Troppi squilli di rivolta a Sin City

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Troppi squilli di rivolta a Sin City
EURO
1,20
DIRETTORE
EMANUELE MACALUSO
SABATO
3 MARZO 2012
www.ilriformista.it
ANNO XVII N. 53
SPED. IN ABB. POST - D.L. 353/2003
(CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46)
ART. 1 COMMA 1, DCB - ROMA
Atlanta e Rosarno, non erano mai sta-
Tra Calabria
e Coca-Cola
guerra delle arance
DI
te così vicine e una guerra delle arance, in
Calabria, ancora non s’era vista. C’era
stata quella delle barricate nei ghetti degli
immigrati contro i loro caporali-aguzzini,
quella contro la ‘ndrangheta e contro un
lavoro disumano che per dodici ore di sudore vale appena 25 euro al giorno, sui
quali i caporali trattengono un pizzo di
CHIARA PRIVITERA
cinque e i camionisti che li trasportano sui
campi un prezzo di tre euro. La notizia
non è nuova e la rivolta è sopportata come un evento ciclico inevitabile. Scoprire che il tacco che schiaccia centinaia di
braccianti africani non è solo quello delle
‘ndrine o del caporalato, ma anche quello
di Coca-Cola è, però, un’altra cosa.
SEGUE A PAGINA
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L’ISTAT FA I CONTI IN TASCA AL PAESE
Ma la crisi
non è passata
RIPRESA LONTANA. Nel 2011 il Pil
italiano è cresciuto solo dello 0,4%.
Il debito ha toccato il 120,1%.
DI
GIANMARIA PICA
La conferma è arrivata ieri. L’Isti-
tuto statistico nazionale (Istat) ha bollato il 2011 come l’anno orribile dell’economia italiana. Frena la crescita,
si assottigliano le retribuzioni dei lavoratori, sale il costo della vita e aumenta il debito pubblico. Ma il governo dei tecnici sta tentando di invertire la rotta.
SEGUE A PAGINA 5
vertice Ue con polemica
tranquillo week-end di paura
Monti sulla Lione-Torino
Rajoy sfida i paletti
imposti dall’Europa
Da Palermo al Tav
I tre fuochi del Pd
«Andiamo avanti
senza cedimenti»
www.ilriformista.it
edizione chiusa alle 21.15
DI
meU+b7MYK4DTZS0yjjp8OXoHgSYip/FZfg+SNI38q9s=
PAOLO IORIO
DI
Bruxelles. E ora Ma-
riano Rajoy lancia il
guanto di sfida alla Germania e all’Europa. La
Spagna, ha affermato
ieri il premier iberico a margine del vertice
Ue di primavera, non rispetterà l’impegno a
scendere al 4,4 per cento del deficit.
SEGUE A PAGINA
TOMMASO LABATE
DI ALESSANDRO DA ROLD
La «moratoria» chiesta da Antonio Di Pietro
sul Tav. I tanti rischi che
si annidano dietro le primarie di Palermo. Fino
al dibattito interno sulla Grande Coalizione.
Per il Pd quello che comincia oggi può trasformarsi in un week-end infuocato.
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SEGUE A PAGINA
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A cinque giorni dalla
caduta di Luca Abbà, uno
dei leader No Tav, da un
traliccio, torna la calma in
Valsusa. E inizia a prendere piede la possibilità che il premier Mario
Monti possa incontrare i sindaci della valle per
stemperare la tensione.
SEGUE A PAGINA
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TRA EISENSTEIN E DARIO ARGENTO. IL BLITZ NOTAV ALLA SEDE PD SITRASFORMA NELLA PRESA DEL PALAZZO D’INVERNO
EMMA
Titolo della Padania: «Il
Cavaliere vuole il listone.
Prima di lui c’era arrivato
Mussolini». E prima la Lega
ubbidiva al Cavaliere: «Il
duce ha sempre ragione».
Troppi squilli di rivolta a Sin City
DI
MARCELLO DEL BOSCO
ivolta delle banche» titola in prima pagina il
Corriere, insieme ad Europa e all’insospettabile Avvenire; in alternativa c’è la «Rivolta No
Tav» preferita da gran parte dei quotidiani. E per gli incontentabili, nelle pagine interne, c’è sempre la “rivolta” contro la casta, i soprusi arbitrali, il prezzo delle zucchine, il rincaro delle sigarette, i tagli alle province e la scarsa pulizia nei vagoni
del metrò. Per non parlare di intere categorie tristemente barricadere quali tassisti, farmacisti,
notai e avvocati. Escludendo di trovarci nel pieno di una guerra civile o sulle montagne afghane, la spiegazione di questi eccessivi ardori rivoluzionari va forse cercata nel lessico elaborato da eminenti specialisti nel campo della comunicazione.
In un passato remoto si partiva da un (sommesso) dissenso per approdare a una protesta (più o meno vibrata) passando
«R
RUSSIA
La lunga marcia
(senza rivali)
dello zar Vladimir
GRAZIOLI E DE STEFANO
A PAGINA
6
per una contestazione (generalmente accesa); termini troppo
blandi per buona parte dei mass media cresciuti alla scuola di
Dario Argento e inclini ad inzuppare la penna nel truculento
(sempre dalle cronache di ieri: “Inferno sui binari”, “Saccheggio alle casse del Nord”, “Quartiere a ferro e fuoco”).
Manca solo il bagno di sangue e siamo in piena Sin City.
Difficile raccapezzarsi. Prendete, ad esempio, il mini blitz
di presunti No Tav a largo del Nazareno. “La protesta arriva
nella sede del Pd” titola con flemma anglosassone l’Unità; “I
No Tav occupano il Pd” annuncia invece il Fatto, e la mente
corre alla presa del Palazzo d’Inverno e ai film di Eisenstein.
Tra i nostalgici dei bolscevichi e quelli delle squadracce (“Libia bazar di armi per criminali e terroristi” o “I dipendenti pubblici devono mostrare la propria rabbia”, sempre dal Secolo
d’Italia di ieri) viene fuori il dubbio che in parecchi si rifiutino di accettare il percorso verso un Paese normale. Un Paese
in cui termini come sobrietà, buon gusto ed equilibrio non suonino come parolacce, o arcaici ricordi. Dall’enfasi al grottesco
il passo è breve; dalla iperbole al ridicolo ancor di più.
Ha fatto (e fa) tutto
il Cavaliere
DI
EMANUELE MACALUSO
ontrordine amici berluscones: Monti è stato scoperto dal Cavaliere sin
dal 1994, è rimasto sempre nel suo
cuore e nella sua mente perché hanno una
comune cultura liberale; non è stato Napolitano (come erroneamente abbiamo detto) a
imporlo a Palazzo Chigi, ma l’ex presidente del Consiglio volontariamente dimissionario per fargli largo. E, infine, la democrazia non è stata sospesa, dal governo tecnico,
ma rinvigorita.
Così è riassumibile la direttiva del Cavaliere esposta da un lungo articolo, apparso giovedì sul Foglio, firmato da Marco Valerio Lo Prete (chi è?). Ma, anticipazioni sul
rovesciamento della politica berlusconiana
si leggono nelle dichiarazioni dei fedelissimi: financo in quella della signora Santanchè che annuncia per le prossime elezioni un
“nuovo partito” del Cavaliere (cambia stagione e cambia vestito). Il Giornale di famiglia, infatti, ci informa, come si legge con un
titolo significativo, sulle «ultime del Cavaliere». Nel servizio, firmato da Alberto Signore, troviamo le parole con cui Alfano viene licenziato da candidato leader: «Angelino è amato ma gli manca un quid, gli manca
la storia». E la “storia siamo noi”, dice il
Cavaliere. Infatti, quel “quid” lo possiede
lui, il Cavaliere, il quale annuncia: «Potrei
tornare in prima fila nel partito». E ci torna
con progetti politici che somigliano ai miracoli: «Penso che non ci siano situazioni tali da non poter recuperare con il Carroccio»; considera possibile «tornare insieme
con Casini»; ritiene «fattibile un governo
Pdl-Pd-Terzo polo nel 2013»; e la legge elettorale sarà fatta secondo quello che sono i
suoi interessi politici,«anche il sistema tedesco potrebbe andare bene con uno sbarramento tra l’8 e il 10%», e così continuando.
A me pare che il Cavaliere abbia capito
una sola cosa: il governo Monti è sostenuto
con convinzione da una larga area moderata, soprattutto al Nord. Deve quindi fare
buon viso e cattivo giuoco. E può “provocare” anche il centrosinistra: «Monti - continua a dire - opera in assoluta continuità col
nostro governo». È una bugia consolatoria
ma propagandistica. E per renderla credibile dice un’altra bugia, più grossa della prima: «Al governo Monti è possibile utilizzare
lo strumento del decreto legge, che a noi veniva precluso». Da chi gli veniva la preclusione? Da Napolitano! Menzogna: il presidente veniva criticato per il numero dei decreti firmati al governo Berlusconi.
Tirando le somme di tutte le recenti diatribe berlusconiane, una cosa emerge con
chiarezza e con tristezza: la destra italiana
non riesce ad acquisire una identità nazionale ed europea. O si esprime con un partito
personale Berlusconi e Bossi, o attraverso
una piccola fazione fascista, con Storace. In
questo quadro parlare di “grande coalizione” è semplicemente ridicolo.
C
DOMANI SU “RAGIONI”
Il socialismo intransigente di Pertini
raccontato da Federico Fornaro. La ricerca
dell’ircocervo liberalsocialista di Pasquale
Terracciano e una lettera ad Andrea
Orlando di Dario Parrini. Anticipazione del
libro “La sinistra Arancione” di Tomaso
Greco e Jacopo Perazzoli e un colloquio con
Giuliano Montaldo di Matteo Lo Presti.
Paolo Petrillo ci parla di partiti e
democrazia. Il figlio che sapeva troppo di
Guido Rampoldi. La grande stagione delal
danza di Laura Landolfi (e tre recensioni di
Ariel Bertoldo). Mozart riformatore di
Giuseppe Pennisi, Cinzia Leone invita a
votare “Hugo Cabret” alle primarie. Melo
Freni su Anna Achmatova versione siciliana.
2
COMMENTI
SABATO
3 MARZO 2012
P
Legge elettorale
una proposta per ABC
I
l Riformista ha giustamente sottolineato in questi mesi la rilevanza del tema della riforma elettorale: riforma che chiamerei “la madre di tutte le battaglie”.
Mi sembra, però, che gli incontri tra i segretari dei tre maggiori
schieramenti, il cosidetto ABC, allontanino la soluzione del problema,
ponendolo solo a conclusione delle riforme istituzionali nel prossimo autunno. Non sottovaluto l’importanza delle riforme istituzionali, ma non voler affrontare da subito il tema della legge elettorale mi
pare un alibi, probabilmente dettato dal fatto che manca ogni ipotesi di
intesa sui contenuti della stessa. Il Parlamento non può ignorare la richiesta referendaria di modificare l’attuale legge elettorale, trincerandosi dietro la recente pronuncia della Corte Costituzionale sull’inammissibilità. Sarebbe una prova di insensibilità da parte delle forze politiche. Il governo in carica è nato per un atto collegiale di responsabilità dei maggiori partiti a fronte della difficile congiuntura, ma non
ha e non può avere “competenza” in materia elettorale.Questa è competenza sovrana del Parlamento e il Parlamento deve mostrarsi all’altezza delle difficoltà che una modifica della legge elettorale pone, affrontando una materia che è suo dovere definire, superando, anche su
questo terreno, impostazioni pregiudiziali e interessi contingenti
Per questo ho presentato al Senato, insieme a colleghi di entrambi gli schieramenti politici (Amato; Compagna del Pdl; Bianco, Mauro Marino e Musi del Pd; Salvo Fleres di Coesione Nazionale e Luciana Sbarbati del Pri) un disegno di legge che non si richiama ai diversi modelli stranieri (tedesco, spagnolo, inglese, australiano, etc.)
che hanno rappresentato e rappresentano motivi di scontro tra le forze
politiche. Ma si limita a correggere le maggiori criticità del “Porcellum”: la mancanza di ogni possibilità di scelta degli eletti da parte dei
cittadini e l’attribuzione di un abnorme premio di maggioranza alla lista o alla coalizione vincente, anche se essa ha ottenuto solo il 30/35
per cento dei voti.
Propongo, infatti, per la Camera collegi di ridotte dimensioni (7/10
rappresentanti) scelti col voto di preferenza singolo e l’attribuzione
a un Collegio Unico Nazionale dei seggi non assegnati nelle circoscrizioni. Per il Senato, con una norma che sta tra il “Mattarellum” e la
legge del 48, ipotizzo collegi uninominali di in cui viene immediatamente eletto colui che consegue il 50,01 per cento dei voti. Gli altri
seggi sarebbero attribuiti col sistema proporzionale ai gruppi che ne
hanno diritto, proclamando eletti, per i seggi attribuiti a ciascun gruppo, i candidati dello stesso in base alla percentuale di voti raccolti in
ogni collegio. Si ridà così ampia scelta agli elettori per individuare le
persone da eleggere, ponendo fine al Parlamento dei “nominati”. Per
quanto riguarda il premio di maggioranza, per non offendere la diffusa sensibilità bipolarista, esso viene mantenuto, ma solo per la lista
o la coalizione di liste che ottenga il 50,01 per cento dei voti, in misura del 55 per cento degli eligendi. Non si tratterebbe in questo caso di una forzatura, ma di garantire una reale possibilità di governo a
chi raccoglie la maggioranza assoluta dei voti espressi.
Non penso di aver trovato l’uovo di Colombo, ma di offrire agli
stati maggiori del Pdl, del Pd e del Terzo Polo, che mi sembrano in difficoltà nel trovare un punto di incontro, un’ipotesi di lavoro cui non sono pregiudizialmente legato, ma che mi sembra possa, con le opportune correzioni, venire incontro a esigenze ampiamente diffuse.
TRA LE RIGHE
DI
MASSIMO BORDIN
No Tav
mille anni
dopo Caprie
L
a Chiesa, dunque, pagherà il suo “balzello”, l’Ici, sugli immobili di sua proprietà dove si esercita un’attività commerciale. È una conquista di oggi, alla quale,
per la verità, nessuno si è opposto, e l’atteggiamento è indice di quanto ha progredito il senso comune del dovere, rispetto al tempo di guarantige che proteggevano certi diritti che proprio tali non erano.
