Cahier de voyage - Centro Turistico Giovanile

Transcript

Cahier de voyage - Centro Turistico Giovanile
Cahier de voyage
Dieci giorni di novembre in IRAN
Prima di partire mi sono successe tre cose. La segretaria
dell’Associazione che ha organizzato il viaggio di gruppo mi
ha telefonato per conoscere il nome di mio padre. “È morto da
vent’anni”, ho risposto. Ma senza non sarei potuta partire per
l’Iran. Sono dovuta andare a depositare le impronte digitali e
il passaporto. Mi sono trovata di fronte a due scuole di
pensiero degli amici. La prima diceva: ”L’Iran? E perché mai?
È troppo pericoloso”. La seconda: “Che bello e alternativo! Ti
invidio”. A volte, basta poco per sapere con chi abbiamo a che
fare. Sono andata per motivi culturali, storici, artistici,
spirituali, fisici. Viaggio come pellegrinaggio di conoscenza,
come modo di capire meglio se stessi e gli altri.
L’Iran è fra Occidente e Oriente, fra passato e presente, fra
antico e moderno. È un paese vasto cinque volte l’Italia, con
paesaggi svariati, dalla montagna al deserto, dalle palme agli
olivi e viti ai cespuglietti spinosi, alla sabbia. Paese di
grandi distanze, con duemila siti archeologici. Ci sono molte
differenze fra città e villaggi di campagna. Per dire tutto
ciò che ho sentito dalla nostra guida, dovrei scrivere un
libro intero, e non mi sembra il caso!
Abbiamo tutti dei pregiudizi, e preferisco saperlo, per poi
poter lottare contro di essi. Non è vero che le Donne iraniane
non possono truccarsi, tingersi i capelli, mettere lo smalto.
Ma è vero che devono tenere sempre in testa il “velo”, da cui
si intravedono i capelli, che mortifica. Così come le turiste,
anche al ristorante. E dato che qui il riscaldamento è sempre
al massimo, nell’aeroporto, nelle camere d’hotel, nei
ristoranti, (sarà perché hanno il petrolio?), a me il
“foulard”, come lo chiamo io, dava un grande fastidio. I miei
capelli ribelli non sopportano alcuna restrizione ed avevo un
gran caldo. Gli abiti devono coprire collo, braccia, gambe e
non devono vedersi le forme del corpo. Insomma, coprire capo e
culo! Mi viene in mente un aggettivo sintetico di un’amica
staffetta partigiana sugli uomini: “prepotenti”. Qui le Donne
sono più occidentalizzate e hanno maggiori libertà in
confronto ai paesi dell’Islam. Le ho viste guidare, ma poche.
Non ho notato le parrucchiere, perché sono nascoste nelle
case, ma le locali sanno dove trovarle. Lavorano fuori casa,
fanno carriera e hanno rappresentanti in Parlamento. Possono
esercitare qualsiasi mestiere, ad eccezione di quello di
giudice. Le studentesse universitarie sono il sessantacinque
per cento. Hanno tutti i diritti, anche di voto, ad eccezione
di quello di diventare Capo Supremo, anche se fanno parte di
minoranze religiose. Le generazioni dai cinquanta ai
settant’anni sono in frattura con le giovani, perché hanno
vissuto sotto lo Scià, quando c’era ricchezza economica.
Ragazze iraniane
Non è vero che non viene usata la carta igienica (anche se a
volte non c’è), perché la tradizione islamica vuole che ci si
lavi. Infatti, ogni gabinetto, che di solito è alla turca è
munito di rubinetto d’acqua. Ho visto a volte insieme nello
stesso stanzino tazza e gabinetto alla turca.
Non è vero che sono tutti talebani fanatici. Il pubblico e il
privato sono diversi. Non è vero che sono tutti terroristi con
barba e baffi neri. L’ospitalità è una caratteristica. Solo il
cinque per cento brucia le bandiere americane, come vediamo
nei mass-media. Non è vero che c’è da avere paura: mentre
giravo avevo una sensazione di grande sicurezza, al contrario
che in Italia. Non c’è la microcriminalità.
Non è vero che sono arretrati nelle tecnologie. Di sicuro
fanno selfie molto, molto più di noi!
Non è vero che non si possono mangiare insalate e verdure
perché l’acqua è inquinata: ne ho mangiate a iosa e sono stata
bene!
La differenza di orario fra noi e l’Iran è di due ore e mezzo.
Esempio: se in Italia sono le 15, a Teheran sono le 17,30.
