L`epoca delle passioni tristi

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L`epoca delle passioni tristi
L'epoca delle passioni tristi
Lunedì 19 Novembre 2012 13:11
Autore:Miguel Menasayang e Gérard Schmit
Editore: Feltrinelli 2004
Recensione a cura di Umberto Galimberti*
Un filosofo e psicoanalista argentino Miguel Benasayag, che vive da molti anni a Parigi, le cui
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opere sono in parte tradotte anche in italiano, e un professore di psichiatria infantile e
dell'adolescenza Gérard Schmit che insegna all università di Reims, hanno posto sotto
osservazione i servizi di consulenza psicologica e psichiatrica diffusi in Francia e si sono accorti
che a frequentarli, per la gran parte, sono persone le cui sofferenze non hanno una vera e
propria origine psicologica, ma riflettono la tristezza diffusa che caratterizza la nostra società
contemporanea, percorsa da un sentimento permanente di insicurezza e di precarietà. Quali
"tecnici della sofferenza" si sono sentiti impreparati ad affrontare problemi che non fossero di
natura psicopatologica. E invece di adagiarsi tranquillamente sui farmaci a loro disposizione per
curare il disordine molec
olare e così stabilizzare la crisi, si
sono messi a studiare e a pensare il senso che si nasconde nel cuore del sintomo, quando la
crisi non è tanto del singolo, quanto il riflesso nel singolo della crisi della società. Ne è nato un
libro bellissimo, la cui lettura consiglierei a tutti i giovani e a tutti quelli che ne hanno cura.
Il titolo è L'epoca delle passioni tristi. Si tratta di passioni che lasciano le famiglie disarmate e
angosciate all'idea di non essere in grado di provvedere al problema che affligge uno dei loro
componenti, quindi di non essere una "buona famiglia", quando invece le passioni tristi hanno la
loro origine nella crisi della società
che, senza
preavviso, fa il suo ingresso nei centri di consulenza psicologica e psichiatrica, lasciando gli
operatori disarmati. In che consiste questa crisi? Da un cambiamento di segno del futuro:
dal "futuro-promessa" al "futuro-minaccia"
. E siccome la psiche è sana quando è aperta al futuro (a differenza della psiche depressa tutta
raccolta nel passato, e della psiche maniacale tutta concentrata sul presente) quando il futuro
chiude le sue porte o, se le apre, è solo per offrirsi come incertezza, precarietà, insicurezza,
inquietudine, allora "il terribile è già accaduto", perché le iniziative si spengono, le speranze
appaiono vuote, la demotivazione cresce, l'energia vitale implode. Per i due psichiatri francesi,
e io concordo con loro, tutto ciò è incominciato con la morte di Dio che ha segnato la fine
dell'ottimismo teologico, che visualizzava
di ogni tipo, disuguaglianze sociali, disastri economici, comparsa di nuove malattie, esplosioni di
violenza, forme di intolleranza, radicamento di egoismi, pratica abituale della guerra hanno fatto
precipitare il futuro dall'estrema positività della tradizione giudaico-cristiana all'estrema
negatività di un tempo affidato alla casualità senza direzione e orientamento.
Il futuro da "promessa" è diventato "minaccia". E questo perché se è vero che la tecnoscienza
progredisce nella conoscenza del reale, contemporaneamente ci getta in una forma di
ignoranza molto diversa, ma forse più temibile, che è poi quella che ci rende incapaci di far
fronte alla nostra infelicità e ai problemi che ci inquietano. Per dirla con Spinoza, viviamo in
un'epoca dominata da quelle che il filosofo chiamava le "passioni tristi", dove il riferimento non
era al dolore o al pianto, ma all'impotenza, alla disgregazione e alla mancanza di senso, che
fanno della crisi attuale qualcosa di diverso dalle altre a cui l'Occidente ha saputo adattarsi,
perché si tratta di una crisi dei fondamenti stessi della nostra civiltà. Certo nessuno si reca a un
consultorio psicologico per un adolescente esordendo: "Buongiorno dottore, soffro molto a
causa della crisi storica che stiamo attraversando". In compenso i consultori sono
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quotidianamente sollecitati da genitori e insegnanti che non sanno più come far fronte
all'indolenza dei loro figli o dei loro alunni, ai processi di demotivazione che li isola nelle loro
stanze a stordirsi le orecchie di musica, all'escalation della violenza, allo stordimento degli
spinelli che intercalano ore di ignavia.
