I SIGNIFICATI DEL FILM

Transcript

I SIGNIFICATI DEL FILM
**************************************************************************************************
I SIGNIFICATI DEL FILM
LA GRANDE BELLEZZA - 2010 - di Paolo Sorrentino
Paolo Sorrentino nel suo film “ La grande bellezza”
non fa solo un esercizio di stile e virtuosismo
registico fine a sé stesso, ma con un’opera di grande
bellezza formale riesce nell'intento di rappresentare la
Roma, città eterna, in tutte le sue bellezze e
contraddizioni che per traslato possiamo estendere a
tutto il mondo.
Il protagonista del film, Jep Gambardella scrittore di
un solo libro giovanile, "L'apparato umano”, trasferitosi a Roma a ventisei anni, diventa giornalista;
ha al suo attivo l’unico libro scritto in gioventù appena prima di arrivare nella capitale. Entra presto
nell’alta società romana divenendone divo disincantato. Alla soglia dei 65 anni si trova a fare un
bilancio della sua vita ben poco lusinghiero. Dà una festa barocca e cafona sul bordo del suo
terrazzo con vista sul Colosseo. Il campionario di amici e conoscenti con cui ama trascorrere
infinite serate è fatto di poeti muti, attrici cocainomani fallite sempre in procinto di scrivere un
romanzo, imprenditori erotomani che producono giocattoli, scrittrici di partito con “tanti passaggi in
tivvù”, drammaturghi di provincia che mai hanno esordito. Jep Gambardella seduce tutti e fustiga
con la sua lingua affilata, la sua intelligenza acuta, la sua disincantata ironia.
Buona parte del mondo intellettuale italiano lo ritenne un film brutto e sbagliato, o comunque in
ogni caso sopravvalutato, che scimmiotta “La dolce vita” felliniana. Questo film non è sull’Italia,
ma è un film esistenziale e sulla decadenza; ma ci parla anche di religione, della morte, del potere.
La Grande Bellezza è un film magnifico, certo difficile perché NON SCRITTO per uno spettatore
che ama i film d’evasione, ma scardina tutti i luoghi comuni e le banalità che certo cinema e certo
mondo intellettuale in Italia ci propinano da trent’anni. Infatti lo hanno premiato gli americani, ma
non perché amano vedere una certa immagine stereotipata dell’Italia.
Il film inizia proprio con una visione dal Gianicolo, talmente stupefacente che il cuore di un turista
giapponese non regge mentre fotografa le bellezze di Roma. Già, la bellezza solenne di Roma
apparirà di tanto in tanto, come un prezioso reperto della sua storia, e appariranno pure le facce
rifatte delle signore e l’agitarsi nel ballo sguaiato. Attorno a Jep è una folla di personaggi dalle vite
naufragate nel denaro e nella menzogna. Da due persone Jep resta impressionato ed amico, perché
autentiche, dal personaggio interpretato da Carlo Verdone, il poeta fallito e innamorato respinto che
torna al paese, e da Ramona ( la cinquantenne Sabrina Ferilli), la spogliarellista in età cui Jep dice
con tenerezza, «è stato bello non fare l’amore con te»; e tanti gli altri. Sorrentino ci presenta anche
la morte che viene “sacralizzata” nel suo momento solenne dell’occasione mondana del funerale.
Non possiamo dire che il film abbia una stereotipata visione moralistica. Sorrentino ha voluto fare
un vaglio di antropologia dei nostri tempi. La grande bellezza... allora l'abbiamo perduta? No: è
solo nascosta, come è nascosta la zampa delle gru, sul terrazzo di Jep Gambardella, all'alba. Come
la giraffa che l'illusionista fa sparire tra le rovine delle Terme di Caracalla, come il ricordo del
primo amore. La grande bellezza è solo nascosta, devi reimparare a guardarla, a cercarla in
profondità, non abita la superficie delle cose. Emblematica è a riguardo la scena della bambina
(simbolo della bellezza innocente e pura) che si nasconde nel Chiostro di San Pietro in Montorio e
la madre non riesce a trovarla perché si limita a cercarla solo in superficie. La grande bellezza è uno
di quei film in cui ogni volta che lo si rivede si trova sempre qualcosa di nuovo, uno scorcio,
un'immagine, una frase che a prima vista magari erano passati inosservati.