Intorno alle 17 è quasi buio. La moneta è il rial, ma
facilmente vengono accettati gli euro; un euro corrisponde a
circa cinquantamila rial. La lingua ufficiale è il farsi,
scritto con caratteri arabi. Si scrive da destra a sinistra.
L’inglese è diffuso. È un paese ricco di petrolio e di tutto,
ma la situazione è peggiorata con la Rivoluzione Islamica del
1979 di Khomeini. Oggi il popolo soffre ma dignitosamente non
lo fa vedere.
Che bello il tramonto che ho osservato dall’aereo da Roma a
Teheran! A strisce orizzontali rosse, nere, cinestrine, rosa,
celesti, nere. Le mie vicine di posto, madre e figlia, sono
state le prime iraniane che ho visto: truccate vistosamente,
ossigenate, col velo sulle gambe, prima di indossarlo alla
discesa, gentili, sorridenti, accoglienti, come tutte quelle
che incontrerò in seguito. Le iraniane hanno enormi occhi
belli e molto bistrati. Forse lo fanno per valorizzare l’unica
parte del corpo che possono fare vedere. Da tempo non notavo
in giro tanti rossetti rosso squillante, che adoro.
Nell’attesa dei bagagli è stato il primo choccante colpo
d’occhio su tante donne tutte vestite di nero da capo a piedi.
In Iran è una specie di perenne mostra di foulard di ogni
tipo: leggeri, pesanti, di lana, di cotone, a righe, a quadri,
con fiori, di colori tenui o vivaci… Quali segreti nascondono
le Donne locali sotto l’abito? Che cosa pensano veramente?
Quando ci scivolava il foulard, non essendoci abituate, c’era
quasi sempre un uomo a farci cenno di tirarlo su… Ho tentato
di parlare con qualche iraniana, con fatica, per via della
lingua. Ci sono quelle che sono contente di portare il chador
perché sono religiose integraliste convinte. O sono cresciute
così fin da piccole, hanno visto la mamma, ne va della loro
identità. Ci sono quelle che assumono un’espressione incerta e
non felice, ma non possono parlare. Se si ribellano, le
famiglie le abbandonano e non trovano marito… È molto, molto
raro vedere girare una donna da sola di sera. Ho visto una
scolaresca con le bambine meravigliose dal velo bianco e la
maestra tutta nera. Non esiste più il matrimonio “combinato”
come un tempo, tranne che nei villaggi tradizionali e non è
accettata la poligamia. Esiste il divorzio. Il matrimonio
“temporaneo” non è altro che una “prostituzione islamica”.
La capitale Teheran ha circa dodici milioni di abitanti ed un
traffico terribile, con relativo inquinamento. Molti girano
con le mascherine. Il pericolo maggiore è nell’attraversamento
delle strade. Ci si butta dentro e come va va… Non usano il
casco, non rispettano il rosso, i passaggi pedonali sono rari,
i motorini con tettuccio passano sui marciapiedi a velocità
sostenuta… Ci sono tanti taxi gialli e verdi e “collettivi”.
Le auto sono vecchie e scassate, da noi non supererebbero la
revisione, però costano il doppio. Non c’è il “centro storico”
come lo intendiamo noi. Abbiamo visitato il Museo
archeologico, il Museo del vetro, ospitato in un bel palazzo
in stile Gujarat, il Museo dei gioielli. In quest’ultimo mi ha
colpito un mappamondo fatto di pietre preziose che disegnano
mari e continenti, più corone, scettri, specchi, ombrelli,
casacche con incastonati i gioielli più incredibili. Il
giardino naturalistico è ornato di specchi, vetrate e
cristalli come nelle fiabe, con un gusto sovraccarico che
doveva mostrare la ricchezza del sovrano di Persia. Nelle sale
enormi lampadari di vetro a goccia.
A Teheran di notte ci sono luci forti all’americana. Sui muri
vasti murales. È nata nel Settecento, è centro religioso,
culturale, politico, commerciale, nodo delle vie di
comunicazione. C’è un’importante Università pubblica. Anche
qui esiste la “fuga dei cervelli”. I Palazzi più vecchi sono
dell’ Ottocento. È piena di minoranze etniche, rappresentate
in Parlamento. La politica è razzista, ma la popolazione non
lo è. Il novanta per cento è sciita. L’Iran è una Repubblica
Islamica. Il Presidente ha tutti i poteri. I politici sono
corrotti, hanno rubato settecento miliardi. Volendo, l’Iran
potrebbe fermare l’ISIS, perché lo odia, in pochi giorni, ma
l’ISIS è voluta per motivi economici americani. L’Italia è
l’Iran dell’Europa, però senza petrolio: ambedue glorioso
passato, ma oggi?
