CAP. 6-Software - Ufficio Studi MiBAC

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CAP. 6-Software - Ufficio Studi MiBAC
CAPITOLO 6
Computer, Software e ICT
Il modello italiano ed una possibile via all’economia della conoscenza:
l’artigianato del software.
Michelangelo Pistoletto
“Il metrocubo d'infinito in una stanza cubica specchiante”
1966-2007
specchi, neon, cartongesso
500 x 500 x 500 cm
Courtesy: Galleria Continua/Beijing
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Introduzione
Negli ultimi decenni si è venuto affermando un nuovo paradigma economico, che si configura
come il superamento dell’organizzazione di carattere fordista che aveva caratterizzato le più
avanzate economie occidentali nel corso del Novecento, e che viene ormai comunemente
definito come il modello dell’economia della conoscenza (Antonelli, 2008).
L’affermazione di tale modello si fonda su due elementi portanti. Da un lato si osserva un
evidente processo di cambiamento strutturale caratterizzato dalla progressiva erosione di quote
di occupazione e valore aggiunto nei settori manifatturieri a favore dei settori del terziario, cioè i
settori dei servizi. D’altro canto si rileva che il forte impatto in termini di produttività non avrebbe
potuto dispiegarsi senza la massiccia adozione delle nuove tecnologie dell’informazione e della
comunicazione (ICT) (Antonelli et alii, 2007).
Il nuovo paradigma si basa dunque, sia dal lato della domanda sia dal lato dell’offerta, sulla
produzione di servizi ad alto contenuto di conoscenza anziché di beni tangibili. In questo
contesto, la capacità di creare ed utilizzare nuova conoscenza è considerata come la principale
forma di vantaggio competitivo per le imprese (Nonaka e Takeuchi, 1995).
D’altronde anche la teoria economica tradizionale ha recepito l’importanza della conoscenza per
il processo di crescita economica, incorporandola nei suoi apparati analitici sotto forma di attività
creative intenzionali formali, come la ricerca e sviluppo, ed informali, come l’apprendimento che
genera economie di scala dinamiche (Romer, 1986 e 1990). Si parla allora di “conoscenza utile”
come l’insieme di quelle forme di conoscenza che entrano nel processo di produttivo e sono in
grado di incrementarne l’efficienza ed eventualmente determinare un miglioramento degli stili di
vita (Mokyr, 2002).
La nuova conoscenza viene prodotta per mezzo di conoscenza, in un’ottica cumulativa
riassumibile nella celebre proposizione attribuita a Newton “if I have seen farther, it is by standing
on the shoulder of giants”. Essa emerge dunque come il risultato di uno sforzo creativo di agenti
economici che sono in grado di ricombinare input interni ed esterni di conoscenza, sia tacita sia
codificata (Antonelli, 2001; Foray, 2004).
La creatività rappresenta il motore principale che alimenta il processo di accumulazione di nuova
conoscenza. Chiaramente ci sono diverse tipologie di creatività che caratterizzano l’agire umano,
ma solo alcune agiscono direttamente sulla crescita economica.
Le forme di creatività che producono ricchezza attraverso la conoscenza che generano possono
invece essere raggruppate sotto l’etichetta di creatività produttiva. Questa a sua volta si articola
in creatività allocativa e creatività epistemica. Solo quest’ultima costituisce quella capacità di
creare nuova conoscenza o di combinare frammenti di conoscenza già esistente in modi non
ancora sperimentati (Mokyr, 2006).
Nel nuovo paradigma economico quindi la creatività epistemica diventa un fattore strategico di
eccezionale spessore, in quanto alla base della generazione di nuova conoscenza che entra nel
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processo produttivo, aumentandone l’efficienza, sia direttamente sia indirettamente, incorporata
in beni o servizi intermedi. Le caratteristiche dell’ambiente istituzionale ed economico, con
particolare riferimento ai mercati dei fattori produttivi, producono dei vincoli che plasmano l’attività
creativa, incanalandola in sentieri ben definiti.
L’apprezzamento del ruolo cruciale della conoscenza sia tecnologica che organizzativa sia come
fattore produttivo centrale che come principale prodotto del sistema economico dei paesi più
avanzati pone problemi teorici nuovi. La teoria economica si trova di fronte infatti alla centralità di
un bene, più precisamente un’attività economica, che è al tempo stesso input e output del
processo produttivo. Non solo tale duplicità si incontra anche nella individuazione delle fonti della
conoscenza. Per un verso la generazione e l’applicazione della conoscenza tecnologica paiono
come il risultato dell’azione intenzionale dei singoli agenti economici. Per un altro assumono un
ruolo centrale le caratteristiche del sistema economico e istituzionale in cui si colloca l’azione
individuale. La conoscenza assume quindi sempre di più i caratteri dell’attività collettiva.
La generazione di nuova conoscenza da parte dei singoli agenti non può prescindere dalla
capacità di accedere e utilizzare la conoscenza disponibile ad ogni momento dato e che quindi
assume tutti i caratteri della conoscenza esterna, la cui disponibilità è determinata dalle
caratteristiche istituzionali e organizzative del sistema. Al tempo stesso la generazione di
conoscenza richiede lo sforzo individuale delle singole imprese di valorizzare le proprie specifiche
competenze interne acquisite attraverso la valorizzazione, ancora una volta esplicita e
intenzionale, dei processi di apprendimento interni alle loro strutture organizzative. La
generazione di conoscenza si presenta quindi un’attività di incessante ricombinazione di moduli
di conoscenza sia esterna che interna. E’ sempre di più evidente che la singola impresa è in
grado di generare nuova conoscenza tecnologica in quanto sia capace di svolgere una funzione
di ‘system integrator’.
Le imprese possono produrre nuova conoscenza solo se funzionano meccanismi di interazione
tra imprese, siano esse rivali o complementari all’interno delle filiere produttive che si stabiliscono
tra utilizzatori e produttori, all’interno delle imprese e tra le imprese e l’apparato istituzionale
articolato in meccanismi di regolamentazione, formazione e educazione, sistema della ricerca
pubblica. Determinanti sono le relazioni industriali nella definizione della capacità delle singole
imprese di valorizzare i processi di apprendimento interni attraverso i processi di apprendimento
nel fare e nel usare.
