Storie di lavoro in carcere
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Storie di lavoro in carcere
----------------------------------6 storie di lavoro in carcere ----------------------------------CASA CIRCONDARIALE DI MILANO-BOLLATE COOPERATIVA SOCIALE ONLUS E.S.T.I.A. La scena del lavoro La struttura, le luci e i suoni del teatro Cosa producono: teatro, scenotecnica e falegnameria, service luci e audio, produzione audio e video, servizi informatici Dove si possono trovare i prodotti: i servizi sono a disposizione di privati ed enti; gli spettacoli teatrali si tengono sia all’interno sia all’esterno del carcere Info: via A. Grandi 21/23 - 20017 Mazzo di Rho (MI), tel. e fax 02 93906109, 331 5672144, [email protected], www.cooperativaestia.it. Responsabile: Michelina Capato Sulla scena del lavoro: questa potrebbe essere la storia in sintesi della cooperativa sociale Estia, fondata nel 2003 ma attiva come progetto culturale fin dal 1991. Lo racconta Michelina Capato, regista teatrale e anima di Estia -per la mitologia dea del fuoco-. “Da quasi 20 anni lavoriamo come associazione culturale per il teatro, attività che accompagna in modo ideale i percorsi educativi in carcere. Poi ci siamo resi conto che il percorso era molto più complesso e che il teatro non è che il cuoricino di questo processo”. Per la verità un cuore grande, che batte forte: “Il teatro -ci spiega Michelina- per sua natura riformula l’essenza delle relazioni con se stessi e gli altri e quindi crea la possibilità di immaginarsi da un lato in modo diverso a dispetto del contesto e dall’altro di ripristinare una dimensione di appartenenza al gruppo”. Gli sforzi e i risultati di questo processo vanno poi “travasati” nella vita reale. “In teatro non solo ti riconosci ma puoi anche vivere un pezzo di vita diversa da quello che in quel momento ti tocca. L’idea che si può scoprire un altro modo di vivere, mettendo da parte -che so- la tossicodipendenza o l’illusione antisociale è primaria e fondante”. Ma non bastava: quali potevano essere allora gli ambiti di formazione e di lavoro che avessero coerenza e senso rispetto al cammino finora intrapreso? Ancora Michelina: “Abbiamo cercato di costruire una cultura del lavoro che fosse proprio quella ‘tecnica’ del teatro, dalle scenografie, alle luci, alla fonica, con la formazione e la supervisione di professionisti”. Alziamo quindi il sipario sui servizi di Estia, che si legano a doppio filo alle produzioni sceniche: i laboratori di scenotecnica, service audio e luci live e teatro, produzione di audio-video, post-produzione e informatica. I service tecnici garantiscono alta professionalità, prezzi concorrenziali e un maggior grado di personalizzazione rispetto al panorama attuale. Il laboratorio del legno -un capannone completamente attrezzato fino a diventare una falegnameria completa- è ad esempio in grado di realizzare non solo manutenzioni ma anche arredamenti per esterni, giochi per bambini, oggetti e gadget, mobili d’arredo personalizzati, stand per fiere ed eventi, palcoscenici per concerti e -ça va sans dire- scenografie teatrali. Attività emergente è anche la produzione e la post-produzione audio-video: lo studio e il laboratorio di informatica della Casa circondariale di San Vittore a Milano si avvalgono di attrezzature, impianti e software tra i più moderni e può realizzare audio e videoriprese, montaggio, riversamento del materiale video su supporti Vhs, Dvd, Beta, riproduzioni su qualsiasi tipo di supporto per la messa in onda televisiva, proiezioni pubbliche o mpeg per siti internet; anche la masterizzazione di cd-rom e di dvd; la digitalizzazione, l’elaborazione in computergrafica del materiale, l’indicizzazione e l’archiviazione di materiale cartaceo tra cui disegni, immagini e testi, fanno parte del pacchetto con la preparazione di siti web e l’impaginazione in computer-grafica. Tra i clienti enti locali e privati, dall’Amministrazione Penitenziaria, che ha acquistato due parchi Robison (giochi per bambini) e arredi da giardino (panche e tavoli, gazebi) a cooperative sociali, “per le quali abbiamo realizzato un palcoscenico, mobili da cucina con elettrodomestici a incasso, tavoli, scaffali”. Opera