Sentenza 6132_2015 Corte Cass.

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Sentenza 6132_2015 Corte Cass.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 3 febbraio – 26 marzo 2015, n. 6132
Presidente Forte – Relatore Lamorgese
Svolgimento del processo
Alla fine dell'unione tra P.M. e Pa.Mi. , il Tribunale di Milano dispose l'affidamento
condiviso del figlio T. nato nel 2009; dispose l'assegnazione della casa familiare alla
madre nell'ipotesi in cui il figlio fosse rimasto collocato presso di lei a Milano e
disciplinò le modalità di frequentazione con il padre; determinò in Euro 1000,00
rivalutabili
il
contributo
mensile
dovuto
dal
P.
.
La Corte d'appello di Milano, Sezione per i minorenni, adita dal P. , con decreto
9.7.2009, considerato che la Pa. si era trasferita a Roma portando con sé il figlio
senza un accordo con l'altro genitore, ha ritenuto che tale comportamento integrasse
una violazione delle prescrizioni del primo giudice e giustificasse l'ammonimento
della Pa. a non porre in essere comportamenti ostruzionistici diretti ad ostacolare il
rapporto padre-figlio, ma non l'accoglimento della richiesta del P. di ritrasferimento
del figlio a Milano dove lui abitava. Tale richiesta è stata rigettata anche con
successivo decreto 11 ottobre 2013, nel quale la medesima Corte ha ritenuto che il
figlio si era ormai radicato a Roma dove frequentava la scuola materna e non
manifestava segni di disagio; inoltre dalla c.t.u. risultava che il rapporto con il padre
non era positivo per il minore e che mancavano segnali negativi quanto al rapporto
con la madre. Quindi la Corte ha disposto, anche a causa della estrema conflittualità
tra i genitori, l'affido temporaneo di T. al Comune di Roma, luogo di residenza del
minore, in modo da consentire ai servizi sociali di monitorare la situazione quanto al
rapporto padre-figlio; ha revocato l'assegnazione alla Pa. della casa familiare di
Milano e disciplinato gli incontri tra padre e figlio a Milano e Roma; ha confermato il
contributo di mantenimento di Euro 1000,00 a carico del P. , oltre al 50% delle spese
straordinarie
preventivamente
concordate.
Avverso questo provvedimento il P. propone ricorso per cassazione ex art. 111,
comma 7, Cost. sulla base di tre motivi, illustrati da memoria; la Pa. si difende con
controricorso.
Motivi della decisione
L'eccezione, sollevata dalla controricorrente e dal P.G., di inammissibilità del ricorso
avverso il provvedimento impugnato, che si assume privo dei caratteri della
decisorietà
e
definitività
ex
art.
111,
comma
7,
Cost.,
è
infondata.
Questa Corte ha osservato che, in tema di affidamento dei figli nati fuori dal
matrimonio, già la legge 8 febbraio 2006 n. 54, dichiarando applicabili ai relativi
procedimenti le regole da essa introdotte per quelli in materia di separazione e
divorzio, esprimeva un'evidente assimilazione della posizione dei figli di genitori non
coniugati a quella dei figli nati nel matrimonio, in tal modo conferendo una definitiva
autonomia al procedimento di cui all'art. 317 bis c.c. (testo previgente) ed
avvicinandolo a quelli in materia di separazione e divorzio con figli minori, senza che
assuma alcun rilievo la forma del rito camerale, previsto, anche in relazione a
controversie oggettivamente contenziose, per ragioni di celerità e snellezza; di
conseguenza, nel regime di cui alla legge n. 54 cit., sono impugnabili con il ricorso
per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., i provvedimenti emessi dalla Corte
d'appello, Sezione per i minorenni, in sede di reclamo avverso i provvedimenti
relativi all'affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio ed alle conseguenti
statuizioni economiche, ivi compresa l'assegnazione della casa familiare (v. Cass. n.
23032 e 23411 del 2009). Questo principio è certamente valido, a maggior ragione,
dopo la riforma (d.lgs. 28 dicembre 2013 n. 154) che ha completamente assimilato la
posizione dei figli nati da genitori coniugati e non. L'impugnato decreto, provvedendo
sull'affidamento del figlio e sul suo mantenimento, presenta i requisiti della
decisorietà, risolvendo una controversia tra contrapposte posizioni di diritto
soggettivo, e della definitività, con efficacia assimilabile rejbus sic stantibus a quella
del giudicato ed è quindi ricorribile per cassazione, a norma dell'art. 111 Cost..