Il caso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) in questo contesto può
essere considerato emblematico. In questo contesto ia produzione di software ha una duplice
rilevanza, poiché da un lato può essere considerato come un bene intermedio che incorpora un
elevato contenuto di conoscenza, e dall’altro è chiaramente un output. Il caso del software
fornisce un chiaro esempio di come le ICT siano un fattore chiave nella transizione verso
l’economia basata sulla conoscenza. Il resto del capitolo è organizzato nel modo seguente: il
secondo paragrafo identifica le origini del processo tracciandone le caratteristiche salienti; il terzo
paragrafo analizza nello specifico il caso italiano, collocandolo nel quadro internazionale ed
approfondendo vincoli ed opportunità rappresentati dalla propria specificità; infine il quarto
paragrafo propone delle conclusioni ed implicazioni in termini di politica economica.
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2
Le origini delle tecnologie dell’informazione
Da un punto di vista storico, la nascita e l’evoluzione delle ICT possono essere descritte come un
processo di reazione creativa che il sistema americano ha saputo esprimere in risposta alla
progressiva perdita di leadership economica e tecnologica che ha caratterizzato l’economia
americana a partire dagli anni ’60 del XX secolo. La progressiva diffusione internazionale dei
metodi di produzione di massa, l’utilizzo sempre più intensivo di tecnologie di produzione più
efficienti e gli effetti di apprendimento legati all’uso delle innovazioni introdotte avevano da un lato
favorito la crescita della competitività internazionale di nuovi paesi concorrenti (Baumol,
Blackman e Wolff, 1989; Nelson e Wright, 1992). Dall’altro lato, le opportunità tecnologiche,
legate all’introduzione di innovazioni e continui miglioramenti prevalentemente nei settori chimicofarmaceutico e dei macchinari, che avevano spinto la crescita americana fino ad allora, andavano
lentamente esaurendosi (Mowery e Nelson, 1999). L’effetto congiunto di queste due dinamiche
parallele fu il lento declino del vantaggio comparato a livello internazionale degli Stati Uniti
(Abramovitz e David, 1996). Verso la fine degli anni Settanta gli Stati Uniti cominciano ad
avvertire i pesanti effetti della progressiva rincorsa dei paesi europei e soprattutto del Giappone.
A questo si aggiungono le conseguenze degli shock dal lato dell’offerta, come l’incremento del
prezzo del petrolio del 1973-74 e la conseguente sottoutilizzazione di capacità produttiva.
La grave crisi di competitività ed efficienza stimola un processo di reazione creativa
particolarmente diffuso e intenso al quale partecipa un grande numero di imprese che esplorano
nuove tecnologie in un contesto istituzionale particolarmente flessibile e che, grazie all’innesco di
significative convergenze e complementarietà tecnologiche, porta all’introduzione di un grappolo
di innovazioni tecnologiche ed organizzative radicali che si fondano sui caratteri intrinseci del
sistema.
La forte dotazione di risorse scientifiche e tecnologiche del sistema della ricerca pubblica
americana costituisce una premessa indispensabile, unitamente alla tradizione di forte
interazione tra ricerca pubblica e privata e l’integrazione sistematica delle attività di ricerca nel
perimetro organizzativo delle grandi imprese americane, costituiscono le premesse per la
realizzazione del salto tecnologico. La forte crescita dell’offerta di lavoro qualificato con alti
contenuti di capitale umano codificato e istruzione universitaria che fino ad allora aveva depresso
i salari dei colletti bianchi, facilitando la riduzione della varianza nella distribuzione del reddito,
diventa un fattore determinante che influenza la direzione del cambiamento tecnologico. La lenta
e graduale messa a punto del nuovo sistema tecnologico basato sulle tecnologie digitali privilegia
l’intensità di impiego di forza lavoro qualificata con alti contenuti di capitale umano di formazione
accademica. Il nuovo sistema tecnologico a base digitale a sua volta consente forme avanzate di
controllo remoto dei processi produttivi e soprattutto la specializzazione nella produzione di
conoscenza come merce (Antonelli et alii, 2007).
La grande reazione creativa dell’economia americana è coronata da un successo travolgente.
L’economia americana sperimenta nel corso degli anni novanta tassi di crescita non previsti e
impensabili per l’economia più avanzata, almeno secondo il modello della convergenza.
Soprattutto l’economia americana mette a punto il nuovo modello di riferimento basato
sull’economia della conoscenza. L’economia britannica e quella di alcuni paesi del Nord-Europa,
soprattutto i paesi scandinavi, riescono ad imitare con rapidità i fattori costituitivi del nuovo
modello. In primo luogo, abbandonano rapidamente la produzione manifatturiera che viene
progressivamente delocalizzata verso paesi in via di industrializzazione con la sapiente regia
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delle imprese multinazionali già presenti nel sistema. Inoltre, sviluppano elevati livelli di
specializzazione nella produzione di servizi ad alto contenuto di conoscenza direttamente
esportabili anche al di fuori dei mercati interni delle grandi imprese globalizzate.
Il vero fattore portante della forte crescita dell’output e della produttività totale dell’economia
Americana nel decennio 1995-2005 deve quindi essere attribuita prevalentemente, se non
esclusivamente, alla grande rapidità di diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della
comunicazione soprattutto nel settore dei servizi e in particolare nella distribuzione commerciale,
nella logistica e nella finanza. Si è parlato addirittura di un ‘Wal Mart effect’ che sarebbe
all’origine di gran parte (oltre l’80%) della crescita della produttività totale dei fattori. Per contro i
settori industriali che sono all’origine delle nuove tecnologie dell’informazione e della
comunicazione, che hanno cioè introdotto le innovazioni di prodotto che si sono trasformate in
innovazioni di processo nei settori utilizzatori a valle, anche a causa delle loro ridotte dimensioni,
hanno contribuito in misura assai modesta, almeno in termini di effetti diretti, contabilmente
rilevabili, alla generale crescita del paese.
Insomma in risposta alla celebre domanda di Robert Solow (1987) che aveva lasciato interdetti i
principali economisti americani per oltre un decennio: “I see computers everywhere, but in
statistics”, Jorgenson (2001) dimostra che alla fine i computer si sono visti nelle statistiche, ma
non dei produttori, bensì in quelle degli utilizzatori. Del resto il caso italiano ha sempre
rappresentato un esempio chiaro di quanto la capacità di adottare e diffondere le nuove
tecnologie nel tessuto delle imprese utilizzatrici conti molto di più della capacità di introdurre nella
determinazione dei tassi di crescita. Per un lungo periodo di tempo, almeno a partire dagli anni
cinquanta e fino all’inizio degli anni novanta, l’economia italiano ha dimostrato una straordinaria
capacità di crescita di output e produttività totale dei fattori basata sulla capacità di adozione di
nuove tecnologie incorporate in beni capitali e intermedi, spesso introdotte all’estero e comunque
introdotte da settori di limitate dimensioni.