di Estia anche il corredo completo per l’allestimento dello Spazio Polivalente del carcere di Bollate, dove vanno in scena gli spettacoli della compagnia: tribune, palcoscenico, quinte e fondali, americane e graticcia. Un caso -forse unico in Europa- di teatro aperto al pubblico all’interno di un carcere. I lavoratori di Estia sono circa 30 (gennaio 2011): sono 13 i soci lavoratori, oltre a 6 dipendenti non ancora soci e ad altre persone assunte in modo temporaneo con il contratto dello spettacolo in particolare in occasione degli spettacoli teatrali. Poi ci sono i professionisti e i tecnici -dal responsabile della progettazione a quello dei laboratori di falegnameria e di video e un manipolo di persone che si dedicano all’amministrazione e alla gestione commerciale. Fra i lavoratori non ci sono solo “ristretti”: alcune persone sono libere e rientrano in carcere per il lavoro. E poi c’è il teatro, come racconta Michelina Capato: “L’attività di produzione teatrale, iniziata nel 1991, ha realizzato fino ad oggi una ventina, tra spettacoli ed eventi teatrali. Alcune persone vivono addirittura la dimensione del doppio lavoro, di giorno tecnici e di sera attori. Non è uno scherzo… Molti spettacoli hanno avuto una vita circoscritta agli spazi del carcere, San Vittore e Bollate. Oggi riusciamo finalmente a portarle fuori, in tournè, nonostante la crisi”. La dimensione che accomuna tutti è quella del gruppo: “Lo siamo davvero -dice Michelina-, e in particolare il momento legato allo spettacolo è straordinariamente unificante e coinvolge tutti, da chi ha fatto il volantinaggio a chi è in scena. In quel momento ciascuno, indipendentemente dalla propria specificità, concorre in egual misura a realizzare questa cosa ‘mitologica’ che è il teatro”. La compagnia “Teatro In-stabile” realizza una nuova produzione ogni anno (oltre a uno spettacolo di teatro-ragazzi), con una quarantina di repliche all’interno dell’istituto -sia per i detenuti sia aperti al pubblico- e circa 20 all’esterno. Mentre scriviamo sono in corso le repliche di “Il diritto e il rovescio” di Albert Camus. L’obiettivo finale? Incentivare l’autonomia economica e professionale delle persone detenute e offrire una prospettiva concreta di reinserimento lavorativo una volta usciti dal carcere. In questa prospettiva la cooperativa lavora per “preparare” spazi lavorativi esterni che possano accogliere le professionalità dei soci detenuti di prossima dimissione dagli istituti di pena. Sul sito web si trovano informazioni su tutti gli aspetti tecnici dei servizi della cooperativa. CASE CIRCONDARIALI DI TORINO E DI SALUZZO COOPERATIVA SOCIALE PAUSA CAFÈ Una cotta tosta Prima una birra, poi anche il caffè Cosa producono: birra artigianale, caffè, cioccolato, catering Dove si possono trovare i prodotti: al Chiosco Pausa Cafè, nelle botteghe del commercio equo, nelle gelaterie Grom e www.pausacafe.org/acquisto_mi.html, nelle fiere e nelle manifestazioni birrarie, nei locali dove servono birra artigianale. Info: Via G.B. Lulli 8/7 - 10148 Torino, [email protected], www.pausacafe.org Andrea Bertola ha il physique du rôle dell’educatore, la corporatura ossuta che non ti aspetti da un mastro birraio, barba nera da elfo, voce calma e forte. Mi viene incontro fuori della guardiola e mi saluta in fretta: “Scusa eh, c’è un po’ di casino e di proteste, per il sovraffollamento…”. Nel carcere di Saluzzo -mezz’ora da Torino- sono circa 400, mentre la capienza è di 190. Stiamo per visitare il laboratorio del birrificio artigianale della cooperativa sociale Pausa Cafè, che produce -come vedremo- caffè e cioccolato nel carcere di Torino. A Saluzzo però si fanno le “cotte”. In compagnia della guardia passiamo le porte di prammatica, che scatto dopo scatto ti fanno sentire sempre di più in un mondo separato. Nel cortile centrale un edificio a un solo piano, tetragono e semplice. L’ambiente dentro è lindo e umido, le pareti cremisi e arancio, colori rari in un luogo di pena. Da un canto i macchinari, dall’altro i fusti di metallo, in un angolo le botti in cui si affina la birra. Andrea aiuta a scaricare, corre a firmare la bolla e rimbalza a verificare la cotta che è in pieno svolgimento. La birra è controllata a vista da Stefano che innaffia d’acqua e poi mescola con una vera e propria vanga. “Mi affeziono alle persone -esordisce Andrea-. I ragazzi con cui lavoro, Stefano e Piergiorgio, a cui si è aggiunto da un po’ Luigi, sono fantastici”. Il birrificio nasce nel 2008, con l’appoggio delle fondazioni CRT, Banca Prossima, Fondazione Sanpaolo e Banca Etica, ma il passo decisivo è l’approvazione da parte del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. “Per nulla scontato che fosse approvata la produzione di alcolici, confezionati in vetro, in un carcere!”