R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO

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R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO
R E PU B B LI CA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
L’avv. **** , Giudice di Pace di ****, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al N° ****/*** R.G. ,
PROMOSSA DA
****, nato a. ***il ***, res. In ***, Via *** cod. fisc ***, elettivamente domiciliato in *** Via ***, presso lo studio dell’avv. Avv. *** -C.F *** - che lo
rappresenta e difende giusta procura a margine dell’atto introduttivo del giudizio
-AttoreCONTRO
****., in persona del suo legale rappr. pro tempore, corrente in ***, cod. fisc. *** p.iva ***, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. *** c.f. ***.
in che la rappresenta e difende giusta procura in calce alla copia dell’atto di citazione notificato
-Convenuta****, nata a *** il ***, cod. fisc. ***, res. In *** Via ***
-Convenuta-ContumaceOGGETTO: Risarcimento danni da circolazione stradale.
Conclusioni delle parti: Per come riportate negli scritti difensivi e nei verbali di causa.
La stesura della presente sentenza segue quanto disposto dall’art. 132 c.p.c. come modificato dall’art. 45, comma 17, della legge n° 69/09.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, il Signor **** conveniva innanzi a questo Giudice la ****. Ass,ni , in persona del suo legale rappresentante pro
tempore e la Signora **** per ivi sentirle condannare, con il vincolo della solidarietà, al risarcimento delle lesioni fisiche patite in conseguenza di sinistro
stradale.
Esponeva il suo procuratore che:
- il giorno **/**/****, alle ore **.** circa, il Signor **** alla guida dell’autovettura ****, tg. **** di proprietà di **** percorreva, moderatamente, la
Tangenziale Ovest, in Catania;
-giunto all’altezza dello svincolo *******, veniva tamponato dall’autovettura **** tg. **** di proprietà di **** proveniente da tergo;
-in seguito all’urto, l’autovettura ****s, sbalzando in avanti, tamponava l’autovettura***, tg. ****, di proprietà e condotta da ****, che la precedeva,
riportando, così, danni, sia alla parte posteriore che su quella anteriore e lesioni l’attore; lesioni per le quali, veniva condotto al P.S. dell’Ospedale ****** ed
ivi refertato.
Dimesso, curato a casa ed ambulatoriamente, alla malattia erano residuati postumi invalidanti, nella misura del 2% circa, oltre ad aver patito per la guarigione
clinica completa gg. 20 di ITT e gg. 20 di ITP;
-la ****Ass.ni S.p.A., riconosciuta la responsabilità esclusiva del proprio assicurato, inviava la somma di € 1.380,00 omnia (1.150,00+230,00), a titolo di
offerta del risarcimento dei danni materiali mentre nulla disponeva per le lesioni dell’attore, pur essendo stato lo stesso sottoposto a visita medico-legale in data
16/12/2013 dalla Dott ****;
-essendo rimasta inevasa la Racc. A.R. **** del 03/05/2013 e poichè la responsabilità dell’incidente era da attribuirsi, solo ed esclusivamente, al c onducente
l’autovettura ****, tg. ****, di proprietà di ****, quest’ultima, unitamente ed in solido alla ****Ass.ni S.p.A., istituto assicuratore di quest’ultima autovettura,
in persona del Suo leg. rappr. pro-tempore,era tenuta al risarcimento dei danni fisici, tutti patiti dall’attore.
Conclusioni
reiectis adversiis, ritenere e dichiarare l’esclusiva responsabilità, nella produzione dello evento del conducente l’autovettura ****, tg. ****, di proprietà di
**** , conseguentemente, condannarla, unitamente ed in solido alla **** Ass.ni S.p.A., in persona del Suo leg. rappr. pro-tempore, al risarcimento dei danni
fisici, tutti patiti dall’attore.
Liquidare tali danni nella complessiva somma di € 5.166,26, così appresso specificata: € 2.665,70 per il danno biologico da IP(2%); € 924,00 per il danno
biologico da ITT(gg.20);
€ 462,00 per il danno biologico da ITP(gg.20); € 650,00 per il danno morale, o più esattamente il ristoro, nell’ambito
della categoria generale del danno non patrimoniale, di quel tipo di pregiudizio sino ad oggi risarcito come danno morale; € 455,56 per le spese mediche
documentate ed € 9,00 per le spese sostenute per il rilascio del certificato P.R.A.; oltre agli interessi legali dal fatto al soddisfo.
Vittoria di spese, competenze ed onorari, oltre IVA e CPA, da distrarsi, ex art. 93 c.p.c., a favore del sottoscritto procuratore per aver anticipato le prime e non
riscosso i secondi.
In caso di soccombenza della **** Ass.ni si chiede che copia della sentenza venga inviata all’ Ivass ex art. 148 n.10 c.d.a.”
Si costituiva la **** Assicurazioni, la quale evidenziava che non aveva opposto nessuna contestazione in relazione alla responsabilità dell’incidente accaduto
ed aveva,quindi, provveduto a risarcire i danni materiali al mezzo attoreo danneggiato .
Contestava il quantum debeatur in quanto dall’esito degli accertamenti stragiudiziali non erano emersi elementi tali da giustificare il ristoro delle lesioni
lamentate ; nello specifico, dalla visita medico-legale, effettuata dalla dott.ssa **** si evinceva che i postumi invalidanti “ cervicalgia post traumatica” erano di
lieve entità e, quindi, a norma dell’art.32 ter e quater della legge 24 Marzo 2012 n. 27 non risarcibili. Precisava che sarebbe stato onere di parte attrice fornire
prova rigorosa circa il verificarsi dell’incidente secondo le modalità e i termini di cui all’atto introduttivo del giudizio nonché del nesso diretto di
consequenzialità tra l’asserito scontro e le lesioni asseritamente subite .
Conclusioni
-Rigettare la domanda attorea perché infondata sia in fatto che in diritto.
Spese e compensi
In subordine:
-dichiarare non superata la presunzione di pari concorso ex art. 2054 co. 2 c.c. e conseguentemente dire che l’incidente si è verificato anche per colpa e
responsabilità dell’attore,nella misura che sarà accertata in corso di causa.
Spese e compensi.
Ammessa ed esitata CTU medica ,sono state alla udienza del **** precisate le conclusioni e depositate note autorizzate e dalla difesa attorea nota spese.