Lo studio ravvicinato del cosiddetto “Wal Mart effect” consente di avanzare alcune ipotesi
interpretative. Il caso Wal Mart consiste nella adozione di originali software applicativi da parte di
una delle principali imprese contemporanee caratterizzata da decina di migliaia di punti di vendita
collegati da una straordinaria rete logistica che collega i centri di produzione di beni di consumo
durevole e non, sparsi su scala globale, alla rete distributive che serve le principali aree
metropolitane del Nord America.
In questo caso le elevate spese necessarie all’elaborazione di un software applicativo dedicato
disegnato specificatamente per Wal Mart hanno trovato applicazione su un’impresa di
grandissime dimensioni, con costi unitari assai contenuti e effetti economici di straordinaria
rilevanza.
Il caso Wal Mart rappresenta allora l’ennesima dimostrazione della rilevanza delle economie di
densità che nel caso delle tecnologie dell’informazione della comunicazione assumono rilevanza
significativa.
La concezione, disegno, elaborazione e implementazione di un software applicativo hanno un
costo particolarmente elevato. Si tratta di spese anticipate che l’impresa sostiene e che si
spalmano su grandezze di attività variabili. In buona sostanza si stabilisce un tenue rapporto tra
le spese anticipate e l’effettiva dimensione delle attività cui si applicano. Più precisamente le
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spese anticipate non variano in funzione dei volumi delle attività, ma piuttosto della loro varietà.
Le spese di prima introduzione di un software applicativo possono essere considerate una forma
assai particolare di costi fissi che non variano al variare della quantità. Per contro i costi medi,
come è ovvio, variano significativamente al crescere delle quantità di throughput che viene
trattato con il medesimo software applicativo. Si ritrova così la tipica forma dei costi medi unitari
decrescenti con l’andamento dell’iperbole equilatera tipico dei costi fissi medi.
In generale il caso delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione ripropone
all’ordine del giorno il problema delle economie di densità. Le economie di densità sono una
forma particolare di rendimenti crescenti che scaturiscono dalla sola crescita dell’output, a parità
di input. Non si deve dunque confondere le economie di densità con le economie di scala. In
quest’ultimo caso, in fatto, i rendimenti crescenti scaturiscono dalla crescita più che proporzionale
dell’output al crescere degli input. Le economie di densità scaturiscono da forme di indivisibilità
del capitale. Nella fattispecie tuttavia esse scaturiscono direttamente dalla peculiarità
dell’economia della conoscenza. La conoscenza infatti è un bene economico assai peculiare che
non si consuma con l’uso e che ha costi di riproduzione e applicazione praticamente nulli rispetto
ai costi di generazione.
In questo senso, dal punto di vista dell’analisi economica, il software applicativo ha
caratteristiche tali come bene economico che ne sollecitano l’assimilazione alla categoria dei beni
quasi pubblici come la conoscenza.
Sistemi economici caratterizzati da imprese utilizzatrici di grandi e grandissime dimensioni
sperimentano appieno i vantaggi delle economie di densità che scaturiscono dalla sostanziale
assimilazione del software alla nozione di conoscenza come bene economico. I costi di
generazione di un software applicativo sono infatti elevatissimi, ma la sua applicazione a
imprese con elevati volumi di throughput mettono capo a costi medi bassi e addirittura bassissimi.
All’interno delle grandi imprese vigono infatti procedure di controllo e coordinamento
intrinsecamente omogenee per cui la ripetizione di protocolli su un numero crescente e anche
grandissimo di operazioni non richiede la variazione del software applicativo.
Su queste basi si spiegano al tempo stesso i successi dei grandi utilizzatori e naturalmente delle
grandi imprese di software che sono state capaci di acquisire, tra i loro clienti, grandi imprese
utilizzatrici.
Nei paesi caratterizzati dalle grandi dimensioni degli utilizzatori di software e di conseguenza
dalla grande dimensione delle imprese che producono software i benefici dell’adozione delle
nuove tecnologie dell’informazione delle comunicazioni sono dunque elevati e ne hanno facilitato
la rapida diffusione.
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Il caso italiano
Il profondo processo di cambiamento strutturale in corso e la transizione accelerata verso
un’economia della conoscenza plasmata sul modello americano coglie il sistema italiano in una
fase di particolare debolezza. Il caso italiano della seconda metà del XX secolo, in effetti, può
essere presentato come un caso paradigmatico di crescita lungo sentieri dominati dalla pathdependence e per questo non privi di originalità e interesse. Per un lungo periodo di tempo l’Italia
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ha saputo accrescere la sua base produttiva in modo straordinario combinando elementi di
crescita estensiva anche territoriale con una straordinaria crescita intensiva chiaramente basata
su un modello di adozione creativa (Antonelli e Barbiellini, 2007).
La crescita dell’economia italiana della seconda metà del XX secolo è stata soprattutto il risultato
di una dinamica di diffusione di tecnologie di processo messe a punto grazie a processi di
interazione user-producers particolarmente virtuose che avvantaggiavano sia gli utilizzatori che
possono accedere tempestivamente a beni capitali e intermedi che incorporavano tecnologie di
frontiera che i produttori che sperimentavano i benefici di una domanda derivata in forte
espansione. Si producevano così accelerati processi di specializzazione sistemica nell’ambito di
una divisione del lavoro di fatto ben coordinata, anche grazie alle dinamiche di prossimità, che
hanno consentito in numerosi settori e regioni, di alimentare virtuosi processi di risalita delle filiere
alimentando la crescita di specializzazioni ad alta intensità tecnologica dai settori della
produzione di beni di consumo ai settori produttori di beni capitali e di occupare nicchie altamente
qualificate nei mercati dei prodotti di lusso.
Il confronto intersettoriale della produttività totale dei fattori a livello regionale consente di svelare
le ragioni dell’attuale situazione di ritardo dell’economia italiana nell’arena internazionale,
principalmente costituite dalla persistenza del dualismo industriale e geografico, per cui nel NordEst-Centro il principale contributo alla produttività proviene dal manifatturiero, mentre nel NordOvest dai settori dei servizi (Quatraro, 2007).
