CCC_LectioMagistralis_2014-12
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© 2014 Gian Franco Gianotti, Club di Cultura Classica “Ezio Mancino” ONLUS GIAN FRANCO GIANOTTI PETRONIO 1. L’autore. Sull’autore del Satyricon prevalgono oggi le tesi di un giovane studioso inglese approdato all’University of Texas e scomparso prematuramente, Kenneth Frank Campbell Rose (1938-1987): il Petronius Arbiter presente nei manoscritti medioevali come autore del Satyricon va identificato con il Petronio Arbiter elegantiarum alla corte di Nerone di cui parla Tacito: «Per Petronio il giorno trascorreva nel sonno, la notte tra doveri ufficiali e divertimenti; e come altri si erano acquistati fama grazie a operosa attività, così lui in ragione della sua indolenza. Tuttavia non era giudicato un dissoluto e uno scialacquatore, come coloro che dilapidano le proprie sostanze, ma un personaggio di gusto ricercato. E le sue parole e le sue azioni, quanto più apparivano disinvolte ed esibivano noncuranza, tanto più venivano accolte con favore come espressioni di semplicità. In ogni caso, come proconsole in Bitinia e come console seppe mostrarsi energico e all'altezza dei compiti. In seguito, tornato ai vizi o piuttosto alla loro imitazione, fu ammesso da Nerone nella cerchia ristretta degli amici intimi come arbitro del gusto, per tutto il tempo in cui il principe non reputava piacevole e seducente per lusso nulla che non fosse raccomandato da lui. Di qui l'odio di Tigellino1, rivolto contro un rivale superiore nella scienza del piacere. Stimola pertanto la crudeltà del principe, passione superiore a tutte le altre; contesta a Petronio l'amicizia con Scevino2, dopo averne corrotto uno schiavo perché denunciasse il padrone e avergli tolto ogni mezzo di difesa e incarcerato la maggior parte dei suoi. In quei giorni Cesare si era diretto in Campania; e Petronio, spintosi a Cuma, veniva trattenuto sul posto: allora non tollerò oltre d’essere sospeso fra timore e speranza. Non ebbe però fretta di morire: tagliate le vene, per poi fasciarle o riaprirle a piacere, discorreva con gli amici, non di argomenti seri e tali da procurargli gloria di fermezza. Ascoltava non discorsi sull'immortalità dell'anima e massime filosofiche3, ma carmi leggeri e versi giocosi. Quanto agli schiavi, ad alcuni distribuì doni, ad altri nerbate. Si accomodò a banchetto, si abbandonò al sonno, volendo che la morte, per quanto imposta, sembrasse accidentale. Neppure nel testamento volle adulare – come la maggior parte dei condannati – Nerone o Tigellino o altri, ma fece un resoconto dettagliato, coi nomi dei pervertiti e delle prostitute, delle depravazioni del principe e della singolarità d'ogni sua perversione e, dopo aver sigillato il testo, lo inviò a Nerone. Spezzò poi l'anello, perché non servisse a rovinare altre persone» (Annales 16, 18-19)4. Se nel personaggio tacitiano si riconosce Tito Petronio Nigro, non troppo insicura appare la carriera politica: consul suffectus nel 62 d.C., proconsole in Bitinia. La morte per suicidio, secondo Tacito, si colloca nell'anno 66 d.C.; la data di nascita dovrebbe cadere tra il 14 e il 24 d.C. Luogo di nascita potrebbe essere Marsiglia, città evocata in relazione a Petronio Arbitro da Servio e da Sidonio Apollinare. Con l’identificazione così riproposta si torna a una tradizione che accomuna le maggiori Gaio Sofonio Tigellino, prefetto del pretorio di Nerone. Oppositore di Nerone. 3 Morte antifilosofica: a differenza di Seneca (suicida nel 65 a.C.) il Petronio di Tacito capovolge il modello della morte di Socrate, che discute dell'immortalità dell'anima in attesa degli effetti della cicuta, come narra Platone nel Fedone. 4 Traduzione di Franzoi 2003 (con ritocchi). 