In tale sede quest’ultima ha istanziato per la trasmissione della emittenda sentenza all’Ivass ex art. 148, N°10, a motivo della mala gestio della ****
Assicurazioni per violazione, rispettivamente dell’art. 148 comma 2 C.d.A. e delle norme che disciplinano l’accesso dei contraenti e dei danneggiati agli atti
delle imprese di Assicurazioni, ed ex art. 146 Dlgs 209/2005 e D.M. 29/10/2008, n°191.
Segnatamente alla violazione dell’art. 148 comma 2, dlgs 209/2005, ha evidenziato che la **** Ass.ni, durante la fase stragiudiziale, dopo aver istruito il
sinistro ed aver liquidato il danno materiale, negava l’invio di un offerta per le lesioni subite dall’attore, con la seguente motivazione: “ Le comunichiamo che
non riteniamo di formulare alcuna offerta di risarcimento poiché gli accertamenti clinici strumentali non hanno evidenziato postumi di natura permanente”.
Secondo le interpretazioni “ultrarestrittive” della **** Ass.ni, poiché il loro medico fiduciario(Dott.****) in sede di visita medico-legale non aveva individuato
la sussistenza di postumi invalidanti a carattere permanente, al danneggiato non spettava alcunchè, né il risarcimento del danno da ITT(quantificato, peraltro
dalla loro fiduciaria, in gg. 15 al 75%), né il risarcimento del danno da ITP ( quantificato dalla stessa in gg. 15 al 50%), né il rimborso delle spese mediche
documentate(€ 372,00 ritenute congrue e compatibili sempre dalla loro fiduciaria), né tantomeno il danno morale.
Indi la causa è stata introitata a sentenza.
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MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente viene evidenziato che è stata regolarmente assolta la condizione di proponibilità dell’azione prevista dal Dlgs. 209/95 , avendo l’attore
formulato richiesta risarcitoria con Racc. A.R. del **/**/**** alla **** Ass.ni , che copriva la r.c.a. dell’autovettura **** targata **** al momento del
sinistro, e proposto l’azione per il risarcimento dei danni dopo il decorso dello spatium deliberandi cogitationisque.
Sull’an debeatur, il contesto del quadro probatorio offre elementi certi per la esclusione di accollo di responsabilità nella genesi verificatoria del sinistro a
carico dell’attore.
Sull’onere della prova e c.d. principio dell’acquisizione.
Il principio dell’onere della prova non implica affatto che la dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto preteso debba ricavarsi esclusivamente dalle prove
offerte da colui che è gravato dal relativo onere, senza poter utilizzare altri elementi probatori acquisiti al processo, poiché nello ordinamento processuale vige
il principio di acquisizione secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono
formate, concorrono tutte, indistintamente alla formazione del convincimento del giudice senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione
in un senso o nell’altro e, quindi, senza che possa escludersi l’utilizzazione di una prova fornita da una parte per trarne elementi favorevoli alla controparte
( Cass. 25 Sett. 1998 n. 9592).
Nella comunicazione di offerta della **** Assicurazioni è testualmente riferito “ dagli accertamenti svolti la responsabilità del nostro assicurato è stata
determinata nella misura del 100%”.
Sono da ritenere pertanto innegabili la verificazione del fatto storico e le modalità dell’accadimento.
Il determinismo dell’evento è da ascrivere esclusivamente al conducente del veicolo **** , tg.****, il cui conducente **** , non riuscendo ad arrestare per
tempo la propria marcia, tamponava la **** che per l’urto ricevuto veniva proiettata contro la **** targata ****.
In difetto di apporto probatorio tale da fare individuare profili di responsabilità a carico di **** che attendeva alla guida del veicolo attoreo, deve ascriversi, in
via esclusiva, la genesi verificatoria del sinistro alla condotta di guida del conducente del veicolo **** , tg. **** contraria alle norme generiche e specifiche
che regolano la circolazione, causativa del danno posto a fondamento della domanda introduttiva, rivelatasi come circostanza esclusiva per la verificazione
dell’evento stesso.
Per il disposto dell’art. 149 c.d.s., il conducente di un veicolo deve essere in grado di garantire in ogni caso l’arresto tempestivo del mezzo, evitando collisioni
con il veicolo che precede.
“In caso di tamponamento tra veicoli – che si verifica anche quando il contatto tra il veicolo tamponato ed il tamponante sia soltanto parziale – per il disposto
dell'art. 107 del codice della strada ( oggi 149 c.d.s) il conducente di un veicolo deve essere in grado di garantire in ogni caso l'arresto tempestivo del mezzo,
evitando collisioni con il veicolo che precede. Pertanto, l'avvenuta collisione pone a carico del conducente medesimo una presunzione de facto di inosservanza
della distanza di sicurezza, con la conseguenza che, non potendosi applicare la presunzione di pari colpa di cui all'art. 2054 comma 2 c.c., egli resta gravato di
dare l'onere della prova liberatoria, dimostrando che il mancato tempestivo arresto dell'automezzo e la conseguente collisione sono stati determinate da cause
in tutto o in parte a lui non imputabili” (Cassazione Civile, Sez. III, 15 febbraio 2006, n. 3282).
Il consolidato principio secondo il quale, in tema di scontro tra veicoli о di applicazione dell'art. 2054 c.c., l'accertamento in concreto della colpa di uno dei
conducenti non comporta di per sè il superamento della presunzione di colpa concorrente dell'altro,all'uopo occorrendo che quest'ultimo fornisca la prova
liberatoria, ovvero la dimostrazione di essersi uniformato alle norme sulla circolazione e a quella della comune prudenza e di essere stato messo in condizioni
di non potere fare alcunché per evitare il sinistro, non può essere inteso nel senso che, anche quando questa prova non sia in concreto possibile e sia
positivamente accertata la responsabilità, di uno dei conducenti per avere tenuto una condotta in sè del tutto idonea a cagionare l'evento, l'apporto causale
colposo dell'altro conducente debba essere, comunque, in qualche misura riconosciuto ( Cass. 17.9.2010 n. 19816)
La proposta domanda è pertanto meritevole di accoglimento e va riconosciuto all’attore il diritto di essere integralmente risarcito
nei termini appresso specificati.
QUANTUM DEBEATUR:
Sulla risarcibilità delle lesioni alla persona di lieve entità giusta legge n. 27/2012
Il pensiero di Settimio Catalisano e Angelo Massimi Perrini in vexata quaestione
“Con la Legge 24 marzo 2012, n. 27 in sede di conversione del D.L. 1 del 24 gennaio 2012 sono state apportate due aggiunte alla normativa vigente in tema
di danno alla persona, che peraltro nel suo impianto generale non è stata modificata.