. Il 27 febbraio 2009 la “prima” ufficiale di birra Tosta, con l’impianto da 1.000 litri. Non è birra di monastero, ma Andrea azzarda un parallelo tra carcere ed eremo o abbazia: “Sono due luoghi che di fatto escludono dal mondo. I monaci lo scelgono, chi finisce in carcere se lo trova addosso.” L’obiettivo di “Pausa Café”, in tutti i suoi settori, è la qualità non la quantità. “Anche se sono poche persone che hanno il privilegio di lavorare qui, i cambiamenti nella loro vita sono davvero significativi. Per chi è uscito la recidiva finora è zero”, continua Andrea. “Il nostro obiettivo? Aspirare alla perfezione. Mi commuove vedere come fanno le cose, come via via diventano autonomi, come prendono coscienza che il loro lavoro e quello della cooperativa inizia da quello del campesino in Guatemala. Sabato e domenica quando non si lavora mi vanno in depressione”. Qualità, lentezza e precisione sono gli ingredienti più importanti della birra. “Sono sempre più bravi -racconta Andrea-. “Lavorare qui, con questa cura, è fare una grande pulizia anche di testa. C’è anche qualcosa di artistico, perché no. Faccio una ricetta, poi la mattina, mentre macino, cambio qualcosa. Ci sono molti paralleli con la musica: tra un birraio qualsiasi e uno bravo c’è lo scarto tra un violinista diplomato e Uto Ughi, che deriva da un dono, da un estro creativo non riducibile”. Per Andrea e i ragazzi esiste un fattore personale: “Se fai la birra come se fosse una creatura viva, parlerà di te. Le birre assomigliano ai birrai, al loro umore, alle fasi della vita. Le cose più belle, oltre alla tecnica e al pensiero, si riversano nella birra, che diventa una categoria dell’essere”. Salute! Pausa Cafè del resto è una cooperativa sociale che unisce davvero Nord e nel Sud del mondo. Opera in Guatemala a fianco delle comunità indigene e delle cooperative di produttori di caffè, in Messico ed in Costa Rica e, al contempo, offre ai detenuti delle Case Circondariali Lorusso e Cotugno di Torino e Rodolfo Morandi di Saluzzo, percorsi di reinserimento sociale e lavorativo. Pausa Cafè acquista le sue materie prime principalmente dai presidi internazionali di Slow Food e secondo i principi del commercio equo e solidale, e conferisce ogni anno ai produttori parte degli utili generati dalle vendite dei prodotti finali. I detenuti, regolarmente assunti dalla cooperativa, sono impegnati in tutte le fasi della lavorazione e sono affiancati da personale qualificato, torrefattori di qualità e mastro birraio, nei due casi. All’interno della Casa Circondariale Lorusso e Cotugno dal 2004 è stato allestito il reparto di torrefazione, stoccaggio e confezionamento del caffè e, con un successivo ampliamento, il laboratorio di lavorazione del cacao. Il progetto va tanto bene, che i locali saranno ulteriormente ampliati per consentire, di lavorare meglio e arrivare fino alla produzione della cioccolata senza esternalizzazioni. La cooperativa sociale Pausa Café propone inoltre servizi di catering e ristorazione eticamente orientata, attraverso una cucina attenta alle eccellenze del territorio e alla legalità: a questo scopo vengono utilizzate materie prime provenienti da coltivazioni biologiche e viene data priorità alle produzioni locali e stagionali, oltre che alle produzioni di eccellenza realizzate presso le case circondariali italiane e sulle terre confiscate alla mafia. Nell’estate del 2007 la cooperativa ha assunto la gestione della caffetteria antistante la Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino, un luogo di sostegno e di incontro, rivolto in particolare ai parenti delle persone