Platone Politico 360-347 aC

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Platone Politico 360-347 aC
Filosofia
Platone
Politico
360-347 a.C.
PERCHÉ LEGGERE QUESTO LIBRO
Platone ha sviluppato per tutta la vita riflessioni sul problema politico, e Il Politico è un
testo esplicitamente dedicato all’arte di governare. L’approccio è soprattutto teorico, ma
non mancano le osservazioni storiche e critiche sui regimi politici. Questo scritto spiega
come deve essere l’uomo politico e cosa deve fare per adempiere alla sua missione. La
prosa di Platone è come al solito melodiosa, pur non mancando parti meno scorrevoli, con
ripetizioni e frequenti aperture di incisi che possono creare qualche difficoltà. Per
apprezzare al pieno quest’opera occorre concentrarsi sul cuore dialettico dello scritto,
isolandone i punti salienti. Può essere uno sforzo poco agevole, ma si viene ampiamente
ripagati da squarci di luce pura, frutto di una personalità filosofica la cui statura è
inoppugnabile al di là della condivisione o meno delle conclusioni.
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PUNTI CHIAVE
•
Il capo di uno Stato è come il padrone di una casa, che dirige la famiglia per il bene
di tutti.
•
Il politico è più un artista che un pastore.
•
La politica è un’arte teoretica, non pratica: riguarda la conoscenza, non l’azione.
•
L’uso del mito aiuta la comprensione del testo razionale.
•
Esistono tre regimi politici: monarchia, aristocrazia, democrazia, con le rispettive
degenerazioni: tirannia, oligarchia, demagogia.
•
La monarchia retta da un re-filosofo è il perfetto modello ideale, ma non è
realizzabile nel mondo reale.
•
La legge è necessaria perché la polis è abitata da uomini imperfetti
•
Il vero uomo politico sa equilibrare gli opposti nella giusta misura.
RIASSUNTO
L’arte politica
Platone immagina che l’azione del testo sia successiva alla scena finale del Sofista. I
protagonisti sono Socrate (il maestro di Platone), Teodoro e Teeteto (due matematici),
Socrate il giovane (che resse l’Accademia durante l’assenza di Platone) e uno Straniero, già
comparso nel Sofista e di fatto colui che pone e risolve tutte le numerose questioni sorte
durante il dialogo.
All’inizio viene posta la traccia della questione trattata: la definizione dell’uomo politico
attraverso una rigorosa determinazione dell’arte politica. Per Platone il politico è il capo di
una casa che dirige la famiglia per il bene di tutti i suoi membri. Per Platone il comando
sulla casa e quello sulla città divergono solo per la dimensione, ma non a livello filosofico.
Quest’ultimo aspetto costituirà uno dei motivi di disaccordo dottrinale con Aristotele, che
nella Politica non mancherà di rilevare la sua distanza da questa posizione. Per Aristotele
infatti la casa e lo Stato sono cose distinte, e la famiglia non è una cosa analoga al governo
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civile.
Platone, che parla attraverso la voce dello Straniero, utilizza anche l’immagine del pastore
che controlla e guida il gregge umano. Questa definizione, secondo Platone, rischia però
di non cogliere lo specifico del politico-re. L’uomo di Stato più che un allevatore è una
specie di artista, la cui qualità più importante è la conoscenza. La politica, quindi, non è
una scienza pratica, ma una scienza teoretica. In tutti i casi in cui il governante sia
realmente un artista della politica, Platone sostiene apertamente l’assolutismo. Egli scrive
che tra le forme di governo è preminentemente giusta, ed è la sola effettiva, quella in cui i
capi possiedono effettivamente la conoscenza e non fanno soltanto finta di possederla, sia
che governino con la legge o senza legge, sia che i loro sudditi siano o meno disposti alla
soggezione.
Questa è un’affermazione particolarmente grave. Platone afferma infatti che il miglior
governo deve essere esercitato senza la legge. La legge infatti ha a che fare con casi medi,
ed è assurdo che un capo realmente esperto debba avere le mani legate, com’è assurdo
che un medico sia costretto a prescrivere le ricette da un libro, se ne sa abbastanza di
medicina per aver scritto il libro. Nello Stato ideale il consenso dei sudditi quindi non
interessa il governante, perché la libertà dei sudditi rischia di ostacolare l’opera del
sovrano che padroneggia la sua arte. Infatti non si può credere che la massa della
popolazione sappia cosa è bene per lo Stato.