Viene in mente il caso della “controversia liparitana” della “apostolica legazia”, argomento sul quale Leonardo Sciascia scrisse una divertente ed
amara “recitazione”, dedicandola ad Alexander Dubcek per il tema particolare della scomunica
comminata da uno Stato despota
ad un suo dipendente ribelle. E
Dubcek, in quegli anni, era stato
scomunicato nella Russia Sovietioca di fine 1960 per l’alone di
libertà che aveva sparso per la
Cekoslovacchia.
MELO FRENI
La storia alla quale risale la
“operetta” di Sciascia è invece di
inizio 1700 e riporta ad un conflitto fra Stato e Chiesa a causa di un balzello che il Viceré (don Antonio Spinola Colonna)
pretendeva dalla Chiesa, i cui “acatapani”, spiccioli bottegai,
vendevano a Lipari liberamente dei ceci. Si trattava di un
commercio che come tale doveva rientrare fra le attività soggette a tributo dello Stato.
La disputa che ne venne occupò per oltre un decennio il
fior fiore del pensiero politico e giuridico della Palermo di
quegli anni, dove da una parte si sosteneva che «il vescovato di Lipari non è soggetto alle leggi del regno di Sicilia, per
il fatto stesso che la sua nomina è di competenza pontificia,
unica eccezione tra tutti i vescovati siciliani» , dall’altra che
«la pretesa è da considerare particolarmente sediziosa» ragion per cui il Viceré incontrerà il Vescovo di Lipari “in stato di arresto”: «Fatelo immediatamente prendere».
Il balzello
della Chiesa
nel Regno di
Sicilia
DI
ANTONIO DEL PENNINO
L
Senatore Pri
Bianco o nero
la logica che intralcia
L
a storia della sinistra e del movimento operaio è ricca di contrasti e di conflitti interni. Esauritosi il luddismo, comunque,
le divisioni riguardavano per lo più i tempi e i modi con i quali conseguire gli obiettivi.
Oggi su quasi tutti i fronti caldi, invece, non vi è una percezione
chiara di dove si situi il progresso e dove la conservazione: si pensi
ad esempio alla vicenda dei No-Tav, all’articolo 18, alla flessibilitàprecarietà del lavoro, alla “ricetta” Marchionne. E ciò di certo disorienta i cittadini.
Anni addietro, sulla scia dell’esperienza francese, sembrava che la
riduzione dell’orario di lavoro rappresentasse un’istanza “di sinistra”.
Ma poi, anche oltralpe, la questione si è rivelata più controversa.
Si tratta di un fenomeno dalle forti implicazioni psicologiche. Un
po’ tutti noi tendiamo spesso, nella vita, a semplificare la realtà, a eludere le sfumature, a vedere “bianco” o “nero”: è il pensiero dicotomico, fondato sul tutto o nulla. Oggi, però, venuti meno gli schemi
ideologici di un tempo e dinanzi a un mondo straordinariamente complesso, tale logica in genere non ci è più di aiuto. Essa, anzi, rappresenta un grave intralcio alla comprensione degli accadimenti e alla capacità di adattamento e di lotta per il cambiamento.
Insomma: la nostra “tolleranza all’ambiguità” dovrebbe aumentare. Poche cose, ormai, sono scontate, evidenti e univoche. E ambiguità e ambivalenza ci condizioneranno sempre di più. Dovremo rinunciare per sempre alla chiarezza? No, ma essa potrà scaturire solo
da una ricerca. Non è più il singolo fenomeno in sè a essere “di destra”
o “di sinistra”. Sono tali, piuttosto, il contesto nel quale lo collochiamo e la lettura che sappiamo darne. E decisivo è il nostro modo di porci e di affrontarlo.
Non siamo dunque necessariamente condannati alla confusione
e a un grigiore indistinto, purchè abbandoniamo la pretesa di possedere già formule e risposte magiche.
DANILO DI MATTEO
er capire cosa si agita in Val di Susa è
forse utile ritornare con la memoria a
una storia tragica di quasi quindici anni fa, quando ancora la “grande opera” della Tav era nella sua fase preliminare e già si
verificarono atti di sabotaggio contro centraline telefoniche ed elettriche.
In particolare un attentato nel comune di Caprie, che fra i primi si era opposto alla nuova ferrovia, causò danni ingenti. Vennero accusati e arrestati tre giovani anarchici, squatters ovvero occupanti di edifici abbandonati
nelle città. I tre vivevano nell’ex obitorio del
manicomio di Collegno di Torino. Vennero
gravati di accuse molto pesanti e i giornali fecero il resto. Non c’è da giurare fossero del
tutto innocenti ma la campagna stampa fu,
’attuale riforma del lavoro, ritenuta necessaria per rimettere in moto la crescita italiana così come per invertire la tendenza recessiva degli stati membri dell’Unione Europea, viene percepita come una priorità non più rimandabile.
Le proposte correnti ruotano intorno all’asse abolizionista dell’articolo18 dello Statuto dei lavoratori, argomento ritenuto preminente, come un decennio fa, quando fu accantonato per dare spazio ed attuazione al paradigma del lavoro flessibile.
Allora, sulla scia americana,
nel nostro paese iniziarono a
diffondersi le agenzie interinali
parallelamente a un’ampia gamma di nuove modalità contrattuali, molte delle quali - si pensi ai
contratti di lavoro ripartito o job
sharing - sono rimaste pressoché
CATALDO
inutilizzate.
Rispetto ad allora, è possibile attestare che la sperimentazione del modello lavorativo statunitense in una piccola
realtà come l’Italia, il cui tessuto produttivo è costituito da
poche grandi aziende nazionali, molte piccole e medie imprese, più una parte significativamente ampia di lavoro pubblico, è stato un salto nel buio i cui effetti perversi tutti stanno appurando. La flessibilità, così come prospettata, avrebbe potuto attecchire in maniera positiva ma solo se scandita con un distinguo tra settori e tipologia di lavoratori da immettere sul mercato piuttosto che mirare alla sola standardizzazione contrattuale.
Tali agenzie, prive di un taglio settoriale e di corsie preferenziali per neo-diplomati e laureati, hanno offerto un contributo irrisorio al calo del tasso di disoccupazione. Sorte come innovazione e apertura a nuove chance, assistono a un costante deterioramento del modello teorico originario.
Un censimento sul lavoro interinale in Italia relativo all’ultimo decennio rivelerebbe, con coincidenze che richiamano ricorsi vichiani, stessi nominativi per del lavoro somministrato a rotazione. In una scala sociale medio-bassa, persino la flessibilità diviene questione di privilegio. A compli-
I precari
delle agenzie
interinali
DI
EVELINA
come troppo spesso capita, un supporto
sguaiato alle tesi più estreme dell’accusa.
Ciò parve ai tre ragazzi una palese ingiustizia. Edoardo Massari, detto “Baleno”, si impiccò in carcere. La sua compagna Maria Soledad Rosas ottenne in seguito a ciò gli arresti domiciliari, e si impiccò nella comunità di
Don Ciotti dove era ospitata. Una storia cupa e una catena di suicidi che non si fermò ai
due arrestati. Il senso della ribellione eretica e quello della morte si ritrovano nella storia della valle, coinvolta nel 1200 nella crociata contro i Catari, condotta verso le popolazioni che li ospitavano con il motto “Ammazzateli tutti, Dio riconoscerà i suoi.” Dopo mille anni si può convenire che non è un
buon metodo.
Il che coinvolse tutti gli altri vescovi della Sicilia, il
Papa direttamente (Clemente XI), e gli altri viceré, succeduti allo Spinola, con scomuniche ed interdetti da entrambe le parti, che accesero sempre di più la controversia fra gesuiti, canonici, domenicani, avvocati e ministri del regno.
Una un’autentica rivoluzione con l’arrivo a Palermo
persino di una “armata dei mari”, che era quella spagnola, a favore del re, che non era quello di Napoli, ma
Filippo V che approfittava dell’occasione tentando di ripendersi il possesso della Sicilia.
Tutto per colpa di quei modesti ceci, di quel balzello contestato, se era giusto o no che la Chiesa pagasse allo Stato per le attività commerciali. E bisognava aspettare fino a Mario Monti ed Tarcisio Bertoine per chiarire ogni cosa, con buona pace di tutti !
care maggiormente la faccenda, l’intervento più recente nella somministrazione di lavoro “pubblico”.
La scelta di duplicare selezioni già svolte dalle Agenzie Regionali per l’impiego - che provvedono con apposite liste - sembra aver raggirato la buona fede degli
iscritti. Infine, la legge dello Stato ha imposto un blocco del turn over a livello centrale e il rispetto obbligatorio del Patto di stabilità interno a livello periferico.
Tuttavia, agenzie interinali, società cooperative e
municipalizzate hanno adottato a pieno regime il mezzo dell’esternalizzazione avvalendosi di dipendenti precari “ad hoc” che, intanto lavorano, con la promessa di
una successiva stabilizzazione presso determinati enti
pubblici.
Ecco uno dei canali da cui potrebbe avere origine
buona parte della quota degli attuali esuberi. Gli ultimi
segnali di equità lanciati dall’attuale governo tecnico in
tema di Pubblica Amministrazione sono pregnanti e bilanciati.
Serve però rimodulare quella quota eccedente, a livello locale così come a livello centrale, riportando in
auge il concetto costituzionalmente garantito dall’articolo 97 che impone immissioni nella P.A solo mediante concorso. Il settore pubblico non deve essere mortificato da personale non qualificato o selezionato in maniera inappropriata, pena il decadimento del valore del
pubblico ufficio. Regolamentazione e controllo dovrebbero essere avanzati anche nei confronti delle società miste, dove il confine tra pubblico e privato resta sempre
molto labile, e la selezione di dipendenti e consulenti appare spesso arbitraria.
Troppe risorse pubbliche vengono amministrate in
maniera privatistica. I casi della Rai, di Trenitalia, di
Poste italiane, di società di trasporto urbano, di Consorzi, di società private che gestiscono i servizi idrici
mediante concessione pubblica a quota partecipata sono risaputi. È probabile che le partecipazioni pubbliche, anche se marginali, fungano più da garanzia per il
mantenimento e ricambio dei Consigli di Amministrazione e del personale che per l’ottimizzazione dei servizi offerti ai cittadini.
ITALIA
SABATO
3 MARZO 2012
Meno uno a Palermo
La grande paura del Pd
© Ap/LaPresse
RETROSCENA.Borsellino strafavorita. Ma nel partito si teme l’ascesa dell’outsider Ferrandelli. Il test
Rita Borsellino
È
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
come nella vecchia teoria del caos. Un battito
d’ali di farfalla a Palermo o in Valsusa è in grado di
provocare un uragano a Roma.
In tutto il centrosinistra, certo.
Ma in particolare dentro i confini del Partito democratico,
che guarda alle primarie del
capoluogo siciliano trattenendo il fiato come non aveva fatto nemmeno prima della sfida
di Genova, che poi finì malissimo.
A determinare l’incrocio
pericoloso, che può generare
reazioni a catena con effetti
collaterali difficili da calcolare,
è Antonio Di Pietro. Che incontra le strade del Pd sia nel
dibattito sulla costruzione dell’Alta velocità, difesa dal Pier
Luigi Bersani, sia nella sfida a
tre per la nomination del centrosinistra nel capoluogo siciliano. Dove sono i rischi? Semplice. L’ala del Pd che tifa per
vorrebbe ripetere lo «schema
Monti» anche dopo le elezioni
del 2013 potrebbe sfruttare
un’eventuale sconfitta della
Borsellino («Rita» è sostenuta
dal tridente Bersani-VendolaDi Pietro) per provare a trascinare a intonare sia il de profundis della «foto di Vasto» che
quello del bipolarismo.
Non è un caso, infatti, se
nell’attesa della sfida di Palermo sono stati soprattutto i veltroniani e i lettiani ad attaccare
può aprire lo scontro sulla Grande Coalizione.
Di Pietro sulla richiesta di
«moratoria sul Tav» che l’Italia
dei valori ha messo nero su
bianco ieri pomeriggio. «La richiesta di sospendere i lavori
dell’Alta velocità è la prova
che con quelli non possiamo e
non dobbiamo andare da nessuna parte», scandisce il deputato-economista
Francesco
Boccia, braccio destro di Enrico Letta. Che aggiunge: «Ma
uno con uno che fa proposte del
genere, soprattutto nel momento in cui attorno al movimento
No Tav circolano criminali che
andrebbero messi in galera, si
può mai immaginare di dar vita
a una proposta di governo?».
La conclusione, in fondo, è la
stessa a cui arrivano i
veltroniani. Vinicio Peluffo, fedelissimo di «Walter», la mette così:
«Le
posizioni
espresse in questi
giorni da
Di Pietro e da Vendola, che
puntano a fermare i lavori, appaiono incomprensibili e gravi». E ancora: «Davanti alla necessità di dare risposte chiare
sembra di vedere un film già
visto. Un film che ha fatto molto male in passato al centrosinistra».
Nella cerchia ristretta del
segretario rivendicano che, su
questo dossier, Bersani non ha
nulla da farsi rimproverare. Infatti il suo «sì» alla grande opera, come ha dimostrato durante l’ultima puntata di Servizio
pubblico di Michele Santoro, è
stato netto. Ma più d’uno, tra
gli collaboratori del leader, sospetta che l’ala “grancoalizionista” del partito possa sfruttare le parole di Di Pietro
«per iniziare ad archiviare
il centrosinistra».
Da lì a Palermo il
passo è brevissimo. La vittoria di Rita Borsellino alle
primarie sicuramente sarebbe un punto a favore del tri-
dente Pd-Idv-Sel. E l’eurodeputata - che ieri è stata vittima
di un’intimidazione telefonica
- è senz’altro la grande favorita. Ma, soprattutto nelle ultime
ore, la partita siciliana sembra
sempre meno scontata. Fabrizio Ferrandelli, il transfuga dall’Idv sostenuto da quel pezzo di
Pd che vuole confermare il sostegno al governatore regionale Raffaele Lombardo, viene
dato in rimonta. Come dimostra il fuorionda dell’altro giorno di Di Pietro, che pensando
di parlare al telefono con Vendola (in realtà, dall’altra parte
del filo, c’era il comico Barty
Colucci di Radio dimensione
suono) s’è mostrato molto
preoccupato per il consenso del
suo (ormai ex) compagno di
partito. «Dopo Milano, Napoli
e Cagliari, adesso Genova e Palermo...», avverte Beppe Fioroni, rilevando che «la deriva a
sinistra danneggia il Pd». È il
segnale che, se Borsellino non
vince (in corsa, oltre a lei e Ferrandelli, ci sono anche il renziano Davide Faraone e Antonella Monastra), dentro il partito si aprirà una ressa che potrebbe anche trascinare tutti al
congresso anticipato.
