e i bibliotecari. Sempre che riescano, attendibili, non verificate o addirittura false. Se penfacendo leva sulla propria deontologia e professiosiamo all’effetto che ha avuto WikiLeaks, la banca nalità, ad allontanare le insidie della censura. Free Access to Information and Freedom of Expression FAIFE è un Comitato interno all’International Federation of Library Associations and Institutions (IFLA) creato per difendere e promuovere i diritti umani fondamentali definiti dall’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’ONU. Il Gruppo FAIFE promuove la libertà di accesso all’informazione e la libertà di espressione in tutti i suoi aspetti, direttamente o indirettamente, in relazione alle biblioteche e alla professione di bibliotecario. FAIFE verifica che venga difesa la libertà di espressione nella comunità bibliotecaria internazionale, supporta l’attività dell’IFLA per lo sviluppo di politiche specifiche e di coordinamento con altre organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani e reagisce alle violazioni sul libero accesso all’informazione e alla libertà di espressione. I suoi principi fondamentali sono riassumibili nei seguenti punti: • la libertà intellettuale è il diritto di ogni individuo di avere ed esprimere opinioni e cercare e ottenere informazioni; • la libertà intellettuale è alla base della democrazie; • la libertà intellettuale è al centro della concezione della biblioteca. Ultimi rapporti pubblicati nel 2011: • Report on the Public Access to Health Information Workshop in Mozambique; • The role of Information Technology in defeating the Arab regimes: Facebook 2-0 Arab Presidents. Fonte: http://www.ifla.org/en/about-faife 19 Il Codice deontologico dei bibliotecari italiani Il Codice deontologico è un codice etico, approvato dall’Assemblea generale dell’Associazione italiana biblioteche, tenuta a Napoli il 30 ottobre 1997 (ultimo aggiornamento 23 marzo 1999) che impegna il bibliotecario nei confronti dell’utente e della professione.Al Codice hanno l’obbligo di conformarsi i membri dell’Associazione italiana biblioteche che è guida professionale e garante sia per i bibliotecari che per le realtà esterne. Il Codice deontologico del bibliotecario rappresenta lo statuto dell’autonomia della professione. 1. Doveri verso l’utente 1.1. Il bibliotecario garantisce all’utente l’accesso alle informazioni pubblicamente disponibili e ai documenti senza alcuna restrizione che non sia esplicitamente e preliminarmente definita attraverso leggi o regolamenti. 1.2. L’informazione fornita dal bibliotecario è completa, obiettiva e imparziale, cioè non condizionata da punti di vista, idee e valori del bibliotecario stesso né da enti politici o economici esterni. 1.3. Nella gestione della biblioteca e nel servizio al pubblico il bibliotecario non accetta condizionamenti in ordine a sesso, etnia, nazionalità, condizione sociale, fede religiosa o opinioni politiche. 1.4. Il bibliotecario ripudia e combatte qualsiasi forma di censura sui documenti che raccoglie e organizza e sull’informazione che fornisce. 1.5. Il bibliotecario garantisce la riservatezza dell’utente, delle informazioni che ha richiesto o ricevuto e delle fonti utilizzate. 1.6. Il bibliotecario, nello svolgimento della sua professione, non deve trovarsi in posizione di conflitto di interessi e non utilizza per interesse personale informazioni e risorse di cui dispone per il proprio ufficio. 20 1.7. È dovere del bibliotecario promuovere singolarmente e in forma associativa l’efficienza e l’autonomia del servizio bibliotecario in quanto strumento di democrazia. 2. Doveri verso la professione 2.1. Il bibliotecario deve onorare la professione, con profonda consapevolezza della sua utilità sociale. 2.2. Il bibliotecario deve possedere un’ampia e approfondita cultura professionale mediante la quale fornisce all’utente un servizio di alta qualità, secondo parametri definiti di efficienza delle prestazioni e perseguendo l’utilizzazione ottimale delle risorse. 2.3. La cultura professionale deve essere continuamente e costantemente aggiornata anche tramite la partecipazione ad associazioni e organizzazioni bibliotecarie. 2.4. Il bibliotecario, nella propria attività professionale, ispira il proprio comportamento verso i colleghi di lavoro a correttezza, rispetto e spirito di collaborazione. 3. Doveri verso i documenti e le informazioni 3.1. Il bibliotecario si impegna a promuovere la valorizzazione e tutela dei documenti e delle informazioni. 3.2. Il bibliotecario si impegna a garantire la trasmissione della conoscenza mediante la razionale organizzazione dei documenti e agendo con imparzialità e cultura professionale. 3.3. Il bibliotecario, consapevole del contesto globale in cui opera, si impegna a promuovere singolarmente e in forma cooperativa l’integrazione dei diversi sistemi informativi e la rimozione degli ostacoli organizzativi e geografici che limitano la circolazione delle informazioni e dei documenti. Ginevra – introduce l’ultimo Scrivere di internet è rischioso. tassello. Si chiama HYPER I discorsi relativi a questo tema libertà e censura TEXT TRANSFER PROTOCOL, sono spesso intrisi di esageraabbreviato in HTTP. È un prozioni e ovvietà. Per cercare di in Internet tocollo che consente di realizevitarle, seguiamo l’evoluzione zare testi adatti a una lettura del mezzo facendo riferimento di Alice Manfredi non sequenziale caratterizzata ad alcune parole che l’hanno da rimandi su più documenti. caratterizzata. È l’applicazione del concetto All’inizio fu ARPANET. di rete ai contenuti. Non solo La DARPA – cioè l’americana le macchine sono collegate tra Defence advanced research loro, ma anche testi e dati. Atprojects agency (Agenzia per traverso questo sistema, Tim i progetti di ricerca di difesa Berners-Lee crea il primo sito avanzata) – finanziò un progetto Web, dando vita al fenomeno volto a collegare e far comuniWORLD WIDE WEB, abbrecare tra loro i computer negli viato in WWW. In Italia, Stati Uniti. Da subito si parlò per alcuni anni, si usa di NET cioè di rete, quindi l’espressione “Grande di una pluralità di legami ragnatela mondiale” tra un numero elevato poi andata in disuso. di punti. La potenzialità In realtà, la dicitura espansiva dello struinglese significa temento, sebbene ancora stualmente “Ragnalimitato e riservato agli tela grande quanto specialisti, era già in il mondo”. Le parole nuce. ARPANET fisicaora condensano pomente fu costruita nel tenzialità e obiettivi di 1969 per collegare quatun progetto che, a poco tro nodi: l’Università della più di vent’anni dalla sua California di Los Angeles nascita, ha raggiunto una e quella di Santa Barbara, conformazione adatta a una l’SRI di Stanford e l’Università diffusione planetaria. Compare dello Utah. Già nel 1971 a questo la parola world (mondo) a indicare sistema si aggiunse la posta elettrol’orizzonte di riferimento. E si passa nica. Negli anni settanta e ottanta i nodi da net a web, da rete a ragnatela. Concettualdi ARPANET aumentarono e in Europa si comente la struttura, oltre a crescere, si infittisce: comstruirono e collegarono tra loro nuove reti. È il 1979 quando vengono introdotti gli emoticon, puter, reti e contenuti sono sempre più collegati. E le “faccine” utilizzate per indicare un particolare sul WWW si NAVIGA (netsurf in inglese), un termine stato d’animo attraverso una successione di segni che trasmette un senso di libertà, sconfinamento, ridi punteggiatura. Il nuovo arrivo – che può apparire cerca. irrilevante se non frivolo – è invece emblematico. L’infrastruttura, anche se cambierà ancora, è però ora La parola EMOTICON deriva dall’unione dei due delineata nei suoi tratti caratteristici. L’evoluzione del termini inglesi emotion e icon. Immagini. Emozioni. mezzo si sposta sui piani del contenuto e dell’uso. Addirittura stati d’animo. La rete può ospitare anche Nel nuovo millennio si comincia a parlare di WEB elementi diversi da semplici informazioni e dati. Due 2.0 e di SOCIAL NETWORK. La prima espressione anni dopo, è il 1981, fa il suo ingresso sulla scena sta a indicare una cesura tra l’utilizzo dello strumento la parola INTERNET derivante da Inter-Networking. negli anni novanta e quello successivo. Interazione Non compare però sola; si diffonde invece un Inter- diventa la parola d’ordine, e strumenti come chat, net Protocol, abbreviato in IP, un sistema in grado di blog, Facebook, Twitter, Wikipedia la consentono. La far dialogare tra loro reti eterogenee per tecnologia, maggior parte di questi sistemi si basa su social netprestazioni, gestione. La rete delle reti è nata. E la work, cioè su reti sociali. Due parole, che abbiamo possibilità di scambiare dati, informazioni, notizie è ormai interiorizzato, e che però sono dirompenti. Internet – luogo del virtuale – contiene le persone e le cresciuta in modo esponenziale. Manca però ancora un decennio alla svolta che com- relazioni tra esse. È diventato uno spazio sociale. pleta l’infrastruttura tecnica base della sfera on-line. Questa incompleta cronologia delle principali tappe Nel 1991, Tim Berners-Lee – ricercatore al CERN di della storia di Internet costruita seguendo le trasfor- I blocchi nella rete 21 mazioni del linguaggio non ha pretese di esaustività. Può far emergere però un senso di fondo. Quale? È l’accessibilità. La sensazione di poter facilmente raggiungere ciò che si cerca percorrendo un’infrastruttura libera composta da molteplici legami. Ma Internet è davvero questo? La protezione del business La rete è stata fin da subito percepita come strumento libero e democratico. Una mole imponente di contenuti e informazioni. Tasselli che con facilità gli utenti possono aumentare, facendo circolare i propri materiali. Il mezzo garantisce flessibilità e partecipazione. La capacità della rete di essere permeabile dalle voci di coloro che non hanno accesso ai media tradizionali ha giustificato continui elogi. E da due anni sono in molti a chiedere per Internet il premio Nobel per la pace. Eppure la rappresentazione di un mezzo libero e democratico è quantomeno parziale. Anche qui esistono barriere. Legittime. Legittimate. Criticate. Nascoste. Evidenti. Talvolta addirittura inconsapevoli. Molte aziende private sono approdate nel nuovo mezzo intravedendo un mercato allettante. Internet però è la sfera in cui gli utenti si sono abituati a ricercare, scambiare, trovare liberamente – e senza spendere nulla – informazioni, video, immagini, musica e dati. Quando si è cercato di frenare alcune di queste pratiche, dichiarandole illegittime, erano già diffuse e nel senso comune accettate. L’idea di un mezzo libero, senza barriere, era stata interiorizzata. I produttori di contenuti sono corsi al riparo utilizzando su larga scala tecnologie di protezione. Come osserva però Nicola Lucchi in I contenuti digitali: tecnologie, diritti e libertà (Springer, 2009) tali strumenti vanificano le eccezioni al diritto d’autore. Impediscono, infatti, quegli usi liberi che, tanto nei paesi di common law quanto in quelli di civil law, sono considerati legittimi. Ci si riferisce alle attività didattiche e scientifiche, agli usi per citazione, parodia o riproduzione per un utilizzo personale. La questione si colloca soprattutto a livello normativo: c’è confusione riguardo a come garantire contemporaneamente il diritto d’autore e le sue eccezioni. Ogni paese ha norme diverse, spesso messe a punto in epoche e contesti distanti da quello in cui vengono applicate e dunque inadeguate. C’è poi una questione relativa al business privato online inversa rispetto a quella appena descritta. Abituati a considerare la rete come il luogo della ricerca di informazioni da parte dei singoli, solo da poco ci stiamo interessando alle strategie delle aziende. È evidente però che Internet fornisce una preziosa mole di informazioni relative tanto a comportamenti, atteggiamenti, gusti degli utenti – cui indirizzare reclame personalizzate – quanto alla percezione diffusa di una determinata impresa. La ricerca di questo capitale è diventata più semplice 22 con l’avanzamento tecnologico. Un esempio? È facile imbattersi online in contenuti che promuovono – a pagamento – strumenti di web listening (ascolto della rete). Programmi in grado di individuare parole chiave nelle conversazioni in Internet e di costruire, su questa base, un profilo di come una certa azienda è percepita dal pubblico. Gli Stati nemici di Internet La censura o la protezione dei contenuti su Internet sono attuate anche a un livello superiore a quello del “business”. Parliamo di Stati, pur nella consapevolezza che trattando di World Wide Web, restano sottoinsiemi. L’organizzazione non governativa Reporters sans frontières (RSF) pubblica annualmente dal 2006 una lista di paesi nemici di Internet. L’elenco comprende i paesi che “si contraddistinguono non solo per la loro capacità di censurare notizie e informazioni online ma anche per la loro quasi sistematica repressione degli utenti di Internet” (RSF, Internet Enemies, 2009). La composizione della lista non è variata molto negli anni, anche se alcuni stati sono passati in una speciale categoria “sotto controllo”, ma non più “nemica”. Il 12 marzo 2011, RSF ha pubblicato l’elenco aggiornato che annovera Birmania, Cina, Cuba, Iran, Corea del Nord, Arabia Saudita, Siria, Turkmenistan, Uzbekistan e Vietnam. Stranamente, l’Egitto, che fino al 2010 era considerato “nemico”, da quest’anno è stato inserito nel gruppo dei paesi sotto sorveglianza. Eppure proprio l’Egitto si è reso protagonista di uno dei casi più evidenti di censura totale nella breve storia della rete. In quella che è stata definita la “Primavera araba del 2011” Internet ha giocato un ruolo di mezzo di lotta, oltre che di informazione, cui il Governo