SEQUENZE CARDINI CHE SIGNIFICANO IL FILM:
La vera grande bellezza – Dopo la vita notturna passata in feste cafone della società detta bene, a
cui Jep partecipa con un’espressione del suo viso sempre ironica, sprezzante, sarcastica… lo
vediamo passeggiare, riavendosi dai bagordi notturni trascorsi, e nei momenti suoi intimi del primo
mattino l’espressione del suo volto cambia: una dolcezza lo pervade ammirando Roma ancora quasi
deserta e i bimbi che giocano a rincorrersi divertendosi, e una giovanissima conversa che gli sorride
dietro una cancellata che la separa da lui. E ancora, il film, ci mostra Jep che, ritirandosi dopo
un’altra delle solite notti passata nei salotti romani, osserva compiaciuto una ragazza, ancora dietro
una cancellata, che gli sorride: un richiamo de “La dolce vita” felliniana? Là però Marcello
chiamato dalla ragazzina (la dolce Valeria Ciangottini) non la sente: un fiume scorre impetuoso e
rumoroso, e separa i due che stanno sulle due rive opposte. Marcello non sente ciò che la ragazza
vuol dirgli e… indifferente si allontana. Nel film di Sorrentino invece Jep sorride alla ragazza, la
cancellata si frappone tra i due, ma Jep estasiato contempla la dolce fanciulla.
La non arte ammantata da intellettualismo falso e idiota - Ma subito dopo Jep Gambardella
assiste, schifato, ad una rappresentazione di teatro d’avanguardia all’aperto in uno splendido parco
romano di grande bellezza ma cornice di una “brutta performance” velleitaria di una attrice/ autrice
pseudointellettuale sedicente sensitiva a cui Jep deve fare un articolo giornalistico. Poi durante
l’intervista le dice chiaramente ciò che pensa di lei. Ecco il dialogo:
Jep “ Dunque cosa legge lei? ” –
L’artista “ non ho bisogno di leggere, vivo di vibrazioni spesso di natura extrasensoriale” “ abbandonando per un attimo l’extrasensoriale, che cosa intende lei per vibrazioni? “Io sono un’artista non ho bisogno di spiegare un cazzo”“Lei parla di cose di cui ignora il significato... io di lei ho solo fuffa, impubblicabile, se lei mi dice:
io sono un’artista non ho bisogno di spiegare è fuori strada, io scrivo per un pubblico colto che non
vuole essere preso in giro. Signora che cos’è una vibrazione”
“ è il mio radar per intercettare il mondo” –
E tante amenità di questo genere!
Il romanzo sul niente - Jep meditando: Sono anni che tutti mi chiedono perché non torno a
scrivere un nuovo romanzo… ma guarda „sta gente… „sta fauna! Questa è la mia vita…non è
niente! Flobert voleva scrivere un romanzo sul niente, non c‟è riuscito… ci posso riuscire io? (
Gustavo Flobert scrisse il roanzo “ Madame Bovary”).
Una riflessione con Dadina ( la direttrice delle edizioni per cui Gambardella scrive) – “Non sono
più adatto a questa vita, a questa città, mi sta morendo tutto quello che mi sta intorno: persone più
giovani di me,cose…mi muoiono davanti ed io…” - (Dadina): ” e tu soffri e non capisci Jeppino!“
(Jep): “ Perché mi hai chiamato Jeppino…nessuno mi chiama più così da secoli! - (Dadina): “
Perché un amico, ogni tanto, ha il dovere di far sentire l‟altro amico come quando era Bambino!”
LA CHIESA DEL POTERE E LA SANTA SUORA – Le alte gerarchie della Chiesa certo non
ne escono bene con l’eminenza Bellucci, alto prelato che Sorrentino ci rappresenta nel film. Il
porporato si dimostra vanesio, mondano, sfugge a serie domande sulla fede, sulla spiritualità, che
Jep gli vorrebbe porre, e disserta su argomenti culinari e ricette di cucina. Però la spiritualità il film
ce la mostra con incisività nel personaggio di suor Maria, una suora ultra centenaria, che ci ricorda
Madre Teresa di Calcutta. Il suo assistente rivela che suor Maria vive ventidue ore al giorno
lavando e dando da mangiare agli ammalati. La santa donna resta sempre in silenzio. Alla domanda
però, che qualcuno le fa, del perché il suo assistente parla sempre per lei, risponde! E così
risponde: “Io ho sposato la povertà, e la povertà non si racconta, si vive”. E a Jep chiede: “Perché
non ha scritto più un libro”. A Jep che risponde che cercava la grande bellezza, ma non l’ha
trovata, suor Maria di rimando chiede: “ Sa perché io mangio solo radici? Perché le radici sono
importanti!” Jep lasciando il suo paese nativo per Roma aveva reciso le sue radici. Il libro che Jep
aveva pubblicato con successo prima di trapiantarsi a Roma, la suora lo aveva letto. Aveva trovato
il libro “ L’apparato umano”, “bello e feroce come il mondo degli uomini”.