Un congresso in cui, ovviamente, il tema chiave sarebbe il 2013: correre col centrosinistra mantenendo il bipolarismo oppure sperare nella Grande Coalizione? Lettiani e veltroniani guardano soprattutto
alla seconda. «Dire oggi sì o no
alla grande coalizione non è
corretto», sostiene Boccia.
Non è un sì, naturalmente.
Ma, soprattuto, non è nemmeno un no...
TOMMASO LABATE
I Comuni: «Non siamo gabellieri»
CONTI. Rivolta degli enti locali. Sotto accusa, il patto di stabilità e l’Imu. La minaccia di
bloccare il trasferimento di una
parte delle risorse allo Stato.
«I comuni non vogliono fare i gabellieri
dello Stato», ha detto ieri il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia. E, adesso, sul patto
di stabilità, sull’Imu e sul rapporto tra enti
locali e Stato centrale, si rischia una mezza
rivolta dei sindaci i quali potrebbero scendere in piazza e decidere di bloccare il trasferimento di una parte delle risorse allo
Stato. Pisapia ne ha parlato ieri, nel corso di
un convegno organizzato dal Pd a Palazzo
Marino, a Milano. E i toni sono stati quelli
di un ultimatum.
«Credo - ha detto Pisapia - che non debba essere una manifestazione contro il governo ma per un’equità sociale e istituzionale». Si tratta comunque soltanto di una
proposta in quanto, ha osservato lo stesso
Pisapia, sarà l’Anci a decidere. Il sindaco di
Milano ha però sostenuto che «non lo dico
io, lo dice la Costituzione» che i comuni
non sono i gabellieri dello Stato. I Comuni, ha spiegato Pisapia, decidono l’entità
delle imposte locali e se, quando «incassano i soldi, devono trasferirli immediatamente al governo, questo chiaramente ha
profili di incostituzionalità evidenti». L’auspicio è «che il governo ci ripensi e faccia
autocritica su un provvedimento che è ini-
quo». Ciò detto, se così non fosse, sono allo studio alcune possibili iniziative. È ancora Pisapia a spiegare: «Il Comune di per
sé non può fare eccezione di incostituzionalità. Lo può fare la Regione. Per quanto
riguarda il Comune la sola eccezione di incostituzionalità potrebbe essere sollevata
solo in un contenzioso giudiziario. E questo
lo valuteremo».
Ma a parlare ieri sono stati anche altri
colleghi di Pisapia; ad esempio Graziano
Delrio, sindaco di Reggio Emilia e, circostanza non da poco, presidente nazionale
dell’Anci, l’associazione dei comuni. «Il
grido delle comunità locali - ha detto Delrio
- non è per scassare i conti del Paese, ma per
avere più coesione sociale, per aiutare il
Paese a crescere». E c’era anche Piero Fassino, ieri, il quale è tornato a battere sul tasto del patto di stabilità.
«Il patto di stabilità - ha detto il sindaco di Torino - si è trasformato in una prigione per i comuni perché non consente di
fare investimenti, riduce erogazioni servizi,
e mette in ginocchio le nostre amministrazioni». Quanto alle parole di Pisapia, Fassino è apparso più cauto, spiegando che questo genere di idee vengono avanzate «giusto per sottolineare la nostra richiesta che il
negoziato si apra». «Pisapia - ha detto ancora Fassino - come me e come tutti gli altri sindaci è consapevole che bisogna agire
rispettando le leggi. Non è in causa il rispetto della legalità, ma chiediamo al governo di aprire un negoziato». La sede potrebbe essere l’incontro già fissato per martedì prossimo col governo. È in quella occasione che i comuni potrebbero mettere sul
tavolo le proposte delle quali ieri si è discusso, inclusa quella di studiare un diverso riparto tra Stato ed enti locali dei fondi
reperiti con l’Imu in modo da consentire ai
comuni di continuare a fare investimenti.
Peraltro, ieri un grido d’allarme sull’Imu è arrivato anche da altre sponde. Secondo Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre, ad esempio, «per il 2012
è prevista una crescita esponenziale che
porterà il nostro carico fiscale a toccare il
45%. Un vero e proprio record che mai
toccato nella storia recente del nostro Paese». E, ha detto ancora Bortolussi, tra le
cause di questo picco c’è anche l’introduzione dell’Imu.
Confagricoltura, analizzando i dati Istat
sull’andamento del pil, ha fatto osservare
che il 2011 per il settore è andato male, nonostante qualche segnale di ripresa ci fosse stato, sterilizzato però dal caro-carburante e dalla protesta dei tir. «E le supertasse Imu sui fabbricati rurali - si è fatto notare - rischiano ancor più di aggravare la situazione». Quanto ai commercianti, Confesercenti ha avvertito: «Si sottovaluta l’effetto che le prossime legnate fiscali, dalle
addizionali all’Imu, avranno sul Paese».
3
Prova tecnica (per
quanto involontaria)
di «Grande coalizione»? Chissà. Certo
come scivolone è rilevante. Nel video ufficiale in cui il Pdl lancia la nuova hit “Gente della libertà”, dal
minuto 00:56, spuntano le bandiere del
Pd. Che, in tutto il filmato, si vedono quasi più di Alfano...
Voto amministrativo
Mappa ragionata
dello sfascio nel Pdl
URNE DI MAGGIO. Dal capoluogo siciliano a
L’Aquila, le truppe berlusconiane sono in pieno caos. Senza candidati e alleanze definite.
DI
ETTORE MARIA COLOMBO
Se Sparta (nel senso del Pd) piange, Atene (nel senso del Pdl) non
ride. Il prossimo turno delle elezioni amministrative che si terranno a maggio (primo turno il 6, eventuali ballottaggi il 20 maggio)
fanno tremare le vene nei polsi a tutti. Pd, Pdl e Terzo Polo. Solo che
mentre i guai di casa democrat sono sotto gli occhi di tutti, quelli
di Pdl e Terzo Polo vivono sottotraccia, ma non scherzano affatto.
Nel partito guidato da Angelino Alfano stanno cercando di correre ai ripari, ma molti buoi son già belli che scappati dalla stalla e,
in molte città, a partire da Palermo (città simbolo, per lui) rischia
grosso. Il Terzo Polo - composto da quattro partiti (Udc, Fli, Api e
Mpa), ma dove ognuno va per conto suo - ansima e, spesso, nelle
diverse realtà, si divide. Tagliando con l’accetta tra chi (l’Udc) cerca di risaldare l’alleanza con il Pdl (alleanza che già governa, in modo ferreo, regioni-chiave del Sud Italia come Campania, Calabria,
Sardegna, Abruzzo e Molise), chi vuol andare per conto suo (Fli),
chi vorrebbe allearsi con il Pd (l’Api) e chi si bea di splendido isolamento (l’Mpa di Lombardo).
Palermo. L’intrico siculo è un puzzle di difficile soluzione non
solo per il Pd, ma pure per il Pdl. Dopo la (disastrosa) amministrazione del sindaco uscente, Diego Cammarata, la cui unica scelta assennata è stata quella di non ripresentarsi, la scena rischia di vedere andare la probabile vincitrice delle primarie del centro-sinistra,
Rita Borsellino, e il candidato del Terzo Polo, Massimo Costa (35
enne dirigente del Coni), tagliando fuori quello del Pdl, che dovrebbe essere Francesco Cascio, che, peraltro, considera Costa un
suo figlioccio politico. Tutto è congelato in attesa delle primarie di
casa Pd: se dovesse vincere la Borsellino, la candidatura Cascio
verrà scongelata, ove vincesse, invece, Fabrizio Ferrandelli, sostenuto dall’asse pro-Lombardo interno al Pd (Cracolici-Lumia), magari con l’appoggio sotterraneo dei voti del governatore siculo, tutto tornerebbe in alto mare. Fino, si dice, alla nascita di un’inedita
“santa alleanza” che unirebbe i democrat pro-Lombardo, Lombardo medesimo, Udc e Pdl con Fli (Granata-Briguglio) e Api che la
subirebbero obtorto collo. In caso contrario (vittoria della Borsellino), Terzo Polo unito e Pdl da solo, con sconfitta assicurata e conseguenze che in un caso o nell’altro (gli ex-An sul piede di guerra) arriverebbero fino a Roma.
L’Aquila. Problemi anche in Abruzzo, amministrato, a livello
regionale, dal centrodestra. L’uomo che dovrebbe battere il sindaco uscente, il post-diessino Massimo Cialente, e riportare l’Aquila
ai fasti della destra che fu, si chiama Giorgio De Matteis, è consigliere comunale dell’Mpa e piace all’Udc, ma la sua candidatura è
contesa da Pierluigi Properzi (Fli). Il Pdl brancola nel buio.
Lecce. Anche nella città più bella della Puglia il caos, dentro il
centrodestra, regna sovrano. La ex-sindaca (e oggi senatrice) Adriana Poli-Bortone ha voluto imporre un suo uomo a un Pdl sfibrato.
Nonostante la (ex) sindaca di ferro abbia lasciato, tempo fa, il Pdl per
andarsene con Fini e per rompere, poi, con Fli medesimo e farsi il
suo movimento (Io Sud), il Pdl le fa ponti d’oro, pur di tenere Lecce. L’Udc (il plenipotenziario di Casini è Angelo Sanza) se ne andrà per conto suo, Fli non si capisce bene cosa farà e l’Api vorrebbe allearsi con il Pd (sic).
Genova. Le spaccature interne al centrodestra rischiano di lasciare campo libero a Marco Doria, il candidato di SeL uscito vittorioso dalle primarie del centrosinistra, in cui ha stracciato le
donne Pd. Il Terzo Polo dovrebbe candidare l’ex deputato del Pdl,
Enrico Musso, che se n’è andato con l’Udc, ma il presidente della Cei, il cardinal Bagnasco, che è di Genova, pare non ami molto Musso, che sarebbe troppo laico, ancorché brillante. Inoltre,
l’ancora onnipotente (in Liguria) Claudio Scajola spera ancora di
agganciare l’Udc in un patto con il Pdl, e far le primarie. Ecco perché l’unica vera candidatura che girava dentro il Pdl quella di
Giancarlo Vinacci, è saltata.
Verona. Il sindaco uscente, Flavio Tosi, sta ramazzando tutto
quello che esiste a destra, moderati e cattolici compresi (l’Mcl dovrebbe partecipare con una propria lista o candidati), con la lista Tosi. Fuori dal sistema Tosi esistono solo briciole. L’Udc se ne andrà in
corsa solitaria senza speranza, Fli pure e il Pdl non sa neppure se avrà
un nome. Comunque perdente, proprio come quello del Pd.
4
ITALIA
SABATO
3 MARZO 2012
PROCESSO
Tav, esportare la protesta
i fronti a Roma e Ginevra
Se Ruby
non vede
Messina
CONTRARI. Oggi manifestazione nella Capita-
Il processo Ruby resta a
le e davanti alla sede
Onu della città svizzera. Cresce l’ala antiviolenza. Il governo
aperto al dialogo, ma
non cede sull’opera.
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
llo stesso tempo, però,
le proteste contro il corridoio 5 emigrano a
Roma, dove oggi è prevista una
manifestazione nazionale di
protesta, e all’estero. Sempre
nella giornata odierna un gruppo di valsusini, che ormai si riconoscono sotto la sigla Movimento dei Cittadini del Piemonte, si unirà insieme a una
delegazione francese della Savoia per manifestare a Ginevra
di fronte al palazzo delle Nazioni Unite.
La Tav, quindi, continua a
dividere in due l’Italia, ma rischia di invadere anche l’Europa, coinvolgendo i paesi confinanti nella protesta di questi
giorni. Nel frattempo l’operazione di isolamento dei violenti varata dal governo Monti insieme con le associazioni cattoliche pare stia riuscendo.
Non nelle altre città italiane. A
Milano alcuni gruppi di antagonisti hanno assaltato la metropolitana nella prima mattinata di ieri, occupando un liceo
artistico.
Intanto sul sito www.lavallecheresiste.com, nelle ore in
cui si veniva a sapere che Abbà
era ormai fuori pericolo, i suoi
amici pubblicavano la lettera
A
scritta da Don Ciotti e altre personalità politiche per dire no
alla violenza e riaprire un canale di comunicazione con l’esecutivo. «I problemi posti dal
progetto di costruzione della linea ferroviaria ad alta capacità
Torino-Lione - si legge nel testo sottoscritto anche da Luigi
De Magistris e Nichi Vendola non si risolvono con lanci di
pietre e con comportamenti
violenti. Da queste forme di
violenza occorre prendere le
distanze senza ambiguità. Ma
non ci si può fermare qui. Non
basta deprecare la violenza se
non si fa nulla per evitarla o,
addirittura, si eccitano gli animi con comportamenti irresponsabili (come gli insulti rivolti a chi compie gesti dimostrativi non violenti) o riducendo la protesta della valle - di
tante donne e tanti uomini, giovani e vecchi del tutto estranei
ad ogni forma di violenza - a
questione di ordine pubblico da
delegare alle forze dell’ordine.
La contrapposizione e il con-
CARCERI, UN ALTRO MORTO A ROMA
Un detenuto italiano di 62 anni, recluso nel carcere di Rebibbia Nuovo Complesso, è morto per cause naturali la scorsa notte nella struttura protetta dell’Ospedale “Sandro Pertini” di Roma. Lo rende noto il
Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni che ha ricordato che
si tratta del quarto decesso di un detenuto registrato a Roma in un
mese, dopo i tre di Regina Coeli.
La vittima si chiamava Franco Febi, 62 anni, recluso nella sezione G
8 di Rebibbia N.C. con un “fine pena mai”. A quanto appreso dai collaboratori del Garante, l’uomo, affetto da problemi cardiaci e con da
diabete, si è sentito male in carcere ed è stato subito trasferito all’ospedale “Sandro Pertini” dove è deceduto nonostante le cure prestate dai medici. «Nel dare la notizia di questo ennesimo decesso - ha
detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroni - non possiamo non
constatare che in carcere si continua a morire con preoccupante frequenza. E non deve trarre in inganno la circostanza che si è trattato
di una morte naturale. Il problema e che, con la situazione di sovraffollamento e di carenza di risorse e di personale che si sta attualmente vivendo nelle carceri italiane, stanno diventando pericolose
anche patologie che, normalmente, non lo sono».
flitto possono essere superati
solo da una politica intelligente, lungimirante e coraggiosa».
