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Legge sui culti
ALGERIA
s
olidarietà, forma della Chiesa
Futuro di una comunità
tra diplomazia e dialogo interreligioso
I
timori sono diventati certezze:
la legge sui culti «diversi da
quello musulmano» approvata
nel 2006 e resa operativa nel
2007 (cf. Regno-att. 14,2007,
487) si sta rivelando una vera e propria
forma di repressione della libertà di
culto che è prevista dalla Costituzione
algerina. Pur avendo nelle intenzioni
quella di dissuadere il proselitismo,
con particolare attenzione all’espansione delle comunità evangelicali di
matrice statunitense che stanno
prendendo piede nella regione
«ribelle» della Cabilia, un’interpretazione stretta della normativa e delle circolari applicative,
i mancati rinnovi dei visti d’ingresso o dei permessi di soggiorno, sentenze di tribunali locali contro il personale ecclesiastico, una campagna mediatica
massiccia e genericamente anticristiana fanno sì che la Chiesa
cattolica, la cui comunità di
11.000 fedeli ufficiali su una popolazione di 33 milioni di abitanti è la più grande tra le non
musulmane nel paese, sia una
delle più colpite dalla nuova
legge. A rischio anche di scomparire.
Per questo a fine febbraio
(25-27) si è tenuto un incontro
ad Algeri tra i quattro vescovi
(H. Teissier di Algeri, G. Piroird
di Constantine, A. Georger di
Orano e C. Rault di Laghouat)
e i responsabili delle congregazioni religiose «che vivono, lavorano e pregano in Algeria»,
no le difficoltà incontrate per il rilascio
dei visti d’entrata che hanno così impedito a molte congregazioni religiose
di accogliere i responsabili che sostengono dall’esterno il loro impegno nel
paese.
Questa difficoltà s’aggrava ulteriormente quando il visto viene rifiutato a
coloro – uomini e donne – che vogliono entrare per rimanere con noi. La
loro presenza è assolutamente necessaria per ringiovanire le nostre comunità
e per sostituire coloro che ci hanno dovuto lasciare per ragioni di
salute, o anche perché sono tornati alla casa del Padre.
E cosa ancor più grave, come
già sapete, i membri di una nuova
comunità – la comunità Salam –
che si è unita a noi per vivere con
noi una forma di presenza presso
gli studenti di lingua portoghese si
sono visti ritirare il permesso di
soggiorno nel paese». E a fine
gennaio un tribunale ha condannato rispettivamente a un anno e
a due anni di prigione – oltre a
200.000 dinari di multa – p. Pierre Wallez e il medico algerino che
lo accompagnava: la loro colpa è
stata quella di aver «fatto visita a
degli emigrati che vivono in condizioni difficili presso la frontiera
algero-marocchina» intorno a
Natale e aver prestato loro cure
mediche.
La forte immigrazione dall’Africa sub-sahariana sta, in effetti,
modificando il volto della comuMons. Henri Teissier,
nità cattolica – tema su cui si era
arcivescovo di Algeri.
tenuta già nel settembre 2004
dal quale è scaturita una lettera alle
comunità religiose cattoliche in Algeria (datata 28 febbraio).
«Siamo rimasti molto colpiti – dicono i vescovi – dal contrasto che è
emerso durante questo incontro tra il
nostro appello a vivere “la solidarietà
evangelica” con il popolo algerino e gli
ostacoli che si sono presentati negli ultimi tempi al dispiegamento delle nostre forme di solidarietà.
Gli ostacoli, che voi conoscete, so-
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un’assemblea interdiocesana (cf. Regno-doc. 1,2005,31) – e la sta rafforzando numericamente.
Inquietudini
Negli stessi giorni dell’incontro, i
quattro vescovi sono stati ricevuti dal
ministro per gli Affari religiosi Bouabdellah Ghlamallah. «Gli abbiamo
espresso – raccontano – la volontà di
solidarietà delle comunità cristiane
d’Algeria, che esprime il rispetto della
Chiesa per la società algerina, per le
sue tradizioni e per i suoi riferimenti
religiosi. Ma gli abbiamo anche
espresso il senso d’inquietudine della
comunità cattolica in Algeria rispetto
ad alcune recenti decisioni amministrative.
Ci ha ascoltato con molta attenzione e ci ha detto che lo stato non ha alcuna intenzione di mettere in discussione la presenza della Chiesa cattolica
nella società algerina. Ha inoltre stabilito con i suoi collaboratori che anche
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noi potremo lavorare con la commissione ad hoc del Ministero, per studiare in dettaglio i diversi articoli dell’ordinanza del 28 febbraio 2006 e i suoi
decreti applicativi».