1 2 1 © 2014 Gian Franco Gianotti, Club di Cultura Classica “Ezio Mancino” ONLUS auctoritates petroniane nel tempo, da Giuseppe Giusto Scaligero a Franz Bücheler. Non sono tuttavia mancate proposte diverse, come fa fede l’elenco stilato da Albert Collignon (1892), che pensava ai primi decenni del II sec. d. C. Nel primo Settecento Pieter Burman ha collocato nell’età che intercorre tra la fine del regno di Augusto e il regno di Claudio (di cui Trimalchione sarebbe la caricatura) la vita dell’autore e l’ambientazione del racconto. Agli inizi dell’Ottocento Barthold Georg Niebuhr ha proposto il III secolo d. C. come data per l’autore e le vicende narrate, sulla scorta di un’iscrizione di tale periodo con i nomi di Encolpio e di Fortunata. La proposta non ha avuto fortuna, ma nel corso del Novecento il problema della datazione è stato risollevato da Enzo V. Marmorale, pronto dapprima ad accettare la soluzione d’età neroniana, ma poi convintosi che «il Satyricon fu scritto dopo il 180 d. C.» e che l’autore andrebbe ravvisato «in uno dei Petronii vissuti fra la seconda metà del II e la prima metà del III secolo d. C.», dunque tra Commodo ed Elagabalo. Dopo Marmorale il problema della datazione conosce ancora qualche impennata, per lo più in prospettiva tarda, ma la ‘congruenza’ tra il ritratto del Petronio tacitiano e lo spirito che anima il Satyricon ha avuto la meglio: l’autore è dunque il personaggio di età neroniana e gli si attribuisce un orientamento epicureo. 2. Il Satyricon: ipotesi sulla trama e sezioni superstiti. Secondo i calcoli moderni il Satyricon doveva constare di almeno 20 o di 24 libri, numero canonico della narrazione epica. Tuttavia, prima del IX secolo della nostra era, vale a dire prima dell’epoca a cui si possono far risalire i dati più antichi della tradizione manoscritta, il testo è vittima di perdite ingenti. Quanto è sopravvissuto, attraverso quattro rami diversi di trasmissione5, corrisponde - con lacune - al finale del XIV libro, al XV libro e a parte del XVI. Nulla si può dire con sicurezza sulle vicende contenute nei libri perduti; non mancano però ipotesi di ricostruzione dell’intera opera che di cui si riassumono quelle meno aleatorie. Per i libri iniziali si pensa a un preludio ambientato a Marsiglia, probabile città natale dell’autore: qui avrebbero luogo la presentazione del protagonistanarratore, Encolpio, e forse il racconto dell’ira di Priàpo nei confronti del giovanotto (profanazione di misteri poco morigerati?). In occasione di un’epidemia il protagonista sarebbe stato cacciato come capro espiatorio dalla città, secondo un’usanza gallica ricordata da Servio, il commentatore di Virgilio: «Ogni qual volta gli abitanti di Marsiglia erano colpiti da una pestilenza, uno dei cittadini poveri si offriva di farsi mantenere per un anno con cibi di qualità a spese pubbliche. A fine anno, costui veniva condotto in giro per la città adorno di verbene e vesti sacre: bersaglio di maledizioni, perché ricadessero su di lui i mali di tutti, da ultimo veniva espulso. Questo si è letto in Petronio»6. Con l’esilio avrebbe inizio il viaggio di Encolpio verso sud, parte per terra e parte per mare. Durante il viaggio verso l’Italia Meridionale avverrebbero l’incontro e il legame con lo schiavetto Gitone. Questi, all’incirca, sarebbero gli avvenimenti narrati nei primi 10 libri. Nei quattro libri Classe O (Excerpta Brevia sive Vulgaria): consenso dei codd. più antichi (IX-XII secc.), che conservano Petron. 1 – 26, 5; 55; 80, 9 – 137, 9. Classe L. (Excerpta Longiora sive Maiora): consenso di edizioni manoscritte (Scaligero e Muret) e di edizioni a stampa di Jean de Tournes (1575) e Pierre Pithou (1577 e 1587), che conservano Petron. 1-26, 6; 27-37, 5 (parte iniziale della Cena Trimalchionis); 55; 79-141; infine sette sentenze trascritte di seguito a 82, 5. Classe F (Florilegium Gallicum): archetipo di una raccolta antologica, a fini edificanti, di 49 excerpta del testo petroniano (versi e sentenze + l'a novella della Matrona di Efeso = Petron. 111, 1 – 112, 8). Infine, con la sigla H si indicano i folia 206 – 229 del cod. Parisinus lat. 7989, olim Traguriensis, cartaceo e miscellaneo, scoperto poco prima del 1649 a Trogir (Traù) in Dalmazia nella biblioteca di palazzo Cipiko; tali folia riportano la Cena Trimalchionis (Petron. 26, 7 – 78, 8). 6 Servio a commento di Eneide 3, 57 (auri sacra fames). 