Gli Iraniani sono musulmani ma non Arabi. Sono d’origine
indoeuropea. Lo stipendio medio è di 700-800 euro. C’è stata
una grossa svalutazione dopo l’“embargo” americano da otto
anni. La guerra fra Iran e Iraq è stata per motivi economici,
(leggi: petrolio), come tutte le guerre, dal 1980 al 1988. Le
strade sono piene di immagini di giovanissimi morti in questa
occasione. Siamo nel 1394 per il calendario islamico. Tutti,
uomini e donne, sono ossequiosi, sorridono e salutano tutti
con una specie di inchino. Questa è una delle cose che mi ha
colpito di più (nel mio condominio quasi nessuno saluta).
Persepoli
In aereo siamo andati a Shiraz. Da qui siamo partiti in
pullman per Persepolis, a sessanta chilometri, uno dei siti
archeologici più importanti del mondo. Mi sembrava impossibile
di essere proprio là col mio corpo, dopo tante immagini sui
libri di scuola. Qui il Palazzo fatto costruire da Dario Primo
nel 518 a. C., per festeggiare l’inizio anno, il 21 marzo,
convogliando i principali artisti del tempo. L’estesa
piattaforma è ricoperta di colonne enormi, porte, bassorilievi
che raffigurano le popolazioni facenti parte dell’Impero
Persiano. Per fortuna l’incendio di Alessandro Magno non ha
distrutto tutto, perché il piombo non si è sciolto. Spesso si
assiste alla vittoria del Bene sul Male. Poi abbiamo visitato
la Necropoli a forma di croce di Naqsh-e Rostam, dove sono le
tombe di Dario il Grande, Serse, Artaserse Primo e Dario
Secondo. I re erano sepolti coi loro tesori che nel tempo sono
stati trafugati, fino ai Sassanidi. Sono presenti i quattro
elementi. Mattinata di sole. Alcune Donne hanno guardato male
una del mio gruppo che aveva i piedi nudi nei sandali.
A Persepolis Reza Pahlavi, l’ultimo Scià di Persia, negli anni
Sessanta, organizzò megafesteggiamenti per tornare all’“antica
Persia”, e qualcosa di quelle costruzioni è rimasto. Lui fece
varie riforme, anche con l’aiuto di Farah Diba, pur essendo un
dittatore, Voleva migliorare in modo laico, ma era religioso e
figura debole. Nell’Ottocento l’Iran era ancora nel Medio Evo.
Nel Novecento arrivarono per il padre dello Scià aiuti dagli
Inglesi che poi lo tradirono. Nella seconda guerra mondiale
l’Iran fu a fianco di Hitler. Poi fu dalla parte degli
Americani e il petrolio fu nazionalizzato da Mossad. La
Rivoluzione di Khomeini contro i Pahlavi fu nel 1979 e fu
programmata. Non c’è stata qui la “Primavera araba”, ma
piuttosto l’“Inferno”! Il collegamento è sempre col prezzo del
petrolio; dove esiste arrivano gli Americani, quindi la pace
non c’è mai. Infatti, è più facile avere l’ “oro nero” nei
paesi incasinati! Non c’è democrazia americana ma teocrazia. I
governi stupidi sono voluti, perché si possa continuare come
prima. Gli Sciiti sono più intransigenti; i Sunniti più
tolleranti, ma ambedue sono sottomessi. I ritratti di due
uomini vecchi, brutti, con turbante e barbone, dall’aria
seria, dominano ovunque: nelle strade, nei palazzi, nei
supermercati, nelle aule scolastiche… con fatture diverse, da
modeste e rustiche ad eleganti e appariscenti. Sono gli
Ayatollah Khomeini e Khamenei.
A Persepolis facevano spettacoli fino a dodici anni fa.
A Shiraz abbiamo visitato la Moschea di Nasir-ol-Molk, il
Mausoleo di Ali Ben Hamze rivestito di specchi, il Palazzo e i
giardini di Narenjestan, esempio di architettura Kajaridi e la
tomba degli anni ’30 del poeta Hafez, morto 750 anni fa. Ci si
arriva con dei gradini e il soffitto è a piastrelle blu,
celeste e oro. La Poesia è molto amata e rispettata in Iran.
