Autunno del medioevo Il Medioevo è un lungo

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Autunno del medioevo Il Medioevo è un lungo
Autunno del medioevo
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Autunno del medioevo
Il Medioevo è un lungo periodo in cui la vita dell’uomo è caratterizzata da stupore e timore nei
confronti della natura. Sia la natura che la storia sono i luoghi in cui si manifesta la potenza di
Dio.
I periodi storici sono ordinati secondo una logica che richiama gli eventi biblici.
S. Agostino (357 – 431) nel De Civitate Dei, opera monumentale dell’inizio del V secolo d.C.,
propone una filosofia della storia secondo i canoni del cristianesimo. Per Agostino la concezione
circolare del tempo, propria dell’antichità greca, è inconciliabile con la visione cristiana. Il tempo
inizia con la creazione del mondo e finisce con il giudizio universale; in questo mondo in cui vi è la
presenza del male ed in cui la maggioranza degli uomini è destinata alla dannazione, i cristiani
devono contribuire a costruire la città di Dio e conseguire la salvezza eterna. Il compimento della
vita non è in questo mondo ma nel regno dei cieli (visione escatologica). Quest’idea costituisce il
fondamento del senso cristiano della storia che accompagnerà gli uomini del medioevo.
Nell’XII secolo Gioacchino da Fiore (1130-1202), abate e teologo, propone una spiegazione
millenaristica della storia. Egli ritiene che due epoche siano già trascorse, quella del Padre e quella
del Figlio, adesso incombe l’età dello Spirito Santo che avrebbe dovuto iniziare nel 1260. Per
Gioacchino, impressionato dal libro dell’Apocalisse di S. Giovanni Evangelista, quest’ultima età
avrebbe dovuto inaugurare non il ritorno di Cristo, ma un periodo di pace e concordia spirituale.
Le sue idee contribuirono a far crescere alcuni sentimenti dell’universo spirituale del tardo
medioevo come il movimento francescano degli spirituali, oppure il fenomeno del movimento dei
cosiddetti flagellanti.
L’idea di fondo che accomuna la visione della società e della natura medievali è l’interpretazione in
chiave religiosa degli eventi storici, della società e dei fenomeni naturali.
Adalberone di Laon, vescovo francese dell’XI secolo, propose uno schema tripartitico della
società del medioevo: Dio, creatore e signore dell’universo, ha ordinato tutte le cose secondo il suo
imperscrutabile disegno. Gli uomini, per assecondare l’ordine divino, devono dunque rispettare Dio
assecondando ed accettando il ruolo che hanno ricevuto: gli oratores, i bellatores, i laboratores.
Ogni ordine deve contribuire in maniera sinergica a mantenere l’ordine sociale che rispecchia il
volere divino.
In questo contesto culturale i soggetti che hanno la responsabilità maggiore sono le due più
importanti istituzioni politico-religiose del tempo: il papato, titolare dello scettro di Pietro e capo
supremo della spiritualità cristiana, l’impero, che detiene la spada del potere temporale, dunque
l’istituzione che deve garantire la pace, l’unità e la giustizia nel mondo.
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Secondo lo schema dantesco del De Monarchia, le due istituzioni, che hanno un valore universale,
dovrebbero essere come due soli che danno vita ed illuminano l’universo intero.
È necessario, in questo incontro, soprassedere alle vicissitudini che hanno accompagnato il rapporto
Stato-Chiesa durante tutto il Medioevo. Basti dire che l’idea di Dante, siamo all’inizio del ‘300, non
era ben vista né dagli ecclesiastici, né dal partito filo imperiale che ascoltava sicuramente di più le
idee di Marsilio da Padova e di Guglielmo d’Ockham riguardo ai rapporti fra potere civile e potere
religioso.
Il valore dell’idea politica dantesca si presta bene, però, a interpretare il papato e l’impero come le
due istituzioni principali del Medioevo, portatrici entrambi di un principio universalistico sia in
ambito religioso che in ambito politico.