La seconda inquietudine espressa
dai vescovi verte sul fatto che le misure
restrittive, assieme a una campagna di
stampa che, ad esempio, illustra il servizio che denuncia il proselitismo
evangelicale in Cabilia con la foto della cattedrale cattolica di Algeri, rischiano di mettere i cristiani gli uni
contro gli altri rispetto a come essi intendono interpretare la testimonianza
da rendere al Vangelo, ha dichiarato a
La Croix mons. Teissier.
Anche per questo – prosegue il resoconto dei vescovi – «durante il nostro incontro col ministro per gli Affari religiosi gli abbiamo consegnato una
lettera firmata da noi quattro vescovi
per chiedergli di far sospendere il
provvedimento che costringerebbe il
pastore Hugh Johnson, già presidente
della Chiesa protestante d’Algeria, a
lasciare l’Algeria dopo quarantacinque
anni di vita nel paese.
Abbiamo inoltre fatto presente al
ministro la situazione delle comunità
copte che si stanno in questi ultimi
tempi costituendo in favore dei lavoratori che arrivano tramite le aziende
egiziane. Il nostro scambio d’opinioni
ha inoltre toccato le difficoltà che devono affrontare le comunità evangeliche che si sono recentemente costituite. Il ministro ha chiaramente affermato di voler rispettare la libertà di coscienza, ma ha molto insistito sulla volontà dei responsabili dell’Algeria d’evitare la costituzione di gruppi che
possano rappresentare un problema
per l’unità del paese. A suo parere un
credente deve farsi prossimo di tutti e
non può essere contro gli altri».
È vero però che, anche se i gruppi
evangelici sono in crescita – ma i dati
non sono chiari anche perché chi li riporta non distingue tra confessioni diverse, tra comunità protestanti ed
evangelicali –, formano circa 32 comunità, ben poca cosa rispetto alle
32.000 moschee presenti sul territorio
algerino. Anche la Federazione protestante di Francia ha espresso preoccupazione per i protestanti algerini, vittime di una campagna di denigrazione,
e, in un comunicato ufficiale di fine
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febbraio, sottolinea che la Chiesa protestante algerina è «una federazione di
Chiese locali composte da cristiani algerini»; si dice inoltre «attenta alla situazione dei cristiani d’Algeria, a qualunque confessione essi appartengano.
Ed è preoccupata per il rispetto della
libertà religiosa e di culto».
Sfida non solo algerina
Il testo dei vescovi cattolici prosegue poi entrando nel vivo: il futuro
della presenza cattolica in Algeria e di
conseguenza il futuro di una Chiesa
che persino negli anni più bui del terrorismo è rimasta fedele alla sua vocazione, quella di essere la «Chiesa del
popolo islamico» (cf. Regno-att. 16,
1997,493).
«I recenti avvenimenti sono, in alcuni casi, rivelatori di mancanza di fiducia e a noi paiono ingiusti. Negli anni abbiamo dato prova che la nostra
vocazione e la nostra missione nel paese è rivolgerci a quanti ci sono fratelli e
sorelle in umanità. È lì che noi mettiamo in opera il comandamento di Gesù
Cristo: amatevi “gli uni gli altri come
io vi ho amato” (Gv 13,34).
Alcuni giornali sono arrivati a scrivere che il nostro impegno nel servizio
è un mezzo per ottenere conversioni.
Ancora un volta vogliamo dire loro
che la vita nella sequela di Gesù Cristo
implica la gratuità nel servizio. La nostra gioia si esprime laddove noi possiamo accoglierci gli uni gli altri nel rispetto della differenza. Far scaturire la
comunione tra uomini di origini e di
culture diverse è la nostra missione data da colui che ha donato la sua vita
“per riunire insieme i figli di Dio che
erano dispersi” (Gv 11,52).
Desideriamo rispettare ciascuno
nella propria identità religiosa e nella
propria ricerca personale. D’altra parte questa è una delle più grandi sfide
del mondo contemporaneo.
Grande è la tentazione di scegliere
nella tradizione cristiana un solo
aspetto nella fedeltà alla propria missione. Papa Benedetto XVI nella sua
enciclica ha posto al cuore della nostra vita cristiana la convinzione centrale del Nuovo Testamento: “Dio è
amore” e ci invita a mettere in opera
questa certezza nella nostra vita quotidiana e attraverso i nostri strumenti
di solidarietà.
I nostri strumenti di solidarietà si
esprimono attraverso servizi molto concreti e che possono apparire molto modesti: sostegno scolastico, formazione
femminile, aiuto agli handicappati, supporto dell’artigianato, una biblioteca
per studenti, l’aiuto alle persone anziane
e sole, formazione professionale, accoglienza dei bambini e della maternità.
Ma questa solidarietà quotidiana vissuta
nella relazione tra cristiani e musulmani
da decine d’anni ha messo in moto una
vita di Chiesa locale che è divenuta feconda per la Chiesa universale.