5 2 © 2014 Gian Franco Gianotti, Club di Cultura Classica “Ezio Mancino” ONLUS successivi la narrazione, fattasi più serrata, dovrebbe comprendere un tratto del viaggio su nave e i primi rapporti con Trifena e con Lica, l’incontro con Ascilto e la formazione di un instabile triangolo erotico non alieno da furti e misfatti, infine l’arrivo in una Graeca urbs dell’Italia del Sud e l’approdo di Encolpio e Ascilto alla scuola del retore Agamennone. A partire dal XV libro le sezioni superstiti del racconto comprendono le peripezie del terzetto in mezzo a una composita realtà sociale che conosce affermazione e ascesa di provinciali e liberti. Lo scenario muta in continuazione: i primi passi – per noi – si svolgono nell’ambito di una scuola di retorica, sede d’una vivace discussone de causis corruptae eloquentiae (§§ 1- 6); si fa una rapida puntata in un postribolo (§§ 7-8) per passare, non senza sconnessioni narrative, a contese erotiche tra i due rivali (§§ 9-11) e a un’affollata scena di mercato (§§ 12-15), tra vendite truffaldine e recuperi insperati. Seguono due o tre giorni di baldoria del terzetto con Quartilla, disinibita officiante di riti in onore di Priàpo7, e le sue ancelle; celebrate le nozze precoci tra Gìtone e la giovanissima servetta Pannichide, con contorno erotico che coinvolge tutti i presenti (§§ 16-26. 6), i tre protagonisti, in compagnia del retore Agamennone, si recano in qualità di invitati a cena nella ricca dimora del liberto Trimalchione. Il grande intermezzo della Cena Trimalchionis (§§ 26. 7 – 78) interrompe il racconto di schermaglie omoerotiche e di viaggi (mobilità nello spazio) e si presenta come tappa consacrata alle avventure dello sguardo e della parola, come vivace spaccato sociale in cui si intrecciano fortune personali e comportamenti di classe, conflitti culturali e antagonismi linguistici, il tutto nella cornice spettacolare di fastose esibizioni di ricchezza e di miserie morali. Terminato il caleidoscopio della cena nella dimora del liberto Trimalchione (trionfo della mobilità sociale), riprende il racconto di avventura e di combinazioni amorose. Gitone preferisce seguire Ascilto e abbandona Encolpio; rimasto solo, l’Io narratore recita il ruolo dell’amante abbandonato, per poi cercare conforto alla sua disperazione in una pinacoteca, dove incontra una sorprendente figura di anziano poetastro dal nome antifrastico: Eumolpo (“bravo cantore”). Il nuovo arrivato dà subito un saggio delle sue capacità affabulatorie, narrando dapprima la piccante vicenda del “Fanciullino di Pergamo” (esempio di fabula Milesia), poi recitando uno spezzone di poema sulla Presa di Troia; la recita ha come risultato le sassate dei presenti (§§ 79-90). La narrazione prosegue col ritrovamento di Gitone alle terme: il vecchio Eumolpo sostituisce Ascilto, anche nelle attenzioni non disinteressate rivolte a Gitone; si forma così un nuovo terzetto, che intraprende un viaggio per mare, imbarcandosi sulla nave di Lica di Taranto e di Trifena, personaggi con i quali Eumolpo e Gitone hanno avuto burrascosi trascorsi a noi non noti, perché descritti nelle sezioni di testo non pervenute (§§ 91-101). Sulla nave si susseguono pericolosi incontri e riconoscimenti, contese e pacificazioni, momenti distensivi occupati dalla narrazione – per bocca di Eumolpo - della novella della “Matrona di Efeso” (altra fabula Milesia), fino alla fortunosa tempesta che manda a picco la nave (§§ 102-114). Il naufragio provoca la morte di Lica e ispira a Encolpio un enfatico compianto sulla fragilità dell’umana esistenza (§ 115: ubique naufragium est). Scampato ai marosi, il terzetto si rimette in viaggio alla volta di Crotone. Durante il cammino si discute di poesia ed Eumolpo recita 295 esametri epici sul tema del Bellum civile tra Cesare e Pompeo (§§ 116-125, cadenze virgiliane in polemica con la Farsaglia di Lucano?). Nella cittadina calabra la brigata vive nuove G. Jensson, The Recollections of Encolpius. The Satyrica of Petronius as Milesian Fiction (2004), ritiene che l’ira di Priàpo dipenda dal rituale officiato da Quartilla durante il quale Encolpio avrebbe impersonato il dio («nothing provokes divine anger like the impersonation of a god by a mortal»); l’ipotesi si fonda su interpretazione schematica di Sidonio Apollinare 23, 145-146 e 2 155-157, in particolare di v. 157 (Hellespontiaco parem Priapo), inteso come ammissione di sacrilegio da parte di Encolpio. 