In particolare nel testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale (GU n. 71 del 24-3-2012 - Suppl. Ordinario n. 53) si legge che all’art. 32 del decreto legge dopo il
comma tre sono stati aggiunti i seguenti periodi di testo identificati come 3 ter e 3 quater:
3-ter. “Al comma 2 dell'articolo 139 del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e' aggiunto, in fine, il seguente
periodo: "In ogni caso, le lesioni di lieve entità', che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a
risarcimento per danno biologico permanente";
3-quater. “Il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all'articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e' risarcito solo a seguito di
riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l'esistenza della lesione.”
Sia dalla analisi del testo che dalla lettura del coordinato delle norme pubblicato in Gazzetta è evidente che la incidenza della norma del numero 3 ter è tale
da non modificare l’art.139 nella sua portata generale descrittiva e precettiva, essendosi limitato il legislatore a inserire la nuova norma senza modificare la
definizione di danno biologico che è portata dal numero 2 del 139.
Di seguito il testo del 139 del Codice delle Assicurazioni come risulta dopo l’aggiunta del 3-ter
Art. 139. (Danno biologico per lesioni di lieve entità)
1. Il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità, derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, è effettuato
secondo i criteri e le misure seguenti:
a) a titolo di danno biologico permanente, è liquidato per i postumi da lesioni pari o inferiori al nove per cento un importo crescente in misura più che
proporzionale in relazione ad ogni punto percentuale di invalidità; tale importo è calcolato in base all'applicazione a ciascun punto percentuale di invalidità
del relativo coefficiente secondo la correlazione esposta nel comma 6. L'importo così determinato si riduce con il crescere dell'età del soggetto in ragione dello
zero virgola cinque per cento per ogni anno di età a partire dall'undicesimo anno di età. Il valore del primo punto è pari ad euro seicentosettantaquattro virgola
settantotto;
b) a titolo di danno biologico temporaneo, è liquidato un importo di euro trentanove virgola trentasette per ogni giorno di inabilità assoluta; in caso di inabilità
temporanea inferiore al cento per cento, la liquidazione avviene in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno.
2. Agli effetti di cui al comma 1 per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di
accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita
del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito.
In ogni caso, le lesioni di lieve entità', che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per
danno biologico permanente.
3. L'ammontare del danno biologico liquidato ai sensi del comma 1 può essere aumentato dal giudice in misura non superiore ad un quinto, con equo e
motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.
4. Omissis
…
L’art. 3-quater: una monade priva di inquadramento sistematico
Dalla lettura sia della legge di conversione che del testo coordinato in Gazzetta Ufficiale non è dato comprendere quale sia l’inquadramento sistematico della
“norma” portata del 3-quater.
2
Infatti nel testo che risulta in Gazzetta Ufficiale, a differenza di quello circolato su un quotidiano, l’art. 3-quater non risulta avere direttamente modificato il
testo dell’art. 139.
Poiché tale circostanza è confermata dalla lettura del testo coordinato non appare possibile dare valenza sistematica alla norma risultando pertanto
pienamente giustificate sul punto le critiche svolte parte di taluni che hanno vanamente osservato:
“Al riguardo si ritiene opportuno un chiarimento della portata delle disposizioni, considerando che le due norme presentano un campo di applicazione
comune, ma sembrano contenere profili contradditori. Infatti, mentre il comma 3-ter esclude il risarcimento del danno biologico “permanente” nel caso in cui
le lesioni non siano suscettibili di “accertamento clinico strumentale obiettivo”, il comma 3-quater ammette il risarcimento (senza specificare se a titolo di
danno biologico permanente o temporaneo) qualora vi sia un riscontro medico legale da cui risulti “visivamente” o strumentalmente accertata l’esistenza della
lesione.”
La vulgata mediatica (“non si paga più…”) e i principi generali del diritto
Le norme in materia di micro permanenti introdotte in sede di conversione di decreto legge ed estranee all’oggetto dello stesso, in violazione pertanto dell’art.
77 (come chiarito dalla Corte costituzionale con la fondamentale sentenza 22/2012) sono state annunciate come interventi volti a “non pagare più i colpi di
frusta” al dichiarato scopo di consentire alle imprese assicurative “risparmi” ipoteticamente finalizzati alla “riduzione dei premi assicurativi”. A prescindere
dal merito si tratta comunque di considerazioni prive di giuridico fondamento frutto perverso di intrecci tra incultura giuridica, degrado legislativo e plateali
pressioni lobbistiche.
Ancora più chiaramente e semplicemente: un tale disegno non si può realizzare ne si potrà mai imporre nel sistema giuridico italiano, dove chi rompe paga
(art. 2043 codice civile), se chi rompe è il proprietario di un veicolo assicurato per la responsabilità civile (art. 1917 codice civile) costui, oltre ad essere
obbligato a risarcire i danni, ha anche l’obbligo di assicurare (art. 122 cod. ass.) il proprio veicolo. Specularmente chi viene danneggiato da quel veicolo
assicurato ha il diritto - che nessuno può togliergli anche in forza della normativa comunitaria - di farsi risarcire ( e non già indennizzare) direttamente
dall’assicuratore, esercitando se del caso l’azione diretta (art. 144 cod. ass.) nei confronti della compagnia del civile responsabile.
Occorre poi ricordare che l’obbligo di stipulare la garanzia RC auto non è certo un “aiuto di stato” introdotto per garantire quote di mercato alle imprese di
assicurazione, ma al contrario è una garanzia posta a tutela dei danneggiati e delle vittime della strada che, solo con un sistema di RC obbligatoria, hanno la
garanzia di ottenere sempre e comunque un risarcimento che diversamente non sarebbe garantito nell’ipotesi che detto risarcimento rimanesse a carico
esclusivo del responsabile del sinistro stradale il quale, in ipotesi, potrebbe anche essere soggetto non solvibile.
In altre parole, nonostante le difformi intenzioni del legislatore e gli interessati auspici delle imprese, i risarcimenti che l’assicuratore per la la RC auto è
tenuto a erogare al danneggiato, non possono essere di natura e di entità differente rispetto a ogni altro risarcimento per fatto illecito.