detenute ed ai detenuti che usufruiscono di misure alternative al carcere, ai diversi operatori (educatori, assistenti sociali, psicologi...). Il “Chiosco Pausa Café” dispone di un ampio dehor e fornisce piatti freddi oltre ad un’ampia scelta di panini e tramezzini. CASA CIRCONDARIALE DUE PALAZZI DI PADOVA COOPERATIVA SOCIALE ALTRACITTÀ Il carcere, sulla carta Dalla rassegna stampa alla legatoria Cosa producono: legatoria, cartotecnica, informazione Dove si possono trovare i prodotti: negozio Altravetrina, www.ristretti.it Info: Cooperativa AltraCittà, via Montà 182 - 35136 Padova, tel. 049 8901375, www.altravetrina.it - www.ristretti.it Il Due Palazzi di Padova è un istituto di detenzione costituito -come suggerisce il nome stesso- da due grandi edifici: la Casa di reclusione e la Casa circondariale. A unirli idealmente, però, prima ancora della vicinanza fisica, è la partecipazione dei detenuti nelle attività organizzate dalla cooperativa sociale Altracittà, dalla cooperativa sociale Giotto e dal consorzio Rebus per la realizzazione di progetti destinati alla riqualificazione del tempo di detenzione e alla creazione di opportunità lavorative successive ad esso. La cooperativa Altracittà è nata nel 2003 su iniziativa di dieci donne già attive nei settori della formazione e dell’istruzione degli adulti. L’impegno è quello di perseguire l’integrazione sociale di persone svantaggiate attraverso la produzione di oggetti e di servizi indirizzati alle biblioteche, ai centri di documentazione e agli archivi degli enti pubblici e privati. Per questo motivo Altracittà è legata a diversi soggetti: al Centro di Documentazione Due Palazzi della Casa di Reclusione di Padova coordinato in collaborazione con l’associazione “Granello di Senape Padova onlus”- attraverso cui, all’interno del carcere, la cooperativa partecipa alle attività della redazione della rivista Ristretti Orizzonti (una delle riviste carcerarie più importanti d’Italia, vedi p. 157), del gruppo Rassegna Stampa, del Tg Due Palazzi, del laboratorio di legatoria e cartotecnica e della biblioteca e a numerosi enti di formazione e istruzione (Ciofs Don Bosco di Padova, Enaip Veneto di Padova, ecc.) per la realizzazione dei corsi di formazione svolti all’interno della Casa di reclusione. In particolare sono già stati attivati un laboratorio di rassegna stampa e documentazione collegati alle attività della biblioteca del carcere, un laboratorio di legatoria e cartotecnica svolto all’interno dell’istituto (formazione, lavoro e restauro del libro, produzione di scatole, riutilizzo della carta) e uno all’esterno; un laboratorio di grafica che ha preso avvio anche grazie al progetto “Dal carcere al territorio - grafica di qualità” della fondazione Charlemagne onlus e Sovvenzione Globale; e infine un laboratorio di corniceria gestito da un artigiano esperto che insegna i vari aspetti tecnici e creativi della sua arte: la precisione del taglio, l’abbinamento passe-partout e l’accostamento dei colori. I prodotti dei laboratori, che occupano quotidianamente 5 ore nella Casa di reclusione e 3 al circondariale, vengono venduti al dettaglio presso il negozio Altravetrina -non distante dal carcere, nel quartiere di Montà- e, su committenza, a numerosi enti pubblici e privati. I risultati ottenuti da Altracittà si spiegano con i numeri: 30 i soci attuali della cooperativa, 10 quelli volontari, 18 i lavoratori dipendenti di cui 14 detenuti, 2 i detenuti con borsa lavoro stanziata dal Comune di Padova per il progetto “Carcere”. Esemplare è la storia di Gas, il primo detenuto straniero ad aver partecipato al laboratorio di cartotecnica seguendo l’intero percorso garantito dalla cooperativa: prima come detenuto ammesso al lavoro esterno grazie a un progetto del Comune di Padova per le politiche sociali, poi in libertà vigilata, misura di sicurezza prevista come periodo di osservazione per verificare la pericolosità sociale della persona. All’inizio del 2010 Gas collaborava ormai da anni con Altracittà quando la normativa italiana sull’immigrazione, particolarmente punitiva nei confronti di stranieri che hanno avuto problemi con la giustizia, gli ha impedito di continuare a lavorare