Il mito in questo dialogo
All’inizio Platone adotta l’orientamento tipicamente razionalistico di Socrate, il quale di
fronte al mito ha un atteggiamento di rifiuto perché privilegia la discussione razionale. Di
seguito Platone rivaluta il racconto di tipo mitico. Lo usa spesso, gli attribuisce una
notevole importanza e se ne serve come stimolo e spiegazione per il logos. Come un
aiuto, dunque, o per meglio dire un ausilio al fine di meglio far intendere ciò che emerge
dallo scritto.
In questo dialogo Platone afferma di voler procedere attraverso una strada diversa dal
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passato, quella del mito. Il principale mito presentato è quello relativo all’età di
Crono, preceduto da quello del racconto della lite fra Atreo e Tieste. Il mito sull’età di
Crono, padre di Zeus, viene riportato al fine di illustrare il tema della regalità nella
cosiddetta età dell’oro, quando le condizioni erano opposte a quelle attuali,
contraddistinte da corruzione dei corpi e dall’infelicità. In un contesto simmetricamente
diverso, la vita regrediva verso l’infanzia ed ogni aspetto era segnato dal potere divino,
capace di dominare un’umanità ed un cosmo che potevano vivere in una sorta di eden
primordiale.
L’ingresso del mutamento e il momentaneo abbandono del dio dal suo posto di reggitore
dell’universo (che significativamente, utilizzando una metafora di seguito utilizzata per
definire il politico, viene chiamato pilota o timoniere) porta ad una situazione di
sconquasso, di disordine, di sconvolgimenti. Platone ci dice che quando manca l’Artefice e
quando viene a mancare la sua opera di sovranità unificante, il mondo non è in grado di
funzionare, mentre ritorna ad avere un senso quando l’intero si uniforma ai suoi dettami e
quando Lui stesso, Demiurgo e Padre, ridona il senso rimettendosi alla guida. Gli uomini,
da incerti, smarriti ed indifesi che erano tornano ad essere capaci di abitare la terra, e
grazie ai doni degli dei, ossia al fuoco, alle arti tecniche ed alle colture agricole di base,
possono avviare una vita decorosa.
Il Metodo e il modello dell’arte politica
Platone comunque non vuole trarre tutte le conseguenze dalla sua conclusione favorevole
all’assolutismo. È consapevole infatti che c’è un altro aspetto della questione, come
dimostrato dal fatto che la sua definizione di statista distingue nettamente il re dal
tiranno. Un tiranno si impone con la forza sui sudditi che mal lo sopportano, mentre il
monarca legittimo possiede la “politica”, cioè l’arte di rendere accetto il suo governo al
popolo.
Platone ci pone sempre di fronte un motivo per il quale l’indagine va ulteriormente
scomposta, non accontentandosi mai di un apparentemente facile risultato appena
conseguito. Probabilmente è difficile rendere compatibile la sua posizione favorevole al
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dispotismo illuminato con la critica alla tirannia, ma egli non intende rinunciare a
nessuna delle due. Da un lato considera giusto il governo assoluto di un re che
padroneggia con sapienza l’arte politica; dall’altro non riesce a vincere l’avversione greca
per un governo basato apertamente sulla forza.
Si comprende quindi l’intermezzo in cui Platone parla del “giusto mezzo” come criterio
orientativo della politica. Uno statista deve infatti essere in grado di misurare l’eccesso ed
il difetto, deve saper comprendere il troppo ed il troppo poco, di ogni cosa deve saper
valutare la misura e il valore. L’uomo politico deve possedere queste facoltà, che sono
capacità di ordine assolutamente generale e pertanto sono attributi essenziali di chi abbia
la responsabilità del potere e l’onere delle decisioni. La ricerca sull’uomo politico è
funzionale dunque alla maturazione dell’uomo in generale, in tutti i campi ed in ogni
ambito.
I regimi politici
Le considerazioni che precedono e sembrano fare da premessa alla parte relativa ai regimi
politici, una parte giustamente famosa che ci porta alla temperie culturale tipica
dell’Ellade al tempo della formazione di Platone. L’autore afferma con chiarezza
inequivocabile che gli schiavi non possono accedere all’arte regia né praticarla, come pure
i liberi che praticano il commercio o l’agricoltura, o in genere coloro che prestano servizio.
Nella sua separazione preliminare di coloro che possono ambire alla possibilità di divenire
politici e di esercitare l’arte regia, Platone mette anche i sofisti, ossia i praticanti di un
sapere utilizzato come merce o come funzione di scambio, aborrito e condannato senza
appello.
Segue la celeberrima distinzione dei tre sistemi politici fondamentali: monarchia, o
governo di uno solo, aristocrazia, o signoria di pochi, e democrazia, o governo della massa.