La debolezza dell’apparato scientifico e tecnologico, la carenza di relazioni strutturate tra imprese
e università, il carattere prevalentemente tacito della conoscenza tecnologica disponibile, la
mancanze di procedure sistematiche di valorizzazione dei processi di apprendimento, il basso
livello del capitale umano codificato disponibile, l’inadeguatezza delle strutture organizzative
interne, diventano elementi pregiudiziali che mettono a repentaglio l’efficienza stessa dei processi
di reazione creativa messi in atto dalle imprese, che non sembrano in grado di far fronte alla forte
discontinuità nei processi di utilizzazione delle nuove conoscenze tecnologiche legate al sistema
delle tecnologie dell’informazione. Anche a questo proposito la forte polarizzazione geografica e
settoriale ha generato una forte asimmetria nello sviluppo e nella diffusione delle capacità
innovative delle imprese, ancora principalmente legate allo sviluppo dei settori manifatturieri
(Quatraro, 2008).
Il sistema italiano appare quindi in qualche modo ingolfato, ancora troppo legato al modello di
sviluppo industriale post-bellico, e penalizzato dal mismatch tra dotazione fattoriale e bias della
nuova tecnologia, particolarmente grave per la combinazione di livelli assoluti medio-alti dei salari
e costo relativo ‘sbagliato’ delle skills più qualificate di tipo ‘digitale’.
A queste considerazioni bisogna aggiungere un’importante nota sulla specializzazione
dimensionale che caratterizza il tessuto produttivo italiano. Se, come specificato nel paragrafo
precedente, il successo del modello americano si fonda principalmente sulla capacità di
sfruttamento delle economie di densità nell’adozione delle ICT e dei software applicativi, allora la
struttura dimensionale italiana rappresenta sicuramente un fattore di ostacolo che richiede elevati
sforzi per mettere in campo nuove e mirate dinamiche di adozione creativa.
Il caso italiano, è infatti caratterizzato, come è noto, dalla elevata frammentazione dell’apparato
produttivo e dell’apparato distributivo. La produzione e la distribuzione di beni e servizi in Italia è
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basata su una miriade di piccole imprese con specifiche proprie e quindi elevati livelli di varietà
che operano in una varietà di mercati intermedi.
La diffusione dei nuovi software operativi su cui si basa, come si è detto, gran parte della crescita
dell’economia di riferimento, risulta allora drammaticamente rallentata dalla sostanziale
assimilazione del software alla conoscenza. Le economie di densità non hanno l’opportunità in
Italia di dispiegare il loro potente effetto. Con l’evidente risultato che i costi unitari dei software
applicativi su cui si basa l’adozione delle tecnologie digitali nel caso italiano risultano molto più
elevati di quanto non capiti in paesi caratterizzati dalla grande dimensione operativa delle
imprese.
Box: Eccellenze italiane 1 – Etna Valley e ST Microelectronics
Quando nel 1997 la ST Microelectronics inaugurò a Catania il nuovo stabilimento, nessuno
avrebbe potuto immaginare quello che sarebbe successo appena tre anni dopo.
Non solo non è diventata l'ennesima cattedrale nel deserto, ma anzi ha fatto da incredibile volano
per tutta un'area industriale, già definita Etna Valley, in cui si è costituita una rete di relazioni tra
industrie ad alta tecnologia, centri di ricerca e istituti di formazione dell'Università, Enti locali e il
terziario avanzato. La sinergia tra questi soggetti cointeressati allo sviluppo economico del
territorio ha incoraggiato l'insediamento di nuove attività e da quel momento, nel raggio di pochi
chilometri sono nate una sessantina di aziende hi-tech.
Oggi alcune di esse alcune hanno raggiunto posizioni di rilievo; nel campo delle
telecomunicazioni, ad esempio, ci sono:Antech che fornisce le stazioni a Telepiù, Stream e Rai;
Teleservice S.p.A., system partner di Matra-Nortel, Nextel, Albacom; Zetel; e software house
come SeaSoft S.p.A (collaborazioni con il CERN e il Laboratorio Nazionale di Fisica Nucleare);
SistemiData S.p.A. e S.T.S. s.r.l. (leader nel software per l'ingegneria e la contabilità lavori).
Il silicio nell'Etna Valley dà lavoro a circa 4 mila persone e genera indotto. L'esempio più
immediato è quello creato da StMicroelectronics: numerose aziende forniscono il gas e le
attrezzature per fabbricare i microchip che in precedenza arrivavano da Milano o dalla Germania.
Si calcola che sono già più di mille le microimprese che trovano lavoro in questo settore.
La STMicroelectronics N.V. pioniera nell’insediamento catanese, è una azienda italo-francese
con sede a Ginevra (Svizzera), per la produzione di componenti elettronici a semiconduttore.
È sorta nel 1987 dalla fusione tra la Società generale di semiconduttori (SGS), azienda di
microelettronica dell'IRI, e la divisione dei semiconduttori della francese Thomson.
Attualmente è il quinto produttore mondiale di componenti elettronici semiconduttori, usati
soprattutto nell' elettronica di consumo, nell'auto, nelle periferiche per computer, nella telefonia
cellulare e nel settore cosiddetto "industriale".
Cinque sono i maggiori settori di attività della multinazionale che nel 2007 ha avuto ricavi netti di
10 miliardi di $: Communications (37%), Consumer (17%), Computer (16%), Automotive (15%)
and Industrial (15%).
Nel telecomando della console Nintendo Wii, ad esempio, è presente un accelerometro creato
proprio dalla STMicroelectronics e che consente di individuare la posizione del controller nello
spazio tridimensionale. Anche il transponder del Telepass, da tenere sul cruscotto dell' auto, è
prodotto dalla ST.
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La ST è quotata alle Borse di Milano, Parigi e New York per il 72,4%. La parte restante del
capitale è controllata da: la francese Areva (10,9%), cassa depositi e prestiti (10,1%),
Finmeccanica (6,6%).
Il gruppo è costituito approssimativamente di 50,000 dipendenti, 16 centri avanzati di ricerca e
sviluppo, 39 centri di design e applicazione, 15 centri principali di produzione and 78 uffici vendita
in 36 paesi.
La situazione pare ancora più paradossale se si considera che all’interno delle industrie culturali
e creative in Italia l’industria del software è terza in termini di percentuale di valore aggiunto sul
PIL e di percentuale di occupati (entrambi all’1,17%)1. Il sistema produttivo pare quindi dotato di
una base su cui innestare la creazione di un’offerta coerente e sistematica, al momento ancora
carente proprio a causa dell’inadeguato sviluppo della domanda.
