giovedi 19 gennaio 2017

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giovedi 19 gennaio 2017
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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
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Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVII n. 14 (47.448)
Città del Vaticano
giovedì 19 gennaio 2017
.
All’udienza generale Papa Francesco ricorda l’inizio della settimana dedicata all’ecumenismo
Avvio dell’uscita dall’Unione a marzo
L’unità è possibile
May detta la linea
sulla Brexit
E nella catechesi dedicata al profeta Giona spiega il legame tra preghiera e speranza
«Comunione, riconciliazione e unità sono possibili»: nel giorno in cui ha inizio la settimana ecumenica Papa Francesco ha ribadito la necessità di
pregare affinché i cristiani ritrovino la piena unione, sottolineando come «in Europa questa comune fede in Cristo è come un filo verde di speranza». Salutando come di consueto i gruppi di fedeli al termine dell’udienza generale del 18 gennaio, con quelli di lingua tedesca presenti nell’aula Paolo VI il Pontefice ha ricordato «con commozione la preghiera ecumenica a Lund, in Svezia, il
31 ottobre scorso». Da qui l’esortazione «nello
spirito di quella commemorazione comune della
Riforma», a guardare «più a ciò che unisce che a
ciò che divide» e a continuare «il cammino insieme, per approfondire la comunione e darle una
forma sempre più visibile». Auspici rinnovati
sull’account @Pontifex: «Dall’intimo della nostra
fede in Gesù Cristo — ha twittato — sgorga l’esigenza di essere uniti in lui».
In precedenza il Papa aveva proseguito il ciclo
di riflessioni sul tema della speranza cristiana alla
luce della Scrittura. Sullo sfondo della catechesi
la figura biblica del profeta Giona «che tenta di
sottrarsi alla chiamata del Signore». Ma la sua vicenda — narrata «in un piccolo libretto di soli
quattro capitoli» — costituisce secondo Francesco
«una sorta di parabola portatrice di un grande insegnamento, quello della misericordia di Dio che
perdona».
Egli è infatti «un profeta in uscita che Dio invia “in periferia”, a Ninive», per convertirne gli
abitanti; però cerca di sottrarsi al compito e fugge. Così entra in contatto con dei pagani, i marinai della nave su cui si era imbarcato. Ma nel corso della traversata «scoppia una tremenda tempesta», durante la quale il profeta «riconoscendo le
proprie responsabilità, si fa gettare in mare per
salvare i compagni di viaggio». Ecco allora la le-
Donald Liu, «La preghiera di Giona» (2008)
zione tratta da Francesco: «La morte incombente
ha portato quegli uomini pagani alla preghiera» e
«ha fatto sì che il profeta vivesse la propria vocazione al servizio degli altri accettando di sacrificarsi».
Di conseguenza, ha concluso il Papa aggiungendo una considerazione al testo scritto, occorre
invocare il Signore affinché «ci faccia capire questo legame fra preghiera e speranza». Anche perché «la preghiera ti porta avanti nella speranza e
quando le cose diventano buie, occorre più preghiera! E ci sarà più speranza».
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Jet militare colpisce per errore un campo nel nordest
Strage di profughi in Nigeria
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ABUJA, 18. Un jet militare nigeriano
ha bombardato ieri per errore un
campo profughi che assiste centinaia
di persone in fuga dai massacri dei
terroristi di Boko Haram, provocando decine di vittime. Lo riferiscono
fonti ufficiali della Nigeria. Alcune
fonti parlano di 150 morti.
Il caccia dell’aeronautica era in
missione proprio contro postazioni
dei jihadisti di Boko Haram nell’area nordorientale di Rann, nello
stato di Borno, vicino al confine con
il Camerun. Il generale Lucky Irabor, responsabile dell’operazione
contro Boko Haram, ha detto che
tra i morti e i feriti ci sono anche
operatori umanitari e nigeriani, che
lavorano per Medici senza frontiere
(Msf) e per il comitato internazionale della Croce rossa. È la prima volta
— rilevano gli analisti — che i militari
ammettono di avere colpito un
obiettivo civile, benché già in passato testimoni avessero denunciato simili incursioni dei caccia. Ma quella
di ieri è una strage senza precedenti,
dalle dimensioni enormi.