egiziano ha risposto con il blackout. Giovedì 27 gennaio 2011 sul blog di RENESYS – Internet intelligence authority appare un articolo di James Cowie che contiene, già nell’incipit, una chiara denuncia: “con un’azione che non ha precedenti nella storia di Internet, il governo egiziano sembra aver ordinato ai fornitori di contenuti di spegnere tutte le connessioni interna- zionali a Internet”. Lo spegnimento ha interessato prima Twitter – martedì 25 gennaio – poi Facebook e Google – mercoledì 26 gennaio – e, entro il fine settimana, quasi tutte le connessioni private e dei siti web. In alcune parti del Paese sono stati bloccati anche gli sms e le telefonate da cellulare. Come è stato possibile? “Anche in Egitto la rete telefonica, su cui viaggiano pure i dati Internet, non è posseduta dallo stato – scrive Gabriele De Palma su Corriere.it il 29 gennaio – quindi Mubarak non ha un interruttore da spegnere”. E, infatti, le comunicazioni hanno subito blocchi scaglionati nel tempo. L’ipotesi più verosimile è che il Governo abbia obbligato di volta in volta i fornitori a interrompere i servizi, intervenendo sui router – gli snodi che regolano le autostrade digitali – e fermando prima le comunicazioni da Twitter, poi quelle da Facebook e Google, infine tutte le altre. Ma la rete è mondiale e anche un grande paese è un sottoinsieme. Inventato il blocco, è subito saltato fuori il modo per aggirarlo. Giovedì 27 gennaio appare sul sito www.dailywired.it un articolo dal titolo “Sarah, blogger: come ho aggirato la censura in Internet”. Segue una lista degli strumenti e dei siti attraverso i quali comunicare online nonostante il blackout. I regimi autoritari fanno largo uso di sistemi per controllare la rete. Ma non solo loro, ovviamente. Jo Glanville in un articolo del 2008 intitolato “The big business of net censorship” (Il grande affare della cesura in rete) scrive che Smart Filter, uno dei più popolari programmi per filtrare contenuti è largamente utilizzato anche da Gran Bretagna e Stati Uniti. E proprio negli USA, dopo l’attacco alle Torri Gemelle si è scatenato un dibattito relativo all’uso di Carnivore, un programma implementato dall’FBI in grado di copiare e selezionare i dati che un determinato utente produce. Un sistema di intercettazione online insomma. Negli anni successivi al 2005 questo strumento è stato sostituito da altri più sofisticati. In Italia: il dibattito In Italia stiamo attraversando un periodo in cui il dibattito relativo alla regolamentazione di Internet, in particolare in materia di controllo, è particolarmente vivace. Qui, come ovunque, si riscontra il problema della tutela del diritto d’autore, in un contesto di diffusione della pirateria di contenuti. La norma vigente che protegge tale diritto risale addirittura al periodo fascista. È la numero 633 del 22 aprile 1941 e forse non deve stupire che sia inadatta a garantire un giusto bilanciamento dei diritti di chi vende i contenuti e degli utenti della rete. Il 15 marzo dello scorso anno è stato varato un decreto – il numero 44, cosiddetto decreto Romani – che attribuisce all’Autorità garante delle Comunicazioni (AGCOM) il compito di emanare disposizioni regolamentari in materia. Nel dicembre del 2010, l’Autorità ha indetto una consultazione pubblica su una bozza di regolamento e nel gennaio di quest’anno ha istituito un apposito gruppo di lavoro. Le norme proposte non hanno mancato di destare critiche. In pratica, l’Autorità dovrebbe agire su segnalazione di chi ritiene di aver subito una lesione del proprio diritto d’autore e, dopo valutazione, ordinare al gestore del sito o ai fornitori del servizio di rimuovere il contenuto incriminato. Tutto ciò nell’eventualità di siti i cui server sono collocati in Italia e che propongono anche materiali ritenuti leciti. In tutti gli altri casi – server esteri o siti considerati completamente da censurare – l’AGCOM propone due ipotesi: mettere a disposizione dei provider una lista di siti illegali verso cui sbarrare l’accesso, oppure inibire il nome del sito o l’indirizzo IP. Dal punto di vista dell’utente italiano, il risultato non cambia. Si procederebbe a una cancellazione, pratica che secondo molti è materia di autorità giudiziaria e non amministrativa, com’è l’AGCOM. Fatto il regolamento, comunque il modo per aggirarlo ci sarà. Anzi, esiste già. Si chiama Tor. È un’applicazione che consente di uscire dal proprio provider per raggiungere il sito desiderato da un altro nodo, di solito collocato all’estero. L’AGCOM sembra essere ben consapevole di questi problemi visto che, nel documento sottoposto a consultazione pubblica, scrive di aver deciso “di segnalare al Governo e al Parlamento l’opportunità di una revisione complessiva delle norme sul diritto d’autore che risultano inadeguate allo sviluppo tecnologico e giuridico del settore.” Dinamismo Il tema dell’accessibilità delle informazioni su Internet è molto complesso. Esistono, è ovvio, altri casi di censura. Si potrebbe per esempio considerare il digital divide, ovvero quel confine tra chi ha accesso a Internet e chi non lo ha per fattori anagrafici, geografici o sociali. Anche questo è un caso di informazione negata, anche se involontaria. Ed esistono, è altrettanto evidente, altre violazioni dei sistemi di protezione: Wikileaks è solo la più eclatante di queste. Molto dunque ci sarebbe ancora da dire, ma già i fenomeni sopra descritti permettono di individuare un movimento nel web. Una relazione dinamica tra le spinte all’accessibilità dei dati e quelle alla censura. Entrambe sono uscite rafforzate dalla breve intensa storia di questo mezzo: sono cresciute con l’avanzamento tecnologico e con l’instaurarsi di nuovi interessi economici. Non a caso Jo Glanville sostiene che la censura su Internet sia diventata business. Entrambe le forze portano comunque con sé contraddizioni e pericoli, nei confronti della privacy e del diritto d’autore in un caso, della libertà di espressione nell’altro. È certo però che il ragionamento sulla rete ed eventualmente una sua regolamentazione devono considerare l’orizzonte di riferimento. Il mondo, nientedimeno. 23 Pubblicità da censurare Nel 2006 l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (IAP), fondato nel 1966, ha allestito una mostra itinerante nella quale sono stati esposti manifesti e comunicati pubblicitari sospesi dalla diffusione per i contenuti ritenuti non conformi alle regole tutelate dall’Istituto stesso. In questa pagina ne sono riporati alcuni esempi. 24 La censura è una tematica verbale, fatto di aggiustamenti esplorata da tempo dalle discie di atteggiamenti compiacenti. censura tra pline antropologiche, perché “Con rare anche se significative fa parte di una modalità di eccezioni, il comportamento verbale pubblico comportamento che si verifica pubblico del subordinato sarà e verbale segreto non solo nelle dinamiche relamodulato, per prudenza, paura, tive all’esercizio del potere, ma o per il desiderio di guadagnarsi di Marta Villa anche nelle relazioni interpersoil favore, in modo da adeguarsi nali. alle aspettative del potente” (J. “Quando passa il gran signore, Interessante è notare che, C. Scott, Il dominio e l’arte della il saggio villico in un secolo di operatività di resistenza, Milano, Eleuthera fa un profondo inchino questa disciplina scientifica, si 2006, p. 15). e silenziosamente scorreggia” sono riportati numerosi casi di L’arte della dissimulazione perProverbio etiope osservazione di atteggiamenti mette di scartare la censura e di censura non solo da parte di nascondere i veri sentimenti, del potere, ma anche da parte che invece è il verbale segreto di chi ne è subordinato o addia svelare. L’antropologia ha rittura ostile. Il proverbio citato cercato di indagare la relazione in apertura, introduce semplicemente, ma efficace- tra queste due forme di verbale, tentando di dare mente, quella dimensione dialettica che vede scon- voce, ove possibile, soprattutto a quello segreto. trarsi due verbali, definiti l’uno pubblico e l’altro Un esempio di dissimulazione avveniva durante la segreto. Il comportamento del villico è diviso tra ver- Guerra di secessione americana: gli schiavi neri non bale pubblico (il profondo inchino che denota inequi- argomentavano mai riguardo le notizie che giungevocabilmente una manifestazione di rispetto) e ver- vano dal fronte, a tal proposito Mary Chesnut ha osbale segreto (la scoreggia che invece testimonia un servato nel suo Diary from Dixie: “Portano in giro le atteggiamento deriloro maschere nere, sorio e di insuborsenza mostrare nemdinazione). Questa meno un briciolo di pratica viene, ad emozione; eppure esempio, impiegata su tutti gli altri argoanche dai bambini menti che non siano sinti e rom quando la guerra sono la più non sono d’accordo eccitabile di tutte le con il potere esercirazze” (citato in Ortato da qualcuno. A lando Patterson, Slascuola in mezzo ai very and social debambini non sinti, ath: a comparative i bimbi sinti emetstudy, Harvard, Unitono silenziose flaversity Press, 1982, tulenze per rivendip. 208). Questo atcare la loro diversità teggiamento non pue l’orgoglio che pronibile e chiaramente vano a far parte del falso, rende rabbioloro popolo e poi si so il potere perché è vantano della loro impossibilitato a inazione con i propri tervenire, seppur cogenitori e amici. sciente di essere preLa censura, eserso in giro e deriso. citata dal potere L’atteggiamento dei ufficiale, induce chi subordinati di fronte non si trova d’aca restrizioni del pocordo a recitare una tere, come può esseparte, mascherarsi re la censura, è stato attraverso un lindefinito dall’antropoguaggio, anche non logia come ritualisti- Quell’altrastoria 25 co: più il potere è minaccioso, più la maschera diviene impenetrabile. “La figura di potere mette in atto un atteggiamento di autorità e comando mentre tenta di intravedere cosa si cela dietro la maschera dei subordinati, per leggere le loro reali intenzioni. La dialettica del mascheramento e della sorveglianza, che pervade le relazioni tra il debole e il forte, ci può aiutare a capire i modi culturali del dominio e della subordinazione. In questa messinscena, gli imperativi che normalmente prevalgono nelle situazioni di dominio producono un verbale pubblico strettamente conforme al modo in cui il gruppo dominante vorrebbe che le cose apparissero. Questo non controlla mai totalmente la scena, ma i suoi desideri prevalgono. Nel breve termine, è interesse del subordinato assumere un atteggiamento abbastanza credibile, pronunciando le frasi e compiendo i gesti che sa che ci si aspetta da lui” (J. C. Scott, Il dominio e l’arte della resistenza, Milano, Eleuthera 2006, p. 16-17). Per capire se davvero si tratta di una dissimulazione risulta importante parlare dietro le quinte con i subordinati, in un luogo e in una condizione ambientale dove non c’è bisogno di recitare, dove la maschera può essere posata e viene svelato il verbale segreto. Un esempio interessante viene di nuovo dalla situazione dei neri in America durante la Guerra di secessione. La cieca obbedienza dei servi, soprattutto donne, che dimoravano in casa di padroni bianchi e la loro silenziosa presenza nascondeva una rabbia molto più che momentanea: le parole usate nel verbale segreto svelavano invece una convinzione radicata dell’avvento di un tempo di vendetta e di trionfo, nelle loro parole si delineava l’immagine chiara di un’apocalisse dopo la quale si instaurava un mondo alla rovescia (da Albert J. Raboteau, Slave religion: the “invisible insitution” of the antebellum South, New York, Oxford University Press 1978, p. 313). Ma può capitare anche che, in casi rari, questo verbale segreto divenga pubblico: si ha allora la sfida aperta e rabbiosa alla censura o a qualsiasi altro mezzo utilizzato dal dominio per esercitare il controllo. Il senso di sopruso percepito da un singolo diviene nel suo animo desiderio di vendetta personale e di conflitto, se invece è una collettività a sentirlo tale Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino I libri proibiti da Gutenberg all’Encyclopédie, di Mario Infelise, Laterza, 2009 La storia della censura e della sua fine viaggia di pari passo con la storia dei diritti politici e civili, con la loro acquisizione da parte di popoli precedentemente privi, con l’insediamento di un sistema di potere “illuminato”. Ma anche parallelamente alla storia del libro a stampa che, nella sua possibilità di essere riprodotto in un notevole numero di copie, costituisce per il potere un pericolo diretto e immediato di diffusione di un pensiero reputato per vari motivi “da censurare”. Nel momento in cui un potere “forte” vuole insediarsi fermamente, quando un credo religioso non ammette che si diffondano critiche ai propri dogmi né che possibili idee devianti si insinuino nel pensiero popolare, prende corpo la censura nelle sue forme tradizionali, tra le quali gli indici dei libri proibiti sono un triste “classico”. Il primo indice italiano, con 150 divieti, di cui 50 colpivano l’intera produzione di un autore, risale al 1549. Infelise parte proprio da questo primo elenco per realizzare una vera storia degli indici e delle forme di censura e per arrivare (attraverso l’analisi del mercato clandestino e delle prime forme di tolleranza) alla libertà di stampa. Dall’indice tridentino a quello clementino, culmine dell’attività di ingerenza della Chiesa di Roma, si sviluppa un’analisi molto interessante di una delle forme di repressione più radicata e dura a morire se, ancora “negli anni cinquanta di questo secolo si poteva leggere in una Enciclica apologetica della religione cattolica (1953) che alle accuse laiche contro l’indice occorreva rispondere che la libertà ha bisogno di essere illuminata, aiutata, protetta e che la Chiesa nella sua missione doveva essere considerata come la madre che restringe la libertà del bambino, per porlo al riparo da ogni pericolo”. 