La monarchia si può presentare, a seconda che eserciti o meno un dominio su persone
consenzienti o meno, governo regio oppure tirannia, che è una palese degenerazione del
modello. Allo stesso modo si può differenziare la signoria di pochi in forma legittima o
illegittima, rispettivamente l’aristocrazia e l’oligarchia. Per quanto riguarda la democrazia,
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essa non cambia nome a seconda della sua legalità o illegalità, che sono date dal
consenso o meno. Per Platone non è possibile che la democrazia possa identificarsi
compiutamente con la scienza politica, in quanto non ritiene possibile che la massa
acquisisca le nozioni filosofiche fondamentali di questa arte. Lo stesso tipo di censura è
allargata al governo di pochi, che per il loro numero non possono cogliere le essenze ideali
dell’arte politica.
La monarchia pura governata dal re-filosofo, dunque, è uno Stato ideale di natura divina,
troppo perfetto per le cose umane. Si distingue da tutti gli Stati reali perché in esso
governa la conoscenza e non c’è bisogno di legge. È il modello che Platone ha elaborato
nella Repubblica, che ora considera un modello “celeste” cui gli uomini devono imitare,
ma che non possono mai raggiungere.
Le legge
Se nello Stato ideale governato da un re-filosofo non serve la legge, essa è necessaria in
una polis abitata da uomini in carne ed ossa, incapaci di governare con virtù e scienza. In
uno Stato umano, quindi, non si può fare a meno della legge. Platone definisce “ingiusta”
la legge da un punto di vista assoluto, perché incapace di rendere giustizia ad ogni singolo
che ne sia sottoposto. Anche la ricerca del consenso generale rappresenta un limite della
legge, perché non sempre può favorire il Bene o comunque qualcosa di migliore. Qui
l’autore palesa la sua evidente difficoltà nell’accettare un meccanismo di legislazione
condiviso, come pure una cultura della maggioranza, alla quale oppone piuttosto la
visione di un uomo saggio e virtuoso che per le sue doti amministra come meglio non si
potrebbe gli interessi dei governati. Tale figura, come il pilota della nave, è al di sopra della
legge e delle costituzioni scritte.
Nonostante queste critiche Platone conserva la necessità delle leggi scritte che, se non
altro, consentono la possibilità di una convivenza concreta. Queste leggi però sono mere
imitazioni della Legge Ideale, cioè la Legge con cui l’uomo di Stato perfetto realizza ciò che
egli ritiene e vede come il Bene contemplato. La distinzione dei piani giustifica il
mantenimento delle leggi scritte, come pure il fatto che esse tanto più non errano quanto
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più imitano la costituzione ideale.
Le corruzioni delle costituzioni e la tendenza dei governanti a cercare il proprio tornaconto
oppure ad allontanarsi dall’ideale e dall’esempio del sovrano saggio e virtuoso spiegano il
sorgere della tirannide, dell’oligarchia e della demagogia. La monarchia sotto l’auspicio ed
il controllo di buone norme scritte è la migliore delle costituzioni; quando invece non
osserva le leggi è la forma peggiore mutandosi in tirannide; l’aristocrazia è intermedia
rispetto all’unità ed alla molteplicità; la democrazia, invece, come governo della massa
con poteri troppo suddivisi, è la peggiore delle forme possibili, mentre diventa la migliore
delle forme non regolate da leggi in quanto almeno la libertà resta garantita.
Il vero politico e la scienza politica
Dopo una parte nella quale viene messo in adeguato rilievo il posto che deve avere la
retorica come scienza ausiliaria della politica, come pure la collocazione della strategia
militare o arte della guerra e della pace, della capacità dei giudici di giudicare rettamente
e di come queste scienze accessorie siano subalterne all’arte regia, si passa alla
determinazione della natura del vero politico.
In sintesi conclusiva l’uomo politico per essere degno di esercitare il potere deve
presentare un chiaro equilibrio delle sue virtù fisiche e razionali, deve formarsi attraverso
un’attitudine caratteriale, una esplicita educazione filosofica e la conoscenza e
l’osservanza delle leggi. Deve saper congiungere uomini con caratteri temperanti con
uomini con caratteri impetuosi e saper fornire loro, secondo una scelta armonica e mirata,
le cariche che amministrano la cosa pubblica. In buona sostanza, il politico è colui che sa
unificare gli opposti nella giusta misura.
CITAZIONI RILEVANTI
Centralità dell’arte regia.
«Ma nessun’altra arte, a maggior titolo e prima dell’arte regia, può pretendere di
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affermare di essere cura dell’intera comunità umana ed arte di esercitare il potere
su tutti gli uomini» (p. 335).
La sola costituzione retta.