7 3 © 2014 Gian Franco Gianotti, Club di Cultura Classica “Ezio Mancino” ONLUS salaci avventure: fortunate per Eumolpo, sfortunate per Encolpio, che scopre la propria impotenza sessuale, attribuita all’ira di Priàpo (parodia di tema epico, l’ira di Posidone per Odisseo o l’ira di Giunone per di Enea) e sanata in extremis per divino intervento (§§ 126-140). Il testo per noi si interrompe col testamento di Eumolpo, il quale escogita un intrigante espediente per liberarsi dei cacciatori d’eredità; a coloro che sperano di diventare suoi eredi pone l’obbligo di cibarsi del suo cadavere (§ 141). Con gli episodi ambientati a Crotone si giunge alla fine del XVI o, tutt’al più, al XVII libro. Ma il Satyricon originario continuava per altri tre o sette libri. Per via d’ipotesi, si può immaginare che dal XVIII libro Eumolpo esca di scena (testamento come premessa della scomparsa?), mentre Encolpio e Gitone si imbarcherebbero per l’Egitto, patria di dottrine religiose ed esoteriche. Durante il viaggio o in terra egiziana è pensabile che alla coppia si unisca un terzo personaggio, amico e rivale, col risultato di ricostituire così il terzetto omoerotico che sembra tema portante dell’opera, come parodia delle convenzionali storie d’amore. L’Egitto, però, non sarebbe l’ultima tappa, in quanto sono ipotizzabili un passaggio in Grecia e infine un ultimo tragitto verso l’imboccatura orientale dell’Ellesponto, alla volta di Lampsaco, la città nota per il culto di Priàpo, dove Encolpio potrebbe espiare le colpe commesse ed essere iniziato ai rituali del dio: finale modellato per analogia sulla conclusione delle Metamorfosi di Apuleio. 3. Il Satyricon: generi letterari e parodia. L’accostamento tra l’opera di Petronio e le Metamorfosi di Apuleio non è trouvaille esegetica dei moderni, ma risale già a epoca tardo-antica. Macrobio, nel commento al Somnium Scipionis (1, 2, 8), dopo aver ricordato che di due tipi sono le narrazioni di vicende fittizie (fabulae), quelle che provocano il piacere degli ascoltatori o quelle che promuovono progressi morali8, scrive: «accarezzano l’udito per esempio le commedie che Menandro o i suoi imitatori hanno composto per la scena, oppure i racconti pieni di casi inventati di innamorati in cui si è esercitato molto l’Arbitro o talvolta si è divertito, con nostra sorpresa, Apuleio». In effetti, tratti comuni tra il Satyricon superstite e i libri apuleiani non mancano, dalla narrazione in prima persona e dagli spunti ‘picareschi’ che accompagnano il vagabondare dei protagonisti alle umorose riprese del motivo epico dell’ira di qualche dio (di Priàpo o di Venere), dalla separazione degli amanti (Gitone troppo vicino o troppo lontano rispetto ad amici-rivali; Psiche lontana da Cupido e Lucio-asino da se stesso) alle mense ‘esemplari’ di Trimalchione e di Byrrhena, dalla satira menippea alle fabulae Milesiae e alle novelle di magia servite in tavola. Temi e motivi comuni, tuttavia, non dipendono solo da eventuali rapporti diretti tra le due opere, ma chiamano in causa un panorama letterario più ampio, i possibili rapporti tra narrativa latina e quella greca rappresentata dagli scriptores erotici. Come è noto, dai primi secoli dell'età imperiale, sono giunti integri cinque racconti in prosa d'argomento erotico e avventuroso, ambientati in scenari fantastici o tutt'al più verosimili, riuniti per somiglianze e punti in comune - sotto la generica classificazione di ‘romanzo greco’. Sono le Avventure di Cherea e Calliroe di Caritone di Afrodisia (sec. I d.C.); le Storie efesiache di Anzia e Abrocome di Senofonte Efesio (sec. II d.C.); la Storia di Leucippe e Clitofonte di Achille Tazio (sempre sec. II d.C.); Amori pastorali di Dafni e Cloe di Longo Sofista (fine del sec. II d.C.); le Storie etiopiche di Eliodoro (metà del sec. III d.C.). A questi cinque racconti, giunti per tradizione 8 Come si vede, il binomio tradizionale, risalente ad Aristotele e riformulato da Orazio (Ars poetica, v. 333: Aut prodesse volunt aut delectare poetae), può vantare presenza secolare in sede di giudizi letterari. 4 © 2014 Gian Franco Gianotti, Club di Cultura Classica “Ezio Mancino” ONLUS diretta, si può aggiungere qualche operetta – autentica o sospetta - presente nel corpus degli scritti di Luciano di Samosata (Storia vera, Lucio o l’asino), la sintesi delle Meraviglie al di là di Thule di Antonio Diogene (I sec. d.C.); l’originale dell’anonima Historia Apollonii regis Tyrii (di cui resta la versione latina) e frammenti papiracei: le Storie fenicie di Lolliano (II sec. d.C.); il Romanzo di Metioco e Partenope (II sec. d.C.); le Storie babilonesi di Giamblico (fine II sec. d.C.)9. Ora, alle spalle delle Metamorfosi apuleiane stanno due antecedenti greci, lo pseudo-lucianeo Lucio o l’asino e i 10 libri di Metamorfosi di Lucio di Patre evocati dal cod. 129 della Biblioteca del patriarca bizantino Fozio, anche se non è chiara