Ieri il premier Mario Monti è rientrato da Bruxelles a Roma, a palazzo Chigi, per una
riunione sui lavori proprio sull’asse ferroviario Tav TorinoLione. Alla riunione hanno
partecipato anche il ministro
dell’Interno, Anna Maria Cancellieri; il ministro dello Sviluppo Economico, Trasporti e
Infrastrutture, Corrado Passera; il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio
Catricalà; e il commissario
straordinario di governo, Mario Virano. Proprio quest’ultimo ieri ha ribadito un concetto
già espresso nei mesi scorsi:
«Non c’è nulla di razionale in
questa protesta. La Tav ha assunto un valore simbolico per
una certa enclave politico-sindacale». E poi: «Nelle nostre
interminabili riunioni ci siamo
spesso trovati a fronteggiare un
muro di gomma che rallentava
i lavori di proposito».
«Il dialogo continuerà con
chiunque non voglia usare la
violenza e l’illegalità», ha ribadito il ministro Cancellieri.
«La posizione del governo sulla Tav è stata già espressa in
maniera chiara: rispetto delle
normative nazionali ed euro-
pee in materia ambientale che
debbono essere il punto di riferimento per la realizzazione
delle infrastrutture che servono
al nostro Paese», ha affermato
il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini. Un appello al dialogo è stato lanciato anche dal
ministro della Cooperazione,
Andrea Riccardi: «Bisogna
dialogare ma anche essere fermi contro ogni violenza». Premesse che la linea del governo
non dovrebbe cambiare nei
prossimi mesi. Di certo si ricomincerà a lavorare sui sindaci
della valle. Il governatore leghista del Piemonte, Roberto
Cota, incontrerà lunedì alcuni
primi cittadini: «Questa mattina ho sentito al telefono diversi sindaci che non ne possono
più. Questa indignazione pacifica deve uscire ed è giusto che
questi sindaci che non sono
d’accordo alzino la testa e anche la gente alzi la testa e alzi
la voce e manifesti tutta la sua
indignazione». Il Cipe, intanto,
sbloccherà 20 milioni di euro
per le opere di compensazione
nella Valle di Susa nella riunione del prossimo 9 marzo:
garanzie sono state date proprio da Cota che ha rinnovato
al governo l’invito a sbloccare
i fondi.
ALESSANDRO DA ROLD
Gli impianti contestati sono 311
Proteste guidate dagli enti locali
NIMBY. A sorpresa, le
DI
MARIA PIA CAGIN
associazioni e i sindacati L’agitazione dei Comitati lafigurano al secondo
posto tra i più attivi nel
difendere i progetti.
scia spazio alle proteste guidate
dalla politica locale. Dall’analisi presentata ieri dall’Osservatorio Nimby Forum - database nazionale che dal 2004 monitora la
situazione delle contestazioni
ambientali contro opere di pubblica utilità - emergono dati sorprendenti. Vediamo.
Innanzitutto, nel 2011 i progetti contestati aumentano del
3,4 per cento rispetto all’anno
precendente. Tra questi, 163 sono i casi emersi nel solo 2011,
mentre i restanti 168 sono presenti nel database Nimby anche
a partire dall’edizione 2004. In
generale, il 51 per cento delle
contestazioni emerge a fronte di
progetti non ancora autorizzati e
spesso allo stato di mere ipotesi.
A detta dell’Osservatorio, il
Paese risulta ancora bloccato, diviso tra l’urgenza di dotarsi di infrastrutture più moderne per resistere alla crisi e la desolante
prospettiva di doversi confrontare con iter autorizzativi farra-
ginosi, con l’assenza di meccanismi di autentico coinvolgimento popolare e con l’azione
strumentale della politica. Quest’ultima considerazione emerge
con forza dai dati 2011, che registrano una sorprendente inversione di tendenza: in prima fila,
sul fronte della protesta, non ci
sono più i Comitati - che si attestano al 18,9 per cento, contro il
25,4 del 2010 -, ma i soggetti politici locali, che si fanno promotori di contestazioni nel 26,7 per
cento dei casi (nel 2010 esprimevano il 23 per cento). Significativo, a questo proposito, anche
il ruolo giocato dai Comuni, al
secondo posto tra i soggetti contrari agli impianti (19,7 per cento), ma che ritroviamo al primo
posto nella classifica dei più attivi nell’appoggiare le opere
contestate (22,5).
Relativamente all’azione dei
Comitati, il 2011 registra un’evoluzione del fenomeno: pur arretrando rispetto a soggetti politici locali e Comuni, il variegato universo dei Comitati agisce
in maniera più strutturata e mi-
rata. Non a caso, sul totale delle
iniziative di comunicazione promosse dai soggetti oppositori, il
54,1 per cento proviene dai Comitati. Nel 2010, il dato era pari
alla metà. Le associazioni di categoria e i sindacati, invece, figurano al secondo posto tra i più
attivi (17,8 per cento) nel difendere i progetti contestati. Una
scelta di campo certamente motivata dalla criticità della congiuntura economica e dalla necessità di sostenere le opportunità di nuova occupazione.
L’Osservatorio evidenzia un
ulteriore incremento delle proteste contro il comparto più contestato, quello elettrico, che si attesta al 62,5 per cento (contro il
58 del 2010). Seguono, il comparto dei rifiuti (31,4) e quello
delle infrastrutture (4,8). In quest’ultimo ambito rientrano le
proteste eclatanti dei No Tav della Val di Susa e contro la Pedemontana Veneta. Sebbene connotate positivamente nella percezione popolare diffusa, le rinnovabili continuano anche nel
2011 a essere oggetto di una
massiccia opposizione: sul totale degli impianti censiti, 156 afferiscono al comparto delle rinnovabili (47,1 per cento).
Dall’analisi dei dati secondo
un criterio geografico emerge
come la sindrome Nimby stia
contagiando in maniera particolare e inedita le regioni del Centro-Italia, in cui nel solo 2011
emergono 45 nuovi casi di contestazioni. Esattamente lo stesso
numero censito dall’Osservatorio per l’area del Nord-Est, che
tradizionalmente rappresenta
l’epicentro del fenomeno contestatorio. Le ragioni di questo
boom nel Centro-Italia possono
essere ricondotte alle forti proteste contro la discarica romana di
Malagrotta.
Milano. La richiesta della
difesa di Emilio fede è tardiva. Lo hanno stabilito ieri i
giudici del tribunale di Milano, rigettando la richiesta
dell’avvocato Gaetano Pecorella, legale del direttore
del Tg4, di spostare il processo a Messina.
Il procedimento, che segue il rito ordinario, è quello
che vede imputati di favoreggiamento e induzione alla
prostituzione anche minorile l’agente Lele Mora e la
consigliera regionale della
Lombardia Nicole Minetti,
oltre a Fede. Si tratta del
troncone principale dal quale
è avvenuto lo stralcio della
posizione dell’ex presidente
del consiglio Silvio Berlusconi, alla sbarra per concussione e prostituzione minorile, in seguito alla decisione di
procedere con rito immediato. Alla origine del procedimento, l’inchiesta sulle feste
ad Arcore e la telefonata che
il Cavaliere fece nella notte
tra il 27 e il 28 maggio del
2010 in questura, a Milano,
dove era stata condotta Karima El Mahroug, vero nome
di Ruby Rubacuori.
Ebbene, ieri l’avvocato
Pecorella aveva presentato
una nuova richiesta al tribunale perché la corte di dichiarasse incompetente in favore
dei colleghi di Messina. Si ricorderà che un contatto tra
Ruby ed Emilio Fede ci fu a
Taormina in occasione di un
concorso di bellezza e a quella circostanza potrebbe essere
riferito l’inizio della condotta della quale Fede deve rispondere. L’avvocato Pecorella, inoltre, ha chiesto ai giudici di esprimersi perché «non
si può rischiare di veder dichiarata l’incompetenza alla
fine dell’iter processuale». La
corte, però, ha rigettato la richiesta sulla incompetenza.
Quanto al resto, l’avvocato Daniele Melegaro, altro legale di Fede, in aula ha spiegato: «Vogliamo dimostrare
l’estraneità dai fatti di Fede e
la prima persona che chiamiamo a testimoniare è Ruby
perchè tutto nasce e può finire da lei. Poi abbiamo citato
dei soggetti per riferirci delle
serate ad Arcore, mentre non
abbiamo indicato tutte e 32 le
ragazze, ma solo alcune, quelle che specificatamente ci
vengono addebitate». La difesa di Lele Mora ha annunciato che punterà a dimostrare
l’insussistenza dei fatti addebitati mentre quella di Nicole
Minetti vuole dimostrare l’estraneità ai fatti della propria
assistita, «indipendentemente
- ha detto l’avvocato Paolo
Righi - dalla circostanza che
questi fatti siano accaduti».
Il processo è stato aggiornato al 30 marzo. Il 3 aprile,
invece, si attende la decisione
della Cassazione sul ricorso
presentato dalle difese degli
imputati che hanno lamentato
il mancato ricorso a un incidente probatorio da parte del
gup per la trascrizione di alcune intercettazioni.
ECONOMIA
SABATO
3 MARZO 2012
Crisi, il rapporto tra debito e Pil
ai massimi livelli da 15 anni
LA CRISI NON È FINITA.Nel 2011 l’economia italiana è
spesa pubblica e calano le retribuzioni dei
lavoratori. Ma il crollo
dello spread Btp-Bund
fa ben sperare.
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
A
ndiamo a vedere i numeri. Il 2011 si chiude con una crescita del Prodotto interno lordo (Pil) dello 0,4 per cento (nel 2010 l’aumento era
stato dell’1,8). Si è così registrata una netta frenata della crescita. L’ultima previsione del governo stimava un Pil nel 2011 a +0,6 per cento. Nel 2011
il rapporto tra debito pubblico e Pil è salito a quota 120,1 per cento: si tratta del
livello più alto dal 1996 (l’anno precedente il rapporto era stato pari al 118,7
per cento). Mentre il deficit-Pil si è attestato al 3,9 per cento (4,6 per cento
nel 2010), dunque in leggero miglioramento anche se le stime del governo lo
fissavano al 3,8 per cento. A fronte di un incremento del debito, salgono anche
le entrate fiscali. L’anno scorso sono aumentate dell’1,7 per cento rispetto al
2010 (pesano per il 46,6 per cento sul Pil).
Invece, la pressione fiscale rispetto al Pil è scesa al 42,5 per cento dal
42,6 del 2010. Nel 2009 era al 43 per cento. Ma, secondo la Cgia di Mestre, nel 2012 la pressione fiscale sui contribuenti italiani raggiungerà il
valore record del 45 per cento, un dato che porterebbe a superare il precedente tetto, stabilito nel 1997 con il 43,4 per cento e confermerebbe il
nostro Paese fra i più tartassati d’Europa. «Anche se i dati dell’Istat ci hanno tranquillizzato, il peggio è previsto per quest’anno - spiega il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi -. Se nel 2011 la pressione fiscale si è
attestata al 42,5 per cento, per il 2012 è prevista una crescita esponenziale che porterà il nostro carico fiscale a toccare il 45 per cento. Un vero e
proprio record che mai toccato nella storia recente del nostro Paese». All’origine di questo picco, l’introduzione dell’Imu, il ritocco all’insù delle addizionali regionali Irpef, l’aumento delle accise sui carburanti, l’incremento dell’Iva e l’aumento del prelievo sui titoli di Stato.
Poi ci sono i dati sulla spesa. Nel 2011 i consumi delle famiglie italiane
hanno mostrato un incremento in volume dello 0,2 per cento, con variazioni
più contenute rispetto a quelle registrate nel 2010 (+1,2). A trainare la spesa
è stata soprattutto quella per i servizi (+1,6), mentre il consumo di beni è diminuito dello 0,9; particolarmente marcata nella media dell’anno è stata la flessione della spesa per i generi alimentari (-1,3). Se la spesa della pubblica am-
ministrazione ha registrato una diminuzione dello 0,9 per cento in volume,
quella delle istituzioni sociali private è aumentata dello 0,9. Secondo il Codacons, il calo della spesa alimentare delle famiglie «è un dato drammatico che
dimostra come i cittadini siano costretti a tirare la cinghia anche su beni essenziali come quelli alimentari». Per Carlo Rienzi, presidente dell’associazione, «si tratta di un trend negativo iniziato già nel 2006 rispetto a 5 anni fa,
le famiglie italiane hanno ridotto mediamente dell’11 per cento i consumi alimentari, in pratica fanno la fame. Una dimostrazione del crollo della domanda, a fronte del quale, però, i prezzi hanno continuato imperterriti a salire».
Infine, arriviamo ai dati sui redditi Gli stipendi degli statali, un esercito costitutito da quasi quattro milioni di persone, nel 2011 sono scesi di circa 2 miliardi rispetto all’anno precedente. I redditi da lavoro dipendente (compresivi di pubblico e privato) invece sono aumentati dell’1,8, quanto le retribuzioni lorde. Nel 2011 queste ultime hanno registrato un incremento del 2,2 per
cento nel settore agricolo, del 4 nell’industria in senso stretto, dell’1,4 per cento nei servizi e una riduzione dell’1,2 nelle costruzioni.
Ma non tutto è nero. Il governo dei tecnici sta tentando di invertire la
rotta. Se da un lato la recessione economica non ha risparmiato l’Italia, dall’altro un forte contributo dell’esecutivo guidato da Mario Monti è giunto per stemperare lo spread, cioè la differenza tra i rendimenti dei titoli di
Stato italiani e i corrispettivi tedeschi. Ieri, il nostro Paese ha sorpassato la
Spagna nella corsa dello spread. Il differenziale nei confronti della Spagna
è diventato positivo per l’Italia per 0,003 punti percentuali, con il rendimento dei Btp che è sceso brevemente sotto quello dei bonos spagnoli per
la prima volta dal 5 agosto 2011, per poi risalire. È una decisa inversione
di tendenza rispetto ai picchi di dicembre, quando il differenziale di rendimento tra i Btp e i Bonos spagnoli aveva toccato il record storico dei 195
punti, con i titoli italiani che viaggiavano oltre i 500 punti rispetto al corrispondente Bund tedesco. Lo spread Roma-Madrid al momento è tornato negativo per l’Italia e segna -0,4 punti base.
Insomma, iniziano ad arrivare segnali positivi, ma la crisi ancora non
è passata.
GIANMARIA PICA
Rajoy sfida l’Ue
«Taglio al deficit
ma fino al 5,8%»
VERTICE & POLEMICA.Duro il premier spagnolo: «I nostri
conti non si negoziano a Bruxelles». Ok al Patto di Bilancio, ma Monti avverte: «Fare di più per la crescita».