Quindi nell’immaginario medioevale l’universo, creato da Dio, è il luogo in cui egli si
manifesta (teofania), è lo scenario di un disegno divino che coinvolge la natura e la storia. Gli
eventi naturali sono dunque i segni, le allegorie della volontà divina.
Gli uomini devono seguire gli insegnamenti della Chiesa e non devono attaccarsi troppo alle
cose terrene, fra le quali emergono il potere, il denaro, il piacere sessuale.
Il periodo che coinvolge il Boccaccio e la società del Decamerone, il trecento italiano, lo dobbiamo
definire ancora medioevo, ma certamente con evidenti segni di novità che esprimono bene la
trasformazione che coinvolge la società e le istituzioni universalistiche del medioevo.
Circa un secolo fa, nel 1919, lo storico J. Huizinga intitolava una sua opera, L’Autunno del
Medioevo. Egli parla soprattutto del XV secolo in Francia, quando a seguito della guerra dei
cent’anni, il sistema di valori tradizionali della cavalleria medievale e dell’amor cortese si trovano
in conflitto con i nuovi valori della borghesia che esprimono il senso della nuova epoca
rinascimentale. Di questa opera a noi interessa riflettere sul significato del titolo, autunno del
medioevo, ovvero tramonto di un’epoca che, escludendo il fatto che la storia umana stia per finire,
non può che, ineluttabilmente, preludere ad una nuova età. Quella che in seguito verrà definita
Rinascimento.
Da un lato, il XIV secolo è tramonto di un’epoca ma, dall’altro è transizione verso il nuovo. Tale
secolo è definito “secolo di crisi”, ovvero secolo di decadenza dal punto di vista politico-conomico,
che, allo stesso tempo, segna la fine per qualcuno (soggetto sociale, politico, ecc…) ed offre una
chance per qualcun altro. E’ dunque un nuovo inizio.
Cerchiamo di capire il senso di questo di questo discorso.
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IMPERO
Nel 1250 muore Federico II di Svevia, definito dai contemporanei stupor mundi. Dopo le varie
guerre che hanno coinvolto i suoi eredi, Manfredi e Corradino, l’impero sembra destinato al
tramonto. Nel 1273, dopo aver perso i possedimenti imperiali nella penisola, a vantaggio degli
angioini francesi e dei comuni italiani, e dopo le lotte fra i grandi feudatari tedeschi per contendersi
il trono (interregno), la corona passa a Rodolfo I d’Asburgo che, però, non riesce a restaurare di
nuovo il potere imperiale in Italia, nonostante riuscisse a farsi nominare re dei romani.
Dopo di lui ci proverà Enrico VII di Lussemburgo. Venuto in Italia nel 1310, fu incoronato a
Milano nel 1311 re dei romani e finalmente giunto a Roma fu incoronato imperatore nel 1312.
La sua discesa, però fu un fallimento, in quanto fomentò maggiormente le lotte fra guelfi e
ghibellini, coinvolgendo il papato e Roberto d’Angiò, re di Napoli.
Nel 1327 venne in Italia Ludovico di Baviera. Egli era stato scomunicato dal papa avignonese
Giovanni XXII che aveva organizzato una crociata contro di lui, insieme agli angioini.
E’ questo un periodo caratterizzato da divisioni sia in ambito politico ( imperatore, papato, comuni),
sia in ambito religioso (cattività avignonese, dolcinani, spirituali, conventuali).
Sono gli anni in cui si cerca da un lato di ribadire la superiorità del papato, mentre dall’altro si cerca
di dare legittimazione diversa al potere civile riconoscendo all’imperatore, ovvero al detentore di
esso, una netta separazione dal papato. Si avanzano nuove teorie che propongono nel consenso
popolare il fondamento del potere politico (Marsilio da Padova, Defensor pacis), riprendendo le tesi
di Aristotele sulla socialità naturale degli uomini.