Non è quindi giustificabile la pretesa dell’assicuratore per la rc auto di risarcire il danno alla persona in misura inferiore rispetto a quanto avviene in forza dei
generali criteri della responsabilità civile, dal momento che anche la garanzia rc auto prevista dall’art.122 del codice delle assicurazioni rientra tra le quelle
disciplinate all’art. 19171 del codice civile e come tale non ammette franchigie o limitazioni di sorta. Difatti la polizza rc auto, per disposizione codicistica,
garantisce l’assicurato responsabile di quanto questi in conseguenza del fatto del quale è responsabile deve pagare al terzo danneggiato.
Nessun mutamento “per legge” della criteriologia medico legale nella RC auto
Occorre chiarire però che il lobbista che ha vergato i testi poi divenuti “legge dello Stato” ha fatto, comunque, un pessimo lavoro; anche se l’obiettivo che si
era dato, non risarcire più i postumi permanenti da distrazione del rachide cervicale, ma solo in rc auto, era come si è visto impossibile da raggiungere il
lavoro fatto resta inutile per molte ragioni.
In particolare va ribadito che la definizione di danno biologico del primo comma del 139 del codice delle assicurazioni non è stata modificata e tale danno
resta dunque definito come la “lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica
un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni
sulla sua capacità di produrre reddito”.
Si tratta di una definizione che ha avuto peraltro capacità espansiva ben oltre il settore della rc auto come definitivamente consacrato dalla Cassazione a
Sezioni Unite nelle note sentenze di S.Martino. Poiché dunque non è mutata la definizione di danno biologico rimane sempre compito del medico legale
accertare la eventuale esistenza di un danno permanente e/o temporaneo quale esito di una lesione alla integrità psicofisica di un soggetto.
Quindi un primo dato di fatto: non è stata introdotta nessuna norma tale da costringere la medicina legale ad utilizzare criteriologie difformi rispetto a quelle
validate dalla comunità scientifica: resta ovviamente conforme alla norma procedere con il consueto accertamento valutativo.
La confusione del legislatore: la “lesione lieve” che “non da luogo a risarcimento”. Il ruolo del medico legale: l’apprezzamento del pregiudizio e non il
risarcimento.
Come si è visto neanche il lobbista, benché fattosi legislatore, è stato in grado di sostenere che situazioni strumentalmente non accertabili debbano
meccanicamente costituire assenza di danno biologico poiché, e non potrebbe essere diversamente, è diretta competenza del medico legale la espressione di un
appropriato giudizio tecnico. Se dunque l’innominato “colpo di frusta” non può essere abolito per legge, così come non è possibile mutare per decreto la
criteriologia medico legale, il legislatore tenta comunque confusamente di chiarire che “in ogni caso le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di
accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente”.
E qui il legislatore redige una norma errata sotto diversi profili: innanzitutto è sbagliata la tecnica di redazione che ha generato una norma pleonastica priva
di valore precettivo. Infatti la dicitura “in ogni caso” ha valore ricognitivo del quadro generale normativo preesistente e non permette di far discendere dalle
parole che la seguono alcuna modifica sostanziale di quel quadro.
Ma vi è di più: la norma è priva di senso anche nel suo significato tecnico letterale dal momento che ovviamente non è “ la lesione” che “da luogo a
risarcimento per danno biologico permanente” bensì gli esiti, la cui valutazione è sempre demandata alla preparazione del medico legale.
E’ dunque parimenti insensato il riferimento che compare nel testo alla “lesione di lieve entità” intesa come evento che da luogo a danno biologico
permanente, a meno che, stravolgendo il testo della norma, con un inammissibile volo interpretativo, si intenda per lesione di lieve entità il postumo della
stessa che, a dire del redattore del testo del 3-ter, se “di lieve entità” non “da luogo” a risarcimento a meno che “non sia suscettibile di accertamento clinico
strumentale obiettivo”.
Ma anche cosi la norma non si tiene: per valutare se la lesione, rectius: il postumo consolidato, è “lieve”, occorre provvedere ad accertarne esistenza ed entità
e quindi secondo il legislatore dovrebbe accadere che il medico legale debba accertare l’esistenza di postumi di distrazione del rachide di lieve entità, magari
valutati secondo i vigenti barhemes ministeriali del 2003, in < 2% perché come previsto dal DPR non strumentalmente accertabili.
Sempre il medico legale dovrebbe, in un successivo momento logico della propria attività valutativa, chiarire se quei postumi di lieve entità (in ipotesi 2%) che
il legislatore chiama “lesioni di lieve entità” siano o meno suscettibili di “accertamento clinico strumentale obiettivo”.
E così per successive approssimazioni si arriva ad una ulteriore criticità, vale a dire cosa debba intendersi per “ accertamento clinico strumentale obiettivo”,
oltre che, problema non da poco, se il fantomatico accertamento debba essere relativo alla lesione o ai postumi.
Ci si limita ad osservare che se il legislatore avesse voluto, inammissibilmente, subordinare il “riconoscimento” di postumi risarcibili al riscontro strumentale,
non avrebbe scritto le parole “accertamento clinico”.
Così chiariti i passaggi il ruolo del medico legale arriva a conclusione. Se richiesto di un parere in materia di rcauto, in ipotesi di esiti di trauma del rachide,
non dovrà dunque sostenere l’inesistenza di quei postumi che fino a ieri venivano pacificamente valutati ma, a secondo della interpretazione della norma che
avrà ritenuto più convincente, potrà continuare ad operare con i medesimi criteri valutativi ante Legge 27/2012 continuando a utilizzare i barhemes del dpr
2003.
E’ infatti evidente, quale che sia il significato che si voglia dare alla disposizione secondo la quale “i n ogni caso le lesioni di lieve entità', che non siano
suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente” che il ruolo del medico
legale non è stato toccato dalla norma che si limita a chiarire che le “lesioni lievi ” o forse i “postumi lievi” delle stesse non “danno luogo” a risarcimento.
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La norma non è dunque indirizzata al medico che continua a valutare il danno secondo le disposizioni della prima parte del 139, e che al più potrà concludere
nell’ipotesi di postumi soggettivi valutabili ex dpr 2003 richiamando la valutazione prevista ( <2%) ed eventualmente chiarendo se tale valutazione sia
suscettibile di “accertamento clinico strumentale obiettivo”.
Così interpretata peraltro la norma recita comunque l’ovvio, dal momento che nessun medico legale in mancanza di una qualche obiettività clinica, può
valutare la sussistenza di postumi permanenti.