legalmente costringendolo ad abbandonare l’Italia per tornare in Africa, nel suo Paese d’origine. “Abbiamo dovuto subito licenziare Gas per non trovarci a commettere noi un reato, dando lavoro a un clandestino” era stato scritto in un comunicato di Altracittà. Nel frattempo la cooperativa gli si era stretta attorno, lanciando una campagna di raccolta fondi tra i soci, gli amici, i conoscenti per completare le pratiche e garantire a Gas l’acquisto di un piccolo furgone con cui iniziare una nuova attività lavorativa nel suo Paese. Gas investiva nel progetto i suoi risparmi, il tfr e le ferie non godute. Oggi Gas è tornato a casa, ma senza l’aiuto della cooperativa Altracittà la sua vita in carcere e fuori dal carcere, in Italia così come in Africa, sarebbe stata diversa. CASA CIRCONDARIALE DI GENOVA-MARASSI BOTTEGA SOLIDALE-PROGETTO O’PRESS Dove nascono i fior Le magliette di Faber a Marassi Cosa producono: magliette serigrafate e altri gadget Dove si possono trovare i prodotti: botteghe del commercio equo, sito web Info: Progetto O’Press - Bottega solidale, tel. 010 265828, [email protected] - www.bottegasolidale.it Responsabile: Federica Gastaldi. Casa Circondariale Marassi, p.le Marassi 2 - Genova, tel. 010 84051 A Genova, nel carcere di Marassi, un audace trait d’union tra diverse realtà -e il coraggio del direttore Salvatore Mazzeo- ha permesso di tendere un filo tra Fabrizio De Andrè e la sua città. Un filo di cotone solidale. Si srotola infatti dalla filiera equa e solidale della Bottega Solidale di Genova il progetto “O’Press”, che ha coinvolto i detenuti della sezione “Alta sicurezza” del carcere genovese nella realizzazione di t-shirt in cotone equo, provenienti dalla filiera tessile del Bangladesh (da Aarong Brac-Bangladesh Rural Advancement Committee, ong che raccoglie circa 30mila artigiani, l’85% dei quali donne) e poi serigrafate con le parole del cantautore. L’iniziativa di Bottega Solidale e della Casa Circondariale ha coinvolto l’istituto Vittorio Emanuele II-Ruffini -istituto tecnico di Genova che sostiene i corsi in carcere e dove i ragazzi sostengono gli esami di maturità- tra i cui corsi c’è quello di grafica, “ed è stata fatta propria nel 2008 dalla Fondazione De Andrè, che, insieme alla casa discografica Universal ha concesso la possibilità di utilizzare i testi di 15 canzoni di Fabrizio” spiega Federica Gastaldi di Bottega Solidale. Cinquecento linee di pura poesia, tra i quali i detenuti hanno scelto alcune frasi tra le molte che il cantautore ha dedicato a prigione e libertà. “All’interno del carcere era già attiva, tra gli altri corsi, la ‘classe’ di serigrafia: alcuni detenuti dell’area ‘Alta sicurezza’ si sono impadroniti della materia, e hanno costituito -negli spazi risicati dell’aula- un vero e proprio laboratorio di serigrafia, dove hanno elaborato il concept e poi realizzato concretamente le t-shirt”. Semplice? Per nulla. Far entrare in un’area sensibile quale è un carcere strumenti come il trapano, o le corde per asciugare le magliette, può diventare un ostacolo insormontabile. Per non parlare dei trasferimenti d’imperio di persone inserite nel progetto. Oggi sono quattro persone che si alternano per fare un giro sulla “giostra”, così si chiama il macchinario per stampare le maglietta in serigrafia a quattro colori. “Tutto questo -ribadiscono a Bottega Solidale- non sarebbe mai potuto accadere senza la collaborazione attiva della polizia penitenziaria e del direttore stesso, che ha personalmente curato l’arrivo di un nuovo macchinario”. A conferma che in carcere il concetto di scadenza è una cosa strana, “i detenuti all’inizio hanno avuto qualche problema a rispettare i tempi. Ma poi hanno preso il ritmo”. A giugno 2008 una commossa Dori Ghezzi ha presentato le prime 500 magliette, cinque modelli ispirati a canzoni come “Don Raffaè” (il modello “Giornale”) o ancora a “Quello che non ho” o alla celeberrima “Via del campo” che riporta una delle frasi-manifesto di Faber “Ama e ridi se amor risponde, piangi forte se non ti sente, dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”. Sono andate, per così dire, a ruba. La maglietta ha, come tutti i progetti del commercio equo, il suo “prezzo