Gli extracomunitari fuori dalla loro patria. Io sono

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Gli extracomunitari fuori dalla loro patria. Io sono
Fondo Europeo per l’Integrazione di Cittadini di Paesi Terzi
Programma Annuale 2013
GLI EXTRACOMUNITARI FUORI DALLA LORO PATRIA.
IO SONO ME STESSA
Nel mondo di oggi ci sono molte persone che scappano dalla loro patria, nella quale ci
sono guerre in continuazione, povertà e schiavitù. E, una volta arrivati in Italia, le
facciamo sentire inferiori a noi, le trattiamo male e le sfruttiamo, non c’è rispetto per
loro solo perché hanno la carnagione diversa dalla nostra.
Ma c’è una cosa che ci accomuna: è quella che tutti noi siamo delle persone e tutti noi
siamo “clandestini” o comunque di passaggio su questa terra.
In fin dei conti, se proviamo ad andare indietro nella storia, anche la nostra nazione
italiana è caratterizzata dalle emigrazioni delle popolazioni meridionali verso le
Americhe, prima e verso l’Italia del nord, poi. Un secolo fa sulle carrette del mare
c’erano gli italiani che cercavano di emigrare in America, spesso su imbarcazioni
inadeguate, vittime di armatori senza scrupoli. Quindi, noi, o almeno alcuni di noi,
magari non direttamente ma attraverso nonni o parenti, abbiamo vissuto o, quanto
meno, siamo il frutto di queste immigrazioni.
Sarebbe assurdo comportarsi duramente con chi sta facendo un’esperienza simile.
Assurdo, poi, scaricare sulle spalle dei clandestini tutti i guai della società, poiché la
cronaca ci mostra ogni giorno delinquenti di casa nostra o anche persone insospettabili
che si macchiano di crimini orrendi: non è detto che quando muoiono ragazzine della
nostra età siano stati per forza gli extracomunitari. Dobbiamo imparare anche a
guardare chi ci sta accanto, che magari è la prima persona che ci vuole fare del male, e
poi iniziare a vedere le persone all’esterno che non conosciamo.
Tornando a parlare degli immigrati extracomunitari, tengo a dire che occorre garantire
loro il soccorso durante il viaggio in mare, nel corso del quale troppe persone hanno
perso la vita. Dice giustamente Don Ciotti che “le morti degli immigrati che non
arrivano a destinazione, ma muoiono durante il viaggio, sono morti che devono pesare
sulle nostre coscienze”. Poi occorre garantire l’accoglienza e l’assistenza umanitaria,
una volta che questi sbarcano sulle coste italiane. Infine, bisogna evitare ogni tipo di
pregiudizio. Gli immigrati non devono essere visti come facili capri espiatori. Talvolta
si è scoperto che a compiere delitti di cui era stato incolpato un extracomunitario in
realtà era stato un italiano. Questo, però, non può voler dire che si debbano aprire le
porte a tutti.
Sono d’accordo con il favorire la regolarizzazione di chi è in Italia da molto tempo e
di chi svolge un lavoro umile e onesto. Ci sono diversi motivi che spingono gli
extracomunitari a stabilirsi nel nostro stato: guerre che coinvolgono gli stati di
provenienza, mancanza di lavoro nel proprio stato, sogno di trovare benessere nel paese
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di destinazione. L’Italia, come sempre tutto il mondo occidentale, è vista come una
meta da raggiungere per trovare il benessere; purtroppo, non è veramente questo ciò
che spesso si trova un volta qui. Molti di loro sono soggetti a forme di emarginazione
sociale e subiscono ingiustizie.
Gli extracomunitari credo, purtroppo, troveranno sempre dei problemi nella
convivenza, posso solo sperare che la condizione in cui sono costretti a vivere nei loro
paesi migliori, in modo che non debbano necessariamente lasciare la loro patria per
cercare un futuro incerto in un altro paese.
Personalmente, posso mettermi tranquillamente nei panni delle ragazze della mia età
quando sono costrette a cambiare nazione per migliorare la propria vita, per renderla
un po’ più bella e facile rispetto a quella di prima. Io, infatti, sono una ragazza di 18
anni e sono stata adottata da una famiglia italiana, vivo qui ormai da otto anni e devo
confessare che non è stato per niente facile poter entrare a contatto con le altre ragazze
e ragazzi. C’era chi mi insultava, chi mi chiamava “negra”, chi mi diceva che puzzavo
e non avevo l’odore della pelle bianca, tutto questo perché ero diversa da loro nel modo
di parlare e per la mia carnagione, più scura rispetto alla loro.
Questa storia è durata per tre anni, ma alla fine ero io la più forte, perché nonostante
tutto ho imparato ad andare avanti, a non crearmi problemi perché mi sento bella cosi
come sono. La cosa che più conta per me è la vita, insieme alla mia famiglia, tutto il
resto viene al secondo posto.
Se ci fermassimo per un attimo e pensassimo per davvero che cos’è la vita, nessuno di
noi forse sarebbe in grado di spiegarlo. Ho imparato ad andare avanti nonostante gli
insulti e le discriminazioni, proprio perché mi sono fermata e ho pensato veramente
cosa significa la vita per me: io la ritengo una cosa sacra, che solo Dio ci può togliere,
quando meno ce lo aspettiamo.
Oggi io mi considero una giovane di 18 anni fortunata, perche sono uscita da una vita
indescrivibile e perche ho trovato amici che mi vogliono bene per quello che sono. Io
non ho dovuto mai cambiare per nessuno e mai lo farò.
IO SONO ME STESSA!
Katerine Quarta Tarantini
I.T. “G. Deledda” - Lecce