Tutti noi conosciamo il ruolo che
hanno avuto i religiosi vissuti in Algeria all’interno della riflessione della
Chiesa universale quando durante il
concilio Vaticano II si mise mano alla
redazione del documento sulle relazioni tra cristiani e musulmani. Questo
testo ha avuto un ruolo determinante
nel cambiamento dello sguardo della
Chiesa cattolica sul mondo islamico».
Qui sta la sfida di volersi caratterizzare per uno stile di Chiesa locale dia-
logante col mondo islamico e riconosciuta da questi come interlocutore;
una «Chiesa della testimonianza», della condivisione della vita con tutti gli
algerini.
«Nell’attuale momento della vita
del mondo – prosegue la lettera –,
molti avvenimenti tendono a mettere
in contrapposizione cristiani e musulmani. Pertanto la vocazione che ci è
stata data qui in Algeria lungo tutti gli
anni trascorsi riceve dal contesto attuale una rinnovata importanza. Le
nostre solidarietà abitano le nostre
preghiere e si abbeverano alla sorgente della nostra vita eucaristica – “dare
la vita per i fratelli” (1Gv 3,16) –. Le
prove che dobbiamo sopportare ci invitano inoltre a vivere il mistero di Cristo in maniera più profonda.
Molti dei nostri amici algerini conoscono il prezzo che abbiamo dovuto
pagare per mettere in opera questa solidarietà. Alcuni ricordano il sacrificio
patito dai nostri fratelli e dalle nostre
sorelle religiose assieme a molti algeri-
Iraq
Mons. Rahho
La Chiesa
scompare
R
apito a Mossul il 29 febbraio, è stato ritrovato senza vita il 13 marzo
alla periferia della città. Così è morto mons. Paulos Faraj Rahho, arcivescovo
di Mossul dei caldei. Sepolto il giorno dopo nel villaggio di Karamlash, ora riposa
nella chiesa di Mar Addai accanto al suo
segretario, p. Raghid Ganni, ucciso l’anno
scorso (cf. Regno-att. 12,2007,374). «Ha
preso la sua croce e ha seguito il Signore
Gesù fino all’agonia e alla morte. E così,
come il servo del Signore, ha contribuito
a “portare il diritto” nel suo martoriato
paese», ha commentato e pregato Benedetto XVI.
Mons. Paulos Faraj Rahho.
I gruppi fondamentalisti radicali hanno fatto di Mossul una delle aree di più
intensa attività, accanendosi in particolare sui cristiani, privi di protezione: taglieggiamenti, imposizione delle vesti
islamiche alle donne, minacce, rapimenti
e uccisioni. C’è una sorta di tariffario per
il riscatto: per un bambino 25.000 dollari,
per un adulto 50.000, per un prete
100.000. Nella trattativa per Rahho si era
partiti da un milione.
Più della metà dei cristiani hanno lasciato la città ingrossando le file delle mi-
ni non cristiani durante la crisi algerina degli anni 1994-1996.
Altri ancora ritengono che i benefici ricevuti in tempi diversi dall’impegno solidale dei religiosi e delle religiose mantengano la loro importanza anche oggi. Questa storia potrebbe forse
sembrare legata a un’epoca ormai tramontata. Noi pensiamo al contrario
che le attuali evoluzioni del mondo
facciano della nostra vocazione alla solidarietà, oltre ogni frontiera, una vera
missione per l’oggi e per il domani.
Ringraziamo tutti coloro che in
questi ultimi anni si sono uniti a noi
per vivere insieme questa missione. La
loro presenza presso di noi dà forza alla nostra speranza. E come Benedetto
XVI ci propone nell’enciclica Spe salvi vi invitiamo tutti a scoprire attorno
a voi, nella società algerina, “le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza” (n. 49;
Regno-doc. 21,2007,666)».
Maria Elisabetta Gandolfi
grazioni interne (verso le aree a predominanza curda) e verso l’estero (Turchia, Siria, Giordania, Libano: in attesa di permessi per l’Europa e gli USA).
Gli estremisti sunniti e sciiti sembrano
mirare a un cosiddetto emirato islamico
che comprenda le province di Salahdin,
Anbar, Diyala, Baghdad e Wasit, con capitale a Mossul. Uno dei corollari del processo è la decisione della «pulizia etnica»:
costringere i cristiani ad andarsene.
Delle varie confessioni cristiane sono
rimasti nel paese non più di 400.000 persone. Per questo, dall’emigrazione, soprattutto statunitense, si insiste per la
formazione di un’enclave cristiana nella
piana di Ninive. Ma una parte importante
della Chiesa locale la percepisce come la
sconfitta propria e del paese.
Da sempre infatti i cristiani sono diffusi dentro il tessuto della popolazione
nazionale, testimoniando una memoria
preislamica ed esprimendo un legame rilevante per la società civile. La paura di
molti è che il sipario sulle comunità cristiane del paese si chiuda per sempre.
L. Pr.
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