Box: Eccellenze Italiane – Mobile Digital Entertainment
Fin dai primi anni ’90 il fatturato del settore cresce a ritmi impressionanti, sfiorando il + 50%
annuo tra il 2002 e il 2006. Nel 2006, al contrario, si verifica una forte frenata del consumo. Si
era infatti passati da 253 milioni di di fatturato nel 2002 a 903 nel 2005, per raggiungere i 1031
milioni di nel 2006. Le varie tipologie di contenuti usufruiti grazie al supporto mobile variano
dalla musica (1,5%), i video (11%), la personalizzazione dell’apparato(30%), i giochi (8%) agli
SMS, MMS e altro infotainment (41%).
A livello internazionale l’Italia è certamente tra i maggior consumatori di contenuti per cellulari,
dalle suonerie ai video il mercato è notevole. Per quanto riguarda la musica, di più facile
monitoraggio grazie ai dati dell’IFPI, la voce: Altri contenuti mobile music (con diritti), all’interno
del rapporto Bocconi sulla musica nel 2007, fa segnare un totale vendite pari a 95,1 milioni di .
“I principali mercati digitali internazionali, evidenziando lo split per musica online (file
musicali venduti attraverso Internet) e mobile (contenuti per telefonini, limitati nelle rilevazioni
IFPI a full track download e suonerie truetones). Mentre Stati Uniti e Giappone si confermano ai
vertici, è da segnalare la presenza della Sud Corea, un mercato molto avanzato dal punto di vista
tecnologico, e l’ingresso della Cina, che mostra — come il Giappone — un deciso sbilanciamento
verso gli utilizzi mobile rispetto al canale online. Anche l’Italia si segnala per un maggiore utilizzo
dei canali mobili per il consumo di musica, così come — anche se in modo meno evidente — la
Francia; dall’altra parte, Stati Uniti, Regno Unito e Germania si confermano mercati in cui è
relativamente più importante il canale Internet.” (Economia della musica in Italia Rapporto 2007,
Centro ASK (Art, Science and Knowledge) dell’Università Bocconi: Andrea Ordanini
(Coordinatore), Lorenzo Mizzau).
1
Si veda la Tabella 2 del Capitolo 1.
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All’interno di questo mercato Buongiorno Vitaminic si è ormai guadagnata, grazie alla recente
acquisizione di iTouch, il ruolo di leader mondiale del settore dei contenuti multimediali e dei
servizi digitali entertainment per la telefonia mobile e Internet. Con il marchio di produzione
B!.Presente in Europa (Italia, Gran Bretagna, Spagna, Francia, Germania e Austria), America
Latina (Messico) e Stati Uniti (Florida), distribuisce i propri contenuti al 70% dell'utenza Internet e
mobile, basandosi su partnership commerciali con operatori telefonici, retailer di telefonia
cellulare o gruppi media locali.
Dispone di una piattaforma tecnologica di 170 server, capace di distribuire più di 300 milioni di
contenuti digitali ogni mese via mobile e internet. Al centro di una rete di media partner per la
realizzazione di servizi interattivi mobili, la società è anche un importante wireless application
provider, in virtù delle sue partner con tutti i principali operatori fissi e mobili in Italia ed Europa.
Nell'ambito dei servizi rivolti ai privati Buongiorno offre infotainment via SMS, MMS e WAP
browsing, suonerie e loghi di ogni tipo, file video. Fra essi, oltre 120 servizi via sms/MMS di news,
entertainment e chat, più di 100 siti WAP/IMode, oltre 2000 video clips, 150 giochi multimediali e
più di 210.000 brani musicali. Nel 2006 il gruppo Buongiorno ha consegnato quasi 1,4 miliardi
di oggetti digitali (suonerie, giochi java, wallpapers, ecc.) ad oltre 60 milioni di utenti finali
(numeri unici di cellulare).
Dal bilancio al 31 dicembre 2006, il gruppo Buongiorno ha un fatturato consolidato di circa 191,8
milioni di Euro ed un utile netto consolidato di circa 12,6 milioni di Euro.
Nell'esercizio 2006 il gruppo Buongiorno ha occupato mediamente 659 dipendenti, di cui 173 in
organico alla capogruppo, conta 38 uffici, accordi in 53 paesi con più di 100 compagnie di
telefonia mobile e fornisce accesso a più di 2 miliardi di persone.
In questa direzione pare interessante analizzare con maggior dettaglio i tratti caratteristici che
assume l’adozione delle tecnologie informatiche nelle imprese italiane, distinguendo per classe
dimensionale e aree geografiche, ed il relativo utilizzo al fine di poter meglio valutare l’esistenza
di un bacino potenziale di utilizzatori di software. A tale scopo utilizzeremo come supporto
empirico
i risultati della Rilevazione sulle tecnologie dell'informazione e della
comunicazione nelle imprese compiuta dall’ISTAT nel 2005.
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La Tabella 1 mostra i dati relativi alla diffusione dei personal computer all’interno delle realtà
produttive italiane. Questo indicatore fornisce una prima utile approssimazione del grado di
alfabetizzazione informatica del nostro tessuto produttivo. Si può immediatamente notare come la
quasi totalità delle imprese possieda un computer, con una percentuale che va da 95,1% per le
piccole imprese (fino a 50 addetti) e supera il 99% sia per le medie (tra 50 e 250 addetti) sia per
le grandi (oltre 250 addetti) imprese. Si nota però una certa differenza nella percentuale di addetti
che utilizzano i PC. Il dato delle grandi imprese (44,3%) è infatti nettamente superiore a quello
delle medie (circa 38%) e delle piccole (33,3%). In generale emerge la tendenza ad incrementare
la percentuale con l’incremento della classe dimensionale. Se si guarda però la percentuale di
addetti che utilizzano Internet, il dato è piuttosto sconfortante, attestandosi attorno al 25% per
tutte le classi dimensionali considerate. Per quanto riguarda la ripartizione geografica, sembra di
poter ravvisare in Italia l’esistenza di un chiaro effetto di ‘digital divide’, soprattutto per quel che
riguarda la percentuale di addetti che utilizza Internet: il valore relativo al Sud e Isole è circa la
metà di quello del Nord-Ovest e del Centro. In generale il Sud presenta per tutte e tre le voci
valori nettamente al di sotto di quelli nazionali.