Qui arrivano gli Iraniani in pellegrinaggio. C’è chi anche
oggi crede ai suoi versetti. La sua poesia è di difficile
interpretazione per noi. Hafez sapeva tutto il Corano a
memoria. Intorno quattro bei giardini curati, come sempre qui
i giardini, luoghi di riposo, ristoro, silenzio, in un mondo
carente d’acqua.
Tomba del poeta Hafez
“Possiamo credere di sapere chi siamo.
Possiamo essere musulmani, ebrei o cristiani
ma finché i nostri cuori non guariscono
vediamo solo le nostre differenze” (Rumi)
La Moschea è del 1850; nel chiostro c’è la vasca per le
abluzioni. I musulmani devono pregare cinque volte al giorno
col viso in direzione della Mecca. Nel salone delle preghiere
colori tenui e tappeti bellissimi tessuti a mano; si entra
senza scarpe. I Santuari oggi sono migliaia, in aumento,
perché siano punti di riferimento religioso per il popolo,
dedicati a Santi che in realtà non sono Santi. Le Donne nella
preghiera sono separate dagli Uomini. Credevo che si sarebbero
arrabbiate mentre erano in meditazione e noi scattavamo foto,
ma non è stato così.
A Shiraz sono noti medici della chirurgia plastica (spesso
abbiamo notato Donne con cerotti sul naso…) e dell’oculistica.
Si dice che qui siano lenti e pigri. È una città di profumi,
bergamotto, uccelli, fiori, usignoli, poeti. È una zona di
montagna fertile per l’agricoltura; l’acqua è sotterranea. Gli
Iraniani sono orgogliosi di questa città, perché qui sono nati
diritti umani molto antichi. La scrittura era cuneiforme; gli
schiavi operai c’erano ma erano pagati. Anche le Donne
lavoravano e avevano sei mesi di ferie quando erano incinte.
Il nostro albergo a Shiraz è da Mille e una Notte, da Alì Babà
e i quaranta ladroni, se così può dirsi…: specchi, acqua,
enormi composizioni di fiori freschi, pietre incastonate nei
muri che imitano i topazi, camere in caldo marrone con cuscini
e luccichii. Qui nelle costruzioni sono più importanti gli
interni degli esterni e i gradini sono sempre molto, molto
alti.
Una sera tornando in albergo io e la mia amica siamo state
fermate da una poliziotta dal tono autoritario che controllava
il nostro abbigliamento. Ci siamo un po’ impaurite, mentre
l’auto della Polizia l’aspettava. Era col chador e con un
distintivo verde sul petto. Ma quando ho detto: “Italy”, si è
allontanata, mentre il cuore mi batteva.
Pasargade – Tomba di Ciro il Grande
Lungo il cammino per Yazd, (c’era la pioggia, qui molto
desiderata), abbiamo visitato le rovine di Pasargade, città
fondata da Ciro il Grande, nel quinto secolo a. C., dopo la
vittoria sui Medi. Qui è la sua tomba. Yazd è una delle città
più antiche del mondo, religiosa, con un milione di abitanti,
chiusa, in linea col deserto. Ci sono scuole coraniche e un
numero maggiore di Donne col chador. Zona di ceramiche e
motociclette. La mancanza d’acqua è sempre stato un problema.
Ho visto le inquietanti Torri del Silenzio, (qui portavano i
cadaveri per essere divorati dagli avvoltoi, per non inquinare
la Terra), la Cisterna dell’acqua, la porta antica del Bazaar
di Piazza Amir Chakhmakh e il Tempio del Fuoco di Ateshkadeh,
importante, di Zoroastro.
Yazd – Atashkadeh (Tempio del fuoco zoroastriano)
Si dice che la fiamma sacra arda dal 470 a. C. Qui vivono
sessantaseimila zoroastriani. L’islamismo impiegò ben
quattrocento anni per penetrare in Iran. Le mura della città
vecchia sono fatte di fango, sabbia, paglia e mattoni bucati.
Nella Moschea del Venerdì c’è un punto centrale dal quale la
voce dell’Imam può essere ascoltata ovunque. Le piastrelle
hanno disegni che sembrano fiori ma in realtà sono versetti
coranici. Nel giardino del Settecento Dollat Abad c’è la Torre
del Vento più alta. Se lasci cadere un pezzetto di carta
rapidamente sparisce verso l’alto. In questo giardino ho
incontrato un gruppetto di Donne disabili simpaticissime.
Erano sedute su sedie a rotelle non elettriche o su tappetini,
a chiacchierare allegramente. Mi hanno offerto uva passa e
hanno voluto fare una foto tutte insieme. Intorno erano fiori,
fichi, melograni, viti, canti di uccelli.