la dinamica dei rapporti reciproci. Ma alle spalle di Petronio, alle spalle cioè dell’autore di età neroniana che pure mostra di conoscere e parodiare luoghi comuni e motivi convenzionali presenti nel ‘romanzo greco’ (a lui posteriore!), quali tradizioni letterarie è possibile riconoscere o immaginare? Di solito, per il ‘romanzo’ antico e per l’opera petroniana, il lavoro critico si è cimentato nella ricerca dei precedenti, al fine di stabilire derivazioni o parentele con altri generi narrativi noti, canonici o meno. Inevitabile punto di inizio va ravvisato nella narrazione in versi, dunque negli stacchi narrativi dei poemi omerici e in quanto di omerico rivive in Virgilio. Che in Petronio si percepisca la volontà di parodiare Iliade e Odissea (magari intrecciandone episodi, cadenze e funzioni)10 e, più in generale, si dia spazio a un’epica degradata di eroi di bassa statura etico-sociale capaci di conflitti in sedicesimo, è constatazione acclarata. Ancor più evidenti sono le citazioni e le allusioni virgiliane11 oppure allusioni alla satira e alla tradizione teatrale, tragica, comica e mimica. Si colgono altresì echi della storiografia e della biografia: insomma, a proposito dei generi della poesia e della prosa, si potrebbe attribuire a Petronio l’espressione presente nella lezione sulla poesia impartita per strada da Eumolpo: solo una mens ingenti flumine litterarum inundata (Petron. 118. 3) è in grado di gestire con tale maestría un numero così grande di riferimenti letterari. Dunque, come per le Metamorfosi apuleiane, anche per il Satyricon superstite si è di fronte a un autore che si muove con disinvoltura all’interno del sistema culturale globale, ne smonta e rimonta a piacere le articolazioni, riscrive il già scritto e gli assegna nuove funzioni, non rispetta motivi collaudati e dà vita, agendo alle spalle del narratore, a una sorta di enciclopedia dei generi tradizionali a disposizione di lettori di palato fine e di stomaco forte, capaci di apprezzare la divertita miscela di prosa e versi, di stile raffinato e contenuti ‘popolari’ o scabrosi. Alla pari delle Metamorfosi, il Satyricon superstite mostra come la letteratura di intrattenimento non rappresenti tanto un genere autonomo, quanto si definisca come licenza di incursione – parodica o seriosa – entro i confini di tutti i generi, da cui può riciclare in piena libertà ogni dettaglio e adattarlo a nuovi scenari. Priva di specifici antecedenti o di paralleli effettivi, l’opera petroniana appare come forma aperta a ogni possibilità espressiva. In effetti la casistica dei generi letterari del mondo classico non prevede statuto definito per la narrativa, indicata con molti nomi: in greco mu'qoç, lovgoç, ajpaggeliva, ajpovlogoç, dihvghçiç, dihvghma, iJstorivh; in latino fabula, fabella, enarratio, historia, res ficta, exemplum fictum, argumentum. Rispetto alle denominazioni antiche e alle soluzioni proposte nel tempo, un momento di consenso dei critici sta nel ricorso ai termini moderni di ‘romanzo’ e ‘novella’, in quanto l’anacronismo viene compensato dalla flessibilità delle definizioni, in grado di abbracciare tutte le possibilità di sviluppo narrativo. Rimane tuttavia aperto un problema: nel 9 La narrativa greca in frammenti è raccolta in S. A. Stephens – J. J. Winkler, Ancient Greek Novel. The Fragments, Princeton 1995. 10 Si pensi in part. all’episodio di Encolpio-Polieno e Circe nonché alla rampogna parodica, quasi-omerica e centonaria virgiliana, rivolta da Encolpio allla parte del corpo che lo ha tradito in Petron. 126-133.. 11 Per es. l’episodio di Didone rivive, degradato e umoroso, nella novella della Matrona di Efeso (Petron. 111-112). 5 © 2014 Gian Franco Gianotti, Club di Cultura Classica “Ezio Mancino” ONLUS Satyricon troppi episodi e troppi ingredienti narrativi appaiono parodia di situazioni presenti nel romanzo d’amore e d’avventura, documentato – si sa - da opere posteriori all’età di Nerone. Il paradosso cronologico è innegabile e fornisce qualche motivazione a quanti collocano l’autore del Satyricon dopo la fine del II sec. d. C. Ma l’elenco dei ‘luoghi comuni’ tra testo latino e testi greci più tardi è iniziato e s’è sviluppato tra gli studiosi che non dubitano della paternità del Petronio neroniano. Dall’elenco si ricava che il motivo delle serie vicissitudini della coppia eterosessuale di