Come sono riconducibili tutti questi sintomi alla "crisi storica"? La mancanza di un futuro come
promessa arresta il desiderio nell'assoluto presente. Meglio star bene e gratificarsi oggi se il
domani è senza prospettiva. Ciò significa che nell'adolescente non si verifica più quel
passaggio naturale dalla libido narcisistica (che investe sull'amore di sé) alla libido oggettuale
(che investe sugli altri e sul mondo). In mancanza di questo passaggio, bisogna spingere gli
adolescenti a studiare con motivazioni utilitaristiche, impostando un'educazione finalizzata alla
sopravvivenza, dove è implicito che "ci si salva da soli", con conseguente affievolimento dei
legami emotivi, sentimentali e sociali.
La mancanza di un
futuro come promessa il passato come male, il presente come redenzione, il futuro come
salvezza. La morte di Dio non ha lasciato solo orfani, ma anche eredi. La scienza, l'utopia e la
rivoluzione hanno proseguito, in forma laicizzata, questa visione ottimistica della storia, dove la
triade: colpa, redenzione, salvezza trovava la sua riformulazione in quell'omologa prospettiva
dove il passato appare come male, la scienza o la rivoluzione come redenzione, il progresso
(scientifico o sociologico) come salvezza.
Il positivismo di fine Ottocento era infatti animato da una sorta di messianesimo scientifico, che
assicurava un domani luminoso e felice grazie ai progressi della scienza. Sul versante
sociologico Marx evidenziava le contraddizioni del capitalismo in vista di una radicale
trasformazione del mondo, sul versante psicologico Freud ipotizzava un prosciugamento delle
forze inconsce non controllate dall'Io, perché "dov'era l'Es deve subentrare l'Io. Questa è l'opera
della civiltà". L'Occidente, abbandonato il pessimismo degli antichi greci che, a sentire
Nietzsche: "Sono stati gli unici ad avere la forza di guardare in faccia il dolore", si è consegnato
senza riserve all'ottimismo della tradizione giudaico-cristiana che, sia nella versione religiosa,
sia nelle forme laicizzate della scienza, dell'utopia e della rivoluzione, ha guardato l'avvenire
sorretta dalla convinzione che la storia dell'umanità è inevitabilmente una storia di progresso e
quindi di salvezza. Oggi questa visione ottimistica è crollata. Dio è davvero morto e i suoi eredi
(scienza, utopia e rivoluzione) hanno mancato la promessa. Inquinamenti di ogni tipo,
disuguaglianze sociali, disastri economici, comparsa di nuove malattie, esplosioni di violenza,
forme di intolleranza, radicamento di egoismi, pratica abituale della guerra hanno fatto
precipitare il futuro dall'estrema positività della tradizione giudaico-cristiana all'estrema
negatività di un tempo affidato alla casualità senza direzione e orientamento. Il futuro da
"promessa" è diventato "minaccia". E questo perché se è vero che la tecnoscienza progredisce
nella conoscenza del reale, contemporaneamente ci getta in una forma di ignoranza molto
diversa, ma forse più temibile, che è poi quella che ci rende incapaci di far fronte alla nostra
infelicità e ai problemi che ci inquietano. Per dirla con Spinoza, viviamo in un'epoca dominata
da quelle che il filosofo chiamava le "passioni tristi", dove il riferimento non era al dolore o al
pianto, ma all'impotenza, alla disgregazione e alla mancanza di senso
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, che fanno della crisi attuale qualcosa di diverso dalle altre a cui l'Occidente ha saputo
adattarsi, perché si tratta di una crisi dei fondamenti stessi della nostra civiltà.
Certo nessuno si reca a un consultorio psicologico per un adolescente esordendo: "Buongiorno
dottore, soffro molto a causa della crisi storica che stiamo attraversando". In compenso i
consultori sono quotidianamente sollecitati da genitori e insegnanti che non sanno più come far
fronte all'indolenza dei loro figli o dei loro alunni, ai processi di demotivazione che li isola nelle
loro stanze
a stordirsi le orecchie di musica, all'escalation della violenza, allo stordimento degli spinelli che
intercalano ore di ignavia. Come sono riconducibili tutti questi sintomi alla "crisi storica"? La
mancanza di un futuro come promessa arresta il desiderio nell'assoluto presente. Meglio star
bene e gratificarsi oggi se il domani è senza prospettiva. Ciò significa che
nell'adolescente non si verifica più quel passaggio naturale dalla libido narcisistica (che investe
sull'amore di sé) alla libido oggettuale (che investe sugli altri e sul mondo)
.