26 allora si crea un vero e proprio prodotto culturale del gruppo oppresso che viene nascosto al potere e nutrito in quei luoghi dove è possibile essere liberi. Scott cita ad esempio la cultura europea attorno alle birrerie, ai pub, alle taverne e alle osterie o agli spacci di alcolici che erano visti dalle autorità secolari ed ecclesiastiche come luoghi di sovversione. “Qui le classi subordinate si riunivano fuori scena e fuori ambito lavorativo, in una atmosfera di libertà incoraggiata dall’alcol. Erano anche un luogo privilegiato per la trasmissione di una cultura popolare fatta di battute, canzoni, scommesse, bestemmie e disordine, generalmente antitetica alla cultura ufficiale. L’importanza della taverna o del suo equivalente come luogo di discorso anti-egemonico non sta tanto nel consumo di alcolici o nel suo relativo isolamento dalla sorveglianza, quanto nel fatto che era il principale punto di riferimento per le riunioni non autorizzate di ceti bassi e operai” (James C. Scott, Il dominio e l’arte della resistenza, Milano, Eleuthera 2006, p. 163). I subordinati mettono in azione diverse modalità per tenere segreto quel verbale e per comunicare solo tra di loro: tutte le diverse tecniche sviluppate per coprire la propria identità, ma per criticare apertamente, minacciare e contestare sono osservabili in ogni società dove è presente l’esercizio di un potere censorio e di controllo. Le pratiche più significative possono essere: la possessione spiritica, la maldicenza, i riti magici, il pettegolezzo, le minacce e le lettere anonime, le sfide anonime di massa. Quest’arte del travestimento politico serve ai subordinati per trasmettere il proprio messaggio di opposizione, cercando di rimanere nella legalità. Nelle società pre-industriali la possessione è un valido metodo per dire la verità e opporsi da parte di gruppi emarginati (donne principalmente, o clan maschili oppressi). Mentre è posseduto, il soggetto può parlare liberamente e viene trattato con indulgenza, perché si trova in uno stato di trance che non dipende dalla propria razionalità. I diversi riti dionisiaci, i rituali di ubriacatura, le stesse manifestazioni di isteria (di freudiano interesse) hanno come elemento accomunante proprio l’espressione libera della insoddisfazione, anche se non sempre cosciente (un interessante studio a tal proposito è quello di Ioan Murddin Lewis, Ecstatic religion, an anthropological study of spirit possession and shamanism, Hammondsworth, Penguin, 1971). La maldicenza è un’altra strategia molto impiegata: in Malesia per indicarla si usa l’espressione khabar angin, ossia notizia del vento che chiaramente evidenzia l’anonimato della fonte. In Andalusia invece la pratica è utilizzata per consolidare il fronte comune contro lo Stato e i ricchi proprietari terrieri. La maldicenza, poi, anticipa l’accusa di stregoneria: le parole cattive si trasformano in azioni cattive e aggressive (il malocchio, i rituali magici per portare sventura, le maledizioni). In Africa, in molte zone dove si pratica ancora la magia, gli antropologi hanno riportato moltissime osservazioni, e spesso questo rituale si divide in due: da un lato gli stregoni e i guaritori che praticano una magia che aiuta e dall’altro streghe che invece agiscono con malignità. La stregoneria diviene anche un’accusa per eliminare politicamente determinati avversari, o per togliere potere o addirittura per distruggere la vita di specifici soggetti. A tal proposito risulta estremamente emblematico il caso riportato da Alice Bellagamba, antropologa africanista: “Nel 1988 Mr. Msovela era un curatore piuttosto rinomato. Abitava da diversi anni a Lupalamwa, un villaggio a una quarantina di chilometri da Iringa. Aveva una grande abitazione circondata da campi coltivati. C’erano stanze per accogliere i pazienti e le loro famiglie. Appena fuori, all’ombra degli alberi, il luogo dove divinava era ben protetto, grazie a tutta una serie di medicine, dagli attacchi degli stregoni. Nel 1990 la sua situazione personale era radicalmente cambiata. Stava per essere espulso dal villaggio, pubblicamente accusato di rapimento. Un ragazzino di 10 anni, scomparso mesi prima da un vicino villaggio, tanto da indurre la famiglia a ritenerlo morto, era tornato a casa in stato confusionale, senza riuscire a dire dove era stato né cosa avesse fatto. Genitori e parenti avevano chiamato a dirimere la questione un curatore particolarmente stimato per le sue capacità di individuare la stregoneria. Gli spiriti ancestrali gli avevano rivelato che il ragazzino era stato in quei mesi schiavo di Mr. Msovela, il quale ne aveva incatenato la volontà ricorrendo all’uso di medicine malefiche. Alcune persone testimoniarono davanti al consiglio del villaggio di avere effettivamente visto il ragazzino nell’abitazione del curatore. I familiari di un altro giovane, seppellito pochi mesi prima, immediatamente si fecero avanti sostenendo che il loro congiunto era solo apparentemente morto, ma che in realtà era anch’egli trattenuto in schiavitù. Mr. Msovela, protestando la propria innocenza, e rischiando il linciaggio, chiese alle autorità il permesso di trasferirsi altrove, chiudendo, così almeno temporaneamente la vicenda. Progressivamente aveva creato intorno a sé una rete di rapporti difficili. L’accusa di stregoneria può trasformarsi in uno strumento per livellare le differenze all’interno del gruppo”, Antropologia del rito: interpretazioni e spiegazioni, a cura di Pietro Scarduelli, Torino, Bollati Boringhieri 2000, pp. 135-136). La censura, inoltre, spinge all’utilizzo di eufemismi e di mugugni: i primi sono presenti nei racconti popolari e nella dimensione folklorica dei gruppi subordinati e permettono di svicolare la censura e non incappare in atti sanzionatori. I secondi 27 sono una vera e propria forma di protesta, ma velata. Tutte le forme di espressione della cultura collettiva dei subordinati sono architettate in modo da eludere la censura del potere ufficiale, ma permettono di trasmettere idee comuni: canzoni, danze, storie, testi, rituali, invenzioni di personaggi trickster (il trickster è una figura leggendaria solitamente bagaglio culturale delle società di servi, contadini o schiavi, che compie in modo quasi soprannaturale delle burle colossali al potere: grazie alla sua astuzia riesce a superare le prove cui i nemici lo sottopongono per sopraffarlo o addirittura mangiarlo. Uno tra i più leggendari è Brer Rabbit degli schiavi neri nordamericani) vengono adottati per significare l’altra storia, raccontata solo a chi deve conoscerla. Nelle Filippine, ad esempio, la tradizionale rappresentazione della passione del Cristo viene usata per criticare la cultura dominante: i filippini hanno dato a questo evento un significato diverso rispetto a quello ufficiale dei loro “padroni” coloniali cattolici (la descrizione di questo rituale e del suo doppio significato è presente nel testo di Reynaldo Clemena Ileto, Payson and revolution popular movements in the Philippines, 1840-1910, Manila, Ateneo de Manila University Press 1979). 28 Il carnevale e determinate feste sono state il modo più semplice per permettersi una temporanea deroga dall’azione di censura: fuori dall’ordinario e capaci di sovvertire momentaneamente l’ordine sociale e di rendere ufficiale la risata, questi eventi sono tollerati dalla società e dal potere ufficiale. Interessante è ricordare che in Spagna una delle prime leggi promulgate dal governo del generale Franco fu di mettere fuori legge il carnevale e ogni tipo di travestimento. Possiamo notare che il verbale segreto può essere visto come una censura all’opposto: i veri sentimenti vengono autocensurati dai soggetti e vengono controllati all’interno dello stesso gruppo di subordinati. Anche all’interno di questo ambiente esistono regole di potere, a volte molto simili a quelle esercitate nella società allargata di cui fanno parte. Accade un’autocensura soggettiva e una censura determinata dalle regole del gruppo per tenere celato il verbale segreto agli occhi e alle orecchie dei dominanti. C’è un proverbio giamaicano che ben riassume come il verbale segreto sia la modalità di mascheramento adottata più utile e la forma di dissimulazione più facilmente adottabile per sopravvivere: “Fa lo scemo, per mantenerti saggio!”. “25 novembre [1942]. Ho preso ria deve condurci più avanti…; possesso del tavolo nel coLa buona Vittoria…; Quando stituendo ufficio censura del anche voi sentirete che la vittocorpo d’armata alpino: siamo in ria ci ha seguito”. un altro settore di Rossosch, in Ma facciamo un passo indietro. un edificio scolastico piuttosto La trafila che doveva seguire la di Quinto Antonelli moderno, ma grigio, scalcinato corrispondenza una volta imbue freddo oltre ogni dire, fra la cata nella cassetta del comando zona ospedaliera e la stazione di compagnia, era piuttosto ferroviaria. […] Nel nuovo uffilunga e non priva di incognite: cio pare di essere in una cella frigorifera. Il capo è doveva giungere al comando di reggimento dove un tenente colonnello che subito mi istruisce e mi dà veniva smistata, quindi essere portata (generalmente gli attrezzi di lavoro: forbici, inchiostro, penna, colla in motocicletta) al concentramento di posta militare, e due o tre timbri e fascette con ‘verificato per cen- da qui doveva essere inviata per ferrovia o per mare sura’ e numeri di riconoscimento. Bella solfa anche verso la destinazione. Ma contemporaneamente doquesta, proprio contraria al mio spirito. Speriamo veva passare e sostare negli uffici di censura istituiti presso le grandi unità mobilitate (come quella, ad che duri poco. […] 26 novembre. Questo nuovo mestiere di censore esempio, dove operava Cereghini) oppure, come non è poi meno interessante di tanti altri. Ricordo più frequentemente accadeva, in quelli organizzati che me la sono presa anch’io tante volte con le ri- dalle commissioni provinciali in patria (Loris Rizzi, Lo ghe nere poste sugli scritti dalla zia Anastasia, come sguardo del potere: la censura militare in Italia nella si chiama nel gergo. Per conto mio, non ci sarebbe seconda guerra mondiale 1940-45, Milano, Rizzoli bisogno di cancellare mai niente. Se mai, vien voglia 1984, pp. 14-20. Cfr. anche Aurelio Lepre, L’occhio del Duce: gli italiani e la censura di guerra 1940di sottolineare”. Chi scrive è Mario Cereghini (Lecco, 1903-Madesimo 1943, Milano, Mondadori 1992; Amedeo Cignitti e di Sondrio, 1966), già architetto di fama che stava Paolo Momigliano Levi, La censura postale di guerra giusto progettando l’ambiziosa “Acropoli alpina” in Valle d’Aosta 1940-1945, Aosta, Istituto storico da collocare sul Doss Trento. Arruolato negli apini, della Resistenza in Valle d’Aosta 1987; Giuseppe nell’autunno del 1942 lo ritroviamo sulle sponde del Pardini, Sotto l’inchiostro nero: fascismo, guerra e censura postale in Lucchesia (1940-1944), MonteDon in qualità di censore. Nel diario, che pubblicherà dieci anni più tardi, si spertoli (Fi), Istituto storico della Resistenza e dell’età rappresenta più interessato a cogliere qualche inge- contemporanea in provincia di Lucca 2001). Stesso nua espressione dell’anima alpina, che a lui sembra percorso, all’incontrario, seguiva la corrispondenza scaturire da “cuori limpidi come il cristallo, semplici che dall’Italia si indirizzava verso i vari fronti. Sul giorcome le conche smeraldine dei vostri pascoli, forti naletto “di trincea” dell’ottava armata Fronte russo, come le rupi dei nostri paesi”. Ma non può fare a un anomimo redattore descrive il percorso della pomeno di annotare, nella ripetizione delle parole d’or- sta indirizzata al fronte: “imbucate all’ufficio di posta di un comunello. Raccolte dine del regime, la fiducia in pacchi – detti dispacci delle truppe nella vittoria – convogliate ai capoluofinale: “Per i soldati poi ghi di Provincia e di là, la vittoria è qualche cosa dopo verifica, agli uffici di sostanziale: a decine di concentramento P. M. e decine essi ne parlano d’Armata, passate quindi come di una cosa reale, agli uffici di unità minore, palpabile. Ti par di vederla smistate e spedite ai regquesta bella donna con gimenti, ai battaglioni alle una stella in fronte che compagnie… Il lavoro li guida verso la meta ranon ha sosta. Nella giordiosa. Certamente la loro nata stessa le lettere in fantasia ricalca i luoghi arrivo sono avviate in saccomuni delle illustrazioni chi sigillati, distinti da carda copertina di quaderno tellini con la destinazione. scolastico o dei foglietti Aerei, treni, autocarri e, di propaganda: “Finché per le località collegate da Dio ci darà per noi questa via marittima, piroscafi e cara Vittoria…; La Vittoria perfino sommergibili reci condurrà fino al cuore di cano la corrispondenza queste steppe…; La Vitto- La censura militare sul fronte russo (1941-1943) 29 dagli uffici di grande unità a quelli di unità minore, fino ai minori comandi; fino a noi, per mano del postino che arriva impolverato, col prezioso pacchetto, all’ora del rancio”. In media ciascun censore esaminava giornalmente 150-200 lettere. Cereghini è più alacre; scrive il 27 novembre: “Mi sono subito abituato a leggere centinaia di lettere e cartoline al giorno. Ritiro anche la parte delle quote spettanti al tenente colonnello e al capitano. Mi sembrano molto lenti, mentre a me avanzano persino due ore per continuare l’istruzione della squadra guerrieri”. Forse Cereghini non aveva preso sul serio il manuale del perfetto censore che raccomandava di “non leggere come farebbe un estraneo: cercare di immedesimarsi in chi scrive. Cercare di comprendere ogni