amanti, costante nel romanzo greco, si trasforma nelle poco serie peripezie di coppie o terzetti di amanti omosessuali; si prosegue con la parodia dell’ira divina, con contorno di dettagli inseriti in giochi di specchi deformanti: descrizioni di opere d’arte con scene amorose; baci come fusione di anime; amori sotto coperte o mantelli; elogio dell’incarnato dell’amante (femmina o maschio, poco importa); fedeltà e infedeltà degli amanti; amici veri e falsi; presenza ed eliminazione di rivali in amore; processi e monologhi; scene di folla e assemblee popolari; viaggio per mare, tempesta e naufragio; finti suicidi e morti apparenti; elogio del partner e della sua stirpe; scambi epistolari; sogni simili sognati da più sognatori. Bene: fino agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, alla luce dei dati allora in possesso, era convinzione che il Petronio neroniano avrebbe dovuto conoscere solo i cosiddetti romanzi di Esopo e di Alessandro Magno, le Milesiae di Aristide tradotte da Sisenna, le Menippee di Varrone, i frustuli del Romanzo di Nino e gli spunti raccolti negli Erotikà pathémata di Partenio di Nicea (I sec. a.C.). Pertanto si congetturava l’esistenza di altra letteratura di intrattenimento, perduta per i moderni ma da cui l’autore del Satyricon e gli autori del ‘romanzo greco’ avrebbero attinto situazioni topiche da sfruttare liberamente, in prospettiva seria oppure comica e parodistica. Tale congettura ha assunto contorni reali dopo che nel 1971 è stato reso noto un papiro proveniente dalle sabbie egiziane di Ossirinco che conserva frammenti prosimetrici sulle avventure omoerotiche di due personaggi del mito, Eracle e il proprio scudiero, il nipote-eromenos Iolao12. Il papiro è del I sec. a.C.: la narrazione, nota come Romanzo di Iolao, per quanto parziale e mal conservata, descrive o evoca, per via di allusioni, storie di sesso (ambivalente) non troppo dissimili da quelle del Satyricon e presenta la medesima mistione di prosa e poesia. Sussistono dunque pochi dubbi sull’esistenza di una letteratura d’intrattenimento in lingua greca in grado di fornire confronti, almeno per qualche contenuto, con quanto rimane del Satyricon. Ultimo punto: nel Romanzo di Iolao i protagonisti sono personaggi noti, certificati dal mito, dall’epica e dal teatro: di Eracle, in particolare, si conoscono sia i meriti connessi con le Dodici Fatiche sia le innumerevoli avventure amorose, etero- e omosessuali, nonché la bulimía cara alla commedia. Di contro la narrativa in prosa declassa, sì, avventure e amori dalla sfere del mito e della storia alle cronache di tutti i giorni, ma si trova a fare i conti con personaggi privi dell’identità e dello statuto sociale garantiti dai grandi generi letterari (storiografia, epica, tragedia). Ricorre perciò a un espediente già sperimentato dalla commedia, l’assegnazione ai personaggi di ‘nomi parlanti’, veri e propri documenti d’identità che riscattano dalla folla degli sconosciuti i protagonisti, non altrimenti ‘riconoscibili’, di vicende quotidiane di basso profilo. Come Evelpide e Diceopoli in Aristofane, come Pirgopolinice o Pseudolo nel teatro plautino, così i personaggi del Satyricon portano nel nome la propria identità e il proprio destino. Qualche esempio chiarisce ragioni ed effetti di tali denominazioni: per Agamemnon rhetor et Menelaus antescholanus i nomi greci si riferiscono alla saga degli Atridi e ai temi tragici delle declamationes idelle scuole di retorica; Encolpius, trascrizione del greco jEgkovlpioı (dall'espressione ejn kovlpw/, "in seno", col valore di "favorito") è nome di amasio; Ascyltus (a[skultoı, "instancabile") è spiegato dall’esclamazione o 12 POxy 3010 (testo in The Oxyrinchus Papyri 42, 1974, 34-41 e Stephens – Winkler, cit., 1995, 368-370). 6 © 2014 Gian Franco Gianotti, Club di Cultura Classica “Ezio Mancino” ONLUS iuvenem laboriosum! in Petron. 92, 9, là dove se ne esaltano le dimensioni inguinali (inguinum pondus tam grande ...); Giton (geivtwn, "vicino"), troppo vicino a chiunque; Trimalchio è nome composto dal prefisso intensivo tri- ("tre volte") e malcivwn, diminutivo di mavlcoı, calco di radice semitica che significa "potente, signore" (cfr. Malchus, Melchior, Moloch), con allusione all’origine del personaggio (cf. Petron. 