E qui incominciano i reali problemi giuridici poiché dalla lettura del 139, n. 2 non residuano dubbi che il danno biologico va accertato dal medico legale come
pure viene introdotto nel sistema un danno che esiste (la lesione di lieve entità) ed è idoneo a generare postumi ma, a dire del legislatore, se quella lesione (o
forse i postumi della stessa?) non è suscettibile di accertamento, che secondo il nuovo mantra della RC auto, deve essere “clinico strumentale obiettivo”, allora
il danno non può “dare luogo” a risarcimento”.
E qui il cerchio si chiude: poiché non esistono e non possono esistere nel sistema della responsabilità civile danni non risarcibili, tantomeno nell’ambito del
danno alla persona che, come il danno alla salute attiene a diritti tutelati costituzionalmente, è evidente che il giro di giostra del comma 3-ter è destinato solo a
indurre confusione interessata.
Anche perché la norma viene poi smentita dal 3-quaterche demanda il risarcimento del “danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all'articolo 139
del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209” al “riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l'esistenza della lesione”.
E qui la norma non pare potersi davvero interpretare diversamente: il riscontro medico legale è atto proprio dello specialista che visivamente, cioè a seguito di
indagine obiettiva ed in osservanza alla criteriologia causale, accerta la eventuale presenza di un danno biologico inteso secondo la immutata definizione del
numero 2 del 139, come “la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica
un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni
sulla sua capacità di produrre reddito”.
Considerazioni conclusive.
Le norme introdotte in sede di conversione per quanto di dubbia interpretazione non possono certo incidere sul regime della prova della sussistenza del danno
biologico.
E’ noto ed è stato ricordato come le Sezioni Unite dell'11 novembre 2008, n. 26972 hanno chiarito che "per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno
biologico la vigente normativa (artt. 138 e 139 D.Lgs. n. 209/2005) richiede l'accertamento medico-legale ...ma la norma non lo eleva a strumento esclusivo e
necessario. Così come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice potrà non disporre
l'accertamento medico-legale ...superfluo e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze),
avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni".
Non pare francamente possibile che il legislatore abbia voluto introdurre norme che vincolano il Giudice a disporre accertamenti medico legali ai quali questi
sia obbligato ad attenersi, né che si sia inteso modificare la criteriologia medico legale, essendo peraltro immutati i barhemes del dpr 2003 che prevede i
parametri valutativi per le micro permanenti.
Non pare neanche che le nuove norme introdotte possano incidere in maniera sostanziale sul concetto di danno biologico risarcibile modificandone in senso
restrittivo l’area, dal momento che una loro applicazione in questo senso determinerebbe un ulteriore macroscopico disallineamento tra il sistema risarcitorio
del danno alla persona in generale e le previsioni in materia di RC auto, notoriamente penalizzanti per il danneggiato.
Una lettura delle norme portate dal 3 ter e 3 quater che non le riconduca al significato che meglio pare loro competere, e cioè quello di norme “manifesto”,
porterebbe a inammissibili esclusioni risarcitorie per una serie di danni per loro natura non strumentalmente accertabili, si pensi non solo ai vituperati
“rachidi”, ma anche alla sfera del danno psichico.
Un tale modo di procedere renderebbe irreversibile la deriva indennitaria del sistema del risarcimento del danno alla persona in RC auto. Si tratta peraltro di
un sistema la cui tenuta è noto sarà presto nuovamente al vaglio dalla Corte costituzionale, e sempre in relazione al 139 e ai limiti risarcitori che tale norma
impone al potere equitativo del giudice in quanto di ostacolo per la applicazione dei più favorevoli valori previsti per medesime lesioni ma aventi altra
eziologia.
Ulteriori limitazioni che dovessero essere imposte ai diritti dei danneggiati, già costretti tra sistemi tabellari penalizzanti, quali quelle in ipotesi attuate
mediante questo confuso tentativo di introdurre inammissibili franchigie risarcitorie, rischiano seriamente di far crollare la tenuta costituzionale del sistema
che appare sempre più estraneo all’esigenza per cui era sorto, e cioè quella di garantire, sempre e comunque, la piena tutela dei danneggiati.
1. Articolo 1917. Nell’assicurazione della responsabilità civile l’assicuratore e obbligato a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del
fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto (2952). Sono esclusi i danni
derivanti da fatti dolosi (2767). L’assicuratore ha facoltà, previa comunicazione all’assicurato, di pagare direttamente al terzo danneggiato l’indennità dovuta,
ed e obbligato al pagamento diretto se l’assicurato lo richiede. Le spese sostenute per resistere all’azione del danneggiato contro l’assicurato sono a carico
dell’assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata. Tuttavia, nel caso che sia dovuta al danneggiato una somma superiore al capitale assicurato, le
spese giudiziali si ripartiscono tra assicuratore e assicurato in proporzione del rispettivo interesse. L’assicurato, convenuto dal danneggiato, può chiamare in
causa l’assicuratore (1932; Cod. Proc. Civ. 196).”
Sul quantum debeatur
Mandato al C.T.U.
Premesso che per dettato normativo e giurisprudenza della Corte di Cassazione “ per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente
all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti
dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”
Premesso altresì che deve essere tenuto conto della “ incidenza della lesione in termini “standardizzabili” in quanto frequentemente ricorrenti ( sia quanto agli
aspetti anatomo-funzionali, sia quanto agli aspetti relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva)
esaminati gli atti e i documenti di causa e l’eventuale ulteriore documentazione medica che gli venga sottoposta, visitato il sinistrato, esperite le indagini
tecniche e strumentali ritenute necessarie, tenuto conto dell’età e dello stato di salute preesistente del periziando:
1)accerti a seguito di riscontro medico legale, clinicamente ( anche attraverso le certificazioni di altri operatori) descrivendo ( e se necessario fotografando)
escoriazioni, ferite, tumefazioni,ecchimosi,ematomi,cicatrici,dismetrie,alterazioni posturali ecc. e/o strumentalmente, ad esempio, mediante radiografia, Tac,
risonanza,ecografia,esame elettromiografico,accertamento otovestibolare, ecc. e/o a mezzo del richiamo a rilevanti evidenze scientifiche- con adeguata
motivazione ed indicazione della dottrina medico legale e della letteratura scientifica più accreditate in relazione alla fattispecie concreta ( con particolare
riguardo alle ipotesi in cui non sia possibile procedere ad esami strumentali, come ad esempio in stato di gravidanza) ad esempio mediante anamnesi, visite
mediche,test psicodiagnostici ( per i casi di danno psichico), ulteriori indagini tecniche, ecc..