parola. […] Se a prima vista la lettera potesse apparire strana, esaminare con cura e con calma. Ricordarsi sempre che la qualità del lavoro di censore è molto più importante della quantità. Molti indizi possono rivelare una lettera illecita”. Le frasi riconosciute pericolose per la difesa del segreto militare (notizie sul dislocamento della truppa), e quelle dannose per lo spirito dell’esercito e del paese (espressioni di disfattismo e di malcontento, lamentele per il rincaro della vita, frasi relative a rapporti intimi) erano cancellate dai censori con un inchiostro indelebile. La lettera veniva poi richiusa con la fascetta Verificato per censura e quindi timbrata con il bollo convenzionale della commissione e con il numero personale del censore che aveva compiuto l’esame. Oltre alle funzioni repressive, il servizio censura doveva rilevare e registrare il morale delle truppe, i motivi di malcontento e di insofferenza come le espressioni di consenso e di adesione ideologica. Le commissioni provinciali di censura avevano quindi il compito di inviare settimanalmente una relazione 30 al Ministero dell’interno con i passi più significativi delle lettere esaminate. Il piccolo fondo Censura Mantova (1941-1943), conservato presso l’archivio della Fondazione Museo storico del Trentino ci sembra, a questo punto, straordinariamente rappresentativo dell’operosità degli organi di censura e, nel contempo, dei motivi ricorrenti nella corrispondenza di guerra. Il fondo (cfr. scheda a p. 32) è costituito dalle relazioni settimanali che l’Ufficio Censura di Mantova inviava alla Prefettura (dal 1941 al 1943), da stralci di lettere dattiloscritti (circa 5.000) e da circa 250 cartoline spedite dai vari fronti, che prelevate per controllo dall’Ufficio Censura, non giunsero mai a destinazione. Che cosa scrivevano, dunque, i soldati dal fronte? Una rapida incursione tra gli “stralci di corrispondenze provenienti dallo C.S.I.R” nella primavera del 1942, permette già un primo inventario di espressioni, di motivi, di atteggiamenti. Il Corpo di spedizione italiano in Russia aveva lasciato l’Italia il 10 luglio dell’anno precedente. In agosto era passato alle dirette dipendenze del Gruppo corazzato von Kleist (poi prima Armata corazzata), con il quale aveva operato per circa dieci mesi soprattutto nel bacino minerario del Donez. In primavera il morale delle truppe sembrava alto e poi in Italia si profilava l’invio di una nuova spedizione militare. “La guerra in Rusia – scrive un fante dell’80° – è una guerra magnifica perché cuando i russi ci vedono scappano”. “A volte attaccano in masse disarmate e la maggior parte disarmati e si fanno delle vere carneficine. Crepano con uno stoicismo non comune” (ten. Montanarini). “Carlo immaginati che quando vedono noi bersaglieri la danno a gambe senza sparare e non si fermano più” (bers. Dozzani Giuseppe). La guerra totale scatenata contro un nemico considerato inferiore e disumano sembra sopprimere ogni remora morale. Scrive il fante Adamo Bignotti alla moglie: “Se vedessi davanti alla nostra linea quanti bolscevichi morti e che non puoi mai credere sono come tanti mucchi di sassi per terra, ma la nostra divertimento e quando si sente le nostre care mitragliatrici a cantare non puoi mai credere che soddisfazione è a vedere a cadere per terra quella malvagia di gente russa”. Certo non tutti sono brutalizzati dalla propaganda. La stanchezza, l’acuta nostalgia per la casa e la vita familiare, la speranza per una rapida fine, a volte, si impongono con forza e con realismo. Scrive Cesare Culatina alla moglie: “Siamo diventati come i vecchi di 80 anni e siamo sotto le intemperie di neve e la pioggia delle artiglierie e mortai e mitragliatrici. Qui siamo sicuri come essere in una barca buca in mezzo al mare, puoi immaginare”. La scoperta della realtà della guerra irrompe, in tutta la sua verità (censurabile e censurata) nella lettera affaticata di Armando Bolloni: “Io in Russia sono ormai già stanco di questa brutta vitacia la guerra sono bruta io non credevo che la guera era bruta e adesso credo molto, Maria io ò passato dei bruti momenti sono stato in mezzo al fuoco e poi ho patito molto freddo che cera i miei compagni sia gelato i piedi poi le mani il naso Maria il tuo cognato è rimasto ferito e adesso sono a casa in convalescenza è stato fortunato è stata una ferita di furbo è stata sua fortuna dessere stato ferito Maria sono due volte che ti scrivo sarà andata persa la mia cartolina non fa niente riverà Maria oramai sono già stanco di questa Russia”. Ma il peggio (la disfatta militare e il tragico ripiegamento) doveva ancora arrivare. Giungerà all’improvviso come un’amara sorpresa. L’artigliere Lelio Barazzari, confermando la fama dell’italiano “buono” (una bontà tutta paternalista e coloniale beninteso) il 6 gennaio 1943 avrà appena il tempo di scrivere a casa quanto stia bene: “Nella casa di russi in cui mi trovo sono molto buoni e ci trattano come figli, questa famiglia è composta tutta di donne da vent’anni una di sessantacinque e questa è la nostra mamma infine una che ha già sorpassato i cento anni, vi sono anche due bambine piccole che sono il nostro divertimento, però dovresti vedere come questo popolo è indietro di civiltà, sai quale il suo pasto? Patate e frumento cotto e nient’altro fanno anche il pane ma rimane molto nero e crudo però se abbiamo la fortuna di rimanere qualche tempo gli faremo imparare così che vedranno come vivono gli Italiani. Ieri sera gli ho dato un poco del mio rancio (minestrone di tubi) e dovresti aver visto come lo mangiavano di gusto, non che non abbiano niente, anzi hanno tutto, patate, frumento, galline, maiali, insomma tutto, ma non li sanno sfruttare ed appunto ora stiamo facendogli imparare a cucinare all’Italiana”. Un cretino di censore Il capitano Luigi Guerrieri Gonzaga (artiglieria a cavallo) scrive apparentemente alla moglie insultando il censore che ha “sporcacciato” la sua lettera. In realtà è un messaggio (minaccioso) indirizzato all’Ufficio di censura, che infatti recepisce, trattiene e segnala alle autorità superiori per i provvedimenti del caso. “8 aprile 1942/XX Mi secca molto che un cretino di censore abbia sporcacciato tutta una mia lettera per te; deve essere un gran fesso quel tale e gli farebbe bene un po’ di Russia vorrei ritrovarlo quando rientreremo in Patria. Io sono sicuro di quanto scrivo; non metto mai nulla che possa anche lontanamente servire di indicazione o comunque essere ‘pericoloso’. Ma non mi stupisce: quando il censore dimostra di essere tanto cretino – fesso e deficiente da cancellare ‘Bacino del Donez’ quando tutti i giornali italiani la radio – i comunicati ufficiali e i bollettini parlano sempre delle truppe italiane nel Bacino del Donez e tutti i bambini dell’Asilo sanno che il C.S.I.R. opera nel Bacino del Donez e non in Finlandia non ci vuole che uno stupido ignorante censore o una carogna per cancellare ciò. Spero che questa mia la legga proprio quel tale disgraziato ignorante maligno sciagurato fesso e spero avere occasione un giorno di conoscerlo: sono di quella categoria di eroi-domestici che dicono frasi rimbombanti nei caffè e ti scrivono ‘Vincere’ su ogni pezzo di carta e fanno finta di fare la guerra tragicamente in Patria. Quanto farebbe loro bene un po’ di Russia sia di quella di dicembre e gennaio scorsi – con contorno di Russi in proporzione di 4 contro uno … Basta mi sono sfogato abbastanza… per ora…”. 31 Con Regio Decreto 8 luglio ra, dispersi o smobilitati dopo 1938 n. 1415 il Regime fascista l’8 settembre 1943, ripresero aveva previsto che durante lo a funzionare nell’inverno del stato di guerra la corrispon1943/1944. Le commissioni denza postale e le comunicafunzionarono fino al 1945. zioni telegrafiche, telefoniche Nel 1961 l’allora Museo del e radioelettriche fossero sotRisorgimento e della lotta per di Caterina Tomasi toposte a controllo censorio. la libertà acquistò da Mario CeA questo provvedimento seola il fondo della Commissione guirono i Regi Decreti n. 2247 provinciale di censura di guere 2248 del 12 ottobre 1939, ra di Mantova (n. di inventario entrati in vigore il 15 giugno attribuito: 10086). Ceola fu as1940. I due dispositivi stabilisegnato a quell’ufficio – come vano che agli ufficiali militari incaricati della cen- addetto militare – dal 1942 fino al 5 settembre 1943 sura si aggiungessero le Commissioni provinciali e alla fine di quel periodo ne trattenne alcune carte di censura postale (poi Commissioni provinciali di che adesso sono conservate presso la Fondazione guerra), dipendenti dai Prefetti e aventi sede pres- Museo storico del Trentino. so le Direzioni provinciali delle poste e dei telegrafi. La documentazione è relativa al periodo 1940L’8 luglio 1940 il Ministero dell’interno stabiliva l’ac- 1943, con documenti dal 1939, occupa due buste centramento di tutte le operazioni di censura della (14 fascicoli), e comprende: relazioni settimanali e corrispondenza sia quindicinali, lettere, civile che militare biglietti e cartoline presso le Commiscensurate dall’uffisioni provinciali e cio, quaderni con la contemporanea stralci di lettere soppressione degli censurate, stralci Uffici militari di cendi corrispondenza sura. Le commissiosoprattutto del Corni controllavano la po di spedizione corrispondenza da italiano in Russia o per militari (con(CSIR) e dell’Armatrollo totale), la corta italiana in Russia rispondenza civile (ARMIR), fotografie (controllo parziale), sequestrate, oputelegrammi e coscoli vari, giornali di municazioni telefotrincea (Dovunque, niche (controllo toFronte russo, La tale). Le commissiotradotta, Tradotta ni erano presiedute libica, La tradotta da un funzionario del fronte Giulio), civile della pubblica norme, mappe e amministrazione, da schizzi della difesa circa trenta ufficiali contraerea. L’archidi complemento e vio è stato dichiarada circa quindici to di notevole intecensori civili (iscritti resse storico locale al Partito nazionale secondo la legge fascista). Le comprovinciale del 14 missioni inviavano febbraio 1992, n. ogni settimana una 11, art. 18, con derelazione alla Queliberazione della stura e un’altra, ogni Giunta provinciale quindici giorni, al Midi Trento, 22 ottonistero della guerra. bre 1993, n. 14971. Gli organi di censu- La Commissione provinciale di censura di guerra di Mantova e il suo archivio 32 È interessante prendere in fauna umana attraverso la mano un libro che Vitaliano quale “qualcosa passò”, grazie un saggio di Brancati nell’aprile 1952 puba quest’ultima categoria, una blicò con Laterza, dedicandolo sorta di contraltare, di voce Vitaliano Brancati in gran parte al copione della dissonante rispetto persino al commedia in tre atti “La gover“tetro fanatico” dal “cervello di Stefano Chemelli nante”, appena respinta dall’Ufnotturno”, l’uomo che impersoficio censura teatrale il 18 gennificava l’ultima parola, a volte naio 1952; testo preceduto dal incapace di cogliere l’allegoria saggio “Ritorno alla censura”, avversa al regime. scritto nel marzo dello stesso Con involontarie eccezioni, anno e che dà il titolo al volume. prepotenze e stupidità ebbero Brancati dichiarava senza reil sopravvento, e non pare acmore il proprio fervore affinché le libertà di pensiero cessorio stilare un resoconto visivo delle malefatte, e di espressione non fossero immolate sull’altare del letterarie e non, nella viva voce di uno stile censorio benessere ostentato dai “possidenti”, i ricchi, coloro che può avvertire anche il presente, tenendo accesa che sarebbero stati disposti a qualsiasi mercimonio un’attenzione che osservi l’orizzonte scrutando l’avvipur di non disperdere i propri averi. Qui risiedeva saglia della prevaricazione gratuita. il vallo incolmabile con il ceto intellettuale, con gli Dagli atti ufficiali Flora-Matteini: scrittori soprattutto, – proseguiva Brancati – scan- 2 marzo 1935: sarà pubblicato il nuovo romanzo di dendo a chiare lettere che la classe dirigente – “l’Ita- Moravia. Quando la pubblicazione avverrà è opporlia possidente” – non aveva a cuore la cultura proprio tuno occuparsene con intelligente misura. Non è perché la cultura nel profondo coltivava le libertà di certo opportuno farlo così estesamente come stasera pensiero e di espressione: essa perdeva le sue pre- il Giornale d’Italia. rogative nel momento in cui venivano depotenziati 25 marzo 1935: non occuparsi del Diario di guerra di i margini di libertà. Diventava stridente il contrasto Bissolati. a contatto con l’amplificata azione dell’ignoranza e 18 giugno 1936: per la morte di Massimo Gorki nesdella rozzezza italiana sotto il fascismo, con l’istitu- sun articolo, nessun commento, nessun accenno zione presso il Ministero biografico. Pubblicare della Cultura popolare la notizia senza alcun ri– dizione nobile ma non lievo. praticata – della cultura 23 marzo 1938: non pubdel “buio”: la censura blicare più lettere intime come impedimento e di Gabriele d’Annunzio. proibizione. “Piccoli 25 luglio 1938: non ocambiziosi”, “funzionari cuparsi dell’Antologia scettici”, “aspiranti alla dei Poeti milanesi conpoesia”, “qualche brava temporanei a cura di S. persona” (Brancati riPagani, ed. Ceschina. corda in nota “il primo 31 ottobre 1938: non censore, un prefetto occuparsi di eventuali del tempo giolittiano, è candidature di scrittori e ancora ricordato per la uomini italiani per il presua discrezione. I primi mio Nobel, anche se le tempi di una dittatura proposte sono fatte da che succeda alla degiornali stranieri. mocrazia sono migliori 19 dicembre 1939: dei primi tempi di una i giornali italiani si astendemocrazia che sucgano di parlare della ceda a una dittatura: Storia della letteratura perché i componenti italiana del De Sanctis di una società nuova nella edizione pubblicata appartengono in gran in questi giorni da Hoeparte all’antica”) copli, fino a che non esca stituivano la variegata la seconda edizione. 