Il generale ha detto di avere ordinato la missione basandosi su informazioni relative a un raggruppamento di Boko Haram proprio in
un’area con quelle coordinate. E ha
dichiarato che è presto per sapere se
si è trattato di un errore tattico o
geografico. In ogni caso, ha sottolineato, l’aereo militare non ha volutamente preso di mira i civili. Sulla vicenda è stata aperta un’inchiesta.
Il governo ha inviato nella regione, isolata e difficile da raggiungere,
elicotteri che fanno la spola per cercare di portare via i feriti, che potrebbero essere curati nei confinanti
Camerun e Ciad, dove sono operativi ospedali da campo e strutture sia
di Msf che della Croce rossa.
Dopo avere ammesso che aerei
militari hanno «accidentalmente»
bombardato il campo profughi, il
presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, ha espresso il proprio
sgomento per la perdita di vite umane e ha invitato alla calma la popolazione e le autorità.
Tuttavia, il direttore delle operazioni locali di Msf, Jean-Clement
Cabrol, non ha risparmiato parole di
condanna. «Questo attacco su larga
scala contro persone inermi e vulnerabili, che già erano state costrette a
fuggire da situazioni di violenza
estrema, è scioccante e inaccettabile»
ha detto. Il campo colpito dal raid
aereo era infatti stipato da sfollati
costretti ad abbandonare i loro villaggi per le sanguinarie incursioni di
Boko Haram. Sin dal 2009 sono
14.000 le persone morte in attentati
e attacchi armati a opera dei jihadisti, il cui raggio di azione si è esteso
dal nord est della Nigeria fino ai
confinanti Ciad, Niger e Camerun.
Nell’area, almeno 2,7 milioni di
persone sono state costrette a lasciare le loro abitazioni per sfuggire al
gruppo terrorista, noto anche per rapimenti di massa, come quello delle
studentesse di Chibok.
BRUXELLES, 18. Il governo britannico di Theresa May chiarisce i
prossimi passi sulla Brexit, sottolineando che «Londra non cercherà
di restare nel mercato unico europeo». In un discorso tenuto ieri alla Lancaster House, mentre a Davos il presidente cinese Xi Jinping
parlava dell’inutilità delle guerre
commerciali e dell’isolazionismo,
May ha dettato la linea dell'uscita
del Regno Unito dall'Unione, impegnandosi a sottoporre un piano
omogeneo al parlamento di Westminster, che si potrà esprimere
sull’accordo finale.
Il premier ha assicurato che attiverà la procedura definita dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona entro marzo e ha spiegato che Londra non difenderà la sua permanenza nel mercato unico europeo,
perché significherebbe accettare altre condizioni sulla libera circolazione delle persone, come specificato più volte dalle autorità europee. Un altro punto essenziale è
che «il governo britannico vuole
negoziare allo stesso tempo l’uscita
dall’Unione e i nuovi trattati che
consentiranno di stabilire nuovi
rapporti commerciali con i vari
paesi». In questo modo, ha spiegato May, «si eviteranno accordi temporanei e di transizione che potrebbero rivelarsi dannosi per l’economia» e potrebbero lasciare il
paese «in un purgatorio politico
permanente». Al momento May
non ha potuto aggiungere altro, se
non che si cercherà di «rendere
meno macchinoso possibile lo
scambio delle merci».
