ELOGIO DELLA POESIA

Transcript

ELOGIO DELLA POESIA
Elogio della poesia
di Valeria Rossella
Inizierei questo discorso argomentando sulla traduzione, con sufficiente temerarietà e da non
addetta ufficialmente ai lavori: tradurre è “far passare attraverso”. Ma in questa traslazione la cosa
traslata muta solo di posto o anche di sostanza, come vorrebbe la fisica moderna, o quella di
Eraclito, se si preferisce? Insomma vige la legge dell'impenetrabilità dei corpi, oppure no? La
parola che passa da una lingua a un’altra resta la stessa? Ma il solo fatto di leggere non significa
comunque tradurre?
Pensiamo soltanto a come esista un unico originale, e tante traduzioni; il testo è uno e
immutabile, le sue traduzioni invecchiano.
Se la poesia è passaggio dal lato diurno al lato notturno della parola, intorno al cui suono
fondamentale è possibile percepire gli armonici, così la traduzione poetica è dunque un sosia, ma
non una copia: un gemello, che vive di vita propria.
Faccio queste riflessioni da poeta che ama leggere, e talvolta tradurre, i poeti polacchi; molto
appagata, e tutt’altro che isolata, in questa mia predilezione.
Il premio Nobel per la letteratura 1987, Josif Brodskij, nel discorso tenuto a Torino per
l’inaugurazione del primo Salone del Libro nel maggio del 1988, affermava senza mezzi termini
che «la più straordinaria poesia di questo secolo è scritta in polacco», segnalando i nomi di Leopold
Staff, Czesław Miłosz, Zbigniew Herbert e Wisława Szymborska.
Certo, a questi numi tutelari aggiungerei, nel mio Pantheon personale, la Musa folgorante e
tragica di uno Esenin polacco come Józef Czechowicz e la fioritura misteriosamente sapienziale e
allegorica dell’ultima Kazimiera Iłłakowicz; l’originalissimo mélange d’ironia e lirismo di
Konstanty Ildefons Gałczyński e il poco conosciuto, ma assai interessante Jan Zahradnik (19041929), originario della regione carpatica oggi in Ucraina, autore di un unico libro di versi, Ludziom
smutnym (A chi è triste). La sua poesia dall’atmosfera fantastica e a volte macabra, da cui traspare
la problematica percezione di un Dio debole, tutta novecentesca, lo accomuna (per quanto in
minore) al più geniale fra i poeti polacchi della prima metà del secolo appena trascorso, Bolesław
Leśmian. Di Zahradnik vorrei fornire in traduzione due testi che illustrano questo singolare rapporto
col divino, e un terzo, esemplare nella sua trasognata atmosfera d’incubo:
Umierający Bóg
Stary już jestem...i sił nie mam, dzieci,
By kulę świata w drżącej zdzierżyć dłoni;
W piersi Mej zegar olbrzymi stuleci
Wolniej już idzie i już ciszej dzwoni...
Lecz, gdy zacięży sbytnio ciężar globu,
Przyjdzie stworzenia ostateczna kolej:
W otchłań wieczności, jak trumna w dół grobu,
Świat się zesunie głucho i powoli.
Umiłowani! czas zaiste pilny,
By Bóg wasz zyskał od was przebaczenie Jak o zachodzie blask słońca bezsilny,
Umierające ślę ku wam spjrzenie.
Ta pierś odwieczna coraz mniej już tchu ma,
Słabiej krew płynie w tętnicy wiekowej A tylko Moja bolesna zaduma,
Jak mgła wieczorna opływa wam głowy.
Lecz, zanim słowem znów się stanie ciało,
1
Nim spoczną znojne ducha Mego kości,
Daję wam jeszcze tę niemoc zgrzybiałą
Mojej głębokiej nad wami litości.1
Il dio morente
Sono ormai vecchio... e non ho forze, figli,
per sostenere il mondo sul palmo che trema:
l’immane orologio dei secoli rintocca
sempre più lento e fioco dentro il petto...
Ma quando diverrà troppo pesante il globo
sarà la volta dell’ultima vicenda:
nel tempo senza fine, come bara
nella fossa, calerà cupo il mondo.
O miei amati! È dunque giunto il tempo
che ottenga il vostro Dio da voi perdono come al tramonto lo spossato raggio
del sole, vi lancerò uno sguardo che muore.
Il petto antico ha sempre meno fiato,
più debole scorre il sangue nelle arterie e solo il mio pensiero doloroso,
nebbia serale, vi fluttua intorno al capo.
Ma prima che la carne torni verbo,
e prima che riposino le ossa
affaticate del mio Spirito, vi dono
ancora l’impotenza incanutita
di questa compassione che ho per voi.
Blask z ócz, sen z powiek
Blask z ócz, sen z powiek, uśmiech z ust mi spędzasz...
Wzrok ci i oddech wydałem na łup.
Z wszystkich na świecie najśmieszniejszy nędzarz,
Czekam twych spojrzeń u twych jasnych stóp.
Żyć jeno życiem, co umie się nie dziać!
Blask z ócz, sen z powiek... Czyż wiem, czyliż śmiem
Chociaż to jedno raz napewno wiedzieć:
Sen jest istnieniem, istnienie jest snem.
Ale te wargi palić nie przestaną,
Wszędzie obecne i żywe, jak świat, Wiecznie się jątrzysz,ty zapiekła rano!
Blask z ócz, sen z powiek... twój płomień, twój ślad.
Nienasycona serdeczna pożoga!
Sen jest istnieniem, istnienie to mus, Ty najpiękniejsza, straszna masko Boga,
Co tak boleśnie w duszę moją wrósł!2
Il bagliore dagli occhi, il sonno dalle palpebre
1
2
J. Zahradnik, Ludziom smutnym, Towarzystwo Wydawnicze Ateneum, Lwów 1925.
Ibidem.
2
Il bagliore dagli occhi, il sonno dalle palpebre, il sorriso
dalle labbra mi scacci... T’ho ceduto il bottino
della mia vista, del respiro. Io, il più risibile
povero al mondo, ai tuoi piedi chiari i tuoi sguardi attendo.
Eppure la vita vivere, capace di non essere!
Il bagliore dagli occhi, il sonno dalle palpebre... E so,
oso forse sapere per una volta sola, una
sicuramente: il sogno è esistenza, e l’esistenza sogno.
Ma non smettono queste labbra di bruciare, ovunque
presenti e vive, come il mondo - Tu che suppuri
in eterno, o ardente ferita! Il bagliore dagli occhi,
il sonno dalle palpebre... la fiamma tua, la tua traccia.
Incendio insaziabile del cuore! Il sogno è esistenza, l’esistenza
necessità - O tu bellissima, tremenda maschera
di Dio, che con tanto dolore nell’anima mi crebbe!