1952, ritorno alla censura 33 Febbraio 1941: si ricorda il divieto di occuparsi di Annie Vivanti. 13 febbraio 1941: non occuparsi di Moravia e delle sue pubblicazioni. 18 settembre 1941: è superfluo recensire il Diario di Cavour di recente pubblicazione. 22 settembre 1941: i quotidiani, i periodici e le riviste non devono più occuparsi in modo assoluto del dialetto. 5 novembre 1941: non occuparsi del libro di Giovanni Comisso Avventurieri e spie veneziani del settecento. 30 dicembre 1941: non occuparsi del libro di Luigi Salvatorelli Vent’anni fra due guerre. 6 gennaio 1942: non riprendere dalla Nuova Antologia, Lettere a Lidia di Carducci. 3 febbraio 1942: tener presente che la collaborazione letteraria di Luigi Bartolini non è gradita. 21 febbraio 1942: morte di Annie Vivanti: astenersi da notizie e necrologi. 5 agosto 1942: non dare alcun rilievo alla notizia della morte di Guglielmo Ferrero. 29 agosto 1942: non occuparsi del libro di Luigi Russo: La critica letteraria contemporanea, edito da Laterza. 2 settembre 1942: non occuparsi del teatro vernacolo. Questa disposizione ha carattere tassativo e permanente. 21 aprile 1943: morte di Roberto Bracco: pubblicare la notizia e solo sette od otto righe di commento biografico. Giugno 1943: non occuparsi di produzioni dialettali e dialetti in Italia, sopravvivenze del passato che la dottrina morale e politica del Fascismo tende decisamente a superare. Il Messaggero del 20 corrente ha pubblicato un’inserzione tra i Matrimoniali che suona così: “Professore ventinovenne distintissimo, occhi bellissimi, sentimentale, sposerebbe dotata carina anche provinciale disposta aiutarlo consolidargli posizione”. Le espressioni “occhi bellissimi” ecc. sono eccessive e bisogna evitarle. 9 luglio 1943: la ditta Spagnoli di Perugia, produttrice di lana di coniglio Angora, ha fatto pubblicare sui giornali una réclame nella quale è detto che “La lana di coniglio è la lana degl’italiani”. Superfluo rilevare il sarcasmo che tale infelice inserzione ha sollevato. Provvedere d’urgenza perché tale infelicissima réclame non sia assolutamente più pubblicata dai giornali. 26 dicembre 1936: non interessarsi mai di qualsiasi cosa riguardi Einstein. 12 marzo 1938: si conferma la disposizione di non occuparsi di Greta Garbo. 1° marzo 1941: è fatto divieto di pubblicare fotografie, 34 articoli e notizie riguardanti i seguenti attori stranieri: Charlie Chaplin, Eric von Stronheim, Bette Davis, Douglas Fairbanks junior, Myrna Loy, Fred Astaire e la Casa cinematografica Metro Goldwyn Mayer. 28 settembre 1942: qualche giornale ha pubblicato qualche trafiletto sull’antibolscevismo di Greta Garbo. Va bene. Ma dato che Greta Garbo non è soltanto antibolscevica, ma antitotalitaria e quindi si potrebbe avere una presa di posizione da parte dell’interessata, è inutile insistere su questo argomento. 17 agosto 1940: ignorare il mitragliamento dei cacciatorpediniere greci. 18 agosto: ignorare il discorso di Wilkie e quello alla radio di Cooper. 20 agosto: ignorare il discorso di Bullit. 8 ottobre: ignorare le voci circa l’entrata in guerra degli Stati Uniti. 17 ottobre: ignorare la pellicola propagandista dell’ebreo Chaplin. 18 ottobre: ignorare i cinque discorsi programmatici di Roosevelt. Ignorare il passaggio di Eden da Malta ed ignorare l’articolo conciliante del ‘Vreme’. 6 novembre: ignorare il discorso di Halifax. 22 febbraio 1941: ignorare le dichiarazioni dell’ex primo ministro olandese de Geer. 22 maggio: ignorare i discorsi di Eden e Menzies. 29 luglio: ignorare le dichiarazioni di Churchill e di Eden alla Camera dei Comuni. 3 agosto: ignorare le dichiarazioni del presidente elvetico. 7 agosto: ignorare il discorso di Attlee. 22 settembre: ignorare il discorso di Pétain. 7 novembre: ignorare il discorso di Roosevelt al B.I.T. 12 novembre: ignorare l’iniziativa del governo cileno per l’umanizzazione della guerra in relazione con la fucilazione degli ostaggi. 13 novembre: ignorare l’ennesimo discorso di Roosevelt. Ignorare l’ex presidente del partito del Congresso Indiano Box. 18 dicembre: ignorare assolutamente l’articolo dell’ex ambasciatore Corbin sui suoi colloqui con Halifax. 1 marzo 1942: ignorare il discorso tenuto a Bristol dal ministro inglese dell’aria Sinclair. 18 giugno: ignorare il discorso tenuto da De Kallay dopo il suo viaggio in Transilvania. 11 luglio: ignorare la notizia secondo cui l’Argentina avrebbe sospeso le comunicazioni telefoniche e radiotelevisive con l’Asse e con il Giappone. 13 luglio: ignorare le mene dello Sforza in Brasile. 20 ottobre: ignorare l’anniversario della firma del Patto turco-anglo-francese. 29 dicembre: ignorare la notizia di un incontro che dovrebbe aver luogo fra Eden, Stalin e Molotoff. 1 aprile 1943: ignorare il discorso di Wallace. 19 aprile: ignorare l’insignificante discorso di Cripps. 15 maggio: ignorare il discorso di Churchill. Sono solo degli exempla che non contemplano il “non tener conto”, il “non pubblicare”, il “non far cenno”, il perentorio “è assolutamente vietato di riprendere”, le formule esplicative e assertive del buio allargano l’orizzonte della mancata visione. Di contro si esorta a pubblicare, a esaltare, a mettere in evidenza, nella luce dell’assoluta mediocrità ciò che nemmeno i più volenterosi avrebbero degnato di uno sguardo celebrativo. Eppure, caduto il regime, il Sottosegretariato per lo spettacolo e le informazioni presentava, a distanza di una manciata di anni, i medesimi organici, seppur sotto altro nome. La libertà dichiarata non corrispondeva pienamente alla libertà agita, la cultura libera avrebbe chiamato in campo la libertà di biblioteche poco frequentate, abbandonate o dimenticate persino nel privato di abitazioni agiate, in un Paese dove la formazione aveva a che fare con la vita schietta e nuda del quotidiano, lontano dai libri e dalle loro suggestioni, addirittura pericolose secondo una certa specola. Una classe dirigente che “anche del teatro diffida, perché dietro lo spettacolo teatrale c’è sempre un libro” – sentenzia Brancati – scommettendo a priori sul proprio intuito, sul genio del momento, nel carpe diem spesso grigio delle convenienze immediatamente esigibili. La cultura in Italia, nel migliore dei casi, è stata appena sopportata, solo in brevissimi frangenti ha goduto di quel raggio d’azione di piena liberalità coincidente a quel formidabile biennio di azione, reazione e riscatto aderente al 1945-1946, nello specchio di una società aperta al tempo di edificare spregiudicato, nel quale l’esercizio dell’”esame di coscienza” consentiva agli animi colti e intelligenti di giocare il ruolo di un’avanguardia di riferimento. In questo breve lasso di tempo emerge quanto di meglio il Paese potesse offrire – sostiene Brancati – nelle diverse espressioni dell’editoria e del giornalismo, del teatro e della politica, nell’impulso civile e vitale della ricostruzione fisica e mentale della nazione. Sarà una stagione disposta a distinguere le diverse responsabilità ma durerà troppo poco; si illanguidirà ben presto nel vago, in un’immagine mista e sfuocata capace di far rivivere ambiguità e ambivalenze, nostalgie e appartenenze, un contesto nel quale la censura ritrova la sua ragion d’essere guadagnando terreno a scapito della libertà: “Il libro in Italia è ancora libero; ma il cinema e il teatro sono già dentro il torchio. Una volta la settimana si riunisce una commissione di censura composta delle solite due o tre brave persone, che in Italia si vanno a ficcare dappertutto, e di un gran numero d’impiegati prelevati da dietro i paraventi dei vari Ministeri, nei corridoi oscuri ove l’inchino è più strisciante e il sorriso al capodivisione luminoso di pallore come la fiamma della candela davanti al quadro sacro” tratteggia beffardo Brancati l’atteggiamento degli italiani a fronte del nuovo potente di turno, incardinato nello “stabile Governo democristiano”. È mutata un’epoca ma i comportamenti riguadagnano gli stilemi della protervia e del servilismo, torna la proibizione dell’allusione, una sorta di filo sottile raccorda volontà gesuitica, azionismo cattolico, vecchi modi e costumi del ventennio azzarda lo scrittore siciliano, ed è la parola diretta del teatro a subire uno stillicidio di soprusi: nel 1950 Le uova dello struzzo di Roussin, un successo mondiale, viene proibito in Italia, Il germoglio del vecchio Feydeau ha voce soltanto a Milano, nel 1951 la censura colpisce Shakespeare con tagli al Falstaff dell’Enrico IV che non può pronunciare il nome della Madonna, saltano del tutto Nina di Roussin, Clérambard di Marcel Aymé, Girotondo di Arthur Schnitzler, Notturno di Gennaro Pistilli, L’imitazione di Cristo di Berto e Biancoli, La ca- 35 lunnia di Lilian Hellmann, Eloisa e Abelardo di Roger Vaillant, Madre Coraggio di Brecht; subisce una censura retroattiva dopo due anni di recite Un tram che si chiama desiderio. La Mandragola di Machiavelli, uno dei capolavori del teatro italiano, viene proibito. Sono solo degli esempi, ma bastano a descrivere un clima. Non è lontana dal vero la battuta che l’arte si fa anche vietandola, come sosteneva un bello spirito, ma il parallelo che corre è quello che accomuna l’Italia fascista del 1936 e l’Italia democristiana del 1952, l’impossibilità a quell’altezza temporale di tracciare critiche al regime o di posizionare trappole anticlericali, ed è singolare che la tensione censoria si accenda con maggior vigore in direzione del teatro ancor più negli anni cinquanta che nel famigerato ventennio, dove, non va mai dimenticato, si potevano cogliere straordinarie gemme in una rivista specializzata, Dramma, che farebbe impallidire per qualità e vitalità culturale rappresentata anche panorami odierni. La libertà di cui gode ancora il libro consente a Brancati di pubblicare nel 1952 il copione integrale de La governante non approvato dall’ufficio censura teatrale; una vicenda che insinua una corrispondenza d’amorosi sensi tra una governante e una cameriera, un rapporto irregolare lo definisce Brancati, ma in realtà ci si sofferma altresì sulla dimensione della calunnia nella sfaccettatura più ampia e dilatata del rapporto personale. La trama di fatto non si discosta da una conclusione politically correct, la peccatrice arriverà a sopprimere la propria vita, di qui la virulenta reazione dell’autore che accusa senza mezzi termini il partito democristiano di patire una vera ossessione perversa verso tutta la sfera sessuale. Ossessione che prevede un’alchimia singolare tra moralismo e morbosa libidine (icastico il possesso compulsivo a Villa Borghese di un monsignore capace di consumare in compagnia di tre prostitute “con la rapidità che avrebbe impiegato per pugnalarle”) elevata a omissione, a occultamento, minando anche qui dall’interno la libertà di espressione che si manifesta anche con una educazione sessuale matura e moderna tra i giovani. Poesia e letteratura devono poter liberamente trattare certi argomenti proprio con la motivazione aurea di non poter essere esse stesse violentate nel profondo, nella loro insopprimibile delicatezza, afferma Brancati con espressione di straordinaria efficacia e consapevolezza. “Quando l’amore falso per la Moralità coincide con l’odio vero per la Cultura, chi potrà battere il Paese, in cui avviene questa felice coincidenza, nella produzione di ‘strumenti censori’? E infatti i nostri censori sono i più perfetti mandatari dell’odio per la cultura. (In verità essi personalmente non la odiano né l’amano: l’efficacia, con cui eseguono il mandato di sicari ai danni della fantasia o del pensiero, è dovuta alla loro freddezza professionale)”. La “dittatura clericale” la chiamerà con la crudezza dell’esasperazione a fronte della censura preventiva che indirizza, devia, impedisce “il gusto, il pensiero e la fantasia”, una dittatura democristiana nel grottesco interrogativo di un movimento di popolo verso il futuribile papa-re da contrastare con l’estensione delle libertà, nel segno dei valori universali. Sembra ruggire Brancati nel tono quasi incredulo della resurrezione clericalista e la battuta fulminante della chiusa vede un Mussolini inedito con un sorriso ultraterreno quanto paradossale nel registrare una realtà del tutto imprevedibile. Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino Dizionario della censura nel cinema. Tutti i film tagliati dalle forbici del censore nella storia mondiale del grande schermo, di Jean-Luc Douin, a cura di Paolo Bignamini, Mimesis, 2010 Edizione italiana di un vero e proprio best-seller degli ultimi dieci anni in Francia. Come semplice lettura o come strumento di consultazione, questo dizionario, nel quale i casi di censura sono raccontati attraverso l’esperienza di attori, cineasti, film, nazioni, percorsi tematici, mostra la molteplicità di un fenomeno che mutila, taglia, cattura, sequestra, brucia, tiranneggia, uccide. Le voci vanno da titoli censurati come “Addio mia concubina” e “Assassini nati”, a cineasti come Bernardo Bertolucci e Pier Paolo Pasolini, passando per percorsi tematici come “Locandine” e “Pornografia” fino alle grandi cinematografie nazionali. Un percorso attraverso quella che è sempre apparsa inapellabilmente come l’ottusità della censura. 