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
M
adrid taglierà sì il deficit,
dall’8,5 per cento ereditato a
fine 2011, ma solo fino a
raggiungere il 5,8 per cento, non intende andare oltre. Va così in scena,
platealmente, il primo sgarro conclamato e unilaterale agli obiettivi di disciplina di bilancio fissati dall’eurogruppo in questi anni di dura crisi.
«Presenteremo la nostra finanziaria in accordo con ciò che ci sembra
ragionevole e sensato», ha affermato
Rajoy, che poi ingrana la quarta: «La
finanziaria non si chiude qui (a
Bruxelles, ndr), non si negozia qui,
non si discute qui. A me nessuno mi ha
chiesto del deficit pubblico in Spagna». Per tradurre in moneta i tagli
previsti dal governo, pari all’1,5 per
cento del deficit strutturale (e non nominale) all’anno, il premier resuscita
anche la peseta, morta e defunta, ma
dal sapore molto spagnolo. E così le
sue parole, dure e profferite con fare
virile, lo fanno diventare un nuovo
perfetto testimonial di quel patriottismo alla macho iberico che ci riporta
direttamente all’era del suo mentore
José Maria Aznar. Pur attingendo dal
passato, dal dna del Partido popular,
sono però frasi che guardano al futuro,
immediato, spagnolo con ripercussioni dirette su quello europeo.
Il 25 marzo si vota in Andalusia, la
regione più popolosa del paese e da
sempre feudo socialista. Per la prima
volta i popolari hanno in mano la vittoria, Rajoy non vuole rischiare il successo spingendo ancor più sul pedale
dell’austerità, quando già il Paese vola oltre il 24 per cento di disoccupazione e la nuova manovra, seppur meno ingente di quanto chiesto da
Bruxelles, è destinata a far perdere altri 700mila posti di lavoro. Inoltre, limitando i tagli del deficit, il premier
Usa Vs Rosarno
Coca-Cola boicotta
le arance calabresi
L
per cento. Aumenta la
SE GOLIA ATTACCA DAVIDE
cresciuta solo dello 0,4
Il premier spagnolo Mariano Rajoy
fornisce una bella bombola d’ossigeno ai suoi baroni regionali, i presidenti delle Comunità autonome, praticamente tutti targati popolare, che con le
loro spese fuori registro hanno mandato fuori giri il bilancio pubblico.
Un balsamo in casa, quindi, che
sarà una sicura tormenta in Europa.
Giovedì Luis de Guindos, il ministro
dell’Economia spagnolo, aveva provato a decaffeinare gli obiettivi di deficit di Madrid nella riunione prevertice dei ministri dell’eurogruppo. De
Guindos si era però trovato contro il
no deciso di Svezia e Finlandia, mentre la Germania taceva, facendo parlare la fanteria leggera, e l’Olanda, altra
paladina del rigore, veniva neutralizzata da se stessa. Questo perché l’altra
notizia di questo vertice insipido è che
anche gli arancioni devono rivedere al
rialzo i loro risultati macroeconomici
con il deficit che sale dal 3 al 4,5 per
cento per via del pessimo ciclo econo-
mico. I numeri in rosso di Amsterdam
dimostrano una volta di più che con il
rigore e l’austerità non solo si affossa
l’economia ma non si rianimano nemmeno i conti pubblici, poco importa, la
strada da seguire è ancora questa. E
chi, come Rajoy, decide unilateralmente, senza previamente consultare i
soci, di prendere la complanare e allungare i tempi del risanamento di bilancio, per equilibri politici di famiglia, lancia una sfida che verrà presto
raccolta tanto dalla Commissione,
quanto dai guardiani del rigore.
In attesa di valutare le reazioni europee, rimane la frustata di Rajoy a un
vertice in cui si doveva parlare di crescita e in cui rimane solo la foto della
firma sul trattato del fiscal compact,
che scrive sulla roccia la dottrina del
rigore. Nelle conclusioni si fa riferimento alla strategia europea per la crescita e per l’occupazione, ma di nuovo
non c’è praticamente nulla, si tratta
delle conclusioni del vertice del 30
gennaio, che già non prevedevano
fondi nuovi con cui finanziare i progetti, anzi, nel frattempo quell’ottantina di miliardi da recuperare dai fondi
non spesi, si è andata assotigliando
sotto i colpi di un’analisi più attenta
del bilancio comunitario. Rimangono
gli impegni ad accelerare sulla rimozione degli ostacoli al mercato interno,
aspetti che faranno sentire i loro effetti sul mercato del lavoro solo a mediolungo termine, non certo a breve.
«Speriamo ora ci si possa concentrare su temi come quello della crescita»,
ha affermato Mario Monti alla fine del
vertice. Per ora si è fatto poco o nulla.
PAOLO IORIO
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SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
a conferma è arrivata dagli Stati Uniti. Il colosso della bevanda più conosciuta al mondo, dopo essere stato tirato in ballo da un’indagine del periodico The Ecologist, aveva annunciato di voler disdire i contratti con le aziende di trasformazione degli agrumi calabresi. L’inchiesta, infatti, non è esattamente ciò che si definirebbe “good
advertisement” - buona pubblicità - per la multinazionale accusata di aver acquistato a prezzi ridottissimi
il succo d’arancia dalle aziende calabresi per la produzione della Fanta.
Per un chilo di succo concentrato, la Coca-Cola pagherebbe talmente poco che un litro di aranciata
contiene il valore di 3 centesimi di arance. La paralisi
di un settore già in crisi, dove gli investimenti sono ridotti al lumicino, è perciò presto detta: molti produttori di agrumi non raccolgono più le arance,lasciandole marcire sugli alberi. Il prezzo della vendita a pochi centesimi al chilo è poco conveniente e ai lavoratori, gli agrumicoltori danno stipendi da fame. La decisione di Atlanta di ritirarsi dalla Calabria, per tutelare la sua immagine, era allora suonata amara e
beffarda e si era portata appresso uno strascico di
clamore, polemiche e reazioni.
Quelle politiche del sindaco Elisabetta Tripodi che,
impegnata ad assicurare sistemazioni più dignitose
per l’esercito dei braccianti extracomunitari della zona, aveva previsto conseguenze disastrose per il disimpegno della Coca-Cola e, paventando il rischio
di chiusura delle aziende locali, «praticamente finiremo al tappeto», aveva detto. In campo era sceso pure il presidente della Coldiretti-Calabria, Pietro Molinaro: «Occorre fare fronte comune», perché il beneficio economico in una situazione simile di «distorsione della filiera agrumicola» è solo per le multinazionali, mentre basterebbe che queste «pagassero
il giusto prezzo di 15 centesimi e la situazione cambierebbe radicalmente». Poi la controffensiva era
partita anche da don Pino De Masi, responsabile di
Libera nella Piana di Gioia Tauro, con l’invito rivolto a
tutti di boicottare «le multinazionali che sfruttano situazioni di emarginazione». La multinazionale si era
giustificata con un «è impossibile controllare l’intera
supplì chain» e, anzi aveva tenuto a precisare di essere «a sostegno dei diritti umani e dei lavoratori».
Eppure è di poco tempo fa la comunicazione della
Coldiretti alle imprese che acquistano gli ingredienti
per i loro prodotti in Calabria (la Fanta, marchio Coca-Cola, per il 100 per cento è prodotta da arance
calabresi), per evidenziare come prezzi troppo bassi
per le materie prime determinano iniquità e favoriscono condizioni indecenti dei lavoratori. Da Atlanta
nessuna risposta: non abbiamo ricevuto alcuna lettera, probabilmente colpa di un indirizzo sbagliato,
avevano poi precisato.
Ma lo scompiglio nato a seguito dell’inchiesta, a
questo punto, era troppo per rinunciare alle arance
di Rosarno senza rischiare un danno d’immagine
addirittura maggiore. Per questo il dietrofront, e lo
spiraglio. Coca-Cola ha smentito la notizia della cessazione del contratto - sostenendo anche che la paventata chiusura dell’accordo non sarebbe in ogni
caso dipesa dal reportage della rivista - proponendo
un tavolo di dialogo: «Siamo pronti a sederci con i
fornitori e le autorità locali, tra cui il sindaco di Rosarno, per discutere di possibili allineamenti strategici in grado di garantire un futuro di business reciprocamente vantaggioso», ha fatto sapere la Company
in una nota.
Soddisfatto il sindaco Tripodi: «Non tutti i mali vengono per nuocere - ha detto ottimista - adesso è importante verificare se da parte della Coca-Cola c’è
la volontà di rinnovare il contratto rinunciando a un
poco del profitto». Un miracolo a buon mercato:
qualche centesimo e «Welcome to the Coca-Cola
side of life», potrebbe non essere solo uno slogan
pubblicitario.
Chiara Privitera
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MONDO
SABATO
3 MARZO 2012
KALININGRAD
La lunga marcia
(senza rivali)
dello zar Vladimir
Nella città di Kant
rassegnata al destino
Kaliningrad. È una piazza battuta dal ven-
TERZA INCORONAZIONE.Ormai scontato l’esito del voto di domenica. Tutti i sondaggi danno il primo ministro ben al di sopra del 50%. Merito, soprattutto, di un panorama politico “istituzionale” desertificato. Ma per placare
le proteste probabilmente non sarà Medvedev il nuovo capo del governo.
DI
STEFANO GRAZIOLI
Non c’è due senza tre. Vladimir Putin entrerà per
la terza volta al Cremlino dopo che c’era già stato
per due mandati consecutivi, dal 2000 al 2008. Finito l’interregno di Dmitri Medvedev, lo zar tornerà
al posto che gli è più congeniale dopo il quadriennio
passato alla Casa Bianca, sede del governo. Un ritorno annunciato quasi come una promessa, che
verrà puntualmente mantenuta dopo che le elezioni di domani gli avranno consegnato la vittoria.
Un successo al primo turno su cui pochi ormai
nutrono dubbi e che viene confermato dai numeri
della vigilia. I maggiori istituti di ricerca danno Vladimir Vladimirovich senza rivali, con percentuali
che oscillano tra il 58 (Fom) e il 66 (Levada) e i rivali sempreverdi lasciati a grande distanza: dal comunista Gennadi Zyuganov, già sconfitto nel 1996
al ballottaggio da Boris Eltsin, al nazionalista Vladimir Zhirinovski, presentatosi la prima volta a una
sfida presidenziale nel 1991, quando ancora la Russia faceva parte dell’Unione Sovietica.
Accanto alle due vecchie facce dell’opposizione storica, c’è il volto nuovo e brillante dell’oligarca Mikhail Prokhorov e quello un po’grigio e spento di Sergei Mironov, ex fedelissimo del presidente
e segretario di Russia Giusta, partito nato nel 2006
proprio per volere del Cremlino al fine di spezzare il
dominio rosso sull’elettorato di sinistra. Mentre
Zyuganov e Zhirinosvki possono contare su un buon
bacino di voti (i loro partiti sono stati, secondo la ong
Golos, i più defraudati dai brogli nella tornata per
la Duma, singolarmente si aggirano intorno al 10%),
gli altri due sfidanti stanno al margine e raccoglieranno solo qualche briciola, sempre stando ai sondaggi della vigilia che li accreditano del 4-5%.
Gioco facile per Putin, che non sembra aver
sofferto in questi tre mesi la protesta di piazza. Anzi. A guardar bene le cifre, si scopre che da quando sono iniziate le dimostrazioni i suoi rating sono costantemente saliti: se dopo il 4 dicembre l’opposizione extraparlamentare ha lanciato la sua
campagna chiedendo a gran voce al premier di fare le valigie non per trasferirsi nella reggia sulla
Piazza Rossa, ma per andare in pensione, la sua popolarità è cresciuta alla grande. Allora i sondaggi
(Fom, Levada e Vciom) lo davano al 42%, ma dopo le grandi manifestazioni del 24 dicembre, del 4
e del 26 febbraio, i valori sono cresciuti regolarmente superando il fatidico 50% che gli permetterebbe di evitare un fastidioso ballottaggio. Paradossalmente, più la voce dell’opposizione si è fatta rumorosa, più questa sembra aver spinto le quote verso l’alto, con le previsioni del Fom passate
dal 52% di gennaio al 58% di febbraio e quelle del
Levada dal 63% di dicembre al 66% di febbraio.
Contemporaneamente, la forza numerica dell’opposizione nelle strade si è andata affievolendo: il 24 dicembre erano scese in piazza oltre centomila persone solo a Mosca, mentre nell’ultimo
weekend di protesta la scorsa settimana meno di
un terzo ha sfilato tra la capitale e San Pietroburgo. Il milione promesso da Alexei Navalny si è
dissolto non tanto nella primavera russa che deve ancora davvero cominciare, quanto nell’inconsistenza e nella mancanza di credibilità di
buona parte di coloro che hanno guidato la protesta. A partire dagli eterni rivali del Cremlino come Boris Nemtsov, Mikhail Kasianov o Garry
Kasparov, tanto citato dai giornali e dalle tv occidentali, quanto ignorato dagli elettori.
Gli antiputiniani hanno monopolizzato internet
e attirato con la loro fantasia l’attenzione dei media,
ma la gran parte dei russi ha realizzato che è sì divertente sfottere un po’ il regime sul web, a suon di
rock o tra cortei d’auto e nastri bianchi, ma quando
c’è da scegliere il presidente le alternative non sono tante. La forza con cui l’attuale primo ministro
entrerà anche questa volta al Cremlino è inversamente proporzionale a quella dei suoi avversari, privi di un progetto concreto e di un leader capace di
coordinare, anche in anticipo, le varie, troppe, anime antiputiniane.
Se dunque la battaglia sembra davvero persa, al
di là delle probabili azioni di protesta già annunciate per la prossima settimana, gli oppositori avranno
il tempo di rimboccarsi le maniche in vista delle parlamentari del 2016 e le presidenziali del 2018.
Intanto Putin, che nonostante le apparenze ha
fatto della protesta una questione personale, potrà riflettere su come mantenere le promesse scandite in
campagna elettorale e per prima cosa trovare il sostituto per la Casa Bianca. Le possibilità che Mevdedev ritorni nel palazzone sulla Moscova dopo che
era stato proprio l’annuncio dello scambio di poltrone a diffondere i malumori tra i russi sono ridotte al lumicino; così il prossimo premier potrebbe diventare qualcuno di gradito anche alla piazza. O
quantomeno non del tutto sgradito.