In tutto il viaggio ho visto alcuni gatti, ma un solo cane.
Sono tenuti a casa. Il cane è animale impuro per l’Islam e chi
lo tocca deve lavarsi. Si dice che un cane morsicò Maometto…
Sulla strada in lontananza ho notato la neve in cima alle
montagne a tremila metri. Andando verso il deserto la
vegetazione è cambiata e le architetture si sono adattate
all’ambiente, diventando color ocra, argilla, marrone e
giallino. Sono apparsi cespugli, piante nane, alberelli,
pietre e lastroni. Poco verde, molto marrone, rossiccio e
bianco. Quattro gradi e un tramonto dai colori grigio,
biancastro e celestino.
Meybod – fortezza di Narin
Siamo partiti per Meybod, città tipica del deserto, e abbiamo
visitato la fortezza di Narin, la ghiacciaia del Settecento,
la più grande dell’Iran, funzionante fino all’Ottocento e la
piccionaia, che in passato forniva un commercio fiorente di
guano. Siamo stati nell’antica Moschea Jame del decimo secolo
e nel caravanserraglio. Quest’ultimo era una specie di
albergo, dove i commercianti scambiavano le merci.
Nain – Moschea Jame
Naein ha la Moschea del Venerdì fra le più antiche e semplici
dell’Iran, di 1250 anni fa, con un pulpito in legno intarsiato
del tredicesimo secolo e un Minareto dell’undicesimo secolo
d.C. L’Imam nella preghiera del venerdì parla di problemi
sociali e politici.
Quindi siamo arrivati a Esfahan, (vuol dire: ”esercito”), per
me la città più suggestiva e armonica fra tutte. Dal 2006 è la
capitale culturale del mondo islamico. Ha verde pur nel
deserto e due milioni e mezzo di abitanti. È molto pulita e
tenuta bene. Un vecchio detto persiano afferma: “Esfahan è la
metà del mondo”, per il suo fascino urbanistico e
architettonico costruito da sovrani dagli Abbasidi, ai
Selgiuchidi, ai Mongoli. Era in una posizione centrale,
strategica, già cinquemila anni fa. Il suo massimo splendore
fu nel Seicento, quando arrivavano artisti da tutto il mondo.
Esfahan – Moschea del venerdì
La Moschea del Venerdì fu costruita per prima, fra
l’undicesimo e il dodicesimo secolo, col cortile interno più
grande di tutto l’Iran, decorato con le caratteristiche
piastrelle azzurre, blu, turchesi e dorate, in un gioco di
chiaroscuri, di luce/buio, come in un merletto, come nella
poesia, come nella vita. Tutti gli edifici sono rivolti alla
Mecca. La voce maschile autoritaria all’altoparlante fa una
certa impressione… Sull’enorme e bellissima Piazza si
affacciano la Moschea dell’Imam, alta come un palazzo di
quattro piani, quattro minareti, la Moschea delle Donne, la
più bella di tutte secondo me, e il Palazzo Ali Qapu delle
quattordici colonne, degli archi a sesto acuto e del giardino.
Esfahan – Palazzo Ali Qapu
I Palazzi reali nel Medioevo erano venticinque; ora sono tre.
Indimenticabili i Ponti di Si-o-Se Pol e Khajou dei trentatrè
archi, illuminati di notte, sul fiume quasi sempre secco.
Siamo stati fortunati, perché in questo periodo il fiume era
ricco d’acqua e forse anche per questo i Ponti erano
superaffollati soprattutto di giovani, fra musica, cibo e
risate. Una volta c’erano dodici ponti. Dall’alto i re
assistevano agli spettacoli. Qui il giovedì e il venerdì sono
come da noi il sabato e la domenica. Dalla stanza dell’hotel
si vedono il fiume, le barchette, il ponte, la Moschea della
città vecchia. Siamo a metà novembre, ma il clima è
primaverile! Il clima è secco, c’è il sole e ci sono dodici
gradi. (È la prima volta che la mia frangia non si arriccia!
Però, usando il foulard, si è formato un grosso nodo sulla
nuca, tipo rasta). Meraviglioso il giardino Hasht Behesht
degli “otto Paradisi”, con una costruzione centrale aperta
all’interno, per fare girare l’aria d’estate. Sulle piastrelle
decorative sono uccelli blu e motivi geometrici. Si nota un
orso che veglia su una persona addormentata. È l’“amicizia
della zia Orsa” che fa sia bene sia male! Al centro è una
vasca di alabastro. Gli affreschi in oro e gli ornamenti in
cedro del Libano sono stati restaurati. Le pareti sono ornate
da tappeti eleganti del Seicento; i colori predominanti sono
rosso, giallo, blu, verde, ma sobri. Le pitture sono
straordinarie, con scene della vita quotidiana, mani alzate in
segno di rispetto, vino, musica, loti, arance e melograni,
ballerine dalle lunghe gonne a righe verticali dorate, uomini
baffuti, ma anche immagini stracariche di guerra, come quella
contro gli Indiani e i loro elefanti.