In sostanza — come sottolineano
gli analisti — l’obiettivo del governo del Regno Unito è quello di recuperare il controllo dei suoi confini, non essere più soggetto alle decisioni della corte di giustizia
dell’Unione europea e modificare
la gestione della circolazione delle
merci. Anche sullo spinoso tema
dello stato giuridico dei cittadini
dell’Unione in Gran Bretagna, al
momento non c’è una proposta
precisa, ma solo l’auspicio di trovare «accordi soddisfacenti per entrambe le parti». May ha spiegato
che il Regno Unito vuole «continuare a essere un buon amico e un
buon vicino dell’Unione europea»,
dicendo apertamente di «sapere
Di fronte alla violenza in occidente
Sperare ancora
in mezzo al tumulto
JEAN-CLAUDE GUILLEBAU
A PAGINA
5
Ai prossimi colloqui ad Astana sulla crisi siriana
Teheran si oppone alla partecipazione statunitense
TEHERAN, 18. «L’Iran è contrario
alla partecipazione degli Stati Uniti
al vertice di Astana del 23 gennaio
prossimo per i colloqui di pace in
Siria». Questa la posizione espressa
oggi dal ministro degli esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, riportata dall’agenzia Tasnim. «Non abbiamo invitato gli Stati Uniti e ci
opponiamo alla loro presenza ai
colloqui di Astana» come invece
proposto nei giorni scorsi da Mosca
e Ankara.
Ieri il ministro degli esteri russo,
Serghiei Lavrov, aveva annunciato
l’invito di una delegazione della
nuova amministrazione statunitense
ai negoziati di Astana, in programma il 23 gennaio. Sempre ieri il presidente iraniano, Hassan Rohani,
aveva definito il summit «un preludio alla soluzione definitiva della
crisi in corso nel paese». Rohani
aveva rimarcato la positività della
tregua in atto in Siria, sottolineando che «ora gli sforzi devono essere
concentrati sulla protezione del cessate il fuoco», pur tenendo presente
che questo è stato concordato tra il
governo siriano e un certo numero
di gruppi di opposizione, ma non
da gruppi jihadisti come il cosiddetto stato islamico (Is).
Intanto, il Pentagono ha annunciato di voler presentare a breve un
piano per accelerare la lotta all’Is in
Siria. Piano che prevede anche opzioni militari come l’invio di ulteriori truppe da combattimento.
Centinaia di soldati in più per rafforzare l’offensiva verso Raqqa. Lo
affermano fonti del dipartimento
della difesa riportate dalla Cnn.
Il piano sarà portato sul tavolo
dello Studio ovale il prima possibile, dopo l’insediamento del presi-
Sulla base
di una comune eredità
ANDREA PALMIERI
A PAGINA
6
dente eletto Donald Trump alla Casa Bianca. A presentarlo il nuovo
segretario alla difesa, James Mattis,
e il capo di stato maggiore, il generale Joe Dunford, dopo che avranno dato il via libera a tutti i dettagli. Tra le opzioni, ci sarebbero anche una serie di proposte per limitare la crescente influenza nella regione di altri paesi. In particolare i
vertici militari vorrebbero più autorità per fermare il traffico di armi
nella regione.
NOSTRE
INFORMAZIONI
Sinodalità e primato
Il campo profughi nigeriano dilaniato dalle bombe (Epa)
che ci sono alcuni che chiedono un
accordo punitivo nei confronti della Gran Bretagna». In definitiva, il
premier ha chiarito che «nel caso
in cui il governo non fosse in grado di ottenere ciò che vuole, l’assenza di un accordo sarebbe meglio di un cattivo accordo». E dunque, occorre in tutti i modi evitare
soluzioni come quelle «ibride che
hanno permesso all’Unione europea di mantenere rapporti più
stretti con alcuni paesi extracomunitari». Un esempio è la Norvegia.
Molti osservatori politici hanno
definito il discorso di May ancora
troppo vago e hanno sospeso il loro giudizio. Il quotidiano «The
Guardian» ha scritto invece che il
premier col suo discorso ha fatto
un po’ più di chiarezza e che quindi «ora si sa qualcosa su che cosa
non sarà la Brexit, ma poco su che
cosa sarà effettivamente».