In mancanza di questo passaggio, bisogna spingere gli adolescenti a studiare con motivazioni
utilitaristiche, impostando un'educazione finalizzata alla sopravvivenza, dove è implicito che "ci
si salva da soli", con conseguente affievolimento dei legami emotivi, sentimentali e sociali
.
La mancanza di un futuro come promessa non conferisce ai genitori e agli insegnanti l'autorità
di indicare la strada. Tra adolescenti e adulti subentra allora un rapporto "contrattualistico" dove
genitori e insegnanti si sentono continuamente tenuti a giustificare le loro scelte nei confronti del
giovane, che accetta o meno ciò che gli viene proposto in un rapporto ugualitario. Ma la
relazione tra giovani e adulti non è simmetrica, e trattare l'adolescente come un proprio pari
significa non contenerlo, e soprattutto lasciarlo solo di fronte alle proprie pulsioni e all'ansia che
ne deriva
.
Quando i sintomi di disagio si fanno evidenti l'atteggiamento dei genitori e degli insegnanti
oscilla tra la coercizione dura (che può avere senso quando le promesse del futuro sono
garantite) e la seduzione di tipo commerciale di cui la cultura berlusconiana che si va
diffondendo è un esempio.
Senonché anche i giovani di oggi devono fare il loro Edipo, devono cioè esplorare la loro
potenza, sperimentare i limiti della società, affrontare tutte le funzioni tipiche dei riti di passaggio
dell'adolescenza, tra cui uccidere simbolicamente l'autorità, il padre. E siccome questo
processo non può avvenire in famiglia dove, per effetto dei rapporti contrattuali tra padri e figli,
l'autorità non esiste più, i giovani finiscono col fare il loro Edipo con la polizia, scatenando nel
quartiere, nello stadio, nella città, nella società la violenza contenuta in famiglia. Sono, questi,
due esempi dei molti che gli autori del libro illustrano per mostrare il nesso tra il passaggio
storico del futuro come promessa al futuro come minaccia e le manifestazioni psico (pato)
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logiche del disagio dei giovani che non riescono più a percepire l'integrazione sociale,
l'acquisizione dell'apprendimento, l'investimento nei progetti, come qualcosa di connesso a un
loro desiderio profondo, che è poi il desiderio di desiderare la vita.
A ciò si aggiunga che le passioni tristi e il fatalismo non mancano di un certo fascino, ed è facile
farsi sedurre dal canto delle sirene della disperazione, assaporare l'attesa del peggio, lasciarsi
avvolgere dalla notte apocalittica che, dalla minaccia nucleare a quella terroristica, cade come
un cielo buio su tutti noi. Ma è anche vero che le passioni tristi sono una costruzione, un modo
di interpretare la realtà, non la realtà stessa, che ancora serba delle risorse se solo non ci
facciamo irretire da quel significante oggi dominante che è l'insicurezza. Certo la nostra epoca
smaschera l'illusione della modernità che ha fatto credere all'uomo di poter cambiare tutto
secondo il suo volere. Non è così. Ma l'insicurezza che ne deriva non deve portare la nostra
società ad aderire massicciamente a un discorso di tipo paranoico, in cui non si parla d'altro se
non della necessità di proteggersi e sopravvivere, perché allora si arriva al punto che la società
si sente libera dai principi e dai divieti, e allora la barbarie è alle porte. Se l'estirpazione radicale
dell'insicurezza appartiene ancora all'utopia modernista dell'onnipotenza umana, la strada da
seguire è un'altra, e precisamente quella della costruzione dei legami affettivi e di solidarietà,
capaci di spingere le persone fuori dall'isolamento nel quale la società tende a rinchiuderle, in
nome degli ideali individualistici che, a partire dall'America, si vanno paurosamente diffondendo
anche da noi.
* Fonte: La Repubblica, 01/06/2004
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