Seduti sull’erba ho notato studenti di Architettura che
facevano copie dal vero.
Al sesto piano c’è la Camera della Musica, insonorizzata, con
muri storti, con decorazioni di strumenti musicali o di
bottiglie di vino, ispirati alle porcellane cinesi, capolavori
di gesso, e una fonica perfetta. Qui i re venivano a
divertirsi. Dalla terrazza si gode il panorama della Piazza,
delle Moschee, dei Minareti, delle porte, della fontana. I
colori sono eleganti e non monotoni.
Quando sono entrata nella Moschea delle Donne non ho potuto
trattenere un “oh…” di meraviglia, per le vaste proporzioni
circolari e i disegni di alto valore artistico. Ubriaca di
Bellezza. Al centro della cupola ho subito notato la famosa
“coda di pavone” per effetto del sole. Le fotografie non
rendono abbastanza! Le lavorazioni raffinate di piastrelle
sono o tipo il nostro mosaico o ad intarsi più difficili, di
sette colori. Non c’è l’abitudine di mettere i nomi degli
artisti per modestia.
Dicono che a Esfahan sono tirchi e bravi nel commercio e
nell’artigianato (miniature, rame, piatti, stoffe, scatole di
legno, pietre preziose, fra cui il turchese). Abbiamo visitato
il negozio di un famoso miniaturista che ci ha illustrato la
sua tecnica. Nelle miniature non c’è prospettiva, ma colori
naturali caldi, palazzi, fiori, uccelli. Una volta si usava
l’avorio, oggi le ossa di cammello. Il pennello è di pelo dal
collo del gatto. Siamo stati a curiosare e comprare regalini
al Bazaar che corre lungo la Piazza a nord per cinque
chilometri. Ogni stradina mostra una particolare attività. Ci
sono molte gioiellerie con monili per i nostri gusti…
pacchiani. Oggi ci sono molte cineserie. Incredibili le spezie
colorate. Odori strani, fragranze, aromi, profumi…
Esfahan – quartiere armeno di Jolfa
Nell’antico quartiere degli Armeni di Jolfa abbiamo visitato
la Cattedrale di Vank, di stile sovraccarico a metà fra armeno
e persiano, (con Inferno, Purgatorio e Paradiso raffigurati
come da noi) e il Museo che contiene documenti del genocidio
degli Armeni ad opera dei Turchi. Ha pure il libro più piccolo
del mondo. Il Palazzo Hasht Behesht è detto: “il Palazzo degli
Otto Paradisi”. Qui vivono quattromila Armeni ben integrati.
Un tempo c’erano venti chiese armene, oggi sei. Temperatura
tiepida e ideale.
Siamo stati in un negozio di tappeti, i più famosi del mondo.
Il più antico nacque in Siberia, di colore grigio. I disegni
sono di due tipi: dei nomadi (mentalità desertica, più
semplici, geometrici, lana e cotone, oggi anche seta, marrone
e grigio, alberi della vita, cipressi, vasi, coda di pavone,
capre, i quattro elementi, quaranta disegni, rapporto con
l’architettura, i bambini imparavano dalla nonna nei villaggi)
e di città (più complicati, seta, qualità, colori vivaci,
sfondo rosso, differenze da città a città, anche oggi la madre
insegna a figli e figlie, però più alla figlia che deve
prepararsi il corredo). Un antico detto persiano recita:
“Nulla è perfetto se non è imperfetto”. I negozianti ci hanno
fatto compiere un “viaggio nel tappeto” attraverso undici tipi
dei nomadi e undici modelli di città, fino ad arrivare al…
“tappeto volante”! Più ci sono nodi a centimetro quadrato e
più il disegno è preciso e prezioso, fino a un record di
qualità di 225 nodi. Il lavoro al telaio è durissimo e per
quanto un tappeto possa costare è sempre poco rispetto al
numero di ore impiegato. Occorre grande velocità nell’annodare
i nodi di vario colore. Gli artigiani donano anima e corpo.