la natura ed entità e il decorso delle lesioni riscontrate sul predetto derivanti dal sinistro stradale per cui è causa, valutando la sussistenza di nesso di
causa tra queste e l’evento di rilevanza processuale;
2) descriva la sintomatologia soggettiva del periziando;
3) stabilisca se per effetto delle lesioni accertate si sia verificato un danno biologico temporaneo, precisandone la durata e la natura ( totale o parziale) ovvero
anche un danno biologico permanente, quantificandone, in tal caso la percentuale sull’integrità psicofisica globale ( danno biologico), tenendo conto
dell’eventuale maggiore usura lavorativa nonché un danno alla vita di relazione ;
4)riferisca se la durata dell’incapacità temporanea totale e parziale abbia impedito lo svolgimento di attività lavorativa e di attendere alle ordinarie occupazioni
e se gli esiti di carattere permanente eventualmente residuati abbiano inciso sulla capacità lavorativa generica, sia a quella specifica del soggetto;
5)valuti la consistenza effettiva della sofferenza soggettiva psicofisica e del dolore con adeguato parametro descrittivo e motivate indicazioni del grado di
intensità (lieve, moderata, marcata, severa, grave) e durata, tenuto conto della natura ed entità del complesso lesivo-menomativo, dell’iter clinico, della
metodologia seguita e delle terapie effettuate. con facoltà di avvalersi dell’ausilio di uno psicologo al fine di obiettivare quanto lamentato;
4
6)dica se le spese mediche occorse e documentate siano state congrue e pertinenti esaminando i singoli documenti e l’elenco di essi ( con relativo totale) che
parte attrice ha l’onere di produrre in sede di inizio delle operazioni di consulenza e si vi è necessità di eventuali spese mediche future.
La relazione del dr **** è motivata congruamente e in maniera del tutto coerente con le risultanze processuali e con il mandato ricevuto, sicchè le sue
conclusioni vanno condivise.
Il C.T.U., infatti,a seguito di riscontro medico legale clinico e strumentale, ha accertato il nesso temporale e loco regionale di causalità tra il trauma
evidenziato e il sinistro de quo, ha riferito che l’uso o il non uso della cintura di sicurezza sarebbe stato ininfluente stante che la cintura blocca lo spostamento
in avanti del torace ma non del capo; ha confutato le osservazioni alla relazione del CTU di parte dr.ssa ****, ha descritto la natura delle lesioni riportate dal
periziato quantificando il periodo di inabilità temporanea in gg.15 al 75% e in gg.15 al 50% e valutando i postumi invalidanti nella misura del 2 % ed ha
ritenuto pertinenti le spese mediche effettuate.
Per la relativa liquidazione ritiene questo decidente di fare riferimento alla tabella ex art. 139 del Dlgs. 209/2005,come aggiornata dal Decreto del Ministero
dello Sviluppo economico del 20 Giugno 2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 153 del 4.7.2014 e pertanto il danno da I.T.P di gg.15 al 75% può fissarsi
in €. 522,34 ( €.34,82 pro die), quello da I.T.P. di gg.15 al 50% in €.348,23 ( €. 23,22 pro die) e quello da I.P. 2% in €.1.637,19 ( anni 23) per un totale di €.
2.507.76, con gli interessi legali quanto all’invalidità temporanea dalla data del fatto lesivo, quanto all’invalidità permanente dalla cessazione dell’invalidità
temporanea, non dovendosi operare alcuna rivalutazione essendo le somme calendate determinate con riferimento a valori monetari attuali.
Sul danno non patrimoniale da sofferenza
La pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite (11 novembre 2008 n. 26972) impone una rivisitazione dei criteri di liquidazione del danno non patrimoniale che
non riguardano il danno biologico – inteso come sintesi descrittiva della lesione del diritto alla salute – relativamente al quale le Sezioni Unite hanno
confermato l’inquadramento, ormai consolidato, nell’ambito della previsione dell’art. 2059 c.c., nonché la generalizzata tutela risarcitoria in virtù dell’esplicito
riconoscimento normativo (a livello costituzionale e ordinario) del diritto alla salute.
Le novità riguardano, invece, come rilevato in recente sentenza del Tribunale di Torino, con argomentazioni pienamente condivisibili, quegli altri pregiudizi
non patrimoniali indicati – con analoghe sintesi descrittive – come danno morale, danno esistenziale, danno da perdita del rapporto parentale; pregiudizi il cui
catalogo – come precisa la Corte – non costituisce numero chiuso.
Sulle considerazioni svolte nella citata sentenza della Suprema Corte, il precitato Tribunale ha esplicitato le seguenti osservazioni:
a) Il danno non patrimoniale, da intendersi nella sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da
rilevanza economica, è sempre risarcibile qualora l’illecito si configuri come reato (anche solo astrattamente). Al di fuori di questa ipotesi, il diritto al
risarcimento del danno non patrimoniale può derivare o da specifica previsione normativa, attraverso la quale possono essere ammessi al risarcimento anche
interessi non aventi rango costituzionale di diritti inviolabili; ovvero dall’accertamento della lesione di un diritto inviolabile della persona, ossia di una
ingiustizia “costituzionalmente qualificata”.
b) E’ stata da tempo superata l’affermazione secondo cui l’unico danno non patrimoniale risarcibile sarebbe quello “morale in senso stretto”, descritto
tralaticiamente come lo stato di “patimento interiore” transeunte cagionato dall’illecito. Per un verso infatti, una tale sofferenza non è necessariamente
transitoria, ma può protrarsi anche per lungo tempo, e merita ristoro nella sua interezza. Per altro verso, accanto ad essa può esistere una diversa sofferenza,
derivante dalla necessità di adottare nella vita di tutti i giorni comportamenti diversi da quelli precedenti o dal “non poter più fare” quello che si faceva prima.