D all’opposizione, Jeremy Corbyn, leader dei laburisti, ha commentato: «Il primo ministro ha fatto tutte queste dichiarazioni ottimistiche, ma ogni indicatore economico ci dice che il Regno Unito
sta andando nella direzione sbagliata».
Guardando a Bruxelles, ci si
aspetta che oggi, nel discorso previsto all’assemblea parlamentare a
Strasburgo, il presidente della commissione europea, Jean-Claude
Juncker, in qualche modo dia una
sua risposta alle parole di May. In
modo informale, invece, si è pronunciato subito, via twitter, il presidente del consiglio Ue, Donald
Tusk, facendo sapere che «finalmente c’è un po’ più di chiarezza
sui piani britannici». Tusk ha comunque parlato di «processo triste,
tempi surreali ma almeno annunci
più realistici». E ha ribadito che
l’Europa è «unita» e pronta a negoziare.
Gruppo di ribelli siriani nella città di Al Bab (Reuters)
Il Santo Padre ha accettato la
rinuncia al governo pastorale
dell’Arcidiocesi di Aracaju
(Brasile), presentata da Sua
Eccellenza Monsignor José
Palmeira Lessa.
Gli succede Sua Eccellenza
Monsignor João José da Costa, O.CARM., finora Arcivescovo Coadiutore della medesima Arcidiocesi.
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Migranti in fila per ricevere cibo
in un campo in Serbia (Reuters)
Mattarella chiede
più impegno
dell’Europa
sull’immigrazione
Ne parla a Davos il direttore del Fondo monetario
Crisi economica
e ruolo della politica
BERNA, 18. «È tempo che i leader
politici ripensino profondamente le
politiche economiche e monetarie,
di fronte alla chiara protesta e delusione della classe media che arriva dagli Stati Uniti e dall’Europa».
Sono parole del direttore generale
del Fondo monetario internazionale (Fmi) Christine Lagarde, che, intervenendo a Davos, ha chiesto
«una maggiore redistribuzione dei
redditi di quanta ne abbiamo
oggi».
Il direttore dell’Fmi ha richiamato i politici alla responsabilità di
studiare azioni con uno sguardo a
lungo termine, in grado di dare risposte efficaci. Lagarde, in particolare, è intervenuta nella discussione
sulla crisi della classe media, esortando i leader politici ad ascoltare
meglio «i forti segnali di scontentezza che vengono dagli elettori», e
a mettere in conto «coraggio e fatica». Alla stessa tavola rotonda ha
preso parte, tra gli altri, il ministro
dell’economia italiana, Pier Carlo
Padoan, secondo cui «la classe media europea è disillusa sul futuro,
delusa sul lavoro per i figli e per la
sicurezza del welfare ed esprime
questo dicendo no a tutto quello
che i politici propongono». Nel
suo intervento Padoan ha esortato
tutti a riflettere sul fatto che «è
molto più difficile fornire e attuare
una soluzione che dire semplicemente no», facendo intendere che i
nuovi partiti populisti sono chiamati ad avere «un progetto credibile che assicuri sostegno alle necessarie riforme». Il ministro italiano
si è poi detto «preoccupato perché
l’Europa non ha una strategia su
come affrontare la nuova globalizzazione».
Al World Economic Forum, in
corso nella cittadina svizzera, dopo
che il presidente della Cina, Xi Jinping, ha definito ieri «inevitabile»
la globalizzazione e «inutili» i tentativi di isolazionismo, oggi si è
tornati a parlare di risposte da dare
alla crisi economica e dei limiti del
protezionismo.