ANALISI. I MANIFESTANTI STANNO IMPARANDO A VINCERE LA PAURA. E DAL POTERE, A POCO A POCO, ARRIVANO LE PRIME CONCESSIONI
Ma il futuro si muove già nelle strade
“NON SISTEMNAJA”. È l’opposizione extra-parlamentare,
quella che ha dato vita alle dimostrazioni degli ultimi mesi.
Perdente alle urne, ma vincente sul piano culturale.
LUCA DE STEFANO
Mosca. I buoi sono scappati e chiudere la stalla non sarà più così facile.
L’opposizione in Russia è ancora divisa, immatura e ha di fronte un governo forte e illiberale. E non ha alcuna speranza di impedire una nuova
vittoria, quasi certamente al primo turno, di Vladmir Putin. Ma è viva e sta
prendendo coraggio, strappando concessioni, imparando a pretendere il rispetto di alcuni diritti fondamentali, a
organizzarsi. E rappresenta la parte
più moderna, emergente del Paese, la
classe verso cui tendono quasi tutti coloro che aspirano ad emergere. Mentre Lui, il capo, perde lentamente la
sua aura di imbattibilità e la sua capacità di incutere timore.
I russi parlano di solito di opposizione “sistemnaia” e “non sistemnaia”, potremmo dire parlamentare
ed extraparlamentare, ma ultimamente il quadro si è complicato con
l’innesto del giovane oligarca Michail Prokhorov e con una maggiore
fluidità negli scambi tra i due blocchi
principali. L’opposizione di sistema
viene vista da molti intellettuali e
spesso descritta sui giornali come
complice del governo, perché riceve
finanziamenti pubblici e non si mischia con le proteste di piazza degli
ultimi mesi. Parliamo dei comunisti,
dei Nazionalisti di Zhiriovskyj e di
Russia Giusta di Serghei Mironov.
Poi c’è l’opposizione “non sistemnaja”, che raccoglie tutti quelli
che sono fuori dal parlamento, movimenti emergenti, ma anche ex politici dell’era Eltsin e transfughi del governo Putin. Un insieme complesso,
pieno di contraddizioni, che rappre© Ap/LaPresse
DI
senta la parte più viva e interessante.
Dentro c’è l’avvocato Alexey Navalny, con le sue battaglie contro la
corruzione e la sua ambiguità su temi
come il nazionalismo. È un personaggio controverso, ma uno dei pochi con ambizioni fondate da leader:
ha carisma e con la lotta alla corruzione riesce a pescare adepti sia a destra che a sinistra.
C’è Evghenia Cirikova, con il suo
ambientalismo civico che rappresenta
la faccia più pulita e rassicurante di
questo movimento. Ma le anime sono
molte di più e in generale poco disposte a farsi dominare dal leader di turno.
Ci sono i movimenti per i diritti civili
e la schiera degli ex politici di sistema,
con al suo interno vecchie volpi, ma
anche teste lucide in grado di dare
concretezza. Questa opposizione raccoglie un attivismo di semplici cittadini, spesso molto intraprendenti su
internet e con i nuovi media. C’è molta creatività, desiderio di rischiare,
spontaneismo.
Infine l’oligarca Prokhorov, un
uomo di 44 anni diventato ricchissimo negli anni delle privatizzazioni
selvagge. Con Putin ha avuto rapporti e non lo nasconde e molti lo ritengono un fantoccio, messo lì dal
Cremlino per dare l’immagine di un
Paese democratico. Forse è così, ma
sta raccogliendo consensi e simpatie
presso una classe che vuole un cambiamento senza traumi, gente che
ama viaggiare e godere della modernità. Gente che non ama sentir parlare con disprezzo di omosessuali e minoranze etniche. Se è un cavallo di
Troia, insomma, non è ovvio che sia
compiendo la sua missione nel modo
migliore: il suo programma è liberale e illuminato e chi lo apprezza si allontana dal modello autocratico tanto
caro al Cremlino.
Tra le novità interessanti, che si
notano in questi giorni e già da alcun
mesi, c’è la graduale dissoluzione
della paura: i ragazzi, anche nelle manifestazioni minori, amano farsi fotografare accanto all’onnipresente
milizia e molti raccontano di poliziotti brutali al momento dell’arresto,
ma poi gentili e complici una volta
entrati nelle camionette che a decine
affiancano le manifestazioni. Il coraggio viene anche dalle concessioni del governo: ora le manifestazioni vengono autorizzate, anche se
ostacolate. E il passo indietro sull’elezione dei governatori, anche se limitato, promette un graduale aumento della partecipazione.
Infine la disposizione al compromesso: quasi tutti, in questa complessa e variegata opposizione, sono
convinti che la partita non si giochi
ora, ma nel medio termine, e si rendono conto che senza una grande disposizione a cedere sulle proprie
idee, non sarà possibile costruire
un’alternativa credibile.
to del Baltico quella della stazione di Kaliningrad. La città è capitale dell’omonima regione russa, un’enclave schiacciata tra Polonia e Lituania che conta circa un milione di
abitanti.
«Qui la gente pensa di essere in Europa,
ma in fondo la mentalità è tutta russa, ed è
completamente diversa da quella di voi europei», racconta Valerij, laureato in legge,
mentre passeggia nel cortile della facoltà di
chimica e biologia. Fa segno con la mano
verso una statua in bronzo in mezzo al parco prospiciente la facoltà: «È Immanuel
Kant il nostro cittadino illustre». Come se
volesse dimenticare Michail Kalinin, il braccio destro di Stalin a cui è intitolata la capitale. Il filosofo non si è mai mosso da questa città quando ancora si chiamava Konigsberg ed era il gioiello dell’impero prussiano, il centro dove i re tedeschi venivano a
farsi incoronare.
Valerij parla di Kaliningrad con passione,
mettendone in luce diversi aspetti negativi:
dai salari bassi a un sistema di giustizia poco
trasparente.«E pensa che io sono avvocato»
sorride amaro. Attraversa i corridoi della facoltà, attualmente in ristrutturazione, tra vecchi archivi polverosi e piastrelle appena posate. Lamenta la lentezza di un carrozzone
politico difficile da scardinare e riformare.
Quando parla di elezioni ha l’espressione del
rassegnato alla sconfitta: «Sono un liberale,
e voterei volentieri per Mikhail Prokhorov,
ma non sono sicuro di che fine possa fare il
mio voto»,dice alludendo ai brogli elettorali che una parte della società civile continua
a denuncia dalle elezioni della Duma di dicembre.
Ma nelle elezioni di domenica ci sarà
qualcosa in più: un sistema di telecamere
web che vigileranno su ogni seggio elettorale. Da Vladivostok a Kalininkgrad, che chiuderà le votazioni presidenziali domenica sera alle 21, il presidente Dmitri Medvedev ha
lanciato una gigantesca “operazione trasparenza”: «La prima e la più grande della storia russa». Ma le telecamere saranno spente
durante il conteggio delle schede in quanto
nella Russia orientale, a causa del fuso orario, lo scrutinio sarà anticipato.
Un accorgimento che non tranquillizza
affatto Ivana, 23 anni, studentessa di geografia. «Non ho fiducia in queste elezioni
tecnologiche, ma andrò a votare», dice con
aria indifferente. «Il concetto di legalità in
Russia è molto labile - continua Ivana - e
spesso quello che davvero conta è il denaro».
Poco lontano, sulla Leninski Prospekt,
l’arteria principale che divide la città per oltre tre chilometri da nord a sud, alcuni ragazzi, sotto una bandiera rossa con falce e
martello, distribuiscono volantini del candidato del partito comunista Gennadij Zyuganov. Un santino in puro stile veterocomunista: lavoratori e partigiani con le rispettive
armi in pugno, la vanga e il fucile. Ma sono
una presenza sparuta e guardata a vista da
due agenti della militja, stretti in uniforme
verde militare e colbacco.
Quasi nessuno si ferma: si stringono nel
bavero e proseguono a passo spedito verso
l’isola della cattedrale. Proprio in questa
chiesa è sepolto Immanuel Kant, in un edificio in mattoni rossi dall’austero stile teutonico. Da qui si intravedono da lontano le guglie d’acciaio dei cantieri navali di Kaliningrad. La città ospita un porto commerciale di
importanza strategica. Non solo. A Baltiysk,
pochi chilometri più a nord, è all’ancora la
flotta baltica della Federazione Russa: questo è l’unico porto russo che durante l’inverno non ghiaccia.
Non come il canale cittadino che, a tre
giorni dalle elezioni, resta ghiacciato. Immobile, come l’immagine di Vladimir Putin.
Ovunque il suo sguardo campeggia sui giganteschi manifesti elettorali sparsi per tutta
la città.
«Molti in questi giorni sono scesi in piazza contro il primo ministro» conclude Valerij, sollevando le braccia. «Ma per batterlo
non bastano neppure le barricate»
ED. MALV. GAB. PIER.
CULTURE
SABATO
3 MARZO 2012
IL CRITICO ARRESTATO
FORUM DELLE CULTURE
La primavera di Napoli occupata
DI
LAURA LANDOLFI
Continua il contagio del Teatro Valle,
dopo il Teatro Marinoni di Venezia e il
Teatro Coppola di Catania, ieri mattina il
collettivo dei lavoratori dello spettacolo
La Balena ha occupato il Forum Universale delle Culture, ovvero l’Ex Asilo Filangieri. Oltre al Valle, hanno partecipato all’occupazione: l’ex Cinema Palazzo
di Roma, i lavoratori dell’arte di Milano,
il Coppola, l’Arsenale di Palermo e
S.a.l.e. Docks di Venezia. Lo scopo è
sempre lo stesso: uscire da uno stato di
emergenza in cui versa la cultura del
Paese. Si stringe il cuore a leggere i dati
che riguardano altri paesi europei: la
Francia, come sottolineato in un interessante reportage di Repubblica, non ha ta-
gliato un euro dei più di 8 milioni destinati alla cultura (quattro volte i nostri finanziamenti). Sì perché si investe lì dove si pensa che si abbia un ritorno economico, di immagine e di occupazione.
Tutte cose da noi sono costantemente
sottovalutate («con l’arte non si mangia»
diceva un nostro ministro della Cultura).
Ci racconta un rappresentante dei lavoratori dello spettacolo del Valle: «La
nostra è non solo resistenza ma un modo
per costruire ed elaborare proposte alternative. Non proponiamo singoli modelli ma modi per rivedere interamente il sistema». Si vola (forse un po’ troppo) alto proponendo altre pratiche di democrazia, ad esempio con la politica dei beni comuni; si batte sul tasto della partecipazione proprietaria con un sistema di
raccolta fondi esteso, come sta avvenendo al Valle. E si vola più basso (si fa per
dire) con l’affermazione dei diritti minimi dei lavoratori del settore. Del resto il
Forum di Napoli, dal punto di vista delle
dinamiche di attribuzione, è un luogo
simbolo: fornito di tutto punto è però rimasto inutilizzato sin da quando hanno
deciso di uscirne prima il politico Pd Nicola Oddati, poi il cantautore Roberto
Vecchioni colpito, tra l’altro, da una serie di polemiche legate al suo compenso.
Poi ancora l’ambasciatore Francesco
Caruso la cui lettera d’addio terminava
così: «Che dolore per me, che pena per
Napoli, che vergogna per tutti». Infine
aveva mollato anche Beppe Barra e così il sindaco de Magistris, con il beneplacito di Stefano Caldoro, (la Regione è
partner dell’evento), aveva avocato a sé
i poteri decisionali. Il motivo di tanti problemi: i soldi non ci sono più, da 150 si è
scesi a 15 milioni d’euro per 101 giorni
di eventi. Un po’ pochini.
Insomma a Napoli si protesta contro
la politica dei grandi eventi che non permette investimenti a lungo termine sui
progetti ma anche «contro il monopolio
di Luigi De Fusco che, in un’anomalia
tutta italiana, dirige sia il Teatro Mercadante che il Napoli Teatro festival». E
ancora per il Madre a rischio chiusura,
per non parlare del teatro Trianon e del
San Ferdinando che versano in condizioni disastrate. I tre giorni di occupazione annunciati ospiteranno assemblee
su beni comuni, welfare e politiche culturali, ma anche sui rifiuti con un occhio
ai No Tav. Una “primavera culturale” per
gli occupanti del Valle - e non solo - dove c’è spazio per altre forme di dissenso.
Due grandi scrittori in esilio
Zweig e Bernanos in Brasile
LAURENT SEKSIK.Inaugura la collana di Gremese
dedicata alla narrativa francese immaginando i
sei mesi finali della vita del grande autore austriaco, rifugiatosi a Petrópolis durante la guerra.
DI
GIANCARLO MANCINI
Fuggire dal rumore assor-
dante delle bombe, dalla paura,
dalle deportazioni, dalle raffiche
di mitra che colpiscono ovunque, fuggire lontano migliaia di
chilometri e ritrovarsi assediato dai fantasmi di quel mondo in
fiamme. Siamo in Brasile, a Petrópolis, a cavallo tra il ’41 e il
’42, lì si è rifugiato assieme alla moglie lo scrittore austriaco
Stefan Zweig e quei sei ultimi
mesi prima che entrambi si suicidino, il 22 febbraio 1942, sono
raccontati da Laurent Seksik in
Gli ultimi giorni di Stefan Zweig
(€ 14, pp.206) che inaugura la
collana di narrativa francese
dell’editore Gremese.
«È come se quest’uomo dice Seksik - incarnasse allo
stesso tempo il peggio e il me-
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glio della sua epoca. La vita di
un essere così eccezionale è incredibilmente
romanzesca,
un’avventura affascinante, unica. I suoi ultimi giorni rappresentano l’apice e il precipizio
di quest’avventura, una storia
nello stesso tempo terribile e
splendida, una specie di tragedia greca.»
Dietro di sé Zweig porta un
manoscritto in cui c’è il suo ultimo, probabilmente definitivo,
libro, la storia di un tempo ormai scomparso, dei suoi amici,
Roth, Rilke. «Aveva solo cercato le parole per dire:“Siamo
esistiti”».
In quel punto in mezzo alla
giungla, dall’altra parte dell’oceano, Zweig torna indietro, rivede i roghi dei libri del ’33, gli
invasati discorsi di Goebbels,
l’inizio delle persecuzioni ver-
so gli ebrei, la fine dei suoi
amici, Roth su tutti, distrutto
dall’alcolismo, nel ’39, pochi
mesi prima dell’invasione nazista della Polonia.
