Giovanna Zangrandi - Comune di Galliera
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Giovanna Zangrandi - Comune di Galliera
Giovanna Zangrandi Alma Bevilacqua (questo il suo nome anagrafico), nata a Galliera nel 1910, studiò a Bologna (Liceo Galvani e Università), laureandosi in chimica nel 1933. Rimasta orfana, si trasferì a Cortina, spinta dalla sua grande passione per la montagna. Trovato un posto come insegnante in un istituto privato, svolse molteplici attività. In particolare si dedicò con interesse e competenza allo studio della natura e della cultura dolomitica, temi sui quali scrisse fra il ’39 e il ’43 diversi articoli in periodici locali. Poi, nel settembre del ’43, la scelta antifascista, netta e definitiva. Per 18 lunghi e durissimi mesi fu “Anna”, staffetta partigiana in Cadore, con la “Calvi”, brigata della divisione “Nannetti”, la principale formazione garibaldina del Bellunese alla cui costituzione diedero un contributo fondamentale, oltre ai partigiani locali, anche un centinaio di bolognesi: episodio di straordinario significato ideale, da cui nacque un profondo rapporto d’amicizia fra Belluno e Bologna, che dura tuttora. Nell’immediato dopoguerra, “Anna” diventò “Giovanna Zangrandi”, ormai cadorina in tutto e per tutto. Facendo mille mestieri per sopravvivere, si dedicò anima e corpo alla scrittura. Tra gli anni ’50 e ’60 pubblica le sue opere più importanti. Nel 1951, Leggende delle Dolomiti, frutto del suo lungo amore per la cultura e le tradizioni popolari locali. Nel ’54 e ’57 i due romanzi “storici”: I Brusaz e Orsola nelle stagioni, ambientati nel Cadore di inizio secolo, con personaggi femminili di grande spessore umano e letterario. I Brusaz, di recente ristampato a cura di Antonia Arslan, vinse nel 1954 il premio Deledda, che favorì il successo del libro. In seguito le sue opere assumono un carattere decisamente più autobiografico. Nel ’59 pubblica Il Campo Rosso (Cronaca di un’estate, 1946), racconto della costruzione di un piccolo rifugio alpino, che la Zangrandi gestì per alcune stagioni. Nel 1963 escono I giorni veri, l’opera che può considerarsi il suo capolavoro. Vi si racconta, in forma di diario, la vita partigiana di Anna: scritto a vent’anni di distanza dai fatti narrati, colpisce per il suo effetto-verità, per l’intensità e la qualità del suo linguaggio, tanto che si può ritenere uno dei libri-chiave della letteratura resistenziale, in particolare del suo filone “femminile”. Di grande intensità e finezza sono anche i racconti riuniti in Anni con Attila (1966), soprattutto il primo, che dà il titolo al volume: descrizione acuta e umanissima di uno straordinario rapporto affettivo (Attila era il cane della scrittrice). Nonostante la grave malattia (morbo di Parkinson), che la colpisce rendendola fisicamente inabile per tutto l’ultimo ventennio della sua vita, la Zangrandi continua a scrivere e a pubblicare opere di notevole interesse e qualità letteraria. Due raccolte di “racconti partigiani” (1975 e 1981); un libro per ragazzi (Il diario di Chiara, 1972) sulla figura dell’eroe risorgimentale veneto-cadorino Pier Fortunato Calvi (da cui aveva preso il nome la brigata partigiana di “Anna”); una pregevole guida storico-naturalistica del Cadore e, in particolare, di Borca, il paese in cui la Zangrandi visse negli ultimi trent’anni. Ma forse l’opera più significativa di questo periodo è la raccolta di racconti, sempre a sfondo autobiografico, intitolata Gente della Palua (1976), con rievocazioni ora tristi e gravi, ora lievi e ariose, di ambienti, figure, episodi dell’infanzia e dell’adolescenza, molto importanti per capire l’insorgere di quell’avversione per i luoghi della prima parte della sua vita, la “palude” (metaforica) da cui fuggì per trasformarsi in montanara innamorata delle crode, delle nevi e delle genti del Cadore. Ma non va dimenticato che, quasi volendo idealmente “ricongiungersi” con Alma Bevilacqua, superando la frattura che aveva diviso la sua esistenza, la Zangrandi chiese, in extremis, di essere sepolta nel suo paese natale. (w.r.)
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