Na trzecim brzegu
To było bardzo dawno... Wybladła ulica
Milczała wciąż niezłomnie do gwiazd, do księżyca.
Ktoś cichy szedł, a woczach niósł świty zdumienia,
Lęku nie miał przed sobą - ni za sobą cienia.
Szedł cichy płynnym krokiem w gwieździste migoty,
A niósł serce i usta omdlałe z tęsknoty.
I chciał upleść drabinę z gwiazd, co tak się jarzą,
Chciał uderzyć o niebo groźną, twardą twarzą.
(To było bardzo dawno - gdzieś na trzecim brzegu
Ulicy, co leżała w miesiącu, jak w śniegu)...
Wbiegł w ciszę i zaszlochał boleśnie, bezradnie,
Że dna nigdzie nie widać,a wszystko jest na dnie.3
Sulla terza riva
Ed era molto tempo fa... La strada sbiadita
ostinata taceva alle stelle e alla luna.
C’era chi andava muto, negli occhi albe stupite,
senza timori avanti a sé, e dietro nessun’ombra.
Andava muto, fluiva nel luccichio stellare,
il cuore e le labbra fievoli per la nostalgia.
Scale voleva intrecciare di stelle lucenti,
colpire il cielo col volto minaccioso e duro.
(Ed era molto tempo fa - là sulla terza riva
della via che giaceva nella luna, come nella neve)...
3
Ibidem.
3
Ma corse via nel silenzio, con vano e amaro pianto,
ché mai si vede il fondo e tutto sta sul fondo.
Per tornare a Leśmian, autore quanto mai impervio da tradurre, il motivo più interessante è
quello della natura che è concepita come un universo animistico, in cui nulla mai nasce o muore
veramente, senza l’orizzonte della trascendenza, ma visitato da un Dio morente e sfuggente come le
sue creature, autore di una creazione incompleta, anzi imperfetta, metamorfica, priva di pace. C’è in
Leśmian una fondamentale idea di latenza. Nelle sue poesie compare uno strano popolo a metà tra
l’incubo, l’apparizione, l’antropomorfismo e l’oggetto animato: una folla bruegheliana di storpi (il
Gobbo, il Soldato zoppo), boschana di mostriciattoli come il povero Dusiołek (Incubo scalcinato col
muso di rana e il sedere di gallina), Znikomek, con un occhio azzurro e uno castano, il fuocherello
fatuo Śnigrobek, e poi fantasmi (veri révenants o fenomeni naturali vivificati), demoni del folclore
popolare. Nel libro Łąka (Il prato, 1920) troviamo ad esempio la sezione intitolata Pieśni kalekujące
(Canzoni claudicanti), tra i cui protagonisti figurano appunto il Ciabattino, un Sisifo diseredato che
a questo Dio povero vuole cucire le scarpe, e il Soldato zoppo, che incontra Cristo ridisceso sulla
terra, un Cristo da scultura popolare, con due mani sinistre e due gambe destre; e nella bellissima
raccolta Napój cienisty (Filtro d’ombre, 1936), ultima pubblicata in vita dall’autore, oltre l’Angelo
dalle ginocchia nere, il Gorilla e il Pupazzo di neve cui un demiurgo distratto e beffardo ha
concesso un’effimera vita, quello sciame di api che, in uno dei vertici della poesia leśmianiana,
smarrita la strada finisce nelle squallide case dei morti, abbacinandoli prima di volarsene via.
Straordinaria è la lingua di cui si serve Leśmian: reinventa il polacco, approfittando della sua
estrema duttilità, lumeggiando le radici con giochi di prefissi, usando voci dialettali o dimenticate,
spesso formando neologismi, ricreando così nel tessuto stesso della parola quell’universo inquieto e
metamorfico della sua poesia.
Forniamo alcuni esempi: la natura, spinozianamente soggetto e oggetto di se stessa, il suo
primordiale erotismo un po’ cannibalesco, cespuglio di lamponi - e la sera in campagna, dove
«finisce Dio - incomincia l’erba»:
W malinowym chruśniaku, przed ciekawych wzrokiem
Zapodziani po głowy, przez długie godziny
Zrywaliśmy przybyłe tej nocy maliny.
Palce miałaś na oślep skrwawione ich sokiem.
Bąk złośnik huczał basem, jakby straszył kwiaty,
Rdzawe guzy na słońcu wygrzewał liść chory,
Złachmaniałych pajęczyn skrzyły się wisiory,
I szedł tyłem na grzbiecie jakiś żuk kosmaty.
Duszno było od malin, któreś, szepcząc, rwała,
A szept nasz tylko wówczas nacichał w ich woni,
Gdym wargami wygarniał z podanej mi dłoni
Owoce, przepojone wonią twego ciała.
I stały się maliny narzędziem pieszczoty
Tej pierwszej, tej zdziwionej, która w całym niebie
Nie zna innych upojeń, oprócz samej siebie,
I chce się wciąż powtarzać dla własnej dziwoty.
I nie wiem, jak się stało, w którym okamgnieniu,
Żeś dotknęła mi wargą spoconego czoła,
Porwałem twoje dłonie – oddałaś w skupieniu,
A chruśniak malinowy trwał wciąż dookoła.4
4
B. Leśmian, Łąka, J. Mortkowicz, Warszawa 1920.
4
Nel cespuglio di lamponi, immersi fino al capo
e persi allo sguardo dei curiosi, lungamente
coglievamo i lamponi cresciuti quella notte.
T’insanguinava tutte le dita il loro succo.
Il tafano collerico spaventava i fiori,
la foglia egra scaldava i grumi fulvi, pendagli
luminosi di ragne stracciate sfavillavano,
camminava all’indietro uno scarabeo peloso.
Ci soffocavano i lamponi che, bisbigliando,
spiccavi, e il nostro bisbiglio tacque nell’aroma
solo quando con le labbra colsi dal tuo palmo
i frutti che il profumo del tuo corpo intrideva.
Divennero i lamponi strumento di carezze
le prime, le più stupite, che nel cielo intero
altre ebbrezze non sanno, che non siano esse stesse,
e nella propria stranezza vogliono ripetersi.
Poi non so, com’è stato, né in che palpebrare,
hai sfiorato col labbro la mia fronte sudata,
io ti ho preso le mani - me le hai date, raccolta,
in quel persistere intorno, denso, dei lamponi.
(da Łąka, Il prato)
Wieczór
Drobne okno otwórz niespodzianie,
Niech zobaczę twe łóżko przy ścianie!
Taka cisza, że nie poznać świata –
Jeden tylko na dębie liść lata.
Koral zorzy po podpłociu biega
I sam siebie na sękach postrzega.
Motyl w zmierzchu biało nam się ziścił,
Gdy się skrzydłem do malwy przyliścił.
Ciche grabie z najcichszą łopatą
Tkwią we dwoje i do snu pod chatą,
Kto w nie spojrzy – zrachuje dwie cisze.