Ha quindi poco senso distinguere un danno morale tradizionalmente inteso da un danno esistenziale consistente in questa seconda tipologia di pregiudizi. La
esasperata “etichettatura” delle varie figure di danno, se può avere una sua utilità dal mero punto di vista descrittivo, non appare funzionale (ed anzi talvolta è
controproducente) rispetto all’obiettivo di risarcire il danno alla persona nella sua interezza evitando indebite duplicazioni.
c) La sentenza n. 26972/2008 non giustifica in alcun modo letture “abolizioniste” del danno morale, pure prospettate da alcuni primi commentatori. Il passaggio
da cui traggono spunto queste letture è quello (contenuto nel paragrafo relativo al danno non patrimoniale da inadempimento di obbligazioni), ove la Corte
afferma:“determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente
liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo”. Ma questo passaggio va letto in stretta correlazione con quello precedente, ove si chiarisce cosa
debba intendersi per danno morale: “deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non
patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell’animo, il dolore intimo sofferti ... senza lamentare degenerazioni patologiche della
sofferenza. Ove siano state dedotte siffatte conseguenze [cioè quando la sofferenza “diventa malattia”, n.d.a.], si rientra nell’area del danno biologico, del quale
ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente”.
La Corte non fa che ribadire nel senso che il risarcimento deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre.
Dunque, il risarcimento del danno morale può costituire una duplicazione del già riconosciuto danno biologico; ma solo quando sia diretto a ristorare il
medesimo tipo di pregiudizio (lesione del diritto alla salute).
Al di fuori di questa ipotesi si rinvengono invece, nella predetta sentenza, chiari indici della risarcibilità del c.d. danno morale (o, più esattamente, del ristoro,
nell’ambito della generale categoria del danno non patrimoniale, di quel tipo di pregiudizi sino ad oggi risarciti come danno morale): al paragrafo 2.10 si
chiarisce che “la formula <<danno morale>>non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non
patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata non
assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento”.
Al paragrafo 3 la Corte, nel negare cittadinanza a una autonoma categoria di danno c.d. esistenziale, riconosce espressamente che le ragioni storiche sottese alla
elaborazione dottrinale di una siffatta categoria non hanno più ragion d’essere oggi, perché i pregiudizi ad essa tradizionalmente ricondotti (non poter fare, dover
fare diversamente, etc.) sono risarcibili nell’ambito del danno non patrimoniale (sempre che sussistano i presupposti del reato, ovvero del pregiudizio a diritti
inviolabili della persona), senza necessità di dover creare ulteriori categorie.
e) La Corte ha ribadito, infine, l’orientamento già espresso in numerose precedenti sentenze in tema di prova del danno: il danno non patrimoniale, anche
quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza, che deve essere
allegato e provato. Mentre per
quanto riguarda il danno biologico il mezzo di prova cui si fa normalmente ricorso è l’accertamento medico legale (previsto dalla vigente normativa, ex art. 138
e 139 C.d.A.), pur se non come strumento esclusivo e necessario; per gli altri pregiudizi non patrimoniali potrà farsi ricorso alla prova documentale, testimoniale
e presuntiva.
Proprio quest’ultima – chiarisce la Corte – “è destinata ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del
convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri ”; il danneggiato però avrà l’onere di “allegare tutti gli elementi che,
nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto”.
Con sentenza del 13 maggio 2009, il Tribunale di Catanzaro ha osservato che prima dell’intervento nomofilattico di Cass. civ., SS.UU., sentenza 11 novembre
2008, n. 26972, in caso di danno alla salute, alla liquidazione del danno biologico si aggiungeva, quasi indefettibilmente, la liquidazione del danno morale.
«Nell’elaborazione delle c.d. tabelle del danno biologico, avvenuta prima del citato intervento della Cassazione, si era evidentemente tenuto conto di tale
circostanza di fatto, cosicché il ristoro completo del danno alla salute, apprezzato sotto l’aspetto dinamico relazionale, avveniva soltanto mediante la
liquidazione della posta risarcitoria definito come “danno biologico” e della posta risarcitoria definita come “danno morale”».
Orbene, secondo il giudice estensore, se, “mutato il quadro giurisprudenziale, ci si limitasse a risarcire il pregiudizio all’integrità psicofisica limitandosi ad
applicare le tabelle del danno biologico, fintanto che queste non saranno aggiornate tenendo conto della sopravvenuta elaborazione giurisprudenziale, si
finirebbe per sottodimensionare il ristoro del danno subito.
Anche il Tribunale pratese, dopo un lungo excursus sulle sentenze gemelle e sulla presunta portata innovativa di dette sentenze, riconosce come “l'essere
rimasto vittima di un evento traumatico, anche di una certa entità (n.d.r. nel caso in specie il 2% di I.P.), imprevisto ed imprevedibile, quale un incidente
stradale determini nel soggetto un naturale patimento interiore, una sofferenza anche se temporanea e destinata a risolversi con una certa rapidità (si pensi
anche solo allo spavento cagionato dall'evento ed alla paura necessariamente correlata alle sue conseguenze) . E' evidente che l'entità della lesione fisica
subita e le modalità di accadimento del sinistro, siano determinanti non tanto al fine di stabilire se vi sia o meno anche una sofferenza interiore quanto al fine
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di graduare l'entità della liquidazione: tanto più grave è l'offesa tanto maggiori saranno le conseguenze fisiche e quelle “morali” (in termini di sofferenza
dell'animo, di preoccupazione), pertanto non può prescindersi da una valutazione del caso concreto”.
Continua ancora il Tribunale pratese asserendo che “le tabelle sulle micropermanenti, che parlano di solo danno biologico, come previste dal codice delle
assicurazioni non possono essere satisfattive dell'effettivo pregiudizio subito dalla vittima, sia facendo riferimento a quanto sin ora esposto ma anche in
relazione agli orientamenti della Corte di Giustizia e della Corte Europea dei diritti dell'Uomo, e non da ultimo dalla convenzione di Lisbona, ratificata
dall'Italia, che affermano che il risarcimento del pregiudizio alla persona deve essere integrale e ristorare tutti i pregiudizi negativi subiti dal valore uomo, non
essendo ammissibile un sistema liquidativo limitativo di tali danni e dovendo il giudice applicare al riguardo, la normativa comunitaria disapplicando quella
nazionale contrastante, tenendo sempre presente il principio dell'integrale risarcimento del danno non patrimoniale, riconosciuto espressamente dalle stesse
pronunce delle sezioni unite. Per concludere sul punto la Costituzione Europea colloca il danno morale sotto il valore universale della dignità umana (art. II61) dotata di inviolabilità e garanzia giurisdizionale e risarcitoria piena (art6. II-107)”.
Monetizzando il proprio ragionamento il Tribunale nell’ottica di un “ristoro per equivalente di tale lesione soggettiva indubbiamente esistente anche in caso di
lesioni di lieve entità (ribadiamo del 2%, n.d.r.)”, ritiene “che la somma attribuita ai sensi delle succitate tabelle di riferimento debba essere aumentata della
misura di €. 1.000,00 tenuto conto della tenuità dei postumi permanenti e della breve durata della malattia metatraumatica”.