36 Le Muse imprigionate abortique inseriti in un mercato, in scono scriveva il poeta polacun tipo di industria che proco Stanisław Jerzy Lec nella prio per le sue caratteristiche sua opera più conosciuta, ha un enorme bisogno degli una lunga storia Pensieri spettinati. Se è vero aiuti governativi. Negli anni si che l’espressione artistica, è quindi diffuso il comune atdi Paola Bertoldi nelle sue varie forme, non può teggiamento di autocensura per la sua stessa definizione da parte dei vari soggetti che essere imbrigliata o costretta operano nel campo (produttoentro schemi predeterminati, ri, registi, sceneggiatori): per è anche vero che non è quasi mai esistita una pro- evitare di incorrere nella censura sul prodotto finiduzione artistica senza il parallelo intervento di un to, e consapevoli dell’importanza del credito pubbliapparato di controllo. co, si evitano a priori certe scelte. In pratica vengono La censura è il frutto di molti e complessi fattori: tolti, già in fase progettuale, tutti gli elementi che popaura, desiderio di potere, smania di notorietà, ne- trebbero poi venire tagliati. cessità di far rispettare le leggi, convinzione di dover Ci sono poi i casi di censura che vanno a colpire non fornire esemplari modelli di comportamento e così l’arte, ma l’artista nel suo privato, condannandone la via. Se diamo uno sguardo sul mondo dello spetta- “moralità controversa”. È successo nel 1963 a Mina, colo in Italia dal secondo dopoguerra ad oggi, vedia- “colpevole” di essere incinta di un uomo che non mo subito che negli anni cinquanta, il primo, costan- era suo marito: additata come peccatrice è stata isote motivo di censura è quello legato all’eros e alla lata dalla RAI per quasi due anni. Anche Nilla Pizzi sessualità. Si vigila con particolare attenzione sul les- subisce un periodo di ostracismo perché viveva sesico radiofonico con una lista davvero lunga di pa- parata dal marito. Ma il caso più eclatante è forse role proibite. Per fare qualche esempio, sono vieta- quello di Umberto Bindi, considerato oggi uno dei te le parole adulterato (ricorda l’adulterio), letto, ma maggiori musicisti della scena italiana, che si trova anche amante (non si può nemmeno dire amante tutte le porte sbarrate per via della sua dichiarata del bello o amante del vino). Ci sono poi altre parole omosessualità. Già nel 1961, quando arriva sul palco proibite, anche se spesso si fatica a capire dove sia dell’Ariston, la stampa non considera minimamenil problema di termini come ascella, parto, sudore, te la sua canzone ma si concentra sul suo abbigliaintestino, tutti sulla lista nera. Lo stesso succede pa- mento e sulla sua vita sentimentale. Questo tipo di rallelamente al cinema dove l’influenza cattolica crea censura arriva fino ai giorni nostri, come dimostra il problemi a moltissime pellicocaso di Morgan che nel 2010 le accusate di oscenità, offesa viene escluso da Sanremo per al comune senso del pudore via di una sua intervista rilae via dicendo. Naturalmente, sciata al mensile Max. L’artista quest’operazione “moralizzaaveva dichiarato di fare uso di trice” può avere effetti signicocaina come antidepressivo ficativi perché si può avvalere e questo venne ritenuto inacdella leva economica. Grazie a cettabile dagli organizzatori una politica di incentivi e aiuti del festival. È difficile elencare messa in campo dalla Demotutti i motivi che hanno messo crazia cristiana, le sale parrocin moto il meccanismo censochiali conoscono una crescita rio: dopo l’accanimento verso rapidissima e già nel 1953 raple tematiche a sfondo sessuapresentano un terzo dell’intero le, sono stati incriminati i film circuito nazionale: un fatto che considerati troppo violenti, condiziona necessariamente le canzoni che peccavano l’industria cinematografica. Il di turpiloquio, i riferimenti a potere economico, al di là deldroghe o sostanze stupefacenti, le opere che in generale forze cattoliche, è chiarale “offendevano” la religione. mente un aspetto chiave per Uno degli artisti più colpiti è leggere il fenomeno della censenz’altro Fabrizio De Andrè sura: film, canzoni, spettacocui viene chiesto in continuali sono prodotti culturali, opezione di modificare i testi delle re dell’ingegno, ma comun- Censura e spettacolo in Italia 37 sue canzoni. Carlo Martello torna dalla battaglia di Poitiers gli procura addirittura una denuncia per oltraggio alla monarchia, alla cristianità e al comune senso del pudore. Un altro grande tema oggetto, per forza di cose, di grande attenzione da parte del censore, è la politica: vengono censurati molti versi di canzoni dove si ironizza o critica un partito piuttosto che un personaggio politico. Una cosa comunque è certa: la censura non rispecchia i gusti del pubblico e gli artisti più censurati sono stati i più seguiti e amati. Questo è in fondo un logico corollario delle motivazioni che muovono i censori: paura del cambiamento, tentativo di non modificare gli equilibri, il potere nelle sue varie espressioni. Come riassume Mino Argentieri nel suo testo La censura nel cinema italiano: “in ultima analisi, è contro una nuova concezione del mondo che si alzano i muri; è contro una nuova morale che si alzano le barriere; è contro l’abbattimento delle divisioni di classe che si alzano gli scudi, è contro una reale democrazia che censori, magistrati e moralisti, reazionari di ogni risma congiurano…”. Se in parecchi casi la censura è giustificata (nel caso della pornografia o della trasmissione di film in prima serata televisiva), in altri casi è curioso e interessante capire dove stiano i motivi del presunto scandalo. È il caso di quelle opere che vengono incriminate perché troppo rivoluzionarie, perché portatrici di una carica innovativa considerata pericolosa dai censori. Un esempio su tutti è La dolce vita di Federico Fellini, un capolavoro indiscusso del cinema italiano, che ebbe parecchi problemi quando uscì nel 1960. La prima proiezione venne interrotta da urla rabbiose di alcuni spettatori e uno di loro sputò in faccia al regista all’uscita. Arrivarono attacchi da ogni parte, compreso il Consiglio araldico nazionale che ritenne offesa la categoria dei nobili. Il questore di Novara ordinò la chiusura della sala in cui si proiettava la pellicola e un padre gesuita propose di far celebrare delle messe per permettere agli spettatori che avevano visto il film di espiare il loro “peccato”. È successo anche ad altri grandi maestri, la lista sarebbe lunga: se sono stati i principali bersagli della censura conservatrice è anche perché, guardando le cose da una diversa prospettiva, i censori stessi avevano percepito e temevano la carica rivoluzionaria delle loro opere e delle loro provocazioni. Ed è questo uno degli aspetti che oggi preoccupano: non sarà che – suppongono alcune teorie – l’indebolimento del controllo sia dovuto alla carenza di opere “degne” di essere censurate? Serpeggia cioè l’ipotesi che le acque si siano placate perché sono scomparsi certi autori rappresentativi: Pasolini ha subito decine di processi perché provocava, perché non sapevano come prendere i suoi film, non lo si riusciva a inquadrare né gestire. De Andrè scriveva testi troppo crudi, realistici, fuori dai cardini per essere considerati innocui. Negli ultimi anni sembra mancare quella carica polemica ed eversiva, quella voglia di trasgressione che possa stimolare significativi interventi censori. È come se si fosse spenta una stagione di particolare creatività senza un adeguato ricambio generazionale. Questo filone di pensiero mette in guardia contro l’atteggiamento “tollerante” del giorno d’oggi, contro questa incapacità di indignarsi, contro l’omologazione a un unico modello diffuso, che porta al conformismo, alla mancanza di nuovi stimoli. In questo senso non è la censura che spaventa, ma il fatto che non ce ne sia più bisogno. Nella lunga storia della censura in Italia, per un certo periodo c’è un trentino fra i protagonisti di spicco, Renzo Helfer. Ex ufficiale degli alpini, nel luglio del 1960 diventa Sottosegretario per il turismo e spettacolo. Ha presto l’occasione di chiarire la sua linea strategica quando afferma che nel cinema italiano si registra “una nuova ondata di violenza e sensualità” dovuta alla ricchezza che fa desiderare agli italiani “discutibili eccitazioni”, nonché a un decadimento morale causato dalla “influenza del cosiddetto realismo nella letteratura” che non va trasferito al cinema visto che “i registi sono tutti comunisti”. Secondo Helfer “la censura sui film è ritenuta generalmente indispensabile per la natura stessa del cinema e per quella sua capacità di raggiungere gli spettatori più sprovveduti”. Non a caso viene definito dal Daily Express “l’uomo della censura”. 38 ti stampa delle prefetture di RoLa censura fascista fu un mecma, Firenze, Bologna, Milano, canismo di carattere regolativo Torino, Napoli e Palermo sono che divenne negli anni sempre di Stefano Chemelli nominati da Ciano, tutti giorpiù invasivo e sofisticato. Lo nalisti professionisti incardinati spettro della sua influenza fu nell’organico dell’Ufficio Stamampio e dilatato a tal punto da pa. Nel 1937 Starace avrebestendere il suo controllo non be voluto ricondurre il controlsolo alla sfera della vita publo all’Istituto fascista di cultura, blica e alla sostanza degli stili e dei contenuti nella comunicazione delle idee, ma ma è nel 1938, nel pieno delle leggi antisemite, che incise nel profondo dei rapporti individuali attra- viene costituita la Commissione per la bonifica libraverso tutta una serie di condizionamenti sociali e lin- ria che colpisce nella sostanza l’editoria ebraica. guistici che interessavano gli stessi profili della con- L’azione della censura penetrò in profondità a tutti versazione minuta e privata, per non comprendere i livelli, diventò un tratto precipuo della società ital’azione preventiva nei confronti della parola scritta, liana, non solo per la capillare rete dei controlli messa in atto, ma perché era lo stato stesso a incarsia essa giornalistica che di natura letteraria. Funzionari di polizia, addetti della Stampa e Pro- nare un’invadenza della quale non si aveva avuto paganda, ministero della Cultura Popolare costitui- contezza con quella forza in precedenza. Ecco allora scono la filiera di un apparato che si affina incorpo- che le conseguenze non potevano che essere evirando figure professionali variegate, giornalisti, scrit- dentemente inedite, con una tendenza ad assorbire tori, poeti, impiegati civili, militari, affiancati di volta le forme della comunicazione imposta, i nuovi linin volta da attori esterni ma influenti quali potevano guaggi pesantemente assertivi e inequivocabili, e essere critici, direttori di riviste, gerarchi, se non addi- per altro verso si avvertiva una sorta di resistenza, rittura dal Duce in persona; concorrono tutti in varia di autodifesa che conduceva in altre direzioni, latemisura e con peso diverso a determinare la ramifica- rali e non pienamente impattanti con il nuovo verbo. zione delle carriere, a stabilire il mutevole gioco delle Tra norme e divieti si faceva luce una via mediana di appartenenze e delle affiliazioni più o meno fedeli sopravvivenza, almeno tra coloro che non aderivano alla causa, secondo una logica che tende sempre più appieno al nuovo corso. Negli anni trenta si assiste, a centralizzare nelle mani di pochi ciò che, almeno nel quadro severo della censura, a una tensione che nella fase iniziale, rispondeva ad apparati più perife- coinvolgeva i diversi enti culturali e istituzionali del rici. Dagli uffici della polizia si passa, gradualmente paese, le personalità e gli attori nei diversi ruoli, la ma senza ritorno, sino al vertice del potere in capo rete delle clientele e delle affiliazioni mobili e precaal dittatore. Il ministero dell’Interno, le prefetture rie che facevano i conti con un sistema apicale che cedono all’Ufficio Stampa ogni competenza di con- tentava di risolvere le sue insite contraddizioni. trollo. Giornali, libri, cinema, radio, musica compon- Il cono d’ombra della censura e del suo potente gono un conglomerato di media sottoposto a cen- influsso di condizionamento è presente in modo sura secondo un criterio unitario che si rifà a un’ade- molto netto nel mercato editoriale del paese. Gli esiti pongono vincoli precisi, indirizzano verso mete ricosione supina al punto di vista politico prevalente. Capo dell’Ufficio stampa nell’agosto del 1933 è Gale- nosciute. I famosi pareri di lettura delle più imporazzo Ciano. Di qui si sviluppa una progressiva acce- tanti case editrici indicano con chiarezza lo spirito lerazione del processo che porta nel giro di due anni del tempo, la gabbia ideologica entro la quale è alla costituzione della Direzione generale per la cine- possibile muovere il proprio passo. «Se io fossi l’editore» era un incipit che matografia, alla riorsi poteva leggere in ganizzazione del Coquesti pareri, una mitato superiore di vipresa di distanza che gilanza sulle radiodifproduceva uno spazio fusioni. Viene istituito di negoziazione e anche un Ispettorato avvertiva per tempo del teatro. La censura lo stesso editore su un dei libri fu appannagtesto preso in esame. gio della Divisione III, Il 27 maggio 1937 fu un ufficio insediato istituito il ministero nell’ambito della Diredella Cultura popolare zione generale per la con organi di constampa italiana con a trollo e gestione che capo Gherardo Casispaziavano in ambiti ni. Dal 1934 gli addet- La censura fascista 39 dal dramma antico ai cinegiornali, dal turismo alla lirica. Originato dal ministero per la Stampa e la Propaganda, era un ministero con caratteristiche particolari, con una centralità di importanza formidabile in relazione all’opera di propaganda, una delle missioni principe di tutto il regime. È evidente che l’impronta, il modello perseguito con progressivo sforzo, era quello di avvicinarsi all’efficienza tedesca, all’opera per certi versi prodigiosa di Goebbels e del suo Reichsministerium für Volksaufklärung und Propaganda. Goebbels stesso nel 1933 ebbe modo di illustrare la propria organizzazione in Italia e Ciano la studiò a fondo dedicando studi