Dal się w oczach umyślnie kołysze.
Wieczór różnie niszczeje po krzakach,
Cień do rowu włazi na czworakach.
Za miedziami, za ustroniem młyna
Bóg się kończy – trawa się zaczyna.
Kurz, świetlejąc, dogasa nad drogą,
I jest wszystko, choć nie ma nikogo!
Tylko brzoza, kwitnąc w światów mnóstwo,
Całe swoje w snach odmilkłe brzóstwo
Z nagłym szeptem wcudnia do strumienia,
Gdzie raz jeszcze w brzozę się zamienia.5
Sera
5
Id., Napój cienisty, (s.n.), Warszawa 1936.
5
Spalanca la finestra all’improvviso,
che veda il letto contro la parete!
Tutto è silenzio, irriconoscibile solo una foglia trema sulla quercia.
S’inseguono i coralli del crepuscolo
ai piedi della siepe, sopra i rami
nodosi delle piante si rispecchiano.
Un bianco di farfalla esce dal buio
se l’ala accosta alle foglie di malva.
Quieti i rastrelli e il placido badile
stanno assopiti sotto il casolare:
doppia sarà la pace rivelata
a chi li osserva. Negli occhi si culla
la lontananza cosciente. La sera
in vari modi si disfa nei cespugli
e l’ombra striscia carponi nel fosso.
Oltre l’eremo del mulino, i campi:
finisce Dio - incomincia l’erba.
Tutta luminescente sulla strada
la polvere svanisce poco a poco
e tutto è, pur se non c’è nessuno.
Soltanto la betulla, in fioritura
nella folla dei mondi, mormorando
tutto il suo quieto essere betulla
immeraviglia nel ruscello, e ancora
ridiventa betulla, s’imbetulla.
(da Napój cienisty, Filtro d’ombre)
E ora due testi in cui compaiono le bislacche e dolenti “creature” di Leśmian:
Szewczyk
W mgłach daleczeje sierp księżyca,
Zatkwiony ostrzem w czub komina,
Latarnia się na palcach wspina
W mrok, gdzie już kończy się ulica.
Obłędny szewczyk - kuternoga
Szyje, wpatrzony w zmór odmęty,
Buty na miarę stopy Boga,
Co mu na imię - Nieobjęty!
Błogosławiony trud,
Z którego twórczej mocy
Powstaje taki but
Wśród takiej srebnej nocy!
Boże obłoków, Boże rosy,
Naści z mej dłoni dar obfity,
Abyś nie chadzał w niebie bosy
I stóp nie ranił o błękity!
Niech duchy, paląc gwiazd pochodnie,
Powiedzą kiedyś w chmur powodzi,
Że tam, gzie na świat szewc przychodzi,
Bóg przyobuty bywa godnie!
Błogosławiony trud,
Z którego twórczej mocy
Powstaje taki but
Wśród takiej srebrnej nocy!
6
Dałeś mi, Boże, kęs istnienia,
Co mi na całą starczy drogę Przebacz, że wpośród nędzy cienia
Nic ci, prócz butów, dać nie mogę.
W szyciu nic nie ma, opróc szycia,
Więc szyjmy, póki starczy siły!
W życiu nic nie ma, oprócz życia,
Więc żyjmy aż po kres mogiły!
Błogosławiony trud,
Z którego twórczej mocy
Powstaje taki but
Wśród takiej srebrnej nocy!6
Il ciabattino
Più lontana si spinge nella nebbia
la falce della luna, con la punta
infissa sulla cima d’un comignolo.
Il lampione s’arrampica nel buio,
là dove sbuca e termina la via.
Un ciabattino folle e gambacorta,
nel turbinìo degli incubi fissato,
cuce le scarpe pei piedi di Dio,
un Dio che ha per nome: Inafferrato!
Fatica benedetta,
con quale forza crei
e formi tali scarpe
nella notte argentata!
Dio delle nubi, Dio della rugiada,
to’, prendi dalle mie mani un ricco dono,
perché scalzo nel cielo non cammini,
non ti ferisca i piedi nell’azzurro.
Che gli spiriti, torce d’astri accese,
in un diluvio di nuvole dicano
che Dio è sempre degnamente calzato
là dove viene al mondo un ciabattino.
Fatica benedetta,
con quale forza crei
e formi tali scarpe
nella notte argentata!
M’hai dato, Dio, un boccone di vita,
mi basterà per l’intero cammino perdona se, della miseria all’ombra,
null’altro, oltre le scarpe, posso offrirti.
Nel cucito c’è soltanto il cucito,
dunque cuciamo, finché abbiamo forza!
Nella vita c’è soltanto la vita,
dunque viviamo, finché appar la fossa!
Fatica benedetta,
con quale forza crei
e formi tali scarpe
6
B. Leśmian, Łąka, op. cit.
7
nella notte argentata!
Dwoje ludzieńków
Często w duszy mi dzwoni pieśń, wyłkana w żałobie,
O tych dwojgu ludzieńkach, co kochali się w sobie.
Lecz w ogrodzie szept pierwszy miłosnego wyznania
Stał się dla nich przymusem do nagłego rozstania.
Nie widzieli się długo z czyjejś woli i winy,
A czas ciągle upływał - bezpowrotny, jedyny.
A gdy zeszli się, dłonie wyciągając po kwiecie,
Zachorzeli tak bardzo, jak nikt dotąd na świecie!
Pod jaworem - dwa łóżka, pod jaworem - dwa cienie,
Pod jaworem ostatnie, beznadziejne spojrzenie.
I pomarli oboje bez pieszczoty, bez grzechu,
Bez łzy szczęścia na oczach, bez jednego uśmiechu.
Ust ich czerwień zagasła w zimnym śmierci fiolecie,
I pobledli tak bardzo, jak nikt dotąd na świecie!
Chcieli jeszcze się kochać poza własną mogiłą,
Ale miłość umarła, już miłości nie było.
I poklękli spóźnieni u niedoli swej proga,
By się modlić o wszystko, lecz nie było już Boga.
Więc sił resztą dotrwali aż do wiosny, do lata,
By powrócić na ziemię - lecz nie było już świata.7
I due miserelli
Spesso nell’anima risuona luttuoso il canto
per quei due miserelli, che si amavano tanto.
Un bisbiglio nell’orto, giuramento d’amore,
li costrinse al distacco, repentino dolore.
A lungo non si videro per altrui volere
ma il tempo non si revoca, non si può trattenere.
E quando si riunirono, nel raccogliere fiori,
si ammalarono tanto, come nessuno ancora!
Due letti sotto un acero e nei letti due ombre,
sotto l’acero l’ultimo sguardo senza speranza.
E morirono entrambi senza abbracci o peccato,
senza pianti di gioia, né un sorriso che danza.
Le labbra rosse si spensero in un viola di morte,
un tal pallore a nessuno fu mai dato in sorte!
