L`umiltà dello storico secondo Cacciaguida

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L`umiltà dello storico secondo Cacciaguida
Dante poeta teologo
L'umiltà dello storico
secondo Cacciaguida
di Davide Luglio
Université Paris-Sorbonne
In una nota del suo saggio Dante e Beatrice, Étienne Gilson confessava di aver sempre
vagheggiato una certa "idea" della Divina Commedia: che la forma "ideale" della
teologia non si sia realizzata unicamente nelle opere formalmente teologiche, come in
Tommaso d'Aquino, ma anche nella poesia, corrispettivo artistico e letterario di cui
Dante ci ha fornito il migliore esempio.
Eppure quel che contraddistingue Dante, scrive Gilson, "è
di aver scritto un immenso poema la cui materia è
costituita di idee, ma che tuttavia non è affatto un poema
didattico (...) in esso il bello non consiste nello splendore
del vero, come nella Summa theologiae. La verità ne
costituisce piuttosto la materia e la sua trasposizione
poetica ha per risultato la bellezza. Se non erro, è questa
appassionata sensibilità alla bellezza del vero (scientifico,
filosofico e teologico) che contraddistingue Dante.
E sembra proprio che il suo caso sia unico, almeno nella
tradizione letteraria occidentale, in cui il vero prevale sul
bello, come deve essere, ovunque, tranne in poesia". Il
punto di vista espresso qui da Gilson ricorda quello del
teologo belga Jean Leclercq, autore del celebre L'amour
des lettres et le désir de Dieu, che insisteva sull'unità di
una teologia fatta non solo di dialettica, ma anche di altre forme o stili di esplorazione
dei dogmi della fede cristiana, come la teologia monastica basata sulle lettere e
l'interpretazione della letteratura di ispirazione religiosa. È nella linea tracciata da queste
considerazioni teologiche che si situa lo studio che un altro autorevole studioso francese
ha dedicato a Dante in una sua recente pubblicazione in italiano (François Livi, Dante e
la teologia. L'immagine poetica nella "Divina Commedia" come interpretazione del
dogma, Roma, Leonardo da Vinci, 2008, pagine 250, euro 20).
Facendo in qualche modo propria l'"idea" di Étienne Gilson, François Livi prospetta
l'ipotesi di un Dante theologus nel senso forte del termine, il cui poema sarebbe il
risultato di un costante confronto ermeneutico con i dogmi della fede cristiana. La
teologia, spiega Antonio Livi nell'introduzione epistemologica del saggio, formula delle
ipotesi di interpretazione del dogma.
Ma che si tratti di concetti, di norme o di immagini, tutto mira a rendere più
comprensibile il mistero del dogma, che per definizione permane un mistero
soprannaturale. Tanto inesauribile quanto è inintellegibile il dogma che ne costituisce
l'oggetto, la riflessione teologica rappresenta quindi un lavoro ermeneutico che ha per
scopo di accostare la nostra esperienza naturale al mistero del dogma e che, nel
perseguire questo fine, può scegliere la via della creazione artistica. In questo caso,
senza sovrapporsi ai dati della fede, la creazione poetica può, al contrario, divenire
historia salutis quando il suo confronto ermeneutico con il dogma si inserisce
pienamente nel contesto della rivelazione e ha per fine la contemplazione stessa del
mistero della parola rivelata.
In altri termini, se la teologia è intellectus fidei, ciò non toglie che essa sia anche affectus
e pulchritudo fidei, che essa sia, come scrive Antonio Livi, "un modo di "vivere" e far
"vivere" la fede da parte della cultura di ogni tempo e di ogni luogo, con risultati che
talvolta hanno il valore e la funzione di ricchezze di fede per molti secoli e per tanti
luoghi diversi - così è infatti per un Agostino e un Tommaso, ma anche, per quanto
adesso ci riguarda, un Dante Alighieri".
Questi chiarimenti sulla natura della teologia in quanto ipotesi di interpretazione del
dogma costituiscono una premessa indispensabile per cogliere la portata dello studio
proposto da François Livi. Da tempo è assodato che Dante rivendica per la poesia un
valore filosofico che la dottrina scolastica le rifiutava decisamente. È sulla base della
convinzione tomistica e più ampiamente scolastica che la poesia sia infima inter omnes
doctrinas, che il domenicano Guido Vernani da Rimini, nel 1329, accusa Dante di essere
"un poeta-visionario e un sofista chiacchierone che con le sue immagini fraudolente,
distoglie il lettore dalla vera salvezza".
La critica scolastica sembra aver influito a lungo, in modo più o meno occulto, sulla
ricezione del poema. La diffidenza nei confronti delle immagini utilizzate dai poeti poeta utitur metaphoris propter repraesentationem (...) sed sacra doctrina utitur
metaphoris propter necessitatem et utilitatem, ricorda san Tommaso nella Summa sembra infatti all'origine delle letture dualistiche della Divina Commedia che tendono a
opporre - come si opporrebbero poesia e filosofia - le parti "poetiche" del poema alle sue
trattazioni dottrinali.