Venendo ai motivi del ricorso, nel primo, il ricorrente denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 155 e 155 quater c.c. e vizio di motivazione, per avere
erroneamente confermato il collocamento del figlio T. a Roma, dove si trovava per
una decisione unilaterale della madre, senza autorizzazione del Tribunale per i
minorenni e senza valutarne la conformità all'interesse del minore sulla base di
indagini psicologiche non espletate, anziché disporne il ritrasferimento a Milano
presso la sua precedente residenza anagrafica. Ne sarebbe derivata la violazione dei
principi in tema di affidamento condiviso che miravano a garantire un rapporto
equilibrato e continuativo con entrambe le figure genitoriali e del principio secondo
cui le decisioni fondamentali per i figli (tra le quali anche quella della residenza)
devono essere assunte di comune accordo dai genitori e, in caso di disaccordo,
rimesse
al
giudice.
Il
motivo
è
infondato.
La Corte d'appello, dopo avere stigmatizzato il comportamento della Pa. per la sua
decisione unilaterale di portare con sé il figlio a Roma (affidato inizialmente ad
entrambi i genitori in modo condiviso), dove si era trasferita per motivi di lavoro, ha
rilevato che la sua permanenza a Roma corrispondeva all'interesse del figlio il quale lì
si era radicato ed un suo ritrasferimento a Milano, ove risiedeva il padre con il quale
egli non aveva un rapporto positivo, sarebbe stato negativo; di conseguenza, ha
rimodulato, in relazione alla nuova situazione determinatasi, il regime degli incontri
della minore con il padre, motivando al riguardo anche in ordine all'opportunità di
affidarlo
temporaneamente
al
Comune
di
Roma.
Questa decisione fa corretta applicazione del principio secondo cui le decisioni
riguardanti i figli minori, compresa la scelta della sua residenza, non devono tenere
conto degli interessi dei genitori, ma esclusivamente dell'interesse del minore stesso,
anche nei casi in cui questo possa eventualmente coincidere, in via di fatto, con
quello di uno dei genitori affidatari che non abbia rispettato il metodo dell'accordo in
tema d'indirizzo della vita familiare fissato dall'art. 144 c.c., applicabile anche per la
scelta della residenza del figlio affidato ad entrambi i genitori in modo condiviso
dopo la separazione tra coniugi o dopo l'interruzione della convivenza tra i genitori
non
coniugati.
Nel secondo motivo, per violazione e falsa applicazione dell'art. 155 c.c. e vizio di
motivazione, si assume la violazione del principio secondo cui la conflittualità tra i
genitori non impedisce di disporre l'affidamento condiviso, senza l'espletamento di
indagini
sulla
capacità
genitoriale
né
sull'interesse
del
minore.
Il motivo, che critica la decisione impugnata per avere escluso l'affidamento
condiviso del figlio, affidato temporaneamente al Comune di Roma sotto la vigilanza
dei
servizi
sociali,
è
infondato.
Se è vero che il conflitto fra i genitori non è, di per sé solo, idoneo ad escludere
l'affidamento condiviso, che il legislatore ha mostrato di ritenere come il regime
ordinario (v. Cass. n. 1777/2012), questa Corte ha ritenuto possibile escluderlo in
presenza di un pregiudizio per l'interesse del figlio laddove l'altro genitore risulti
inidoneo o manifesti carenze sul piano educativo (v. Cass. n. 16593/2008, n.
5108/2012). A tale riguardo, la Corte d'appello ha motivato circa il negativo rapporto
del figlio (descritto in sua presenza come "nervoso, iperattivo e aggressivo") con il
padre che in questa sede agisce per far ristabilire il precedente regime di affidamento
condiviso con collocamento a Milano presso di lui o per ottenerne l'affidamento
esclusivo. La censura mira in sostanza a una revisione del giudizio di fatto compiuto
dal giudice di merito che è insindacabile in sede di legittimità, tanto più che non è
stato specificamente allegato l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che
sia stato oggetto di discussione tra le parti, a norma del novellato art. 360 n. 5 c.p.c.
(nel nuovo testo riformulato ad opera del d.l. n. 83/2012, conv. in legge n. 134/2012,
applicabile
nella
fattispecie ratione
temporis).
Nel terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 148
e 155 c.c., per avere determinato il contributo al mantenimento del figlio in un
importo che non terrebbe conto della sua modesta capacità reddituale.
Il motivo è infondato per ragioni analoghe al precedente, mirando anch'esso alla
revisione del giudizio di fatto che è stato compiuto dai giudici di merito in ordine alla
valutazione della sua capacità reddituale, ai fini della quantificazione del contributo
di mantenimento, anche tenendo conto che egli ha riottenuto la piena disponibilità
della propria abitazione di Milano, e senza specifica allegazione dell'omesso esame di
un fatto decisivo per il giudizio rilevante agli effetti dell'art. 360 n. 5 c.p.c. In
conclusione, in ricorso è rigettato. Le spese del giudizio sono compensate, in
considerazione della delicatezza e della natura delle questioni trattate.
P.Q.M.
La
Corte
rigetta
il
ricorso;
compensa
le
spese
del
giudizio.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati
identificativi.