7
Ibidem.
8
Vollero amarsi i miseri oltre la fossa nera
ma l’amore era morto, più l’amore non c’era.
Tardi s’inginocchiarono al proprio fato rio
per pregare per tutto, ma non c’era più Dio.
E a stento ancora giunsero a fine primavera
per tornar sulla terra - ma più il mondo non c’era.
(entrambe le liriche da Łąka, Il prato)
Certo questa è una poesia assolutamente astorica, mitopoietica, ma del tutto spersonalizzata,
priva cioè di narcisismo autorale. A questo proposito è molto interessante ricordare una prolusione
tenuta da Miłosz per l’inaugurazione del 626° anno accademico dell’Università Jagiellonica di
Cracovia, in cui egli parla, a proposito di quella che ritiene essere una caratteristica fondamentale
della poesia polacca, di un «costante connubio con la storia», di una poesia che è incisiva, «incline
alla filosofia e capace di esprimere non soltanto stati d’animo» e si dichiara avverso a un modello
più occidentale e nichilista della poesia, caratterizzato dalla «decomposizione del tessuto stesso del
verso nelle descrizioni di stati puramente soggettivi, delle particelle dell’atomo frantumato della
persona umana», dalla «radicale soggettivazione che rammollisce la frase». Nella poesia polacca
contemporanea, aggiunge Miłosz, «l’individuo non combatte direttamente con la difficoltà di
esistere nell’universo, rimane immerso nella collettività». [Cito dalla traduzione che Mauro Martini
ha fatto per «Leggere», 1990, n. 18]. C’è quindi una ribellione profonda al nichilismo, all’estetica
del dolore.
Questa radice etica, compartecipe e oggettivizzante della poesia polacca, è comune certamente
ai suoi più rappresentativi autori contemporanei: senza dubbio allo stesso Miłosz, con i suoi temi
fondamentali dell’esilio e dell’occultamento di Dio, la vocazione del letterato a essere voce corale e
guida, il modello dantesco del poeta come testimone e della poesia come indagine soteriologica,
come trama angelicata di un mondo segreto di verità e bellezza, lettura del “retro dell’arazzo”, della
“fodera del mondo”. E il Poeta, come Adamo, come Linneo, dà i nomi.
Nella variegatissima opera di Miłosz trascorriamo dall’onirica annunciazione del Dies Irae, dal
surrealismo apocalittico del suo esordio poetico con la raccolta Trzy zimy (Tre inverni, 1936),
all’oggettivazione dell’apocalissi sul piano storico, documentata in Ocalenie (Salvezza,1945), alla
resa dei conti etica fra il poeta e il suo tempo in Światło dzienne (Luce del giorno,1953): e poi
ancora, durante il suo volontario esilio in Occidente, dall’intreccio visionario tra un medioevo
barbaro e i misfatti dell’età nostra in Król Popiel i inne wiersze (Re Popiel e altri versi,1962),
all’annunciarsi dei fondamentali temi dell’esilio e dell’epifania mancata in Gucio zaczarowany
(Gustavuccio incantato,1965), causati dall’infrazione della legge etica che rende armonioso
l’universo, temi che diverranno centrali nei due libri successivi, Miasto bez imienia (La città senza
nome,1969) e Gdzie wschodzi słońce i kędy zapada (Dal sorgere del sole al suo tramonto,1974). Se
da una parte l’autore si pone il problema etico del fare poetico, sull’altro versante, più squisitamente
formale, inizia a formulare la teoria della «forma più capiente», che non «sia troppo poesia né
troppo prosa», e che il poeta tenderà a realizzare nei libri successivi, a partire da Hymn o Perle
(Inno alla Perla,1982); un’idea “spuria” di poesia, libri che saranno mobilissimi zibaldoni costituiti
da testi poetici propri, brani di prosa, traduzioni in e dal polacco, stralci di epistolario e così via.
Da Nieobjęta ziemia (Terra inafferrata,1984) al più recente Druga przestrzeń (L’altro spazio,
2002) si dispiega la rievocazione, a un tempo lirica e filosofica, di fatti ed esistenze dei primi anni
del secolo: il vecchio poeta torna, anche fisicamente, nella sua Lituania, così come questa Lituania è
tornata a lui, nel precipitato della poesia.
Per un breve, e forzatamente incompleto, excursus nell’universo miłoszano, proponiamo Obłoki
(Nuvole), un testo del periodo “catastrofista”, Veni Creator, epifania mancata e occultamento di
Dio, Pan Anusewicz (Il signor Anusewicz), ovvero la circolarità del tempo nella forma-poesia:
9
Obłoki
Obłoki, straszne moje obłoki,
jak bije serce, jaki żal i smutek ziemi,
chmury, obłoki białe i milczące,
patrzę na was o świcie oczami łez pełnemi
i wiem, że we mnie pycha, pożądanie
i okrucieństwo, i ziarno pogardy
dla snu martwego splatają posłanie,
a kłamstwa mego najpiękniejsze farby
zakryły prawdę. Wtedy spuszczam oczy
i czuję wicher, co przeze mnie wieje,
palący, suchy. O, jakże wy straszne
jesteście, stróże świata, obłoki! Niech zasnę,
niech litościwa ogarnie mnie noc.8
Nuvole
Nuvole, mie nuvole tremende,
come batte il cuore, rimpianto e mestizia della terra
nubi, nuvole bianche e silenziose,
vi guardo all’alba con occhi pieni di lacrime
e so che in me l’orgoglio e il desiderio,
la crudeltà e il seme del disprezzo
intrecciano il giaciglio per un sogno morto,
e i colori più belli della mia menzogna
occultarono il vero. Allora abbasso gli occhi
e sento in me il soffio secco e ardente
della bufera. Oh come siete tremende,
custodi del mondo, nuvole! Oh possa
io dormire, e mi abbracci la notte pietosa.
(da Trzy zimy, Tre inverni)
Veni Creator
Przyjdź, Duchu Święty,
zginając (albo nie zginając) trawy,
ukazując się (albo nie) nad głową językiem płomienia,
kiedy sianokosy, albo kiedy na podorywkę wychodzi traktor
w dolinie orzechowych gajów, albo kiedy śniegi
przywalają jodły kalekie w Sierra Nevada.
Jestem człowiek tylko, więc potrzebuję widzialnych znaków,
nużę się prędko budowaniem schodów abstrakcji.
Prosiłem nieraz, wiesz sam, żeby figura w kościele
podniosła dla mnie rękę, raz jeden, jedyny.
Ale rozumiem, że znaki mogą być tylko ludzkie.
Zbudź więc jednego człowieka, gziekolwiek na ziemi
(nie mnie, bo jednak znam co przyzwoitość)
i pozwól abym patrząc na niego podziwiać mógł Ciebie.9
Veni Creator
Vieni, Spirito Santo,
curvando (oppure non curvando) l’erba,
8
9
C. Miłosz, Trzy zimy, Związek Zawodowy Literató́w Polskick, Wilno-Warszawa 1936.
Id., Miasto bez imienia, Instytut Literacki, Paryż 1969.