Ad un certo punto viene a
sapere di Bernanos, l’autore del
Diario di un curato di campagna, esiliato anche lui in Brasile, a poca distanza da lui. Decide di andare a trovarlo, ha timore del vigore di quell’uomo,
con il quale si è opposto al fascismo, la militanza a favore
dei repubblicani durante la
guerra di Spagna, il fervore cattolico. Quando si trovano uno
di fronte all’altro, i due scrittori europei, in mezzo a quella
esuberante natura, non riescono a parlare, a dialogare, monologano. Prima Bernanos
sprona Zweig a scrivere per la
sua rivista, ad impegnarsi per la
causa della libertà, poi Zweig
replica chiudendo ogni possibilità di collaborazione, non è
mai stato un combattente, ora
poi si sente un uomo sfinito, distrutto, «un simbolo votato a
scomparire, ed era meglio se
sprofondava.» Ormai amava
più di ogni cosa il silenzio.
Una sola cosa non si spegne
in questi ultimi mesi di vita del
grande scrittore: l’amore per
Lotte. Per lei aveva lasciato la
moglie Friderike, con la quale
aveva condiviso gli anni della
pace, le prime al Burgtheater, i
grandi concerti. Lotte è malata
d’asma, per questo sono arrivati in Brasile, l’aria malsana di
New York le provocava troppo
frequenti crisi respiratorie, qui
invece riesce perfino a trovare
dei momenti per dimenticare i
propri affanni. Lei amerebbe
più di ogni altra cosa rimuovere quel passato felice trascorso
da Stefan con Friderike mentre
a lei è toccato vivere continuamente in fuga dalle bombe, dalla paura.
Per Seksik «Zweig era lo
scrittore delle passioni assolute.
L’amore di Stefan Zweig e di
sua moglie Lotte è una storia
che ha gli accenti di quella di
Romeo e Giulietta, di Bella del
Signore. Una magnifica storia
d’amore folle in un mondo di
perdizione.»
Un giorno di febbraio arri-
FILM COLPO D’OCCHIO
DI
Laurent Seksik
va un’altra tremenda notizia, i
giapponesi hanno conquistato
Singapore, centomila soldati
inglesi sono stati sconfitti, la
notizia dell’intervento americano, dopo Pearl Harbour, li
aveva votati alla fiducia, ma il
gigante tardava a mettere in
moto la propria macchina bellica e nel frattempo gli eserciti
del patto tripartito macinavano
vittorie. La disperazione li contagia definitivamente, i nervi
non reggono più i sussulti della
storia, neanche se temperati
dalla distanza. «Colui che deve
vegliare sul proprio popolo non
può dormire» gli aveva detto il
rabbino Hemle poco tempo prima. Ora il suo ultimo libro (Il
mondo di ieri) era terminato,
lui non aveva più nulla da dire
e da fare. Solo sparire nei ricordi. Con Lotte.
No satisfaction
per Serino
I commenti sulla rete si
sprecano, come quella su Twitter di Cristiano de Majo: «La
cultura non paga e i critici letterari diventano estorsori. Altro
che Bolaño». Si riferisce a
Gian Paolo Serino, fondatore
della free press “Satisfiction”,
arrestato giovedì scorso dai carabinieri di Milano. L’accusa è
quella di estorsione, per aver
chiesto 4mila euro a una donna
affinché non pubblicasse in internet sue foto compromettenti. I carabinieri gli hanno teso
una trappola, dopo la denuncia,
assistendo allo scambio della
busta con i soldi. Ieri il giudice
Ilio Mannucci ha convalidato il
fermo ma ha rimesso in libertà
il critico letterario.
Secondo il difensore di Serino, l’avvocato Davide Steccanella, i soldi erano la quota di
iscrizione alla rivista.
Il giudice ha confermato
che la presunta vittima, F.C., 29
anni, si era presa l’«impegno»
di versare 5mila euro per entrare in società con il critico letterario. Ma in seguito si sarebbe verificato un «degenerare
dei rapporti personali» e «la
pretesa di Serino sui soldi è stata vissuta con modalità ritenute intimidatorie dalla vittima».
Le foto a quanto pare c’erano,
ma sarebbero state cancellate
in precedenza davanti alla stessa donna.
Satisfiction, celebre per la
formula “soddisfatti o rimborsati”, che consiste nel rimborsare un libro recensito dalla rivista se non gradito dal lettore,
era stata edita da Vasco Rossi
fino a quando Serino aveva rotto la collaborazione lo scorso
settembre, accusando la rockstar di Zocca di seguire una linea diseducativa e pericolosa.
«È una vicenda complessa
che va ricostruita in dibattimento con i testi - sostiene
l’avvocato Steccanella -. Quel
che è sicuro è che l’indagato
non ha usato quelle foto per arricchirsi.»
Ora si aspetta il processo il
21 marzo prossimo.
MICHELE ANSELMI
Fuga in Sudafrica
per la strana coppia
Il poliziottesco
rischia il cliché
Aria moraviana
recitata male
Finisce esattamente come il quarto “Mission: Im-
Henry non è un nome di persona ma l’eroina nel
possible”, con lui che guarda da lontano lei per non
esporla a rischi. Chissà se è un caso. Certo, “Safe
House” è uno di quei film d’azione, ramo spy-story, adrenalici e complottardi, che si vedono volentieri. Il regista svedese Daniel Espinosa, classe 1977, ne parla come dell’altra faccia di “Gli spietati” di Eastwood: il paragone è azzardato, persino incongruo, ma di sicuro incuriosisce il rapporto che si crea, durante l’avventurosa fuga in Sudafrica, tra il giovane e scalpitante agente della Cia Matt Weston
(Ryan Reynolds) e il tosto e veterano “traditore” Tobin Frost (Denzel Washington). Il solito microchip che custodisce una lista di spioni corrotti in grado di far saltare molte intelligence è il pretesto per
mettere insieme la strana coppia. Weston, logorato dal lavoro sedentario in una base clandestina della Cia a Cape Town, si ritrova così a
proteggere il luciferino Frost inseguito da una banda di killer senza
pietà. Che dite: nascerà l’amicizia, in mezzo a sparatorie, torture e
inseguimenti, tra i due uguali e diversi? Disincantato e preparato al
peggio, Frost filosofeggia così: «Dopo un po’ anche la verità avrà il
sapore delle bugie». O anche: «La gente non vuole la verità. È contorta, non fa dormire». Ne ha viste tante, l’ex agente operativo che si
vende per soldi, ma uccide solo i professionisti e possiede un suo codice morale.
gergo dei malavitosi africani. Al suo terzo film, autoprodotto, Alessandro Piva applica il genere “poliziottesco” anni Settanta, alla Fernando Di Leo, a un cinema - parole sue - «incosciente e piratesco, che vuole scassinare la serratura, uscire dalla stanzetta nella quale si è fatto rinchiudere». Lodevole progetto, se non fosse che “Henry”, pur gagliardo nel piglio,
poco mantiene ciò che promette. La nuova suburra romana, criminale e meticcia, resta uno sfondo di maniera, l’elemento grottesco
prende il sopravvento nel ritratto dei “balordi” vecchio stile, i camorristi di Civitavecchia che filosofeggiano su come sgusciare le
cozze mentre i neri si fanno sotto coi pistoloni cromati. Alla fine
l’unico personaggio che funziona, perché aggira il cliché e sfodera
una sua complessità, è il poliziotto “di sinistra” Claudio Gioè: futuro papà, abile nella raccolta delle prove ancorché affiancato da un
collega fesso. La mitizzata scena di sesso tra Carolina Crescentini e Michele Riondino, fidanzati tossici e sventati, non è così bollente, semmai suona “stracult”; e purtroppo la forte cadenza dialettale risulta a tratti insistita, quindi fasulla. Resta l’umorismo nero di certe sequenze, specie la sparatoria finale che spariglia i giochi, mentre l’espediente dei personaggi che si confessano alla cinepresa è presa di peso da “Inside Men” di Spike Lee.
SAFE HOUSE di Daniel Espinosa
HENRY di Alessandro Piva
Con D. Washington, R. Reynolds, B. Gleeson. 113’ VOTO: 6.5
Con C. Gioè, C. Crescentini, M. Riondino. 86’
VOTO: 6
Sembra un film di Silvio Muccino (e dico Silvio)
venuto male. C’era proprio bisogno di resuscitare il
romanzo di Sandro Veronesi “Gli sfiorati”, 1990,
per farne un film ambientato oggi? La condizione esistenziale racchiusa in quel sostantivo enigmatico evoca una categoria «nuova e
non prevista», quelli «che sembrano sempre lontani, distratti, ma non
sono superficiali, si prendono dei rischi». Il contrario degli indifferenti, anche se spira un’aria moraviana nel film di Rovere, bene fotografato ma recitato maluccio e piantato in un mondo romano di
trentenni fessi, annoiati, mediamente benestanti, la cui indeterminatezza fa pure un po’ rabbia coi tempi correnti. Non che al cinema
devi per forza raccontare gli operai, ma frasi del tipo «gli uomini se
ne vanno tutti prima dell’alba» non si possono ascoltare. La nuova
Lolita in un mondo senza adulti sarebbe Belinda, bella diciassettenne spagnola che se ne sta tutto il giorno in maglietta e mutande dentro casa, distratta e maliziosa. È attratta incestuosamente dal fratellastro Méte, che fa il grafologo insieme all’intristito Bruno, mollato dalla moglie, mentre il vitalista Damiamo pensa solo a portarsi a
letto più femmine che può. Miriam Giovanelli, Andrea Bosca, Claudio Santamaria e Michele Riondino incarnano i quattro personaggi. Immancabile la scena in auto in cui tutti cantano a squarciagola
“Più bella cosa” di Ramazzotti. Gli sfioriti?
GLI SFIORATI di Matteo Rovere
Con A. Bosca, M. Giovanelli. C. Santamaria. 111’
VOTO: 5
8
LETTERE
SABATO
3 MARZO 2012
A Firenze
in piazza
con Dalla
nel 1988
Invia le tue mail a
[email protected]
TRE PROPOSTE
PER LA SANITÀ/1
L’articolo pubblicato su Il Riformista di
mercoledì 29 febbraio del Professor Eugenio Santoro offre parecchi spunti di riflessione per un dibattito sulla situazione attuale della sanità pubblica italiana.
Le tre proposte riportate nell’articolo sono ampiamente condivisibili e, in buona
sostanza, se trovassero accoglienza reale da parte dell’opinione pubblica, potrebbero essere di stimolo per un vero
cambio di marcia da parte delle forze
politiche. Il momento attuale sembra essere favorevole perché con l’avvento del
governo dei tecnici molte delle cose che
sono state più volte enunciate e puntualmente non realizzate, stanno trovando
soluzioni condivise a vantaggio dei cittadini. In questa accelerazione di interventi la sanità non ha ancora avuto l’attenzione che meriterebbe; è pertanto apprezzabile che un quotidiano di opinione abbia ritenuto di ospitare l’articolo di
un esperto che mostra di conoscere i
problemi e che si pone in una ottica realistica e pragmatica. D’altra parte è personale convinzione, non soltanto mia
ma di molti opinionisti, che la crisi economica che stiamo attraversando non
deve essere un alibi per rovesciare i principi fondanti del nostro servizio sanitario ma deve invece esser di stimolo per
ricercare soluzioni che assicurino il
mantenimento della universalità delle
cure sia pure in un contesto economico
generale fortemente compromesso. Alle proposte enunciate nell’articolo vorrei aggiungere alcune riflessioni per dare un modesto contributo al dibattito: è
necessaria una revisione dell’attuale sistema organizzativo del servizio sanitario che con l’aziendalizzazione, che pure è stata fortemente voluta, non ha portato quegli effetti desiderati di una migliore ottimizzazione delle risorse per il
miglioramento della qualità delle prestazioni.È auspicabile invece un sistema
che, nel rispetto del dettato costituzionale, ponga realmente al centro la “persona”, di cui tanto si parla, ma che da
cardine del sistema con il passare degli
anni ha perso questa posizione e gli interessi si sono via via spostati verso un
progressivo disallineamento tra domanda e offerta di salute. La persona non è
più, infatti, il punto di incontro tra domanda ed offerta in quanto gli interessi
economici sembrano predominare, rispetto a tutti gli altri indicatori di salute,
senza alcuna o scarsa attenzione agli esiti, alla salute del paziente, al suo recupero funzionale e, soprattutto, a quegli
aspetti umani che si riscontrano nei desideri delle persone. Non c’è tempo da
perdere; la sanità pubblica, di cui anche
le strutture private accreditate sono parte integrante, deve peraltro, misurarsi
oggi con scenari assai diversi dal passato ed è chiamata a dare risposte più adeguate e più appropriate a queste nuove
esigenze, per garantire l’attenzione più
ampia alla qualità della vita in tutte le sue
fasi, per poter guardare con maggiore
concretezza ai cittadini, per poter assicurare lettura ed interpretazione precoce
C
aro Direttore,
io c’ero, mercoledì 6 luglio 1988, ad assistere a Firenze in piazza Santa Croce, all’indimenticabile concerto serale di Dalla e Morandi. Ricordo come se fosse ora che, mentre accedevo alla piazza da via dei Benci, mi trovai affiancato nella strada chiusa al traffico da una Topolino verde scuro, scappottata e condotta da Lucio Dalla, vestito con un abito bianco e con il
cappello di paglia, che ci salutava.
Ricordo anche che, durante il concerto e mentre cantava Gianni Morandi, saltò improvvisamente
la corrente del palco posto davanti alla basilica e degli amplificatori. Nello sconcerto generale di
noi decine di migliaia di spettatori comparve improvvisamente dalla penombra del meraviglioso
scenario Lucio Dalla che, con una semplice chitarra in mano, riprende a cantare a piena ugola (mi
sembra “Banana Republic”), facendo scoppiare d’entusiasmo l’intera piazza. Che grande!
spagnolo devono meritare una identica
percentuale di discenti. Pur nell’autonomia degli istituti, da parte del Ministero
dovrebbe esserci un intervento decisivo.
Si tratterebbe di una riforma più che utile e a costo zero. Cosa si aspetta ancora?
Il ministro Profumo, nell’ambito del governo “tecnico” conosce queste problematiche?
NICOLA COSPITO
Maurizio Andorlini
LA SPINTA
PROPULSIVA DI MONTI
Anche Il Riformista prende atto che la
spinta propulsiva di Monti s’è purtroppo
alquanto (r)allentata ed attenuata, divenendo sempre più timida e malcerta, dopo il drastico rigore iniziale avendo preso il sopravvento il solito compromesso tattico, quando non s’è affatto liberi di
liberalizzare e semplificare è assai difficile: peccato. Così il Pd, vittima delle
sue insanabili contraddizioni intestine e
dei suoi cronici ritardi ideologici, rischia
di perdere l’ennesima, storica occasione,
preda com’è degli eterni condizionamenti sindacali e delle sinistre pressioni piazzaiole: un altro gran peccato.