specifici all’argomento. La costruzione del consenso passava non solo dall’informazione, ma anche da tutti i canali culturali che la permeavano in una sfera più ampia e accessibile, con una politica che si premuniva di affrontare nuovi sistemi di significato nel mutevole relazionarsi di potere e cultura, in un quadro tutt’altro che monolitico, viste le significative presenze di una cultura alto-borghese, di una tradizione risorgimentale, della stessa Chiesa, che costituivano sistemi concorrenziali non secondari. Il processo di centralizzazione nel controllo della comunicazione fu un’acquisizione perseguita con tenacia e determinazione, ma ciò non toglie che la stampa mantiene nel regime un ruolo guida sia nella modulazione del linguaggio che nella diffusione dei contenuti. Più lenta è l’assimilazione e la piena messa in opera delle potenzialità espresse dai nuovi media (radio e cinema soprattutto) dimostrata da una sensibile e vivace mobilità negli uffici preposti, a causa dell’innovazione profonda portata da mezzi di comunicazione più immediati ma anche meno conosciuti. Nel settembre del 1934 le competenze cinematografiche passarono al sottosegretariato per la Stampa e la Propaganda per produzione e censura, nell’aprile del 1935 si avvia l’Ispettorato del teatro. La censura entra nella fase di piena e matura istituzionalizzazione nella metà degli anni trenta, radicandosi in un sentore politico e culturale che trova nell’apparato totale giustificazione e impulso. Il ministero della Cultura popolare unifica e accentra tutta una serie di poteri e di funzioni che comunque generano una qualche resistenza negli enti che cedono le proprie prerogative. Non si dimentichi che il ministero della Cultura popolare diviene all’altezza del 1938 lo snodo vitale della campagna fascista per la difesa della razza e contro gli ebrei. Giuseppe Bottai, uno dei cervelli più lucidi del regime, interpreta la partita da protagonista cogliendo il pretesto per affermare e imporre la propria supremazia burocratica e amministrativa, di coordinamento unitario nell’interventismo culturale. L’idea di cultura come funzione pubblica, come responsabilità dello stato e come impegno civile e nazionale degli intellettuali sopravvisse al fascismo, e non è estranea a quella fase l’influenza della politica e la preminenza dell’interesse nazionale in molti settori dell’informazione e dell’economia libera di mercato, che si svilupperanno ma con molti distinguo nell’Italia repubblicana (fonte: Dizionario del Fascismo, 2 vol., Einaudi, Torino, 2002, a cura di Victoria de Grazia e Sergio Luzzato). Proposte di lettura a cura della Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino La censura nel secolo dei lumi: una visione internazionale, a cura di Edoardo Tortarolo, UTET, 2011 L’odierna discussione sulla libertà di stampa riprende un lungo dibattito il cui svolgimento ha attraversato la storia europea dall’invenzione della stampa a caratteri mobili. Che ogni uomo e donna abbia diritto a esprimersi liberamente rappresenta un principio entrato relativamente tardi nell’orizzonte della cultura europea. La profondità storica e la complessità delle riflessioni e delle situazioni politiche, legislative e sociali non sono tuttavia sufficientemente presenti quando si tenta di affrontare il tema dello spazio di non interferenza nel quale possono muoversi gli autori di libri, direttori di giornali e - dall’inizio del ventesimo secolo - responsabili dei mezzi di comunicazione di massa. I saggi raccolti in questo volume presentano un’ampia panoramica europea dei contesti nei quali sono stati elaborati argomenti pro e contro la libertà di stampa e hanno effettivamente operato le istituzioni di controllo nel corso del Settecento. La presenza della libertà di stampa nelle dichiarazioni dei diritti formulate in occasione delle rivoluzione americana e francese aggiunge un elemento di grande interesse a questo quadro complessivo. 40 INFOM USE O interpreti Antonia Dalpiaz, curatrice e conduttrice dell’evento, e gli attori Piergiorgio Lunelli e Massimo Pezzedi che hanno alternato la lettura di poesie e scene teatrali in dialetto trentino. La componente musicale è stata affidata al Coro Genzianella di Roncogno. Lo spettacolo è stato preceduto da un incontro con il curatore della mostra, Francesco Nicotra, e da una visita guidata all’esposizione. Il Giorno della Memoria GENNAIO 2011 Recital sull’emigrazione Sabato 22 gennaio, in occasione della mostra fotografica e documentaria sull’emigrazione in America “Partono i bastimenti” – visitabile presso le Gallerie di Piedicastello – l’Assessorato provinciale alla Cultura, in collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino, ha inteso promuovere un momento di approfondimento e riflessione su quello che è stato il grande esodo delle famiglie trentine verso la “Merica”. La rappresentazione di questo “viaggio” è stata affidata alla musica, alla poesia e al teatro attraverso un percorso della memoria in forma di recital. Ne sono stati In ricordo della fine della Shoah, il 27 gennaio, il Comune di Trento, il Museo storico in Trento e la Fondazione Museo storico del Trentino hanno celebrato il Giorno della Memoria. Nella Sala Falconetto di Palazzo Geremia a Trento sono intervenuti Alessandro Andreatta, sindaco di Trento, Renato Pegoretti, presidente del Consiglio Comunale di Trento, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino. Al termine della celebrazione Renzo Fracalossi e Antonia Dalpiaz hanno proposto delle letture tratte da “I bambini di Bullenhuser Damm”. Lo stesso giorno è partito da Trento il Treno della Memoria che ogni anno, dal 2005, viaggia lungo i binari che portavano i prigionieri nei campi di lavoro e sterminio di Auschwitz e Birchenau. La Fondazione Museo storico del Trentino è stata rappresentata da Lorenzo Gardumi, che ha accompagnato i giovani partecipanti alla scoperta della storia attraverso il dialogo, lo scambio, la riflessione. FEBBRAIO 2011 Conferenza sull’alluvione del 1966 L’11 febbraio, nell’ambito del ciclo di incontri “Il Trentino degli anni ‘60”, organizzato dal Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale in collaborazione con il Comune di Levico Terme, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, ha condotto l’incontro dal titolo “L’alluvione del 1966”. Presso la Sala del Consiglio comunale di Levico Terme si è parlato della terribile alluvione che sconvolse il Trentino devastando il territorio con una impressionante serie di frane e allagamenti e lasciando un segno profondo nella cultura e nella memoria collettiva. Lezioni pubbliche sul 150° anniversario dell’Unità d’Italia In occasione della ricorrenza del 150° anniversario dell’Unità d’Italia la Fondazione Museo storico del Trentino e l’Università degli Studi di Trento hanno promosso una serie di iniziative volte a offrire una ricostruzione del Risorgimento e della complessa storia dell’Italia unita. Il programma si è articolato in alcune lezioni pubbliche, nelle quali si sono coniugati il rigore scientifico e la capacità di alta divulgazione. La prima lezione si è tenuta il 25 febbraio presso la Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento. Il Professor Alberto Maria Banti, dell’Università di Pisa, ha parlato de “Il Risorgimento dei patrioti”. 41 Le lezioni sono proseguite il 4 marzo con il professor Tommaso Detti dell’Università di Siena che ha parlato de “Il Risorgimento del popolo”. L’11 marzo è stata la volta del professor Gian Enrico Rusconi che ha proposto la relazione dal titolo “Il Risorgimento nella politica internazionale”, mentre il 25 marzo il professor Piero Bevilacqua, dell’Università “La Sapienza” di Roma, ha affrontato il tema “Il dualismo economico”. Le ultime due lezioni sono state tenute l’1 e l’8 aprile dal professor Raffaele Romanelli dell’Università “La Sapienza” di Roma e dal professor Antonio M. Chiesi dell’Università di Milano che hanno parlato rispettivamente di “Centralismo e regionalismo” e de “L’Italia unita: 150 anni di trasformazioni e persistenze”. e Maurizio Cau hanno presentato la relazione dal titolo “Territori e ‘nazioni’: lo sguardo lungo degli storici sul significato di un ‘confine’”. Successivamente si è svolta una tavola rotonda con Marcello Bonazza, presidente della Società di studi trentini di scienze storiche, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino e Paolo Pombeni, direttore FBK-Isig . L’”Ufficio Zone di Confine” Ferrandi (Fondazione Museo storico del Trentino) sono intervenuti Maria Maione (segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri), Raoul Pupo (Università di Trieste), Giorgio Mezzalira (Storia e regione) e Andrea Di Michele (Archivio provinciale di Bolzano). Lo stesso incontro è stato ripetuto a Trento il giorno successivo presso la Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto. Vi hanno partecipato gli stessi Raoul Pupo, Giorgio Mezzalira e Andrea Di Michele, Lorenzo Gardumi (Fondazione Museo storico del Trentino) e Luigi Blanco (Università di Trento). Ha moderato la discussione Giuseppe Ferrandi. La notte tricolore e i festeggiamenti per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia MARZO 2011 Il Trentino e i 150 anni dell’Unità d’Italia Il 9 marzo il Centro per gli studi storici italo-germanici, in collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino e la Società di studi trentini di scienze storiche, ha proposto l’incontro dal titolo “Trentini e italiani: riflessioni sul 150° dell’Unità d’Italia”. Dopo il saluto di Paolo Pombeni, direttore del Centro per gli studi storici Italo-germanici, i tre ricercatori Emilie Delivré, Marco Bellabarba 42 Il 10 marzo Palazzo Rottenbuch di Bolzano ha ospitato l’incontro “L’ufficio zone di confine (19461954): tra italianità e governo delle minoranze” organizzato dalla Fondazione Museo storico del Trentino e dall’Archivio provinciale di Bolzano, in seguito all’apertura di un fondo archivistico che documenta, appunto, l’attività dell’Ufficio zone di confine, interessato a tutti gli affari relativi alle complesse questioni delle aree di confine durante i primi governi repubblicani. Dopo i saluti di Leo Andergassen (direttore della Ripartizione Beni culturali della Provincia di Bolzano), Christine Roilo (Archivio provinciale di Bolzano) e Giuseppe Anche la Fondazione Museo storico del Trentino ha aderito, in collaborazione con l’associazione Terradelfuoco, il Forum trentino per la pace e i diritti umani e l’ANPI, ai festeggiamenti in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia organizzando alcuni momenti di musica e di riflessione. Mercoledì 16 marzo le Gallerie di Piedicastello hanno ospitato la “Notte tricolore”; a partire dalle 22.30 i ragazzi dell’associazione Memo che hanno partecipato al Treno della Memoria hanno eseguito una performance dal titolo “Cittadini italiani d’oggi” con l’accompagnamento musicale degli Apocrifi. Il giorno successivo, il 17 marzo, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino e Sandro Schmid, presidente ANPI del Trentino hanno introdotto il lungo pomeriggio di parole, riflessioni e musica. Alcuni articoli della Costituzione italiana sono stati letti e commentati da Paolo Burli, Segretario CGIL del Trentino, Pasquale Profiti, Presidente dell’Associazione nazionale dei magistrati del Trentino-Alto Adige, Cristina Donei, procuradora del Comun General de Fascia, Aboulkheir Breigheche, presidente della Comunità Islamica del Trentino-Alto Adige, Anamaria Stanescu, rappresentante degli studenti del Liceo L. da Vinci di Trento, Ehsan Soltani, rifugiato politico dall’Iran, Michele Nardelli, presidente del Forum Trentino per la pace e i diritti umani. L’accompagnamento musicale è stato affidato al Corpo Musicale Città di Trento e al gruppo degli Apocrifi. con la Fondazione Museo storico del Trentino e aperta al pubblico fino al primo maggio. L’esposizione, attraverso le opere di Franz e Michela Molinari e le installazioni di Aldo Pavan, Angela Prati e Marisa Bartoletto, è nata dall’idea di unire la sostenibilità ambientale all’arte e alla cultura. “Une nouvelle vie” ha cercato, utilizzando differenti linguaggi espressivi, di trovare nuove forme produttive, stili di vita e modelli di consumo che comportassero un utilizzo oculato delle risorse naturali, ma che nello stesso tempo sapessero sedurre attraverso l’affascinante sfida di dover convivere con nuovi limiti: ecologici, ambientali, economici e sociali. Spettacolo su Garibaldi APRILE 2011 Un filo di Arianna La Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino, in collaborazione con la Casa Editrice Curcu & Genovese, il 7 aprile ha ospitato la presentazione del libro di Micaela Bertoldi “Un filo di Arianna: di mano in mano” (Trento, Curcu & Genovese, 2010), opera che ribadisce l’importanza del raccontare in educazione e sottolinea il ruolo importantissimo rappresentato dalla voce dell’adulto che interpreta storie già scritte. Assieme all’Autrice sono intervenuti Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino e Beatrice Carmellini, presidente dell’Associazione mnemoteca Basso Sarca. La guerra negli occhi Une nouvelle vie Il 18 marzo alle Gallerie di Piedicastello è stata inaugurata la mostra “Une nouvelle vie”, curata da Cafè culture in collaborazione Nell’ambito delle lezioni pubbliche sul 150° anniversario dell’Unità d’Italia, il 18 marzo al Teatro Cuminetti di Trento si è tenuto lo spettacolo di e con Emilio Franzina “L’altro mondo del Generale. Garibaldi a cento anni dallo scoglio di Quarto”. Assieme a Franzina hanno suonato e cantato Luca Bassanese, Stefano Florio e Mirco Maistro. La serata si è avvalsa della collaborazione della Fondazione Museo storico del Trentino e dell’Università degli studi di Trento. L’8 