10
apparendo (oppure no) sul capo come lingua di fiamma,
al tempo delle fienagioni, o quando va il trattore per solchi
nella valle dei boschi di noci, o quando la neve rovescia
abeti mutilati nella Sierra Nevada.
Sono soltanto un uomo - ho dunque bisogno di visibili segni,
mi stanco presto costruendo scale di astrazioni.
Pregavo talvolta (Tu lo sai) che in chiesa una statua
sollevasse per me la mano - una, un’unica volta.
Ma lo capisco, i segni possono essere solamente umani.
Desta allora un uomo, in un posto qualunque della terra,
(non me: almeno so cos’è il decoro)
e permetti che - guardandolo - io Ti possa ammirare.
(da Miasto bez imienia, La città senza nome)
Pan Anusewicz (1922)
Anusewicz chce Niny. Dlaczego? Dlaczego?
Ryki wyprawia, beczy kiedy popije.
Nina śmieje się. Bo czyż nie komiczny?
Tłusty a cały w nerwach, ma duże uszy
I rusza nimi, zupełny słoń.
Granatowa chmura stoi nad San Francisco
Kiedy jadęwieczorem wzdłuż Niedźwiedziego Szczytu
I za Złotą Bramą, daleko, błysnął ocean.
Aj,moi dawno umarli! Aj, Anusewicz! Aj, Nina!
Nikt was nie pamięta, nikt o was nie wie.
Anusewicz gdzieś w Mińszczyźnie miał swój majątek,
Który potem został w Bolszewii, więc teraz chodzi po Wilnie.
Kiedy był młody, mama pozwalała mu się wyszumieć,
Hulał z szansonistkami, udawał wielkiego pana,
Depesze wysyłał: "Prijezdżaju s damami
Wstreczat’ muzykoj trojkami i szampanskom"
I podpis: "Graf Bobrinskij".
Szansonistki. Jakbym widział ich satynowe halki
I czarne majtki z koronką.Piersi, za małe, za duże,
Zmartwienia dotykań się w lustrze, spóźnego periodu.
Potem z nich były siestrice w oknach szpitalnych pociągów
(Na czołach opiętych zawojem znak czerwonego krzyża).
Nie dla Anusewicza Nina. Patrzcie jak chodzi.
Kołysze się z boku na bok niby marynarz.
Cały rok w siodle, w ułańskim mundurze.
Taka toi z niej panna na wydaniu.Co w niej znalazłeś, panie Anusewicz,
Że taki romansowy? Udawałeś grafa,
Pewnie i ją ubrałeś w swoje fantazje.
I rzeczywiście twoje śmieszne uszy,
Prawie przezroczyste, z czerwonymi żyłkami,
Ruszają się, a w oczach jakby przerażenie.
Żył był raz Anusewicz. Żyła była raz Nina.
Jeden raz od początku aż do końca świata.
Ja teraz łączę ich, późno, w ceremoniale zaślubin.
A naokoło mnie pręgowane, szmaragdookie zwierzęta,
Damy z żurnalów mody, szamani zgubionych plemion,
11
To znów poważna, z uśmiechem sekretnym, siestrica,
Jawią się pośród obłoków, asystują.10
Il signor Anusewicz (1922)
Anusewicz vuole Nina. Ma perché - perché?
Emette muggiti, piagnucola quando alza il gomito.
Nina ride. Non è forse comico?
Grasso ma tutto nervi, ha grandi orecchie
che muove proprio come gli elefanti.
Una nuvola blu sta su San Francisco
quando la sera passo per la Vetta dell’Orso
e oltre la Porta d’Oro, lontano, l’oceano brilla.
Oh miei da tempo morti! Oh Anusewicz! Oh Nina!
Nessuno vi ricorda, nessuno sa di voi.
Anusewicz aveva le sue tenute presso Minsk,
poi passarono ai Bolscevichi, quindi eccolo a Vilna.
Da giovane la madre gli permetteva di sfogarsi,
faceva baldoria con le canzonettiste, faceva il gran signore,
mandava telegrammi: “Arrivo con le dame
preparate musica carrozze e champagne”
e la firma: “Conte Bobrinskij”.
Canzonettiste. Come se vedessi le loro sottovesti di raso,
le mutandine nere, il pizzo. Il seno, troppo, troppo poco,
l’ansia di toccarsi allo specchio, il periodo in ritardo.
Poi, molte divennero sorelle alle finestre dei treni-ospedale
(le fronti strette da una fascia con la croce rossa).
Non è per Anusewicz, Nina. Guardate come cammina.
Si dondola in qua e in là, che sembra un marinaio.
Sempre in sella in divisa da ulano.
E lei è una signorina da marito.
Che cos’hai visto in Nina, signor Anusewicz,
che sei così sentimentale? Fingevi d’esser conte,
e certo, nelle tue fantasie, l’hai abbellita.
E veramente le tue orecchie buffe,
quasi trasparenti, con venuzze rosse
si muovono, e negli occhi passa uno spavento.
Una volta visse Anusewicz. E visse Nina.
Quell’unica volta dall’inizio del mondo alla sua fine.
Ed ora, tardi, con questa cerimonia nuziale io li unisco.
E intorno a me striati animali dagli occhi smeraldini,
signore da giornali di moda, sciamani di tribù perdute,
e ancora, seria, una sorella col suo sorriso segreto
appaiono tra le nuvole, e assistono.
(da Kroniki, Cronache)
E ancora vorrei presentare l’antinichilismo, la fede nella vita che «è felicità», e la
consapevolezza stoica della no man’s land, della morte come «terra senza grammatica» in due brevi
e bellissime liriche, Godzina (L’ora) e Oset, pokrzywa (Il cardo, l’ortica):
10
C. Miłosz, Kroniki, Instytut Literacki, Paryż 1988.
12
Godzina
Jarzące słońce na liściach, gorliwe buczenie trzmieli,
Gdzieś z daleka, zza rzeki, senne gaworzenie
I nieśpieszne stukanie młotka nie mnie jednego cieszyły.
Zanim otwarto pięć zmysłów, i wcześniej niżeli początek
Czekały, gotowe, na wszystkich którzy siebie nazwą: śmiertelni,
Żeby jak ja wysławiali życie to jest szczęście.11
L’ora
Il sole che avvampa sulle foglie, lo zelante ronzio del calabrone,
e lontano, oltre il fiume, un assonnato cinguettare
e un lento picchiettare di martello non me soltanto rallegravano.
Prima che i cinque sensi si schiudessero, e ancora prima dell’inizio
aspettavano, pronti, tutti coloro che si dicono: mortali,
perché come me glorificassero la vita che è felicità.