Per un tappeto grande ci vuole un anno e mezzo di lavoro di
otto ore al giorno. I più costosi sono quelli antichi, di
lana, perché hanno resistito al tempo. Il tappeto vecchio ha
meno di cento anni; quello antico ha più di cento anni. Oggi
la Cina fa tappeti a macchina. In casa tutti hanno tappeti,
anche per motivi religiosi.
Tappeti persiani
Per riposarci siamo stati in una sala da the caratteristica
nel bazaar. Fumo di tabacco aromatizzato dei narghilè
nell’aria. Stracarico di oggetti, polveroso, impossibile
trovare un centimetro libero. Quadri al soffitto, lampadari,
lumi, teiere, giocattoli, elmetti, sciabole, pugnali,
farfalle, francobolli, monete, cartoline, foto, pipe, vasi,
porcellane, cristallerie, grammofoni, radio, bottiglie,
bracieri, ritratti…Lista infinita. Ci è stato servito the
bollente con miele o zucchero cristallizzato. Molti ragazzi
giovani, tutti con baffi e barbetta, fumavano, formando
cerchietti bianchi nell’aria, e ci hanno offerto dei dolci. È
una specie di rito per rilassarsi, chiacchierare, per
un’oretta. Invece, il ristorante del Seicento, restaurato, in
periferia, è superlativo. Cibo eccellente, sale e sale
labirintiche, piastrelle azzurre ovunque, vasche d’acqua a
terra.
Alle diciassette, mentre il muezzin chiamava alla preghiera,
nella grande Piazza intorno alla Cupola della Moschea delle
Donne il cielo ha assunto varie sfumature di strisce
orizzontali, nell’ordine dal celeste al rosa al grigio, per
tornare al celeste. La Cupola lasciava i colori al cielo e il
cielo alla Cupola, stemperandoli, senza soluzione di
continuità. Sfumature blu e turchine che spezzano il cuore per
la loro fugacità, per giungere alle diciassette e
quarantacinque a un cielo quasi blu, in cui spiccava una falce
di luna nitidissima, prima di sprofondare, in un attimo, nel
buio totale.
Sulla strada per Abyaneh il paesaggio cambia. I colori sono
diversi dai nostri nel sole nitido: verdi, gialli, bianchi,
arancioni, bordò, marroni delle montagne di più di tremila
metri contro il cielo celestissimo senza una nuvola. Pietroni,
ruscelletti, pianticelle spinose. Ci inerpichiamo col nostro
vecchio pullman giallo che si è rotto due-tre volte durante il
viaggio. Intravediamo cinque-sei villaggi con santuari,
mausolei, cimiteri, giardini di noce, melograno, uva, patate.
Abyaneh è un villaggio caratteristico dalle case rossicce in
argilla, (mi ha ricordato i muri di Bologna), a circa 2200
metri. Nelle montagne circostanti sono grotte che venivano
usate come magazzini e riserve di merci. Agricoltura fiorente,
canali sotterranei, cave di marmo. Esiste dal 300 d.C, ha un
tempietto del Fuoco e un Santuario. Oggi ha quattrocentocinquecento abitanti. Si usa venirvi in villeggiatura
d’estate. I giovani sono emigrati in città per studiare come
medici e professori universitari. Qui adoperano ancora abiti
tradizionali. L’aria è pulita, con odori d’incenso e legna
bruciata. Sulle casette la carta catramata d’argento luccica.
Serve per riflettere il sole e per fare scivolare l’acqua.
Villaggio di Abianeh
Kashan è a 1600 metri, al confine col grande deserto di
Maranjab, che è a ottanta chilometri di distanza. Risale a
settemila anni fa, sulla via della Seta e della Mecca. Nota
nel Seicento, fu fra le prime a convertirsi all’Islam. È
famosa per i tappeti e per le mattonelle smaltate, che danno
il nome alla città, per l’acqua di rose, per i velluti e per
la seta. C’è l’Historical Fin Garden, con un geniale metodo di
fontane artificiali che sfrutta livelli e dislivelli sulle
piastrelle azzurre: è la loro “Fontana di Trevi”. Si dice che
qui siano paurosi. Si usava sposarsi a sedici-diciotto anni e
a venticinque-trenta non li voleva più nessuno, maschi e
femmine. Si narra che se uno vuole sposarsi e dorme una notte
qui, presto ci riesce.