trasparente”: 14 euro in bottega. La maglietta ad oggi costava 3,18 euro alla fonte, la lavorazione da parte dei detenuti 1,25 euro, di cui un euro netto a capo resta nelle loro tasche. Colori, telai e altre spese incidono per poco più di 1 euro. Le magliette, che sono state protagoniste alla mostra su Fabrizio De Andrè a Palazzo Ducale, oltre che nei negozi di Bottega Solidale, sono vendute in una ventina di botteghe. A febbraio 2011 O’press dovrebbe essere pronta la nuova linea: “Canzoni oltre le sbarre: La Musica Addosso”, in collaborazione con la casa editrice Universal e due grandi cantautori italiani: Vinicio Capossela e Franco Battiato. I vecchi e nuovi modelli a breve sul sito www.bottegasolidale.it, da dove scaricare il modulo d’ordine per acquistare le magliette come negozio o come privato. Ma O’Press oggi non è solo t-shirt, ma anche shopper, borse, zaini, portachiavi, gadget per tutti gli enti, le aziende, le associazioni che vogliono comunicare la propria responsabilità sociale. “Forniamo su richiesta il servizio di creazione grafica -spiegano in bottega - e costruiamo insieme al cliente la proposta più adeguata alle sue esigenze. I nostri prodotti vengono sempre consegnate con grande puntualità perché i detenuti saranno pure considerati ‘fuorilegge’, ma sono persone precise e ora anche esecutori rapidi e affidabili”. CASA DI RECLUSIONE DI GORGONA - LIVORNO ACQUACOLTURA E ALTRI PROGETTI Galeotta fu l’orata La rivoluzione del pesce omeopatico Cosa producono: frutta e verdura, olio e vino, miele, formaggi, carne e salumi, pesce (orate) Dove si possono trovare i prodotti: Le orate sono in vendita in tutti i supermercati Coop della Toscana Info: Casa di Reclusione di Gorgona, via del Porto 1 - 57030 Gorgona (LI) tel. 0586 861021, [email protected] “Servi semplicemente la Natura e tutto andrà bene”, ha scritto Masanobu Fukuoka. Tenendo sempre presenti le parole del grande scienziato giapponese, padre dell’“agricoltura naturale”, scomparso pochi anni fa, vi raccontiamo la storia dell’isola di Gorgona e di tutti i progetti che in questi anni hanno preso corpo all’interno del carcere che ospita. Su questa piccolissima isola dell’Arcipelago toscano esiste fin dal 1869 una colonia penale ad indirizzo agro-zootecnico, in cui si è sempre cercato di offrire ai carcerati una permanenza che fosse costruttiva per loro e per tutta la zona e che li facesse avvicinare al mondo naturale e alle sue leggi. Gorgona, infatti, si regge sul lavoro dei soli detenuti e di pochissime altre persone che vivono sull’isola tutto l’anno: i cento ospiti della casa di reclusione, tutti a basso indice di pericolosità e con fine pena mai superiore ai dieci anni, sono impiegati in una lunga serie di attività che permettendo la loro rieducazione consente anche all’intera isola di essere autosufficiente e di non dipendere dalla terraferma. Come racconta il dottor Alessandro Aureli, responsabile amministrativo del carcere, chi arriva sull’isola dovrebbe saper fare un mestiere, dalla manutenzione edile a quella idrica ed elettrica, per arrivare alle conoscenze in campo agricolo. Ma tutto questo non è necessario, precisa Marco Verdone, il veterinario omeopata che si occupa degli animali presenti sull’isola: “L’unica cosa che importa davvero è che i detenuti abbiano buona volontà e voglia di fare”. Dal 1989 Gorgona, grazie soprattutto all’illuminata attività del direttore di allora, Carlo Mazzerbo, ha conosciuto la nascita e lo sviluppo di due aree produttive, una agricola, l’altra dedicata all’allevamento. Sono presenti alcuni orti, dove si coltivano piccole quantità di prodotti di stagione, dai pomodori alle insalate; un uliveto, le cui piante secolari producono duecento-trecento litri di olio all’anno e un vigneto che riesce a produrre all’incirca cento litri di vino, bianco soprattutto, ma anche un po’ di rosso da tavola. Ulivi e viti, come tutte le altre piante, vengono coltivate in modo biologico, senza pesticidi né diserbanti, nel pieno rispetto della loro natura; persino l’acqua per l’annaffiatura (ma non solo quella, tutta l’acqua dell’isola) è ottenuta dalla raccolta dell’acqua dolce in antichi pozzi presenti intorno al carcere e dalla