Tabella 1 - Diffusione del personal computer nelle imprese con almeno 10 addetti per
attività economica
Addetti
che
Imprese
Addetti
utilizzano
con
che
computer
personal
utilizzano
connessi
computer
computer
ad
Internet
CLASSI DI ADDETTI
10-49
95.1
33.3
24.4
50-99
99.2
36.7
25.1
100-249
99.6
39.4
25.4
250 e oltre
99.6
44.3
25.0
RIPARTIZIONI GEOGRAFICHE
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Sud e Isole
ITALIA
97.4
96.1
94.0
93.4
42.5
35.5
42.7
25.3
28.4
22.7
27.6
14.3
95.6
38.4
24.8
Nella Tabella 2 sono invece riportati le percentuali relative alle imprese che utilizzano delle ICT,
per tipologia di attività. Anche in questo caso la classe dimensionale influenza in modo
inequivocabile la diffusione dei canali di comunicazione resi possibili da queste tecnologie. Il 92%
delle piccole imprese possiede una e-mail, contro il 98% delle medie ed il 99% delle grandi
imprese. Il 95% delle piccole imprese ha un accesso ad internet, contro il 98% delle medie ed il
99% delle grandi. Tuttavia possedere un indirizzo e-mail o l’accesso ad internet non è
165
precisamente ciò che si intende quando si parla di diffusione delle ICT nelle imprese. In altre
parole non sono questi elementi che generano dei vantaggi economici o dei ritorni in termini di
produttività. Al contrario, la registrazione di un dominio relativo al sito Web dell’impresa può
sicuramente avere dei ritorni in termini di visibilità, pubblicità e possibilità di comunicare
un’immagine di marca. In questo caso la differenza fra imprese piccole da un lato, e di medie
grandi dimensioni dall’altro, è piuttosto significativa. Solo il 53% delle piccole imprese possiede
un sito Web, mentre la percentuale raggiunge l’88% nelle grandi. Il divario risulta ancora più
ampio se si guarda alla percentuale di imprese che possiedono una Intranet (nelle piccole si ha il
27,4%) o una Extranet (10% per le piccole imprese). Questi ultimi due dati sono particolarmente
rilevanti poichè fanno esplicitamente riferimento a strumenti che necessitano la progettazione ed
implementazione di software applicativo dedicato, forgiato sulla base delle caratteristiche
specifiche della realtà produttiva. Inoltre, un rapido raffronto fra i dati per classi dimensionali e
quelli nazionali mette in risalto il peso schiacciante delle unità di piccole dimensioni
sull’aggregato. Questo appare in molto evidente nelle percentuali di imprese con sito Web, quelle
con Intranet e quelle con Extranet. Sempre rispetto a questi tre indicatori, appare netta la
polarizzazione geografica, per cui nel Sud la percentuale di imprese che utilizza ciascuno degli
strumenti è sistematicamente inferiore al dato nazionale.
Tabella 2 - Imprese informatizzate con almeno 10 addetti che utilizzano tecnologie
dell'informazione e della comunicazione (ICT) per attività economica
Imprese
Imprese
Imprese
Imprese
Imprese
con Econ
con
con
con
mail
Internet sito Web
Intranet
Extranet
CLASSI DI
ADDETTI
10-49
92.3
95.5
53.2
27.4
10.1
50-99
97.5
98.7
76.7
53.0
24.9
100-249
98.1
98.9
82.5
68.2
35.4
250 e oltre
99.0
99.3
88.2
83.5
55.4
RIPARTIZIONI
GEOGRAFICHE
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Sud e Isole
ITALIA
94.4
93.9
92.3
89.6
96.6
96.4
95.2
94.6
61.4
60.1
54.8
43.7
34.7
33.0
32.1
23.2
14.5
12.7
13.8
8.9
92.9
95.9
56.4
31.6
12.8
La Tabella 3 riporta invece la percentuale di imprese per tipologia di connessione ad Internet.
Anche in questo caso le dimensioni di impresa paiono giocare un ruolo rilevante. Sembra infatti
che in media le imprese di dimensioni piccole utilizzino prevalentemente connessioni a scarsa
capacità di trasporto dati, come il modem analogico o le linee ISDN, mentre la banda larga, così
come l’utilizzo di connessioni wireless, è prevalentemente diffusa tra le medie e le grandi
imprese. La stessa configurazione si osserva anche in relazione alla diffusione geografica. Da un
lato la percentuale di imprese che utilizza tipologie di connessione più limitate è molto più elevata
166
al Sud che al Nord, dall’altro tipologie più avanzate come il wireless e la banda larga sono
presente in misura di gran lunga maggiori al nord.
Tabella 3 - Imprese informatizzate con almeno 10 addetti per tipologia di connessione ad
Internet
Collegamento a
banda larga
Connessione
di cui:
Modem
ISDN
Totale
Wireless
analogico
xDSL
CLASSI DI
ADDETTI
10-49
6.7
31.2
40.8
56.3
54.0
50-99
11.4
24.3
34.3
77.5
72.9
100-249
18.6
24.1
35.0
84.1
75.5
250 e oltre
26.7
29.3
32.0
93.0
76.7
RIPARTIZIONI
GEOGRAFICHE
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Sud e Isole
ITALIA
8.5
8.0
6.9
6.9
27.9
30.5
31.7
33.6
37.4
41.1
39.1
43.9
63.7
60.3
58.4
51.0
59.2
57.6
56.8
49.3
7.8
30.4
40.0
59.3
56.4
Nella Tabella 4 sono riportati i principali utilizzi delle tecnologie telematiche. In generale l’utilizzo
più diffuso è relativo all’accesso dei dati finanziari o bancari ed all’acquisizione di informazioni.
Molto limitato pare invece l’utilizzo per la formazione del personale, e per l’acquisizione di servizi
post-vendita. È da sottolineare che quest’ultime attività sono ancora una volta strettamente
connesse con lo sviluppo di software applicativo dedicato, in grado di fornire alle imprese
piattaforme telematiche per l’interazione di soggetti in ambienti virtuali ben delimitati e ad accesso
regolato. Non stupisce quindi la sensibile differenza fra le piccole e medie imprese da un lato, e le
grandi imprese dall’altro, soprattutto per quanto riguarda la diffusione di queste due ultime
tecnologie. In particolare in entrambi i casi le piccole imprese si collocano al di sotto del dato
nazionale, seppur di poco, mentre le grandi e medio-grandi imprese si attestano su valori
superiori. Per quanto riguarda la ripartizione geografica, è interessante notare che la maggiore
percentuale di imprese che utilizzano internet per formare il proprio personale si trova al Sud, con
un punto percentuale di differenza rispetto al Nord. La situazione si rovescia però nel caso
dell’acquisizione dei servizi post-vendita, dove è chiaramente il Nord-Ovest ad avere la
percentuale maggiore, seguito a poca distanza dal Nord-Est e poi dalle altre aree.