CLAUDIO R.
TRE PROPOSTE
PER LA SANITÀ/2
Ho letto, con grande interesse, l’articolo
del mio amico e collega Eugenio Santoro e devo dire che sono d’accordo con la
sua analisi che mette il dito nella putrida piaga della sanità nel nostro paese e
anche sulle proposte per cercare di uscire fuori dalla bufera che ha investito la
sanità pubblica.
Ma se il quadro è apocalittico per tutta la
nazione, ancora peggiore è la situazione nelle Regioni del Sud ed in particolare in Calabria. Tutti noi siamo convinti
che i tagli alla spesa sanitaria sono una
necessità, ma questi vanno fatti più gradualmente e soprattutto con intelligenza.
È sbagliato operare tagli indiscriminati
che mettono in ginocchio le attività più
produttive a favore della medicina preventiva che andrebbe fatta sul territorio
anziché ingolfare gli Ospedali. La sanità
italiana ed in particolare quella calabrese è pragonabile ad una “pianta molto
malata” e se si vuole salvarla è necessario tagliare i rami secchi e non quelli verdi e coltivarla con acqua e fertilizzanti!
Voglio dire che le poche risorse disponibili vanno impiegate per incentivare le
attività più produttive. Se, per esempio,
si toglie all’Ospedale dell’Annunziata di
Cosenza la possibilità di eseguire i trapianti d’organo, così come qualcuno
vorrebbe, decine di pazienti dovranno
necessariamente emigrare a spese naturalmente della Regione, così, anziché risparmiare, si finisce per spendere di più!
ANTONIO PETRASSI, primario chirurgo emerito dell’Ospedale dell’Annunziata,
past-president dell’Associazione Chirurghi Ospedalieri italiani
so la diagnosi e la cura della malattia,
piuttosto che verso la prevenzione dagli
eventi morbosi primari che causano la
malattia stessa.
Questo fatto spinge il medico generalista ad indirizzare il malato verso lo specialista e da questi verso accertamenti
strumentali sempre più costosi ed impegnativi per il Servizio Sanitario Nazionale. A ciò si deve aggiungere una domanda di salute da parte del cittadino
sempre più crescente e sempre più esigente, sicché mentre, fino a qualche decennio fa ad esempio, lo zoppo si accontentava del bastone, oggi pretende
dal medico l’arto protesico della cui esistenza ne sente discutere in televisione
nel corso di qualche trasmissione di
informazione pseudoscientifica. L’intreccio perverso di tali comportamenti
concorre inesorabilmente a far lievitare
la spesa sanitaria di tutto il mondo occidentale dove ha raggiunto oramai livelli non più sostenibili e compatibili con le
altre esigenze di bilancio come la scuola, i trasporti, gli investimenti per le opere pubbliche ecc ecc ecc.
È oramai stranoto che esiste una ben documentata relazione tra abitudini alimentari scorrette, aumento di peso, obesità e fattori di rischio per le malattie cardiache e vascolari fino all’infarto del
miocardio e/o all’ictus cerebrale ma non
si riconosce e non si previene il danno
metabolico come causa primitiva per
l’innesto della drammatica sequenza che
inesorabilmente porta verso esiti fatali:
allora è inutile e vano lamentarsi della
intollerabile e preoccupante crescita della spesa sanitaria che tende inevitabilmente ad andare fuori controllo.
Una profonda riflessione su questi semplici fatti porta a concludere che occorre
modificare i curricola scolastici delle
Università e spostare gradualmente l’orientamento nella formazione del medico più verso la prevenzione delle cause
degli eventi morbosi piuttosto che verso
la cura degli stessi, nella convinzione
sempre più scientificamente condivisa
che ciò porterà non solo ad un maggiore allungamento delle aspettative di vita,
ma soprattutto ad una migliore “qualità”
della vita stessa.
Insegnare ad individuare e ad evitare le
cause prime che determinano manifestazioni patologiche sempre meno curabili significa praticare ed affinare le pratiche mediche che sono alla base della
prevenzione primaria degli stati morbosi e significa soprattutto ridurre in maniera significativa la spesa per la tutela
della salute altrimenti ingovernabile e
non più sostenibile.
ALDO BRANCATI,
già Rettore dell’Università degli Studi di
Tor Vergata
TRE PROPOSTE
PER LA SANITÀ/3
Nel condividere quanto efficacemente
descritto dal Professore Eugenio Santoro, intendo aggiungere quanto segue: la
formazione del medico, svolta nella Facoltà di Medicina delle Università del
nostro Paese è fortemente orientata ver-
TRE PROPOSTE
PER LA SANITÀ/4
Molto interessante l’intervento del professore Santoro «Tre proposte sulla Sanità» sulla sanità delle spese mediche:
basterebbe ritornare all’assistenza indiretta e al successivo rimborso agli interessati. Gli ambulatori si vuoteranno ed
dei loro bisogni, offrendo interlocuzione pronta, intervento preventivo, presa
in carico di cronicità e disabilità, appropriate azioni, oltre che curative, anche
preventive. Bisogna agire presto: è necessario che da parte della politica e delle istituzioni sia presa consapevolezza
che è giunto il tempo per il superamento
di una fase confusa, caratterizzata da
provvedimenti che vanno in direzione
opposta e che pongono ostacoli e generano difficoltà ad una vera e programmata riorganizzazione dell’intero sistema sanità, coinvolgendo tutte le forze in
campo, sia pubbliche che private, anche
nella considerazione che l’invecchiamento della popolazione, con tutte le
inevitabili conseguenze in termini di salute, richiederà sempre più nuove risorse che in un contesto così compromesso,
avrebbero scarse possibilità di essere
soddisfatte.
ENZO COLAIACOMO
Presidente Federlaziosalute
il medico di famiglia si dedicherà ai veri ammalati. Altro risparmio può venire
dalle cosiddette spese termali, spesso
motivo per farsi delle belle vacanze a
poco prezzo.
LUIGI MENGONI
POLITICI CALABRESI
E CLAN
L’ unico modo per emergere, nell’attività
politica, in Calabria, è mettersi a disposizione delle cosche?
Questa tesi, sostenuta dall’ex consigliere regionale del Pdl, Franco Morelli, in
cella da 50 giorni per “concorso esterno
in associazione mafiosa”, è triste e sconsolante. E, oltre a lasciar basito il gip di
Milano, dovrebbe indignare, in primis, i
giovani politici, soprattutto quelli del
partito, nelle cui liste Morelli è stato eletto, a cominciare dal governatore, Peppe
Scopelliti.
L’attuale detenuto, ex finiano, già vicino a Gianni Alemanno - che sollecitò una poltrona di assessore per Morelli, ma ricevette il “niet” di Scopelliti - può, legittimamente, difendersi,
con le argomentazioni che il suo legale cosentino, Franco Sammarco, ritiene più opportune.
Ma, per i cittadini, lasciar passare questa
rassegnata ammissione («è fisiologico,
per i politici calabresi, mettersi a disposizione e subire le pressioni dei clan»),
senza adeguate e ferme reazioni, rappresenterebbe, forse, il colpo, definitivo,
alla credibilità, tutt’altro che elevata, degli amministratori dell’aspra Calabria.
PIETRO MANCINI
LINGUE STRANIERE
L’ITALIA BATTE LA FIACCA
Come cittadino e come insegnante mi
chiedo come mai l’insegnamento delle
lingue straniere nel nostro paese batta
così tanto la fiacca. Non voglio discettare sulle attrezzature e i laboratori, come
è noto assolutamente carenti - gli insegnanti di lingua si portano da casa il registratore perché a scuola sono contati e
spesso desueti - ma sulla riforma dei
programmi. I nostri studenti studiano
molta letteratura, spesso imparata a memoria, ma non sanno conversare in lingua. Non sarebbe l’ ora di intervenire?
Voglio sottolineare che l’urgente riforma
dei programmi non può tralasciare la
questione non secondaria della integrazione europea. Oggi, proprio in considerazione delle richieste del cosiddetto
mercato del lavoro, l’insegnamento delle lingue va programmato, sottraendo alle famiglie la scelta della lingua considerata erroneamente la più facile. Si
consideri, ad esempio, che la lingua tedesca, dopo l’inglese è la lingua più utilizzata nei testi scientifici, e che oltre ad
essere la seconda lingua del nostro paese, è la lingua più parlata in percentuale
dalla popolazione del vecchio continente. Ci sono molte aziende che cercano
personale che parli il tedesco, in particolare nel settore turistico, ma non solo.
Fermo restando l’inglese, nei licei linguistici e negli Iistituti tecnici commerciali e per il turismo, francese, tedesco e
NO TAV IN FRANCIA
NESSUNO OBIETTA
Concordo in pieno con il Direttore sulla questione dei No Tav, forse invecchiando si diventa rigidi e tendenzialmente intolleranti, ma non riesco francamente a capire cosa significhi difendere la propia terra, stiamo parlando della costruzione di una ferrovia non dell’espropio della “valle”. Credo che qui si
siano saldate, il rancore diffidente della
popolazione locale e l’ostilità di tutto un
gruppo di teste calde. Possibile che pochi chilometri dopo Susa in Francia,
nessuno obietti nulla?
GIUSEPPE BONARDI
VAL SUSA
UN GRAN PASTICCIO
Caro Em.Ma., questa vicenda della Tav
è un gran pasticcio. Per quasi dieci anni
è stata una decisione in gestazione. Per
la politica funzionava come un menu da
presentare in comizi e convegni, per gli
abitanti delle zone interessate una cosa
di là da venire, chiacchiere. Poi naturalmente l’Europa ci ha chiesto di fare sul
serio (non ci conoscevano bene). La politica ha pensato che ormai era cosa assodata, la popolazione ha invece cominciato a domandare: cosa è, come si farà,
cosa comporterà per noi. I nostri soliti
vecchi compagni del Pci valligiani
(qualcuno d’importazione), amministratori di professione comiciarono ad
agitare le folle e nello stesso tempo faceva su e giù verso città (ricorda Ferrentino come Masaniello). Non che facessero sul serio. Puntavano a negoziare un
nuovo tracciato e compensazioni. Arrivò l’osservatorio che ha cambiato tutto il progetto. Ma una parte di quelli che
Ferrentino agitava lo hanno preso sul serio e ora non mollano l’osso. Ora siamo
ben oltre però. I ben informati lasciano
trapelare che vi sono nomi e facce note e
nuove poco raccomandabili in giro per
l’Italia che mostrano interesse verso la
rivolta.
GIUSEPPE
HA RAGIONE
VELTRONI
Io non so di quali interessi voglia farsi
carico Veltroni, so però che ha ragione
da vendere quando afferma, «che bisogna andare oltre i partiti del novecento
perché oramai superati». Superati perché la base militante dei partiti che si in-
PARTITI PIÙ CONSAPEVOLI
PER CAMBIARE
Monti sembra voler dire che se il governo che presiede opera bene, è difficile che gli venga chiesto di rimanere al suo posto. In apparenza solo paradossalmente potrebbe essere proprio così. Uno potrebbe pensare che
se si agisce efficacemente si viene
confermati e promossi, ma la politica
si muove su logiche diverse.
La frenata sulle cosiddette liberalizzazioni è venuta soprattutto dal Parlamento, spesso da settori del centrodestra e i
partiti paiono condizionati da gruppi di
pressione di vario tipo e natura. Il governo non può non tenere conto di chi è
chiamato poi a legiferare. I partiti intendono riappropriarsi del loro potere o della loro funzione, ma mi chiedo se ne siano all’altezza e se siano coscienti di ciò
che comporta, specie in questi tempi di
seria crisi socio-economica e finanziaria.
Gli attuali dirigenti mi sembrano molto
lontani da una consapevolezza piena che
urge un ricambio e vi sia una severa selezione del personale politico, ove competenza e passione civile ed ideale si intreccino indissolubilmente. Guardando
verso il Pd, mi chiedo se intenda proporre un Vasto programma in buona parte da costruire con alleati Sel e Idv (!?)
o puntare ad una proposta politico-programmatica simile a quella che stanno
elaborando quanti si richiamano ad una
sinistra liberale e ad un riformismo di
governo (e dovrebbero individuare una
leadership). Se il dibattito ruoterà su chi
è più a destra o a sinistra dell’altro o si
chi è più puro e migliore, quel partito
sarà destinato a implodere o a camuffarsi, come pare intenda fare il Pdl, in liste
civiche nazionali e territoriali dove sperare di raccogliere consensi altrimenti in
libera uscita.
MANLIO RIZZO
QUALE COALIZIONE
PER IL 2013?
In questi giorni si è molto dibattuto,
spesso a sproposito, sul futuro politico di
Mario Monti. In tanti e da più parti, lo
hanno tirato per il “loden”; merito soprattutto della restituita credibilità internazionale al nostro Paese. È accettabile
il passo di Silvio Berlusconi che parla di
«grande coalizione» per il 2013?È serio
che un partito che ambisce a rappresentare un pezzo di sinistra manifesti remore ad accettare una fondamentale infrastruttura e in avviata fase di realizzazione? È possibile che sempre nel centrosinistra alberghi ancora la convinzione
che “No-Cav” e “No-Tav” sono una
piattaforma politica? Prima che Monti
reindossi il loden, ci sarebbe spazio per
qualche congresso, per chirirsi e chiarire le idee, per consolidare (o scongiurare) programmi e alleanze.
LUCA MANGONI
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Già Le Ragioni del Socialismo organo del
Movimento per le ragioni del Socialismo
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n. 594/95 del 12/12/95
GIANNI CERVETTI
Contributi diretti legge n.250 del 07/08/90
contrava nella sezione territoriale e in
quella sui posti di lavoro è sparita. Superati, se ci si riferisce ai partiti riformisti, perché è scomparsa la base (la tassazione del lavoro) su cui redistribuire la
ricchezza.Superati perché quello che era
un tempo il popolo progressista, pacifista e internazionalista troppo facilmente
si ritrova su posizioni razziste e xenofobe (e come potrebbe essere altrimenti se
i mestieri meno specializzati sono concorrenziati dagli immigrati). Per gli
amanti di libertà, uguaglianza e fraternità meglio trovare qualcosa di più originale del socialismo democratico del
novecento per difendere le loro idee,
queste sì sempre attuali.
VALERIO CACIAGLI
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