Kashan – casa Tabatei
Abbiamo visitato la casa tradizionale nobiliare Tabatabei. I
battenti fanno un suono diverso per maschi e femmine. Non si
entra subito nel cuore della casa, ma dopo sale, corridoi e
corridoi. Si scende di dieci metri e ci sono metodi per
salvarsi dal torrido caldo estivo. Una parte è residenza
invernale, un’altra estiva. C’è una sala per spettacoli e
teatro, ornata di stucchi, più europei che persiani. Vicino
alle toilette abbiamo incontrato un gruppetto di amiche
chiassose e “caciarone” come nel Sud d’Italia; ridevano e
parlavano a voce alta, facendo subito amicizia con noi.
C’è nella Moschea un piano sottostante riservato al
“seminario”. Qui ho incontrato un gruppetto di studenti maschi
e femmine di Archeologia col loro insegnante. Ridevano e
fotografavano, ma appena ho fatto capire a gesti di odiare il
foulard e ho nominato la parola “libertà”, si sono allontanati
velocemente con “ciao ciao”, in particolare i maschi. Da
queste parti l’integralismo è più chiaro. Gli uomini non
possono dare la mano alle donne. Non si può andare in hotel
insieme se non si è sposati.
Di notte i due Minareti sono illuminati all’interno da vivaci
colori rossi e verdi.
Per l’alba e il the nel deserto abbiamo preso le jeep. La
polvere copriva i vetri e somigliava alla nostra nebbia.
Abbiamo fotografato il sorgere del sole dal Lago Salato e le
sue bizzarre composizioni biancastre. Si estende per sessanta
chilometri circa. D’estate è secco e crea forme di cristalli
di sale. Lungo il bordo settentrionale grandi dune si
susseguono su un fronte di quaranta chilometri. Sulle dune ho
strillato per la paura! Cambiano ogni giorno a seconda del
vento; autisti esperti abbassano e alzano la pressione delle
gomme per poter fare salti da montagne russe. Sorprendenti le
striature perfettamente orizzontali color… sabbia! Finora le
avevo viste solo nei film. Abbiamo fatto colazione in un
caravanserraglio antico e semplice in compagnia di dromedari,
pace e silenzio.
Alba nel deserto di Maranjab
Le figurine delle Donne avvolte nel mantello nero svolazzante,
col viso a metà coperto, si sono allontanate misteriose,
invisibili fantasmi, formiche, corvi, uccellacci e uccellini…
Continuano a farmi tristezza, paura, anzi orrore. È mai
possibile che oggi possano ancora esistere?
Tolto finalmente l’odioso “foulard”, giunta a casa, ho
benedetto il fatto di essere nata in Italia, di abitare a
Bologna, di lottare per la parità e per la libertà, che vanno
sempre difese. Non penso di avere capito tutto dell’Iran e
delle Donne iraniane, ma ci ho provato. Di sicuro mi sono
tolta qualche pregiudizio nei loro confronti. L’Iran potrà
cambiare quando lo farà la mentalità. E la mentalità può
mutare solo tramite la cultura. La diffusione di Internet
soprattutto fra i giovani influenza tantissimo. Il grande
problema è la religione dogmatica del potere teocratico e
corrotto. Un po’ come in Italia, col Vaticano proprio a metà
penisola… Qui proibizione di alcolici, di Rock, di effusioni
pubbliche; da noi mafiosi e ubriachi che distruggono e
provocano incidenti automobilistici… Se la via migliore fosse
in mezzo? Dietro ogni “maschera” ci sono solo persone con le
stesse esigenze e lo stesso bisogno di confrontarsi. Se penso
alla nostra guida locale Mohamad, trentenne laureato in Lingua
e Letteratura italiana, molto competente e aperto di idee, mi
piace pensare alla speranza. Lavora per il suo paese,
raccontando ai turisti la verità, però la può dire solo a
loro… Il turismo è ancora giovane, ma in aumento. In Iran per
le nostre sorelle la libertà totale non esiste. Ho conosciuto
una sera due sorelle di tredici e quindici anni. Erano in
compagnia dei genitori, sembravano uniti e contenti. La madre
indossava il solito abito nero fino ai piedi, ma loro avevano
i jeans, sotto tunichette, che coprivano il sedere, colorate e
attillate e i veli erano di colori allegri. Sono state loro a
volerci conoscere e voler fare fotografie insieme. Moderne ma
simili alle ragazze dei nostri anni ’50, attente, educate,
rispettose, tenevano conto di ognuno. In futuro per me l’Iran
avrà lo sguardo pulito e curioso di queste adolescenti. Porto
a casa un bagaglio infinito ed emozionante.
È raro vedere in Iran il colore rosso dei capelli, un po’
streghesco, come il mio.
Serenella Gatti Linares