75, 10: ex Asia veni) e probabile valenza caricaturale; Eumolpus (eu[molpoı, "bravo cantore"), nome del mitico cantore figlio del dio Posidone e iniziatore dei misteri di Eleusi, qui ha sicura valenza caricaturale e antifrastica, perché assegnato a un vecchio poetastro che si segnala soprattutto per battute salaci e non sopiti appetiti sessuali. Si può concludere osservando come temi e motivi che il testo del Satyricon superstite condivide con altre tradizioni siano sempre sottoposti a metamorfosi di intenzionali e intelligenti parodie. In particolare, la scelta di far agire un terzetto di innamorati omosessuali in continuo e caleidoscopico sommovimento secondo capricciose scomposizioni e ricomposizioni (rispetto, s’intende, alla coppia di amanti eterosessuali degli erotici scriptores o alla coppia omoerotica del Romanzo di Iolao) impone impreviste dinamiche d’amore e d’avventura in grado di scardinare l’intero sistema letterario e piegarlo a nuovi assetti divertiti e divertenti. 4. Erudizione, riscritture, riprese. La ricezione moderna del Satyricon, giunto pesantemente frammentaria, è scandita da periodici annunci di ritrovamenti di nuove porzioni testuali e da inevitabili discussioni sulla reale o fasulla autenticità di quanto portato alla luce da fortunati o troppo audaci scopritori. Si tratta di fenomeno destinato a ripresentarsi ogni volta in cui compaia o ricompaia una particola di antichi autori, ma pittosto ricorrente nella storia del testo petroniano. Nel 1629 l’umanista iberico José Antonio González de Salas inaugura la ricerca (fittizia) di presunti supplementi testuali e pubblica a Francoforte l’Extrema editio del Satyricon, con l’aggiunta di un piccolo numero di supplementi latini ritrovati, a suo dire, in una imprecisata edizione precedente. In merito nulla compare nelle edizioni parigine note; la tentazione di incrementare le pagine di Petronio sembra nascere da duplice suggestione: la voglia di colmare le lacune di un testo mal conservato; il precedente di Cidi Hamete Benengeli, il presunto autore arabo da cui deriverebbe l’essenziale della storia di Don Chisciotte, come Cervantes dichiara dal capitolo IX della I Parte del romanzo, riprendendo un espediente del poema cavalleresco, cioè la cronaca di Turpino vescovo di Reims, fonte fittizia delle vicende di Orlando secondo Pulci, Boiardo e Ariosto. L’edizione di González de Salas è ristampata nel 1643, alla vigilia di una scoperta – questa volta reale che cambia in maniera definitiva ricezione ed esegesi del testo petroniano. Nel 1649 (o poco prima) viene recuperato a Traù, l’antica Tragurium, in Dalmazia un codice miscellaneo di provenienza fiorentina che riporta, tra l’altro, il grande frammento noto come Cena Trimalchionis (ff. 206-229 = Satyricon 26, 7 – 78, 8). La scoperta del codex Traguriensis è attribuita al dalmata Marin StatiliĆ (Marinus Statileus o Statilius), doctor iuris nell’Università di Padova; e appunto a Padova esce, nel 1664, l’editio princeps della Cena Trimalchionis, seguita da vivaci discussioni sull’autenticità del ritrovamento. La disputa si risolve a favore dell’autenticità: decisiva è la presenza della sezione iniziale della Cena (Satyricon 27-37, 5) in altri manoscritti. A partire da tale constatazione si sono riconosciute a Petronio raffinate capacità mimetiche nel rappresentare il contrasto linguistico (e sociale) tra sermo vulgaris e lingua dei dotti. Succede così che a 20 anni 7 © 2014 Gian Franco Gianotti, Club di Cultura Classica “Ezio Mancino” ONLUS dalla scoperta della Cena compaia finalmente la prima edizione del testo petroniano risultante da tutte le classi di testimoni riconosciuti: il volume esce ad Amsterdam nel 1669 per i tipi di Jean Blaeu, editore noto, ma a firma di un curatore sconosciuto, Michael Hadrianides, personaggio del tutto ignoto oppure pseudonimo mai spiegato. Insomma: il Petronio riconosciuto e accettato è messo a disposizione dei lettori europei da parte di un illustre sconosciuto; bisogna attendere altri 40 anni e passare attraverso numerose edizioni - anche purgate - e rappresentazioni sceniche di corte, per giungere alla grande edizione dell’olandese Pieter Burman, che accompagna il testo con le proprie note e una ricca antologia di studiosi e commentatori (Utrecht 1709). Nell’intervallo si ripropone, con nuovi protagonisti e nuove località (sempre d’area balcanica), una storia di nuove scoperte: nel 1692 François Nodot (1650-1710), ufficiale di