Tabella 4 - Imprese connesse ad Internet con almeno 10 addetti che usano Internet come
utenti per scopo
Accesso Formazione Acquisizione Acquisizione Acquisizione
ai servizi e istruzione
di
di servizi e
di servizi
bancari del
informazioni
informazioni
post-vendita
167
o
finanziari
personale
sui mercati
(es. sui
prezzi)
in formato
digitale
CLASSI DI
ADDETTI
10-49
50-99
100-249
250 e oltre
76.3
88.7
89.2
85.6
12.4
16.7
22.5
30.0
63.4
70.3
78.4
83.5
45.5
61.9
67.3
74.1
24.3
32.4
35.3
36.1
RIPARTIZIONI
GEOGRAFICHE
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Sud e Isole
79.7
81.0
77.0
70.6
13.4
13.7
12.1
14.3
67.6
62.3
63.2
64.5
49.2
49.4
46.1
45.6
27.5
26.7
24.4
21.2
ITALIA
77.9
13.4
64.7
48.0
25.5
Tabella 5 - Imprese con sito Web con almeno 10 addetti che usano Internet come
fornitori per scopo
Pubblicità e
marketing
dei propri
prodotti/serv
izi
Consultazione
del catalogo
e/o del listino
prezzi
Personaliz
zazione
del sito
per
visitatori
abituali
Trasmissione
di servizi o
informazioni
in formato
digitale
Servizi
postvendita
Comp
atibilità
per
l’acces
so via
telefon
o
cellular
e
CLASSI DI
ADDETTI
10-49
50-99
100-249
250 e oltre
95.2
96.3
94.7
95.4
41.0
44.2
43.0
50.0
23.1
25.8
23.2
29.4
20.4
27.9
31.8
44.2
10.6
16.4
16.5
23.1
2.8
3.0
3.9
7.7
RIPARTIZIONI
GEOGRAFICHE
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Sud e Isole
95.7
96.2
95.4
92.6
42.1
43.3
39.6
39.6
22.4
25.5
23.4
22.8
23.7
23.3
21.8
17.5
12.6
12.2
10.5
10.4
3.1
3.0
2.7
3.3
ITALIA
95.3
41.6
23.5
22.3
11.8
3.0
La Tabella 5 presenta invece l’utilizzo che le imprese fanno di Internet nella veste di fornitori. Per
tutte le classi dimensionali è diffuso in modo capillare l’utilizzo del web per scopi di pubblicità o
168
marketing dei propri prodotti o servizi. La percentuale scende in modo piuttosto netto per tipologie
di utilizzo più articolate. Solo il 50% delle grandi imprese pubblica online il proprio listino prezzi e
il catalogo della gamma dei propri prodotti. La percentuale scende di nove punti percentuali per le
piccole imprese. Sono molto basse anche le percentuali di imprese che forniscono servizi postvendita in tempo reale attraverso internet o in formato digitale. Anche in questo caso il divario fra
imprese di piccole dimensioni e quelle medie e grandi risulta essere parecchio accentuato.
La Tabella 6 presenta un dato molto interessante, ovvero la distribuzione delle vendite online
delle imprese a seconda dei mercati di destinazione e della tipologia di cliente. Questi dati
delineano un quadro piuttosto differente rispetto a quanto visto fino ad ora. Infatti le piccole
imprese sembrano possedere una maggiore propensione al commercio internazionale attraverso
Internet, mentre le grandi imprese sono più concentrate sul mercato nazionale. Infatti il 15% del
valore delle vendite delle piccole imprese è destinato a paesi dell’Unione Europea ed il 13,3% ai
restanti paesi del mondo, mentre per le grandi imprese tali percentuali ammontano
rispettivamente al 9,1% ed al 2,2%. Anche la ripartizione geografica risulta essere differente
rispetto a quanto visto fino ad ora. Le imprese del Nord-Ovest sono infatti più orientate al mercato
nazionale, dove si colloca il 92,9% del valore delle vendite via internet. La percentuale più elevata
di vendite all’estero si riscontra invece nel Nord-Est (20,7% nell’Unione Europea e 11,4% negli
altri paesi), seguito poi dal dato del Mezzogiorno (13,4% nell’Unione Europea e 6,8% negli altri
paesi).
Tabella 6 - Valore delle vendite via Internet delle imprese con almeno 10 addetti
per mercato di destinazione delle vendite, tipologia di cliente
Mercati di destinazione
Tipologia di cliente
Individui
Resto
Altre imprese e
Unione
del
amministrazioni
e
Nazionale
Europea
mondo
pubbliche
famiglie
CLASSI DI ADDETTI
10-49
71.7
15.0
13.3
75.6
24.4
50-99
82.0
11.2
6.8
78.6
21.4
100-249
93.5
4.5
2.0
89.5
10.5
250 e oltre
88.8
9.1
2.2
94.3
5.7
RIPARTIZIONI
GEOGRAFICHE
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Sud e Isole
ITALIA
92.9
68.0
88.7
79.8
5.9
20.7
7.1
13.4
1.2
11.4
4.2
6.8
94.3
86.1
82.6
50.8
5.7
13.9
17.4
49.2
87.1
9.2
3.7
90.6
9.4
Nella Tabella 7 sono infine riportate le percentuali di imprese che utilizzano sistemi informativi
aziendali. L’implementazione di piattaforme per la gestione degli ordini e l’integrazione delle
diverse funzioni aziendali mostra un sensibile sbilanciamento a favore delle grandi imprese. Va
inoltre notato che tra le piccole imprese si riscontra una percentuale maggiore per la gestione
169
degli ordini, mentre le percentuali cadono sensibilmente, ampliando il divario con le altre classi
dimensionali, per quanto riguarda le integrazioni delle funzioni aziendali.