[Sono questi gli anni in cui è ambientato il romanzo di Umberto Eco Il nome della rosa e quelli in
cui vi fu l’assedio da parte dell’esercito imperiale di Lodovico alla città di Grosseto (17-21
settembre 1328)
Anche questo tentativo da parte di Lodovico il Bavaro, nonostante ottenesse l’incoronazione
imperiale a Roma nel 1327, di restaurare il controllo del potere imperiale in Italia per fargli
riacquistare la grandezza e l’universalità del passato fallì.
La figura imperiale andò progressivamente perdendo il suo valore universale. Nel 1338 a
Francoforte la Dieta imperiale deliberò che l’imperatore sarebbe da ora in poi stato eletto dai nobili
tedeschi. Successivamente nel 1356, quando l’Imperatore Carlo IV di Lussemburgo (re di
Boemia) promulgò la cosiddetta Bolla d’oro. In questo decreto imperiale si deliberò la nuova
modalità di elezione imperiale. Sette feudatari della Dieta imperiale, definiti grandi elettori, 4
principi e 3 vescovi, tutti tedeschi, eleggeranno l’imperatore. L’incoronazione del papa non è più
necessaria. L’imperatore, da autorità universale, diventa un semplice primus inter pares fra i
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feudatari tedeschi. Dal XV secolo in poi tale carica sarà mantenuta dalla famiglia dei duchi
d’Asburgo.
Fino al XVI secolo, con Carlo V d’Asburgo, gli imperatori non si preoccuparono più dell’Italia.
Essi persero quell’aura di sacralità universale che aveva caratterizzato il loro potere durante
il lungo medioevo. In Europa si stavano affermando le monarchie nazionali (Francia, Inghilterra,
Portogallo, Spagna, Polonia, Svezia, ecc… ). L’imperatore sarà un sovrano alla stregua di altri
sovrani europei
CHIESA
Dopo i pontificati di Gregorio VII (1073 – 1085) autore dei dictatus papae, in cui si rivendicava il
diritto esclusivo del papa di utilizzare le insegne imperiali, in quanto autorità suprema, e quello di
Innocenzo III (1198 – 1216) autore della ben nota teoria del sole e della luna, quali metafore del
papato e dell’impero, fautori entrambi del potere teocratico e dell’universalismo cattolico, nel 1300
il papa Bonifacio VIII promulgò il primo Giubileo della Storia. L’idea è di rilanciare il prestigio
della Chiesa romana che era uscita da un periodo di debolezza dopo il “gran rifiuto” di Celestino V
e le divisioni che coinvolgevano il mondo ecclesiastico fra i fautori della povertà assoluta della
Chiesa e coloro che, invece, sostenevano la legittimità del possesso di beni da parte degli ordini
religiosi ecclesiatici.
Il 1302 è l’anno in cui si aggrava il dissidio fra Bonifacio VIII ed il re si Francia Filippo IV di
Valois. Alla scomunica papale segue un intervento militare del re di Francia che sceso in Italia
costringe il papa alla fuga ed all’umiliazione.
Morto Bonifacio, nel 1303 e terminato il breve pontificato di Benedetto XI, il re di Francia, anche
per interrompere le lotte fra i nobili romani, favorisce l’elezione di Bertrand de Got vescovo
francese (Clemente V) che nel 1309 decide di trasferire la sede papale ad Avignone. Qui la sede del
vicario di Cristo rimarrà fino al 1377. Sono anni difficili per l’Italia, caratterizzati da divisioni e
guerre intestine, documentate dalle cronache del tempo e dallo stesso Petrarca. Nel 1378 al rientro
del papato a Roma, il clero francese si divide e dà avvio al cosiddetto scisma d’occidente.
La divisione del clero porterà all’elezione di due papi, uno romano ed uno avignonese, ed allo
schieramento dei sovrani europei che riconosceranno l’uno o l’altro. Solo nel ‘400 lo scisma si
ricompose, ma ormai la strada che porterà alla formazione di chiese nazionali è stata avviata ed il
prezzo che il papato pagherà, per ricucire l’unione ecclesiastica sarà elevato (conciliarismo).