Non appare quindi temerario sostenere che le note sentenze non abbiano declinato i danni ma li abbiano semplicemente visti sotto una luce diversa.
Le prime pronunce, al di là di qualche sbavatura terminologica tra danno morale o personalizzazione del danno, si sono ormai incanalate verso un completo
ristoro dei pregiudizi subiti dal leso senza alcuna stima penalizzante del danno.
Va menzionato il Tribunale di Modena, (vd. risoluzione del Tribunale di Modena del 21.01.2009) che ha ritenuto che la decisione delle S.U. non esclude nè
limita la risarcibilità del danno morale, essendo invece richiesto un maggiore sforzo motivazionale e di personalizzazione del risarcimento”.
Con ordinanza del 17.9.2010 costituente il primo intervento del Supremo Collegio in ordine alla risarcibilità del danno morale in materia di micro invalidità,
così si è espressa la III sezione civile della Corte di cassazione (Giudice di legittimità su sentenza resa dal Tribunale di Foggia quale Giudice d’appello del
Giudice di Pace di Foggia): “Il motivo e' manifestamente fondato. Il diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali deriva da una precisa norma del codice
civile (articolo 2059 cod. civ.), che la Legge n. 57 del 2001, non ha certo abrogato. L'articolo 5 della suddetta legge si e' limitato a dettare i criteri di
liquidazione del danno biologico - cioe' di quell'aspetto del danno non patrimoniale che afferisce all'integrita' fisica - senza per questo escludere che, nella
complessiva valutazione equitativa circa l'entita' della somma spettante in risarcimento, il giudice debba tenere conto anche delle sofferenze morali subite dal
danneggiato. Le sentenze della Corte di cassazione a S.U. n. 26972 e 26973/2008 - citate dalla resistente - confermano tale principio, disponendo che non e'
ammessa la creazione di diverse tipologie autonome e a sè stanti di danno non patrimoniale (ed in particolare di quella del danno c.d. esistenziale), per
attribuire una specifica somma in risarcimento di ognuna; ma che il giudice deve comunque tenere conto - nel liquidare l'unica somma spettante in
riparazione - di tutti gli aspetti che il danno non patrimoniale assume nel caso concreto (danno alla vita, alla salute, ai rapporti affettivi e familiari,
sofferenze psichiche, danno alla salute, alla vita di relazione, ai rapporti affettivi e familiari, ecc.).
Con
sentenza
del
14
maggio
2012,
la
Corte
di
Cassazione
ha
avuto modo ribadire che “quando il fatto illecito integra gli estremi di un reato spetta alla vittima il risarcimento del danno non patrimoniale nella sua più ampia
accezione, ivi compreso il danno morale inteso quale sofferenza fisica soggettiva causata dal reato. Nella categoria generale del danno non patrimoniale, la
formula “danno morale” non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive … un tipo di pregiudizio costituito dalla sofferenza cagionata dal
reato in sé considerata, sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini dell’esistenza del danno, ma solo della quantificazione del
risarcimento.
Va evidenziato infine che ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. e 185 c.p. non osta il mancato positivo accertamento dell’autore
del danno dovendosi essa ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge ( art. 2054 comma I^ c.c.) e se, ricorrendo la colpa sarebbe qualificabile come
reato ( Cass. 12.5.2003 n. 7281).
Con sentenza N.2285 del 3.10.2013 la Cassazione sez.III ha ulteriormente ribadito che la sofferenza ha un suo peso specifico rispetto al danno fisico e
va risarcita autonomamente.
Da qualsiasi angolo di visuale, la pietra miliare del danno non patrimoniale non può che identificarsi nell’imprescindibile stima e liquidazione di ogni
pregiudizio patito dal danneggiato alla propria integrità psico-fisica, agli aspetti dinamico relazionali personali oltre al pretium doloris.
Ritiene questo giudicante che vada riconosciuto siffatto danno non patrimoniale e sia comunque necessario procedere ad un’adeguata personalizzazione della
liquidazione del medesimo che tenga conto della sofferenza morale, da considerarsi provata in base a semplice interferenza presuntiva, in relazione al
sentimento normalmente percepito da un soggetto che subisce lesioni personali.
In considerazione dell ’ITP e dell’I.P. , detto danno può determinarsi in €. 600,00 con gli interessi dalla domanda al soddisfo.
Danno patrimoniale
Spese mediche e di cura
Risultano sostenute e documentate spese per cure e terapie che vanno risarcite nella comprovata misura ritenuta congrua dal C.T.U. di €. 747,56 con gli
interessi legali dall’esborso.
L’obbligazione risarcitoria da porre a carico delle convenute in solido ammonta ad €. 3.855,32 con gli interessi come sopra fissati.
SPESE DI CTU
Le spese della CTU vengono fissate in €. 350,00 oltre IVA
Spese processuali
Le spese legali seguono la soccombenza e in considerazione della natura della controversia, dell’attività difensiva concretamente svolta, dell’importo
determinato e della fascia di valore, vanno liquidate in complessivi €. 1.226,59 di cui €. 126,59 per spese ed €. 1.100,00 per compensi professionali , oltre
Spese Generali, IVA e CPA e distratte in favore del procuratore antistatario.
P.Q.M.
Il Giudice di Pace, definitivamente pronunziando nella causa civile N.****/**+ R.G. promossa da **** contro **** Assicurazioni spa, in persona del legale
rappresentante, e **** , ogni eccezione e censura disattese, accoglie la domanda nei limiti precisati in parte motiva e, per l’effetto, condanna in solido le
convenute a corrispondere all’attore €.3.855,32, somme sulle quali vanno corrisposti gli interessi legali come sopra fissati, nonché spese di CTU e del
giudizio come sopra liquidate e quest’ultime distratte.
Dispone la trasmissione, a cura della Cancelleria. della presente sentenza all’IVASS via del Quirinale 21 Roma- Fax 06-42133426 per gli accertamenti relativi
all’osservanza da parte della Compagnia di Assicurazione delle disposizioni afferenti alle procedure liquidative.
La sentenza è provvisoriamente esecutiva tra le parti ai sensi dell’art. 282 c.p.c. come da ultimo modificato dalla L. n. 534/95.
Così deciso, in **** lì **.**.****
Il Giudice di Pace
Avv. *****
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