(da Gdzie wschodzi słońce i kędy zapada, Dal sorgere del sole al suo tramonto)
Oset, pokrzywa
(...) "le chardon et la haute
Ortie et l’ennemie d’enfance belladonna"
O. Milosz
Oset, pokrzywa, łopuch, belladonna
Mają przyszłość. Ich są pustkowia
I zardzewiałe tory, niebo, cisza.
Kim będę dla ludzi wiele pokoleń po mnie
Kiedy po zgiełku języków weźmie nagrodę cisza?
Miał mnie okupić dar układania słów
Ale muszę być gotów na ziemię bez-gramatyczną.
Z ostem, pokrzywą, łopuchem, belladonną,
Nad którymi wietrzyk, senny obłok, cisza.12
Il cardo, l’ortica
(...) “le chardon et la haute
Ortie et l’ennemie d’enfance belladonna”
O. Milosz
Cardo, ortica, bardana, belladonna,
hanno un futuro. A loro appartengono i deserti
e le rotaie arrugginite, il cielo ed il silenzio.
Chi sarò per gli uomini delle generazioni future
quando, passato lo strepito delle lingue, il silenzio trionferà?
Doveva riscattarmi il dono di comporre parole
ma devo essere pronto ad una terra senza grammatica.
Con cardo, ortica, bardana, belladonna,
e sopra la brezza, la nube del sonno, il silenzio.
11
12
C. Miłosz, Gdzie wschodzi słońce i kędy zapada, Instytut Literacki, Paryż 1974.
Id., Dalsze okolice, Znak, Kraków 1991.
13
(da Dalsze okolice, Le regioni ulteriori)
La radice etica e compartecipe della poesia polacca, come sopra dicevamo, è individuabile
anche nei poco più giovani Tadeusz Różewicz, Zbigniew Herbert e Wisława Szymborska, che
iniziano a pubblicare negli anni Cinquanta. Mentre Różewicz, autore caratterizzato all’inizio da un
tono non metafisico e sapienziale ma ideologizzante e figurativo, è alfine approdato a un teso e
terso esistenzialismo, Herbert, nato in quella Leopoli teatro di tragiche incongruità della storia,
innamorato dei filosofi stoici, divide con Miłosz la concezione del poeta come testimone, il rifiuto
di una poesia soggettivistica, la vocazione metafisica che si esprime con un discorso scabro e
petroso, e spesso si serve di exempla, di una certa figuratività allegorica. Leggiamo: la prima lirica è
un’allegoria storica, la seconda, una severa elegia dedicata ai partigiani dell’Armja Krajowa:
Domysły na temat Barabasza
Co stało się z Barabaszem? Pytałem nikt nie wie
Spuszczony z łańcucha wyszedł na białą ulicę
mógł skręcić w prawo iść naprzód skręcić w lewo
zakręcić się w kółko zapiać radośnie jak kogut
On Imperator własnych rąk i głowy
On Wielkorządca własnego oddechu
Pytam bo w pewien sposób brałem udział w sprawie
Zbawiony tłumem przed pałacem Pilata krzyczałem
tak jak inni uwolnij Barabasza Barabasza
Wolali wszyscy gdybym ja jeden milczał
stałoby się dokładnie tak jak się stać miało
A Barabasz być może wrócił do swej bandy
W górach zabija szybko rabuje rzetelnie
Albo założył warsztat garncarski
I ręce skalane zbrodnią
czyści w glinie stworzenia
Jest nosiwodą poganiaczem mułów lichwiarzem
właścicielem statków - na jednym z nich żeglował Paweł do Koryntian
lub - czego nie można wykluczyć stał się cenionym szpiclem na żołdzie Rzymian
Patrzcie i podziwiajcie zawrotną grę losu
o możliwości potencje o uśmiechy fortuny
A Nazareńczyk
został sam
bez alternatywy
ze stromą
ścieżką
krwi13
Ipotesi su Barabba
Cosa ne è stato di Barabba. Ho chiesto nessuno lo sa
Libero da catene uscì sulla bianca via
poteva svoltare a destra proseguire dritto svoltare a sinistra
girare in cerchio erompere in un canto di festa come un gallo
Egli Imperatore delle proprie mani della propria testa
13
Z. Herbert, Elegia na odejście, Instytut Literacki, Paryż 1990.
14
Egli Governatore del proprio respiro
Lo chiedo perché in certo modo ho preso parte all’affare
Attratto dalla folla davanti al palazzo di Pilato gridavo
così come gli altri libera Barabba Barabba
Acclamavano tutti se io solo avessi taciuto
sarebbe accaduto esattamente quello che doveva accadere
E forse Barabba è tornato alla sua banda
Sulle montagne uccide rapido saccheggia per bene
Oppure ha messo su un negozio, fa ceramiche
e monda nell’argilla della creazione
le mani macchiate dal delitto
È portatore d’acqua mulattiere usuraio
proprietario di navi – su di una Paolo faceva vela per Corinto
oppure – cosa non da escludersi
è diventato una spia preziosa al soldo dei Romani
Guardate e ammirate il gioco da vertigine del destino
su possibilità potenze sorriso della fortuna
E il Nazareno
è rimasto solo
senza alternativa
con uno scosceso
sentiero
di sangue
(da Elegia na odejście, Elegia per l’addio)
Wilki
Marii Oberc
Ponieważ żyli prawem wilka
historia o nich głucho milczy
pozostał po nich w kopnym śniegu
żółtawy mocz i ten ślad wilczy
szybciej niż w plecy strzał zdradziecki
trafiła serce mściwa rozpacz
pili samogon jedli nędzę
tak się starali losom sprostać
już nie zostanie agronomem
"Ciemny" a "Świt" - księgowym
"Marusia" - matką "Grom" - poetą
posiwia śnieg ich młode głowy
nie opłakała ich Elektra
nie pogrzebała Antygona
i będą tak przez całą wieczność
w głębokim śniegu wiecznie konać
przegrali dom swój w białym borze
kędy zawiewa sypki śnieg
nie nam żałować - gryzipiórkom i gładzić ich zmierzwioną sierść
ponieważ żyli prawem wilka
historia o nich głucho milczy
został na zawsze w dobrym śniegu
15
żółtawy mocz i ten trop wilczy14
Lupi
a Maria Oberc
Poiché vissero con legge di lupo
la storia li copre d’un cupo silenzio
di loro restò nella neve fitta
urina giallastra e una traccia di lupo
più rapida dello sparo in schiena traditore
colpì il cuore la disperazione vendicativa
bevvero vodka scadente mangiarono miseria
così cercarono di tener testa al destino
ormai non diventerà agronomo
“lo Scuro” - né ragioniere “il Chiaro”
non diventerà madre “Marusia”
né “il Fulmine” poeta – incanutisce la neve
le loro giovani teste
Elettra non li pianse
non li seppellì Antigone
così per sempre nella neve fonda
durerà eterna la loro agonia
persero la loro casa in una bianca selva
donde turbinando viene la friabile neve
non sta a noi – scribacchini - compiangerli
e accarezzarne il pelame scompigliato
poiché vissero con legge di lupo
la storia li copre d’un cupo silenzio
restò per sempre nella neve mite
urina giallastra e una pesta di lupo
(da Rovigo)
La stessa inquietudine metafisica, lo stesso esprit de géometrie nell’espressione, l’asciuttezza
ironica, si possono ritrovare nei versi di Szymborska con meno, probabilmente, scabra profondità
tragica, ma con in più una peculiare vena “minimalista”, sensibile al prodigioso che è nel
quotidiano, oggetto di attenzione minuziosa: è il dato concreto che accende la fantasia lirica della
poetessa, che odia la generalizzazione astratta.