ventura e poligrafo, annuncia all’Accademia di Francia d’essere in possesso di un manoscritto petroniano trovato nel 1688 durante l’assedio di Belgrado (Alba Graeca). Il manoscritto conterrebbe porzioni di testo latino sino ad allora ignote: l’anno successivo Nodot pubblica a Parigi – anche se il frontespizio reca l’indicazione di Rotterdam - l’edizione del presunto petronio completo col titolo Titi Petronii Arbitri Satyricon, cum fragmentis Albae Graecae recuperatis nunc demum integrum. Incremento del testo e ‘modernità’ dell’autore (nonché del falsario) provocano numerose ristampe, corredate dalla Traduction entière e aperte da una Vie de Pétrone che amplifica le notizie ricavate da Tacito; le parti esegetiche, poi, puntano su motivazioni edificanti, in quanto l’opera è considerata satira della depravazione della corte di Nerone, identificato con Trimalchione, mentre il retore Agamennone sarebbe controfigura di Seneca. Non sorprende la nascita di una fitta discussione sull’autenticità dei nuovi frammenti, ma questa volta il verdetto è negativo: le ‘parti ritrovate’ appaiono frutto dell’immaginazione di Nodot, che iscrive il proprio nome a pieno titolo, come falsario petroniano, nella storia della Literary Forgery; falsario di tutto rispetto, dato che la sua edizione è periodicamente ristampata. Di passaggio va detto che dell’originale di Petronio-Nodot non è necessario offrire la riproduzione, in quanto è accessibile on-line (books.google.it). Piuttosto bisogna dire che nella cornice della “Querelle des Anciens et des Modernes” si finisce per collocare il Satyricon in area di confine, dove il testo sembra affrancarsi dall’origine antica e si accosta alle opere dei Modernes per varietà di stile e venatura anticlassica delle vicende narrate. Vale inoltre la pena segnalare, come ulteriore fase della fortuna di Petronio, la fitta schiera di autori moderni su cui il Satyricon ha esercitato ed esercita influenza e suggestioni, schiera che contempla, tra gli altri, Anatole France, Charles-Marie-Georges Huysmans, Oscar Wilde, Francis Scott Fitzgerald, Thomas Stearns Eliot, Henry Miller, Pier Paolo Pasolini, Alberto Arbasino, Gore Vidal. Se si resta nell’ambito delle contraffazioni, si prende atto che, oltre un secolo dopo il manoscritto di Nodot, fa la sua comparsa un presunto manoscritto rinvenuto nella Biblioteca elvetica di San Gallo: è reso di pubblico dominio dall’iberico José Marchena Ruiz de Castro (1768-1821?), ex religioso riparato in Francia, vicino a Marat, poi ai Girondini, infine a Bonaparte. Presente a Basilea al seguito del generale Moreau, Marchena studia la sessualità antica e conia un nuovo frammento petroniano atto a mostrare l’audacia dell’erotismo romano, attribuendo versione francese e note a un fantomatico teologo di nome Lallemand. Una riedizione spagnola del 2007 testimonia che il Petronio di Marchena continua a far ancora parte delle biblioteche di oggi. Nell’ultimo decennio due ulteriori esempi. Nel 2003 Ellery David Nest, pseudonimo d’un improbabile professor emeritus di ignoti Atenei americani, pubblica a proprie spese la versione inglese di frammenti petroniani trovati nel 1995 a Morazla in Bosnia (sempre il fascino dei Balcani!), prologo a quanto si legge all’inizio del Satyricon superstite e sguardo indiscreto sulle perversioni dell’antica Roma. Al falso prologo corrisponde un falso epilogo, pubblicato da Andrew 8 © 2014 Gian Franco Gianotti, Club di Cultura Classica “Ezio Mancino” ONLUS Dalby, redattore di Wikipedia, nel 2005 sulla rivista «Gastronomica» dell’Università della California: poche pagine in cui il retore Agamennone narra di un banchetto offerto da Encolpio e immaginato a Marsiglia (patria probabile del vero Petronio) un paio di decenni dopo l’episodio di Crotone. La tentazione di produrre ulteriori frammenti e inventare nuove porzioni del testo di Petronio non sembra avere fine. 5. Nota bibliografica Edizioni, traduzioni, commenti. M. Hadrianides, T. Petronii Arbitri Satyricon, cum Fragmento nuper Tragurii reperto. Accedunt diversorum Poetarum Lusus in Priapum. Pervigilium Veneris, Ausonii cento nuptialis, Cupido crucifixus, Epistolae de Cleopatra, & alia nonnulla. Omnia Commentariis, & Notis Doctorum Virorum illustrata, Amstelodami (Amsterdam) 1669. P. Burman (Burmannus,1668-1741), T. 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