desalinizzazione dell’acqua del mare. I “contadini di Gorgona” sono affiancati dall’esperienza di un agronomo che possa consigliarli e aiutarli in ogni occasione. Per quanto invece concerne gli animali, la figura di riferimento per i detenuti è Marco, veterinario del luogo da più di vent’anni. Questo è quello che ci ha detto quando gli abbiamo chiesto di parlarci della sua attività: “Alla Gorgona cerchiamo di allevare gli animali nel massimo rispetto del loro benessere e questo significa mangimi naturali e medicina omeopatica; durante la permanenza sull’isola i detenuti possono imparare diversi mestieri e, attraverso la conoscenza di piante e animali, riuscire a conoscere se stessi. Gli animali, in silenzio e con sacrificio, aiutano tutti noi ad essere migliori”. E gli animali di sicuro non mancano: 40 bovini, 100 pecore, altrettanti maiali e una gran quantità di polli, faraone e fagiani insieme a cavalli e asini. Con il latte prodotto, trecento litri al giorno se non di più, vengono fatti formaggi freschi e stagionati e pure ricotte: tutto questo avviene all’interno del caseificio di Gorgona, gestito in buona parte da detenuti con origini sarde, che non possono certo non conoscere la lavorazione del latte. Inoltre, al momento della stesura di questo libro, è in programma la creazione di celle di stagionatura nei pressi del macello dove poter poi, con l’aiuto di un macellaio di professione, avviare la produzione di salumi, come prosciutti e salami. Tutti i prodotti di cui abbiamo parlato fino ad ora, di origine vegetale o animale, entrano a far parte, per regolamento interno dell’istituto, del commercio carcerario: questo significa che vengono venduti e acquistati solo all’interno del carcere stesso e il surplus, se c’è, viene smerciato in altri istituti penitenziari, non sul mercato esterno. Tutto questo vale anche per il miele di rosmarino che da qualche anno viene prodotto a Gorgona: la F.a.i., la federazione apicoltori italiani, infatti, ha messo a disposizione del carcere un apicoltore. Il fatturato arriva a 120-130mila euro all’anno che finiscono nelle casse dello Stato, in quanto la legge prevede che i guadagni non possano essere reinvestiti all’interno del carcere. Ma questo non demoralizza nessuno, né carcerati né responsabili, anzi come dice Marco: “Il lucro non è certo l’obiettivo di queste iniziative: noi lavoriamo per noi stessi. Io in particolare curo gli animali, ma il mio scopo è curare gli animali perché loro poi possano curare l’animo dei detenuti”. Simile il fatturato annuo dell’attività ittica che da qualche anno è stata intrapresa; nel 2001 è partito un esperimento unico al mondo: un impianto di acquacoltura interamente gestito dai carcerati. Nelle limpide acque intorno a Gorgona, che fa parte ormai dal 1996 del Parco nazionale dell’arcipelago Toscano, sono state poste cinque gabbie in cui allevare le orate. Ogni gabbia può contenere fino a 15mila avannotti: i detenuti, tutte le mattine, per diciotto mesi vanno con delle piccole imbarcazioni fino alle gabbie per dar loro da mangiare: i mangimi sono tutti biologici, di origine non animale e privi di antibiotici. A maggio-settembre di ogni anno gli avannotti vengono pescati e venduti. Venti tonnellate di pesce di alta qualità, allevato in mare aperto, in acque purissime, dove persino la navigazione è interdetta, non potevano che attirare l’attenzione anche di cooperative esterne: è stato così che nel 2009 UniCoop Tirreno ha proposto alla direzione del carcere di prendere in comodato d’uso -con la società siciliana Acqua Azzurra- l’allevamento. La Coop che ha rilevato l’attività a costo 0 si è impegnata ad assumere tre detenuti, due fissi e uno part-time. In questo modo l’amministrazione penitenziaria si è liberata del peso economico dell’allevamento (i costi dei mangimi così come quelli della manutenzione erano troppo alti) e ha inserito nel mondo del lavoro alcuni dei suoi ospiti. Le “orate galeotte” di Gorgona sono distribuite da tutti i supermercati Coop della Toscana. Per concludere con le parole di Marco: “Il respiro di Gorgona viene affidato alle onde del mare e scambiato con quello della terraferma”. Speriamo che in questo modo il mondo entri nel