La sequenza si conclude con suor Maria che bocconi striscia riversa lungo la scala santa della
chiesa di San Giovanni, per salirla con fatica e grande sofferenza! Suor Maria, francescanamente
lontana dal potere della Chiesa, dorme sempre per terra in un giaciglio di cartone e si fa portatrice di
parole così semplici e di azioni tali, da risultare così vere per lo stato emotivo di Gambardella: nella
fatica di vivere la suora trova la grande bellezza.
Le immagini della suora che si trascina con sofferenza lungo la scala si intrecciano in un montaggio
parallelo col ricordo di Jep diciottenne che ricorda il suo primo amore: una bella ragazza dai capelli
biondi e lunghi e una camicetta bianca prima si allontana da lui, ma poi dicendogli ti faccio vedere
una cosa si scopre il seno e Jep rimane incantato... uno sprazzo di grande bellezza che non seppe
cogliere.
E Jep Gambardella così conclude mentre la santa suora si trascina su quella “santa scala”: “ Finisce
sempre con la morte, prima però c‟è stata la vita nascosta sotto il blà…blà…blà! E tutto
sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento l‟emozione e la paura.
Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza e poi lo squallore disgraziato e l‟uomo miserabile. Tutto
sepolto dalla coperta dell‟imbarazzo dello stare al mondo…blà!… blà!… blà! …blà! Altrove c‟è
l‟altrove, io non mi occupo dell‟altrove. Dunque che questo romanzo abbia inizio, infondo è solo un
trucco, sì è solo un trucco!
Conclusione estetica - Certo l'opera di Sorrentino, esteticamente prettamente autoriale, non è "La
dolce vita"- 1959/'60 - o un suo remake o peggio una scopiazzatura: è oltre, nel senso che, dal punto
di vista del linguaggio del Cinema, il film di Fellini (dopo "Quarto Potere" - 1940) è l'inizio del
Cinema moderno in cui il racconto viene destrutturato nella sua narrazione. Ma oltre alla
rappresentazione cinematografica, l'inizio degli anni Sessanta segna l'inizio del guardarci dentro una
società che ormai ha subito una seconda guerra mondiale e che è stata capace di ricostruirsi
materialmente ed economicamente conquistato un certo benessere, ma disordinato o meglio
scoordinato. Dopo la restaurazione, almeno dalla parte della società più "ambiente", si pensa alla
dolce vita. Ed è un fermento di trasgressioni e stravaganze, un disordine etico e sociale che danno
inizio al disfacimento di una realtà ormai considerata "obsoleta". Nel film Fellini ci mostra quei
lembi di società fatta di alta borghesia rampante e arrivista e i soliti nobili gaudenti e decadenti. E
Marcello, un giornalista, aspirante scrittore che tenta, ma rimanda sempre di scrivere un libro, è il
tratto di unione di quella vita. Egli osserva incuriosito e spesso coinvolto riuscendo spesso anche a
divertirsi. Il finale del capolavoro di Fellini, con quella metafora del mostro marino, morto e,
arenato sulla spiaggia, ormai in putrefazione... oggi sembra un presagio per ciò che sta avvenendo
dopo oltre un cinquantennio di inarrestabile precipizio. Quel mostro è là col suo occhio spento,
gelido, ma che sembra guardare quel gruppo di persone, e fra di esse Marcello, che dopo una notte
di bagordi escono da una villa e nella immagine di un livido paesaggio marino dove quei gaudenti
trovano il mostro morto che preannuncia la putrefazione, la putrefazione sì di questa società che
ormai non è più capace neanche di divertirsi e, guarda caso, osservata ancora da Marcello scrittore
giornalista come Jep che ci viene mostrato nel film "La Grande Bellezza". Come è diventato diverso
questo giornalista Marcello! JEP, non ha più i coinvolgimenti di Marcello, è disilluso, apatico, vuol
descrivere ormai il nulla di questa "grande bellezza"... che sa di morte, di putrefazione. Chiediamoci
il perché quel paesaggio romano di per sé di "grande bellezza", è mostrato con un colore
"marroncino" colore buio di morte, sottoesposto e gelido. Intanto il linguaggio del Cinema si è
naturalmente evoluto ed è già da qualche decennio nell'era del postmoderno di cui il film di
Sorrentino è figlio con le conseguenze stilistiche che lasciano perplessi tanti spettatori..