Come per l’impero, anche per il papato viene meno quell’universalismo che avrebbe dovuto
realizzare la respublica cristiana, ideale politico-religioso medievale.
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SECOLO DI CRISI
Ma il ‘300 fu secolo di crisi anche dal punto di vista economico e demografico. Il peggioramento
del clima ed il conseguente raffreddamento determinò una serie di raccolti scarsi che portarono ad
un peggioramento delle condizioni di vita soprattutto nelle campagne.
Le guerre che accompagnarono il ‘300, in primis la guerra dei cent’anni, ma anche i frequenti
conflitti che provocarono trasformazioni, ad esempio in Italia nel passaggio dai comuni alle
signorie, determinarono problemi anche nelle società cittadine. Lo scontro fra nobiltà e borghesia
delle arti, come a Firenze o nelle Fiandre, provocò un peggioramento anche delle condizioni di
vita della società cittadina.
Le guerre, le carestie ed infine nel 1347 la peste bubbonica che imperversò in Europa
determinando una flessione demografica che segnò la diminuzione di circa un terzo del numero di
abitanti, ebbero un impatto significativo a livello economico, politico, sociale e culturale.
La peste fu un evento che venne affrontato con una mentalità medievale. Si pensò ad un castigo
divino, ad una congiunzione astrale sfavorevle, ad un attacco degli infedeli. Il tessuto economico e
sociale si sfibrò. Le relazioni famigliari si disgregarono e il senso della vita diventò estremamente
precario.
Alcuni pittori cominciarono a rappresentare quello che venne chiamato il “Trionfo della morte” e
“La danza macabra”. Una rappresentazione in cui si evidenzia la familiarità della morte con la
vita degli uomini. Di fronte alla morte tutti sono uguali: ricchi e poveri, potenti e deboli, uomini e
donne, nobili e servi.
In questo contesto si cerca si sopravvivere alla paura ed alla disperazione cercando rifugio nella
religione, attraverso comportamenti come quelli dei movimenti dei flagellanti, oppure si cercherà
di combattere la paura del contagio con una medicina inadeguata, che propone mezzi assolutamente
inefficaci.
Oppure si cerca una ragione del contagio incolpando di ciò i malvagi ebrei (è in questo periodo che
si afferma lo stereotipo dell’ebreo) che in quanto deicidi, non possono che volere la distruzione
della società cristiana.
In altri casi si cerca di esorcizzare la paura della morte attraverso il divertimento, l’evasione, il
piacere.
E’ proprio il piacere uno dei temi che riguarda il mondo del Boccaccio: le donne, ad esempio,
cercano l’amore attraverso il tradimento dei loro mariti.
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I sotterfugi e le astuzie descritte mi pare esprimano una tolleranza di B. verso queste “scappatelle”
intese anche come critica ai modelli del conformismo sociale del tempo.
Nel Decamerone le cento novelle, pur avendo spesso in comune il tema, sono diversissime l'una
dall'altra, poiché l'autore vuol rappresentare la vita di tutti i giorni nella sua grande varietà di tipi
umani, di atteggiamenti morali e psicologici, di virtù e di vizio; ne deriva che il Decameron offre
una straordinaria panoramica della civiltà del Trecento: in quest'epoca l'uomo borghese cercava di
creare un rapporto fra l'armonia, la realtà del profitto e gli ideali della nobiltà cavalleresca ormai
finita.
La società descritta da Boccaccio è probabilmente ancora una società del Medioevo, ma certamente
i temi del lavoro, del denaro, dell’astuzia, del piacere, esprimono un’idea di società in cui
prevalgono maggiore dinamicità e valorizzazione di quelle doti umane che, successivamente,
saranno valorizzate dall’antropocentrismo rinascimentale secondo cui l’uomo arriva a pensare di
poter agire sulla natura e sulla storia modificandone il corso attraverso la propria intelligenza e la
forza della conoscenza. L’autore che meglio esprime questa concezione sarà Pico della Mirandola
che in una sua opera De hominis dignitate, riterrà l’uomo artefice del proprio destino.
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