carcere e il carcere nel mondo. COLONIE PENALI AGRICOLE IS ARENAS, ISILI, MAMONE PROGETTO C.O.L.O.N.I.A. Galeghiotto Ghiottonerie per cui “vale la pena” Cosa producono: prodotti agricoli, formaggi, miele Dove si possono trovare i prodotti: eventi, spacci penitenziari Info: Arbus, Casa di reclusione di Arbus “Is Arenas”, Località Is Arenas, Arbus, tel. 070 9759066, 9758776, [email protected]; Onani, Casa di reclusione di Mamone - Via Centrale 3 - Mamone, tel. 0784 414524 - 10 [email protected]; Casa di reclusione di Isili - Via Case Sparse Località Sarcidano - Isili - tel. 0782 802045 - 802910 [email protected] Vendite: tel. 070 401513, provveditorato di Cagliari, responsabile Gianluca Aracu Le colonie penali agricole di Is Arenas, Isili, Mamone, in tutto circa 6.200 ettari -di cui 23 ettari coltivati- e 800 detenuti, passano al biologico. È il progetto “Colonia” (acronimo complesso che significa “Convertire organizzare lavoro ottimale negli istituti aperti”) che, su proposta del Provveditorato della Sardegna, dal 2009 coinvolge le colonie penali agricole sarde -dove tra l’80 e il 90 per cento dei detenuti lavora- e che gode di un finanziamento triennale della Cassa delle Ammende, l’ente finanziario delle carceri e del ministero della Giustizia, per quasi tre milioni di euro. L’obiettivo è favorire la professionalizzazione del detenuto in vista del suo rientro nella società. Alla colonia agricola -ne sono rimaste pochissime in Italia- sono assegnate le persone dichiarate “delinquenti abituali, professionali o per tendenza” e altre categorie particolari di rei. Sembrava un percorso impervio e una scommessa difficile. Ma ora tutti i prodotti realizzati all’interno dei penitenziari sardi (per esempio formaggio, miele, mirto, polline, conserve e piante officinali) avranno una marcia in più. La convenzione tra il Provveditorato Regionale e Aiab (Associazione italiana agricoltura biologica) prevede infatti la conversione al bio con certificazione Icea delle produzioni agro-zootecniche delle colonie agricole, boschi, pascoli, terreni coltivabili e spiagge in territori incontaminati. Una scelta unica nel panorama carcerario italiana. Il passo successivo è stato ancora più innovativo: la realizzazione del logo “Galeghiotto - Vale la pena”: formaggi pecorini, creme di formaggi, ricotta, miele di asfodelo, corbezzolo e altri fiori, prodotti ortofrutticoli freschi ed essiccati, aromi, mirto, olio d’oliva nel “paniere”. Per fare un esempio, nella Casa di reclusione di Isili, dove la maggior parte dei detenuti proviene da altre nazioni, prevalentemente dall’Africa, il caseificio produce un’ottima ricotta. La comunicazione del concetto di “Vale la pena” ha la sua importanza: rappresenta l’idea che i prodotti siano il risultato conquistato attraverso il lavoro e l’impegno. Con un buon viatico di comunicazione e packaging, i prodotti con il marchio Galeghiotto sono visibili sul sito www.giustizia.it. Per ora i prodotti gravitano ancora nel circuito penitenziario, attraverso gli spacci dei singoli istituti. L’amministrazione carceraria sta inoltre prendendo contatti per un’efficace commercializzazione dei prodotti, almeno in Sardegna. Molti detenuti -oltre 100 finora hanno partecipato alla formazione- imparando così un mestiere o comunque migliorando la loro professionalità. Nel corso dei tre anni del progetto si prevede di coinvolgere tutti gli 800 detenuti presenti nelle colonie. Sono stati assunti per l’occasione 9 esperti esterni che li potessero seguire nella loro attività: apicoltori, artieri, addetto agli allevamenti ovini e bovini, orticoltore, potatore e caseario per la precisione. La professionalità e un controllo più “qualificato” e meno pressante da parte della Polizia Penitenziaria, ha permesso un forte incremento della produttività, ad esempio per quanto riguarda il formaggio. O l’allevamento di maialini. Qualche numero: nel 2010 si sono prodotti oltre 283mila litri di latte, dal quale si è ottenuto formaggio per 40 tonnellate e ricotta per 6. Gli ortaggi sono stati 124 tonnellate, la carne 25. Le arnie hanno prodotto 2,2 tonnellate di miele e 160 chili di polline. Infine, dagli ulivi si sono ricavati 2mila litri di olio.