aprile, presso le Gallerie di Piedicastello, è stata inaugurata “La guerra negli occhi”, mostra fotografica di Romano Cagnoni, uno dei fotoreporter contemporanei italiani più importanti: oltre 100 fotografie scattate tra il 1958 e il 1998 in paesi come la Yugoslavia, la Cambogia, Israele, il Ban- 43 gladesh, il Biafra, l’Afghanistan. L’esposizione, curata da Alberta Gnugnoli, è stata aperta fino al 26 giugno 2011. trasformazioni. I due percorsi proposti sono stati “Alla ricerca del fiume perduto” e “Gli anni trenta: il periodo fascista a Trento”. La mostra “Feuer!” a Schio Mostra a Strasburgo sull’unità d’Italia La mostra “Feuer! I grandi rastrellamenti antipartigiani dell’estate 1944 tra Veneto e Trentino”, curata da Lorenzo Gardumi della Fondazione Museo storico del Trentino, è stata ospitata nelle sale di Palazzo Fogazzaro a Schio (Vicenza). L’inaugurazione è avvenuta il 9 aprile e il percorso espositivo è rimasto a disposizione del pubblico fino al primo maggio. Settimana della cultura: le proposte didattiche della Fondazione In occasione della Settimana della cultura la Fondazione Museo storico del Trentino, tramite il proprio Laboratorio di formazione storica, ha proposto due attività rivolte alla cittadinanza. Ogni giorno, tra il 9 e il 17 aprile, un operatore ha guidato gli interessati in due distinti percorsi cittadini, camminando per le vie di Trento, scoprendone il passato e sostando per osservare consapevolmente il tessuto urbano e le sue 44 Mercoledì 13 aprile, presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo, si è svolta l’inaugurazione della mostra curata dalla Fondazione Museo storico del Trentino “Trentino, Italia, Europa: il 150° ai confini dell’unita”. Sono intervenuti Sergio Busetto, capo della Rappresentanza permanente d’Italia presso il Consiglio d’Europa, Giacomo Santini, senatore della Repubblica italiana e membro della Delegazione parlamentare italiana presso l’Assemblea del Consiglio d’Europa, Giuseppe Ferrandi, direttore generale della Fondazione Museo storico del Trentino, Alberto Robol, reggente della Fondazione Opera Campana dei Caduti. La mostra ha analizzato l’ampio processo di unificazione dello Stato nazionale mettendo in evidenza i piani differenti sui quali si è articolato il percorso risorgimentale italiano. “La storia e i nostri figli”. Premio letterario “Francesco Gelmi di Caporiacco” Si è svolta il 14 aprile nella Sala degli Affreschi della Biblioteca comunale di Trento la premiazione del concorso letterario “Francesco Gelmi di Caporiacco”, giunto alla sua quinta edizione e promosso dall’Associazione culturale “Francesco Gelmi di Caporiacco” dai giornali l’Adige, Corriere del Trentino, Corriere dell’Alto Adige e dalla rivista Archivio trentino. La giuria ha attribuito il primo premio al romanzo L’uomo che amava i cani (Tropea, 2009) dello scrittore e giornalista cubano Leonardo Padura Fuentes. Tra gli inediti, l’opera migliore è stata ritenuta quella di Patrizia Belli intitolata “Figlia di tante lacrime”. Nell’ambito della stessa sezione Claudio Quinzani con “Fiori recisi” e Alessandro Tamburini con “Un sabato del 1944” hanno ottenuto il secondo premio ex-equo. Gabriella Brugnara, infine, con il saggio dal titolo “Òccupati, preòccupati? “Occupàti, preoccupàti…” è risultata vincitrice della terza sezione del Premio riservata agli inediti dedicati al mondo dell’infanzia. Una “menzione speciale” è stata assegnata alla narrazione inedita di Predrag Matvejeviþ “Nostri talebani”. Alla premiazione ha partecipato l’intera giuria, presieduta dall’insigne filologo, storico e saggista Luciano Canfora e composta da Edoardo Barbieri, ordinario di Storia del libro e dell’editoria presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Gianmario Baldi, direttore della Biblioteca civica “G. Tartarotti” di Rovereto, Franca Eller, bibliotecaria e cri- tica letteraria, Paola Maria Filippi, docente di letteratura tedesca presso l’Università di Bologna, Enrico Franco, direttore del Corriere del Trentino e del Corriere dell’Alto Adige, Pierangelo Giovanetti, direttore de L’Adige e la presidente dell’Associazione Marina Gelmi di Caporiacco. attivi sul territorio sono stati organizzati degli eventi aperti, chiamati “cantieri”, il primo del quale sì è svolto appunto il 19 aprile. Gli altri cantieri si sono svolti tra maggio e giugno e sono stati dedicati a “Università e giovani”, “Scuola e formazione”, “Territorio”. Presentazione del volume “Di Terlizzi: carteggi sull’arte” Il volume “Di Terlizzi: carteggi sull’arte 1928-1932”, curato da Mara Kutinceff e pubblicato dalle Edizioni Pancheri è stato presentato il 15 aprile nella Biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino. Con la curatrice del volume sono intervenuti Gianni Faustini, giornalista, Paola Pettenella, responsabile del settore archivi storici del MART, Vincenzo Calì, storico. Hanno portato il loro saluto, inoltre, Silvano Rauzi, Presidente Federazione Allevatori e Luisa Dallafior, assessore alla cultura del Comune di Baselga di Pinè.Per l’occasione è stata esposta l’opera di Francesco Di Terlizzi “La malga” (Collezione Federazione Trentina della Cooperazione). Il nuovo progetto HistoryLab Il 19 aprile a Trento la Fondazione Museo storico del Trentino ha presentato HistoryLab, il nuovo progetto della Fondazione in collaborazione con l’Opera Universitaria di Trento. Tale progetto desidera mettere a disposizione uno spazio laboratoriale che sia luogo di incontro tra soggetti diversi interessati ai temi della storia e della memoria; riflettere sulle possibili forme di comunicazione visiva nella divulgazione delle ricerche di carattere storico; sperimentare l’utilizzo di un canale digitale terrestre. Per raccogliere proposte e idee da parte dei vari soggetti Liberazione. Al termine degli interventi di Alessandro Andreatta, sindaco di Trento, di Bruno Dorigatti, presidente del Consiglio della Provincia Autonoma di Trento, di Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino e di Sandro Schmid, presidente dell’ANPI del Trentino, il Gruppo Neruda ha letto alcune poesie sulla Resistenza, i giovani che hanno partecipato al “Treno della Memoria” hanno offerto la loro testimonianza e infine si è esibita la Corale “Bella Ciao”. Oltre un secolo di propaganda della Lega Nazionale Incontro sulla Galleria Adige-Garda La Provincia autonoma di Trento, la Fondazione Museo storico del Trentino, il Comune di Mori e il Comune di Nago-Torbole hanno proposto, il 19 aprile, presso l’Auditorium comunale di Mori, la serata dal titolo “Galleria Adige-Garda: il progetto, l’opera, gli uomini”, un incontro dedicato ai testimoni della comunità e al confronto su idee e proposte per proseguire nella raccolta di memorie del lavoro e storia del territorio. Hanno partecipato all’incontro Roberto Caliari, sindaco di Mori, Luca Civettini, sindaco di Nago-Torbole, Maria Bertizzolo, assessore alla cultura di Mori, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino. Nel corso della serata è stato proiettato il documentario “Il fiume in galleria” del regista Lorenzo Pevarello. Il 29 aprile lo Spazio Incontri della Fondazione Museo storico del Trentino ha ospitato la presentazione del volume di Piero Delbello “Lega Nazionale: cento anni di propaganda” (Trento, UCT, 2007). Erano presenti Paolo Sardos Albertini, presidente Lega Nazionale di Trieste, Piero Delbello, direttore Istituto Regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata, Trieste, Vincenzo Calì, vicepresidente dell’Associazione Museo storico in Trento, Lucia Maestri, assessore alla cultura del Comune di Trento, Sergio Bernardi, direttore della rivista Uomo Città Territorio. Celebrazioni del 25 aprile Si sono svolte a Palazzo Geremia a Trento le tradizionali celebrazioni per il 25 aprile, anniversario della 45 EDIZIONI PRESE N TA Z I ON I 24 gennaio, Bolzano; 13 aprile, Brentonico Il volume di Beatrice Primerano “Ernesta Bittanti e le leggi razziali del 1938” è stato presentato in due occasioni: il 24 gennaio presso la Biblioteca provinciale italiana “Claudia Augusta” di Bolzano, il 13 aprile presso il Centro culturale di Brentonico. A Bolzano, con l’Autrice sono intervenuti Lionello Bertoldi dell’ANPI di Bolzano, Vincenzo Calì della Fondazione Museo storico del Trentino, Andrea Felis e Diego Quaglioni dell’Università degli studi di Trento. A Brentonico invece Beatrice Primerano ha dialogato con Diego Quaglioni, Rodolfo Taiani ed Enrica Volpi, assessore alla cultura del Comune di Brentonico. K W Z & K E d / d d / ^ d / E $'#64+%'24+/'4#01 VK VC$KVVCP 'TPGU KTC\\KCNKFGN I I G N G N G 46 15 febbraio, Trento Del volume di Andreas Oberhofer “Andreas Hofer (1767-1810): dalle fonti alla storia” se ne è parlato nella Sala di rappresentanza del Consiglio Regionale assieme all’autore, a Franco Panizza, assessore provinciale alle Cultura, rapporti europei e cooperazione, Martha Stocker, assessora regionale alla Previdenza e pacchetto famiglia, Marco Bellabarba dell’Università degli studi di Trento, Marcello Bonazza, presidente della Società di studi trentini di scienze storiche. Il compito di moderatore della serata è spettato a Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino. 30 marzo 2011, Salorno La Biblioteca comunale di Salorno ha ospitato la presentazione del libro curato da Rolando Pizzini “Nagoyo: la vita di don Angelo Confalonieri fra gli aborigeni d’Australia”. La serata ha visto la partecipazione del curatore e dei due coautori del libro Maurizio Dalla Serra ed Elena Franchi. 20 aprile, Trento Lorenzo Gardumi, introdotto dal direttore della Fondazione Museo storico del Trentino Giuseppe Ferrandi, ha presentato a Palazzo Geremia il suo volume “Feuer! I grandi rastrellamenti antipartigiani dell’estate 1944 tra Veneto e Trentino”. EDIZIONI NOVITÀ Renzo Maria Grosselli, Un urlo da San Ramon: la colonizzazione trentina in Cile, 1949-1974, pp. 647; € 28,00 Il volume ricostruisce la vicenda che condusse molte famiglie trentine a trasferirsi in Cile nella speranza, spesso delusa, di trovarvi condizioni di vita migliori. Il periodo che vi viene focalizzato è quello che va dalla genesi di questi flussi, dal 1949 cioè, alla «stabilizzazione» di ciò che ne era rimasto, sostanzialmente i successivi anni sessanta. Sullo sfondo si muovono gli scenari politici, economici e sociali, che interessarono il Cile soprattutto negli anni settanta: il governo delle sinistre (Unidad Popular), l’opposizione, l’inflazione, la svalutazione della moneta, poi il golpe militare che portò al potere il generale Augusto José Ramón Pinochet Ugarte. Si narra infine dell’attività pubblica e del volontariato trentino che cercò di affiancare in qualche modo chi in Cile era rimasto e, più ancora, chi decise di rientrare. Carlo Hendel, Russia 1942-1943: diario di guerra, a cura di Quinto Antonelli; con un commento di Adriano Sofri, pp. 143 + DVD allegato, € 18,00 Il volume e il dvd allegato raccontano l’”avventura di guerra” di un giovane ufficiale, allora poco più che ventenne, catapultato nelle steppe russe, a contatto con una realtà che ben presto diventò teatro di quell’immane tragedia che fu l’insensata campagna di Russia, costata al Corpo d’Armata Alpino ingenti perdite umane. Nelle parole di Carlo Hendel rivive dunque la terribile esperienza di migliaia e migliaia di uomini. Rodolfo Taiani (a cura di), Il farmacista filantropo: percezione ed esercizio della professione farmaceutica in Trentino fra secolo XVIII e XX, pp. 82, € 8,00 Due importanti protagonisti della storia della farmacia trentina, Piero Cristofori e Giulio Conci, si confrontano a distanza di circa novant’anni sui contenuti e sui destini della professione farmaceutica soprattutto nel corso dell’Ottocento. Un secolo di grandi cambiamenti che racconta della progressiva responsabilizzazione di una figura e della radicale trasformazione delle modalità di produzione e commercializzazione del farmaco. In definitiva il passaggio da speziale a farmacista. immediatamente successivi alla Liberazione fino alle elezioni politiche del 1958, che segnano la sua partenza per Roma e l’inizio della lunghissima militanza parlamentare (36 anni). Il periodo del «Piccoli trentino» sono quelli della Ricostruzione, delle durissime battaglie con i comunisti, dei difficili rapporti con i «tedeschi» dell’Alto Adige. Dalla tribuna de Il Popolo Trentino e poi de L’Adige Piccoli segue con attenzione gli avvenimenti locali, ma lo sguardo dei suoi «fondi», quasi sempre domenicali, va sempre oltre, a indagare su ciò che succede a Roma e fuori dell’Italia. La preoccupazione per la «questione comunista» è costante, incalzante, quasi ossessiva, mentre la lotta giornalistica, eminentemente politica, è serrata, senza sconti ed esclusioni di colpi. La storia del «Piccoli trentino» racchiude dunque tredici anni di densa vita politica meritevole senz’altro di ulteriori approfondimenti. Luigi Targher, Gli esordi di un politico nazionale: Flaminio Piccoli, 1945-1958: materiali per una biografia politica, pp. 152, € 13,00 Il volume racconta i primi anni di impegno politico di Flaminio Piccoli, a partire dai giorni 47 / ) ! .. % ' './ ')5 $ / / , 7 6 L ' ,//$ 7 ! 4 6 % 2 ' Q , !3% : . % 3 3 ,% % 4 . ! ) 0 % , , % SI I A $ " ^ I L E CCH Azienda di promozione turistica Rovereto e Vallagarina > Tel. 0464 395149 % 0ALAZZ.O)# /4.6IA-ANTOVA E-mail: [email protected] Fondazione Museo storico del Trentino "2%.4/ > Tel. 0461 230482 E-mail: [email protected] www.museostorico.it ROVERETO E VALLAGARINA 75(17,12$/72$',*(6h'7,52/ 48 &2081(',%5(1721,&2 086(2&,9,&2',529(5(72 2UGLQHGHL)DUPDFLVWL GHOOD3URYLQFLD GL7UHQWR 2UGLQH GHL0HGLFL&KLUXUJKL HGHJOL2GRQWRLDWUL GHOOD3URYLQFLDGL7UHQWR $]LHQGDSHULO7XULVPR 3529,1&,$$872120$ ',75(172 'RYHQDWXUDFXOWXUDHJXVWRVLLQFRQWUDQR