Al contrario, è proprio la comprensione esatta della dimensione teologica delle immagini
poetiche che ci consente di cogliere il senso dell'operazione ideologica compiuta da
Dante e destinata, in accordo con la linea perseguita da protoumanisti come Albertino
Mussato, a gettare le basi dell'umanesimo rinascimentale. Così, quando Dante, come poi
Petrarca, oppone la poesia alla scolastica, lo fa rivendicando per la poesia un ruolo nella
conoscenza filosofica - innanzi tutto metafisica e quindi teologica - in perfetto
antagonismo con le posizioni della scolastica che limitava l'acquisizione di questa
conoscenza al solo sviluppo logico dei concetti. La prospettiva adottata da François Livi,
che sceglie di accostarsi alla Divina Commedia dal punto di vista dell'ermeneutica
teologica, chiarisce senza alcun dubbio questo aspetto del dibattito ideologico nel quale
si inserisce Dante.
L'architettura teologica del poema, il percorso attraverso i tre "regni" escatologici
immaginati nella Divina Commedia, scrive l'autore, "non è un gioco letterario a tavolino
o un espediente retorico per dare sfogo ai suoi desideri di rivalsa politica. La complessa
impalcatura del poema è funzionale alla missione profetica di Dante, al suo messaggio di
salvezza individuale e collettiva".
Senza pretendere all'esaustività nel trattare una problematica tanto vasta quanto quella
del rapporto tra verità dogmatica e creazione poetica nel poema di Dante, François Livi
procede a una serie di "sondaggi" particolarmente significativi. L'analisi del dogma
escatologico attraverso le immagini della Divina Commedia apre questo percorso,
iniziando col ricordare le premesse del dogma stesso, dalla caduta che ha seguito il
peccato originale all'incarnazione del Verbo - che eleva la natura umana alla dignità
della natura divina aprendo all'uomo la possibilità di accedere alla beatifica visione - fino
alla parusia.
In questo capitolo introduttivo, estremamente denso, l'autore mette quindi in evidenza i
fondamenti dogmatici dell'architettura dantesca, sottolineando nel contempo l'originalità
della sintesi di elementi filosofici, ideologici e giuridici operata dal poeta nell'atto di
definire la "topografia morale" dei tre regni dell'aldilà. Al dogma del Purgatorio è
dedicato il secondo capitolo, di grande interesse giacché sottolinea l'importanza
dell'interpretazione del dogma in vista di una corretta ricostituzione degli elementi che
compongono l'architettura dantesca.
Come sappiamo, infatti, le sacre Scritture non propongono un insegnamento preciso ed
esplicito riguardo alla realtà del Purgatorio, mentre tali riferimenti esistono per quanto
riguarda il Paradiso e l'Inferno. Per cominciare, François Livi ricorda che l'Antico e il
Nuovo Testamento contengono attestazioni della necessità di un'"espiazione
temporanea" e riferimenti a colpe che non implicano una punizione eterna, ma
richiedono un tempo di purificazione dopo il giudizio particolare che precede la parusia.
Egli passa in seguito all'esame delle numerose testimonianze offerte dalla tradizione
attraverso la liturgia, l'epigrafia, la letteratura patristica greca e latina. Queste presentano
"un materiale abbondantissimo che è impossibile ignorare. Numerosi concili dei primi
secoli forniscono indicazioni pratiche sulle messe che possono essere celebrate per i
defunti. Dall'epoca apostolica in poi, l'efficacia dei suffragi per i defunti è considerata
unanimemente (...) come un dogma".
Luogo della purificazione, il Purgatorio offre anche l'occasione di un'analisi del
significato del "contrappasso" e della drammatizzazione delle pene subite dalle anime
penitenti che, per gli stessi peccati o per peccati simili, differiscono da quelle subite dalle
anime condannate all'inferno.
Ma, come è noto, nella Divina Commedia l'itinerario purificatorio del pellegrino "è
indissociabile da un preciso compito profetico: il poeta non dovrà inventare, bensì
riferire, nei limiti consentiti dalla parola umana, la sua eccezionale esperienza (...) Dante
è allora investito di una missione profetica più complessa ed esplicita: in quanto unico
destinatario della visione, deve riferire un messaggio simbolico che denuncia la
degenerazione attuale della Chiesa, messaggio interpretato dall'esegesi che Beatrice ne fa
al poeta, annunciando nel contempo la volontà divina di ristabilire la giustizia nella
società civile e religiosa".
L'ultimo capitolo è dedicato ad alcuni percorsi attraverso l'eccezionale ricchezza
teologica e poetica del Paradiso. I canti xiv-xx danno luogo a uno studio che prende in
considerazione problemi teologici di primaria importanza come la resurrezione dei corpi,
la prescienza divina, la giustizia divina e la salvezza dei pagani. A proposito della
resurrezione finale, la poesia offre a Dante la possibilità di avanzare ipotesi
particolarmente suggestive riguardo allo splendore del corpo glorioso. Quanto al
problema della prescientia divina, messo in evidenza dalle predizioni di Cacciaguida, la
finzione poetica permette di accogliere come verità compiute delle teorie o dottrine che
il poeta fa sue o considera plausibili.
L'assenza di una soluzione definitiva rende conto di una realtà teologica che Cacciaguida
spiega al suo discendente, vale a dire "l'atteggiamento di umiltà intellettuale e di rispetto
con il quale ogni creatura - il suo discendente al pari dei beati - deve accostarsi a realtà
che trascendono le possibilità di comprensione dell'intelligenza umana (...) è proprio la
proclamazione di questo mistero a determinare la luce soprannaturale che, proiettata sui
funesti eventi annunciati da Cacciaguida e sulla sua impietosa analisi dei mali della
società, non li rende per questo più "comprensibili", ma conferisce loro un nuovo
significato inserendoli in una teologia della storia".