Tabella 7 - Imprese informatizzate con almeno 10 addetti che utilizzano sistemi
informatizzati per la gestione degli ordini di vendita/acquisto e il loro collegamento con le
altre funzioni aziendali
Collegamento alle altre funzioni aziendali
Gestione
dei
Imprese che
rapporti
utilizzano
con i
sistemi
fornitori
Gestione
Produzione, (per le
informatizzati
acquisti di
per la
Fatturazione fornitura
imprese
materie
e pagamenti servizi e
parte di
gestione
prime e
logistica
gruppi,
degli ordini
semilavorati
solo
di vendita
fornitori
e/o di
esterni
acquisto
al
gruppo)
Gestione
dei
rapporti
con i
clienti
(per le
imprese
parte di
gruppi,
solo
clienti
esterni
al
gruppo)
CLASSI DI
ADDETTI
10-49
50-99
100-249
250 e oltre
52.8
74.9
73.5
84.1
30.1
54.6
58.4
67.4
43.4
66.0
67.2
77.1
23.5
48.7
57.8
66.0
26.2
41.3
43.5
51.0
27.5
42.9
44.5
51.5
RIPARTIZIONI
GEOGRAFICHE
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Sud e Isole
60.3
60.2
51.9
43.9
37.1
37.6
29.8
24.0
51.8
50.1
43.5
33.6
30.5
30.6
24.6
18.6
30.0
30.4
26.6
23.3
31.7
32.5
29.0
21.9
ITALIA
55.6
33.4
46.3
27.2
28.2
29.5
Il caso italiano sembra quindi presentare forti elementi di peculiarità, che lo contraddistinguono
rispetto alle caratteristiche strutturali dei paesi che hanno già gestito con successo la transizione
verso l’economia della conoscenza. La specializzazione dimensionale con preponderante peso
delle piccole e medie imprese, e la specializzazione settoriale ancora dominata dal settore
manifatturiero, rappresentano senz’altro degli elementi su cui è necessario riflettere.
170
Questo paragrafo ha messo in evidenza l’esistenza di un netto divario fra le piccole imprese e
quelle di grandi dimensioni. Sebbene l’adozione di tecnologie di base come i computer o la
connessione ad Internet non rappresenti un tratto distintivo fondamentale, le principali differenze
si riscontrano quando si guarda all’utilizzo che queste imprese fanno della tecnologia. I dati
riflettono una chiara insufficienza nel grado di informatizzazione del sistema produttivo
nell’utilizzo strategico delle ICT da parte delle piccole imprese. Va inoltre sottolineata la
polarizzazione geografica dell’evidenza prodotta, che riflette e accentua il ben noto dualismo
della struttura produttiva ed economica italiana. Un elemento positivo va invece rintracciato nella
capacità delle piccole imprese di proiettarsi sui mercati esteri attraverso il web, mostrando quindi
di poter rappresentare un utile base su cui innescare nuovi percorsi di sviluppo.
4
Conclusioni
La transizione verso un’economia basata sulla conoscenza ha avuto origine negli Stati Uniti nel
corso degli anni Novanta, e si è poi lentamente diffusa in Europa in primo luogo nei paesi nordici
e nel Regno Unito, mentre si registra un sostanziale ritardo nei paesi continentali, e in particolare
in Italia.
Tale processo è caratterizzato da una progressiva de-industrializzazione e crescente
specializzazione del sistema produttivo nei settori dei servizi e dalla massiccia diffusione delle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione. I sistemi produttivi si specializzano quindi
nella fornitura di servizi ad alto contenuto di conoscenza, a scapito della produzione di beni
tangibili.
La produzione di conoscenza è strettamente collegata alla capacità creativa degli attori che
operano nel sistema economico. In particolare la creatività epistemica consente di produrre
nuova conoscenza, generando crescita e benessere. Un caso paradigmatico è rappresentato da
una particolare industria di contenuti, cioè l’industria del software. Esso può essere infatti
rappresentato da un lato come un bene che incorpora un elevato contenuto di conoscenza da un
lato, dall’altro rappresenta una particolare istanza delle ICT, che più di altre ha influito sul
successo del nuovo modello.
Il forte guadagno di produttività sperimentato dagli USA nella seconda metà degli anni Novanta è
infatti principalmente dovuto alle industrie che utilizzano ICT, piuttosto che a quelle che le
producono. L’adozione di costosi strumenti, come i software applicativi per l’integrazione delle
funzioni aziendali, da parte di grandi imprese ha permesso di guadagnare notevoli economie di
densità, che si sono tradotte in una riduzione dei costi unitari e incremento della produttività.
La rilevanza della questione dimensionale pone seri problemi per le potenzialità di transizione
verso un’economia della conoscenza, a meno che non si pensi di fare di tale peculiarità un punto
di forza per la realizzazione di un modello originale, che per altro rifletterebbe l’eccellente
capacità, che il sistema ha già dimostrato, di gestione di complessi fenomeni di adozione
creativa.
La specializzazione dimensionale pone problemi perché rende impossibile sfruttare economie di
densità, e quindi non mette le imprese nelle condizioni di adottare un prodotto come il software
che ha degli elevati costi di progettazione, implementazione e gestione. Non solo, la
171
frammentazione dal lato della domanda trova come sua immediata e invitabile conseguenza la
frammentazione dal lato dell’offerta. La varietà e eterogeneità degli utilizzatori impone e induce la
varietà e l’eterogeneità dei produttori.
Nel caso italiano allora la nascita e la crescita di un’industria dei servizi informatici che riesca a
far fronte alla capillarità del tessuto dei potenziali adottatori è condizione indispensabile per
colmare il ritardo nella diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione
con essa il gap che si venuto allargando tra i livelli di produttività italiani e quelli dei paesi che
hanno saputo trarre vantaggio dalle economie di densità digitali.
La creazione di piattaforme che consentano di metter in comune pezzi di software applicativi e
quindi di trarre vantaggi parziale dalle economie di densità, almeno per componenti centrali e
snodi dei programmi di software potrebbe favorire questo processo. Particolare rilevanza hanno
naturalmente i diritti della proprietà intellettuale che non a caso sono stati significativamente
rafforzati negli ultimi anni. La diffusione dell’Open Source, inteso come meccanismo
organizzativo che, attraverso l’apertura del codice sorgente dei modelli di software applicativo a
comunità di ‘artigiani applicativi’, consente la socializzazione di soluzioni incrementali potrebbe
giocare un ruolo importante nella diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione
nell’economia italiana.
172
5
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