Nella sua opera i grandi temi tralucono nelle piccole cose; il fuoco della lente è sempre sui
particolari; ogni esistenza è singolare, precaria e irripetibile. Pure questa scrittrice agnostica,
spaventata per sua stessa ammissione dal caos, non a caso si attiene al particulare, e spesso nelle
sue poesie sfrutta l’immagine del quadro o della cornice in cui si entra o da cui si parla, come, ad
esempio, nelle liriche Pejzaż (Paesaggio), Kobiety Rubensa (Le donne di Rubens), Pamięć
nareszcie (La memoria infine) - non è mai disperata. Anche perché la sua poesia partecipa
ampiamente di quella caratteristica di appartenenza a una collettività senziente e compaziente,
secondo il senso latino, di quel passaggio dall’io al noi tipico, come ha rilevato Miłosz, della poesia
polacca; in questo, com’egli dice, arditamente antinovecentesca.
Vorrei proporre, della Szymborska, il testo Chmury (Nuvole), da paragonare magari
all’omonima lirica di Miłosz. Anche qui le nuvole hanno un loro passo disumano, inquietante, ma il
linguaggio è quello dell’amusement, del gioco:
14
Z. Herbert, Rovigo, Wyd. Dolnośląskie, Wrocław 1992.
16
Chmury
Z opisywaniem chmur
musiałabym się bardzo śpieszyć już po ułamku chwili
przestają być te, zaczynają być inne.
Ich właściwością jest
nie powtarzać się nigdy
w kszałtach, odcieniach, pozach i układzie.
Nie obciążone pamięcią o niczym,
unoszą się bez trudu nad faktami.
Jacy tam z nich świadkowie czegokolwiek natychmiast rozwiewają się na wszystkie strony.
W porównaniu z chmurami
życie wydaje się ugruntowane,
omal że trwałe i prawie że wieczne.
Przy chmurach
nawet kamień wygląda jak brat,
na którym można polegać,
a one, cóż, dalekie i płoche kuzynki.
Niech sobie ludzie będą, jeśli chcą,
a potem po kolei każde z nich umiera,
im, chmurom nic do tego
wszystkiego
bardzo dziwnego.
Nad całym Twoim życiem
i moim, jeszcze nie całym,
paradują w przepychu jak paradowały.
Nie mają obowiązku razem z nami ginąć.
Nie muszą być widziane, żeby płynąć15.
Nuvole
Per descrivere le nuvole
dovrei proprio sbrigarmi –
già dopo una frazione di secondo
non sono più quelle, iniziano ad essere altre.
È nella loro natura
non ripetere mai le loro forme,
le sfumature, le disposizioni.
Non gravate dalla memoria delle cose,
si levano sopra i fatti senza difficoltà.
Di cosa mai potrebbero essere testimoni –
immediatamente ovunque si disperdono.
15
W. Szymborska, Widok z ziarnkiem piasku. 102 wiersze, “a5”, Poznań 1996.
17
Paragonata con le nuvole
la vita sembra avere buone fondamenta,
a dir poco durevoli, quasi eterne.
Accanto alle nuvole
persino la pietra sembra una sorella
sulla quale si può contare
e loro, be’, lontane e volubili cugine.
Vivano pure gli uomini, se vogliono,
e muoiano poi tutti ad uno ad uno,
loro, le nuvole,
a queste stranezze
sono indifferenti.
Sull’intera tua vita
e sulla mia, ancora non compiuta,
si pavoneggiano fastose, come un tempo.
Non hanno l’obbligo di morire con noi.
E per scorrere, non devono esser viste.
(da Widok z ziarnkiem piasku. 102 wiersze, Veduta con un granello di sabbia. 102 poesie)
Altri poeti della mia costellazione polacca li posso ritrovare, infine, in Krzysztof Karasek e
Adam Zagajewski, non tanto o non solo per quello che hanno saputo dire all’interno di Nowa Fala,
quanto per gli interessanti e personalissimi raggiungimenti della loro opera ulteriore e più recente.
Bibliografia
Antologie
G. Origlia, "Nowa Fala", Nuovi poeti polacchi, Guanda, Milano1981.
J. Pomianowski, Guida alla moderna letteratura polacca, Bulzoni, Roma 1973.
C. Verdiani, Poeti polacchi contemporanei, Silva, Genova 1961.
Józef Czechowicz
J. Czechowicz, Kamień, Bibljoteca Reflektora, Lublin 1927.
Id., Dzień jak codzień, F. Hoesik, Warszawa 1930.
Id., Ballada z tamtej strong, Droga, Warszawa 1932.
Id., Stare kamienie, [s.n.], Lublin 1934;
Id., W błyskawicy, [s.n.], Warszawa 1934)
Id., Nic więcej, [s.n.], Warszawa 1936
Id., Arkusz poetycki, [s.n.], Warszawa 1938.
Id., Nuta człowiecza, [s.n.], Warszawa 1939.
Konstanty Ildefons Gałczyński
K.I. Gałczyński, Wiersze, Oficyna Księgarska, Warszawa 1946.
18
Id., Wybór poezji, Zakład Narodowy im. Ossolińskich, Wrocław 1983.
Id., Pieśni, Wydaw. Polskiego Towarzystwa Wydawców Książek, Warszawa 1984 [ed.or.1953]
Id., Dzieła [s.n.], Warszawa 1957-1960.
Zbigniew Herbert
Z. Herbert, Struna światła, Czytelnik, Warszawa 1956
Id., Hermes, pies i gwiazda, Czytelnik, Warszawa 1957
Id., Studium przedmiotu, Czytelnik, Warszawa 1961
Id., Napis, Czytelnik, Warszawa 1969
Id., Pan Cogito, Czytelnik, Warszawa 1974
Id., Raport z oblężonego miasta, Instytut Literacki, Paryż 1983
Id., Elegia na odejście, Instytut Literacki, Paryż 1990
Id., Rovigo, Wyd. Dolnośląskie, Wrocław 1992
Id., Epilog burzy, Wyd. Dolnośląskie, Wrocław 1998
Id., Poezje, PIW, Warszawa 1998.