«E sia che purifichino lo Stato, per il suo bene, uccidendo oppure esiliando qualcuno, sia
che facciano più piccolo lo Stato inviando colonie, come sciami di api, in qualche luogo,
oppure lo facciano più grande introducendo da qualche parte, dall’esterno, altri uomini e
rendendoli cittadini, purché lo conservino, con scienza e secondo giustizia, e lo rendano,
per quanto possibile, migliore, da peggiore che era, dobbiamo affermare che questa,
allora, ed entro tali termini, è per noi la sola costituzione retta» (p. 351).
Chi può amministrare lo Stato.
«Una massa di uomini di qualunque tipo non acquisirà mai tale scienza, e non sarà mai in
grado di amministrare uno Stato con intelligenza, ma bisognerà cercare quell’unica retta
costituzione in un piccolo numero di pochi uomini, anzi in uno solo; le altre costituzioni,
invece, devono essere considerate imitazioni … che la imitano le une meglio le altre
peggio» (p. 354).
Attività dell’arte regia.
«Allo stesso modo, allora, a me pare chiaro, farà la scienza regia: a tutti coloro che
secondo legge educano e allevano, essa, che possiede già in sé la capacità di dirigere, non
permetterà di esercitare i giovani se non in ciò che, se uno lo compie in funzione della
unificazione da lei stabilita, finirà col produrre un certo costume decoroso, ma ordinerà
loro di educare i giovani in queste sole cose. E colo che non riescono a partecipare ad un
costume di vita valoroso e temperante e di quant’altro c’è che tende alla virtù, ma sono
respinti da una malvagia forza naturale verso l’ateismo, la tracotanza e l’ingiustizia, li
elimina con la morte o con l’esilio, o punendoli con la privazione dei più importanti diritti
civili» (p. 365)
L’AUTORE
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Platone nacque ad Atene nel 427, che a vent’anni divenne discepolo di Socrate e che fu suo
discepolo per otto anni, fino alla sua morte nel 399 a.C. Nel 388 intraprese il suo primo viaggio in
Italia, visitando i circoli pitagorici, oltre che la Taranto del tiranno Archita e la Siracusa di Dionigi I.
Nel 387, di ritorno ad Atene, acquistò un terreno con un ginnasio ed un parco e vi fondò una
scuola chiamandola Accademia. Nel 367 e nel 361 compì il secondo e terzo viaggio a Siracusa.
Morì ad Atene nel 347 a.C.
NOTA BIBLIOGRAFICA
Platone, Politico, Laterza, Bari-Roma, 1986.
Si è utilizzata la versione tratta da: Platone, Tutti gli scritti, Milano, Rusconi, 1991, a cura di
Giovanni Reale.
Titolo orginale: Politikos
NOTA SULLE OPERE DI PLATONE
Offriamo qui alcune brevi notizie sulle opere di Platone, per situarle e comprenderne la
vastità. Innanzitutto esse ci sono pervenute nella loro completezza. Il grammatico Trasillo
li ha ordinate in nove tetralogie e convenzionalmente sono conosciute in questo ordine,
che non è peraltro quello cronologico:
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I : Eutifrone; Apologia di Socrate; Critone; Fedone
II : Cratilo; Teeteto; Sofista; Politico
III : Parmenide; Filebo; Convito; Fedro
IV: Alcibiade I; Alcibiade II; Ipparco; Amanti
V : Teagete; Carmide; Lachete; Liside
VI : Eutidemo; Protagora; Gorgia; Menone
VII : Ippia minore; Ippia maggiore; Ione; Menesseno
VIII: Clitofonte; Repubblica; Timeo; Crizia
IX : Minosse; Leggi; Epinomide; Lettere
Gli scritti hanno sollevato nei secoli, soprattutto a partire dal XIX secolo, una ridda di
ipotesi, congetture, problematiche che va sotto il nome generico di “questione platonica”.
Accenniamo soltanto, visto che la trattazione sarebbe davvero sconfinata, all’autenticità o
meno di scritti o di parti di essi. Alla cronologia, che pone di fronte alla risoluzione della
parabola delle tematiche affrontate dal nostro filosofo. Al momento, detta parabola
sembra partire da un iniziale interesse per l’etica e la politica, per poi passare ad una
ridefinizione delle istanze della filosofia della physis presocratica. Questo passaggio gli
consentì di raggiungere la scoperta del soprasensibile, ossia di una dimensione che vada al
di là del sensibile, la cosidetta “seconda navigazione”. Questa scoperta essenziale lo spinse
a rivalutare ogni aspetto fin lì discusso, ed a dominare la sua produzione fino alla fine della
sua esistenza. Di recente è divenuto sempre più rilevante il ruolo dei rapporti tra scritti e
dottrine non scritte, cioè consegnate da Platone alla dimensione dell’insegnamento
interno e dell’oralità.
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