In tedesco:
Z. Herbert, Herr Cogito, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1974.
Id., Gedichte, Neues Leben, Berlin 1974.
Id., Bericht aus einer belagerten Stadt, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1983.
Id., Rovigo, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1995.
In francese:
Z. Herbert, Monssieur Cogito et autres poemes, Éditions Fayard, Paris 1990.
In spagnolo:
Z. Herbert, Informe des de la ciutat assetjada, Ediciones de la Guerra, Valencia 1993.
In italiano:
Z. Herbert, Rapporto dalla città assediata, Libri Scheiwiller, Milano 1985.
Id., Rapporto dalla città assediata, antologia, Adelphi, Milano 1993.
Kazimiera Iłłakowicz
K. Iłłakowicz, Wiersze 1912-1959, Warszawa, Państwowy Instytut Wydawniczy, 1964.
Id., Szeptem, Czytelnik, Warszawa 1966.
Krzysztof Karasek
K. Karasek, Poezje, Wydawnictwo Literackie, Kraków 1975.
Id., Prywatna historia ludzkości, Wyd. Literackie, Kraków 1979.
Id., Czerwone jabłuszko, Czytelnik, Warszawa 1994.
Id., Swięty związek, Wydawnictwo Dolnośląskie, Wrocław 1997.
Id., Dziennik rozbitka, Magazyn Literacki, Warszawa 2000.
19
Bolesław Leśmian
B. Leśmian, Sad rozstajny, J. Mortkowicz, Warszawa 1912.
Id., Łąka, J. Mortkowicz, Warszawa 1920.
Id., Napój cienisty, [s.n.], Warszawa 1937.
Id., Dziejba leśna, post., [s.n.], Warszawa 1938.
Id., Klechdy polskie, post., Nakładem Katolickiego Ośrodka Wydawniczego “Veritas”, Londyn
1956.
Id., Poezje wybrane, Zakład Narodowy im. Ossolińskich, Wrocław 1974.
Czesław Miłosz
C. Miłosz, Trzy zimy, Związek Zawodowy Literató́w Polskick, Wilno-Warszawa 1936.
Id., Ocalenie,Czytelnik, Warszawa 1945.
Id., Światło dzienne, Instytut Literacki, Paryż 1953.
Id., Król Popiel i inne wiersze, Instytut Literacki, Paryż 1962.
Id., Gucio zaczarowany, Instytut Literacki, Paryż, 1965.
Id., Miasto bez imienia, Instytut Literacki, Paryż 1969.
Id., Gdzie wschodzi słońce i kędy zapada, Instytut Literacki, Paryż 1974.
Id., Hymn o perle, Wydawnictwo Literackie, Kraków 1983.
Id., Nieobjęta ziemia, Instytut Literacki, Paryż 1984, Wyd. Dolnośląskie, Wrocław 1996.
Id., Kroniki, Instytut Literacki, Paryż 1987.
Id., Dalsze okolice, Znak, Kraków 1991.
Id., Na brzegu rzeki, Znak, Kraków 1994.
Id., To, Znak, Kraków 2000.
Id., Druga przestrzeń, Znak, Kraków 2002.
Id., Wiersze, 3 voll., Znak, Kraków 1993.
Id., Poezje wybrane, Znak, Kraków 1996.
In inglese:
C. Miłosz, The Collected Poems 1931-1987, Penguin, New York-London 1988.
In francese:
C. Miłosz, Poèmes 1934-1982, Éditions Luneau-Ascot, Paris 1984.
Id., Terre inépuisable, Éditions Fayard, Paris 1989.
In tedesco:
C. Miłosz, Lied vom Weltende, Kiepenheuer & Witsch, Köln 1980.
Id., Gedichte, Frankfurt A.M. 1995.
In spagnolo:
C. Miłosz, Poemas, Tusquets, Barcelona 1984.
In italiano:
C. Miłosz, Poesie, Adelphi, Milano 1990.
Id., La fodera del mondo, Fondazione Piazzolla, Roma 1996.
Tadeusz Różewicz
20
T. Różewicz, Poezje zebrane, [s.n.], Kraków 1957.
Id., Niepokój, Ossolineum, Wrocław 1980.
Id., Szara strefa, Wyd. Dolnośląskie, Wrocław 2002.
In italiano:
T. Różewicz, Colloquio con il principe, Mondadori, Milano 1964.
Id., Il guanto rosso e altre poesie, Libri Scheiwiller, Milano 2003.
Wisława Szymborska
W. Szymborska, Dlatego żyjemy, Czytelnik, Warszawa 1952.
Id., Pytania zadawane sobie, Wyd. Literackie, Kraków 1954.
Id., Wołanie do Yeti, Wyd. Literackie, Kraków, 1957.
Id., Sól, PIW, Warszawa 1962.
Id., Sto pociech, Państ. Instytut Wydawniczy, Warszawa 1967.
Id., Wszelki wypadek, Czytelnik, Warszawa 1972.
Id., Wielka liczba, Czytelnik, Warszawa 1976.
Id., Ludzie na moście, Czytelnik, Warszawa 1986.
Id., Koniec i początek, “a5”, Poznań 1996.
Id., Widok z ziarnkiem piasku. 102 wiersze, “a5”, Poznań 1996.
Id., Chwila, Znak, Kraków 2002.
In francese:
W. Szymborska, Dans le fleuve d’Héraclite, Maison de la Poesie, Nord-Pas-de-Calais 1995.
In inglese:
W. Szymborska, View with a grain of sand. Selected poems, Harcourt Brace & Co, San Diego 1995.
In tedesco:
W. Szymborska, Auf Wiedersehn, bis morgen. Gedichte, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1995.
In italiano:
W. Szymborska, Gente sul ponte, Libri Scheiwiller, Milano 1996.
Id., La fine e l’inizio, Libri Scheiwiller, Milano 1997.
Id., Vista con granello di sabbia, Adelphi, Milano 1998.
Id., Taccuino d’amore, Libri Scheiwiller, Milano 2002.
Adam Zagajewski
A. Zagajewski, Komunikat, [s.n.], Kraków 1972.
Id., Sklepy mięsne, Wydaw. Literackie, Kraków 1975.
Id., Jechać do Lwowa, Aneks, Londyn 1985.
Id., Ziemia ognista, [s.n.], Poznań 1994.
Id., Późne swięta, Państ. Instytut Wydawniczy, Warszawa 1998.
Id., Pragnienie, “a5”, Kraków 1999.
In inglese:
A. Zagajewski, Canvas, Farrar Straus Giroux, New York 1991.
21
Id., Mysticism for Beginners, Faber and Faber, London 1998.
Jan Zahradnik
J. Zahradnik, Ludziom smutnym, Towarzystwo Wydawnicze Ateneum, Lwów 1925.
22