Il vicepresidente uscente degli
Stati Uniti, Joe Biden, ha parlato
della «battaglia per difendere i valori di una crescita più equa, e inclusiva», chiarendo il «ruolo guida» che spetta a Washington e
Bruxelles. E a proposito di Europa,
ha voluto ribadire «la capacità
dell’Unione di generare prosperità
e pace», definendo tutto ciò «una
conquista inestimabile». Biden ha
sottolineato che «il populismo in
risposta alle paure e alle sfide della
globalizzazione e della tecnologia
non è niente di nuovo nella storia», che «a intervalli regolari ha riproposto pericolosi demagoghi che
istillavano paura e seminavano divisione». Biden si è detto certo che
«chiudere i cancelli e alzare i muri
è esattamente la risposta sbagliata
e non risolverà le ragioni alla base
di queste paure».
Inoltre, interpellato sul nuovo
corso della Casa Bianca, il vice del
presidente Obama si è espresso a
proposito della Nato, affermando
che «il principale bastione di difesa
dell’Alleanza atlantica è l’impegno
degli Stati Uniti» che quindi questo impegno «non potrà mai essere
messo in dubbio».
Il traffico di esseri umani frutta dai tre ai sei miliardi di dollari
Fare soldi sui migranti
BRUXELLES, 18. «Abbiamo stimato
che nel 2015 le organizzazioni attive
nel traffico di migranti hanno fatturato tra i 3 e i 6 miliardi di dollari: si
tratta senza dubbio del settore criminale in maggiore crescita in Europa». L’impressionante stima è stata
divulgata questa mattina dal vicedirettore di Europol, Wil Van Gemert,
in un’audizione davanti al Comitato
Schengen.
«Ci sono gruppi specializzati — ha
spiegato Van Gemert — nel fornire
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servizi (mezzi di trasporto, passaporti, trasferimenti di denaro) di cui beneficia mediamente il novanta per
cento dei migranti, di regola reclutati attraverso i social media ed esposti
al rischio di sfruttamento come manodopera illegale o nei circuiti della
prostituzione o dello spaccio di
droga».
Abbiamo individuato «250 località
chiave per il traffico di migranti, 170
in Unione europea e 80 fuori» ha
spiegato Van Gemert.
Ieri intanto, la giustizia italiana ha
disposto la custodia cautelare in carcere per Osman Matammud, ventiduenne somalo, gestore in Libia di
un centro che organizzava traversate
verso l’Europa. Il ragazzo — fermato
nel settembre scorso dalla polizia a
Milano — è stato accusato di quattro
omicidi, violenze sessuali su decine
di donne e sequestro di persona a
scopo di estorsione di centinaia di
persone. «Un sadico» lo hanno definito gli inquirenti.
Circa 88 milioni di tonnellate di cibo finiscono nella spazzatura
Nessuna vittima ma diversi crolli
Poco efficace
la lotta allo spreco alimentare
Forti scosse di terremoto
in Italia centrale
BRUXELLES, 18. Le iniziative contro
lo spreco alimentare nell’Unione europea sono frammentate e intermittenti e la commissione non svolge
pienamente il suo ruolo di coordinamento. Lo afferma in un rapporto
la corte dei conti europea.
Secondo i giudici, nonostante il
tema sia discusso da anni nelle istituzioni europee e non solo, l’assenza di una definizione comune di
"spreco alimentare" e di parametri
condivisi per misurarlo, così come la
presenza di barriere amministrative
che limitano le possibilità di donazione, ostacolano un’azione coerente
e chiara contro lo spreco di cibo a
livello Ue. E le politiche che dovrebbero interessarsene, come quelle
agricole, della pesca e dell’ambiente,
continua la relazione, non agiscono
in modo coordinato.
La corte dei conti europea rileva
che va perso, o sprecato, un terzo
degli alimenti. In cifre, in media
ogni anno circa 88 milioni di tonnellate di alimenti finiscono nel cestino, e si stima che lo spreco alimentare complessivo nell’Ue salirà a
circa 126 milioni di tonnellate entro
il 2020, a meno che vengano prese
ulteriori azioni o misure preventive.
«La commissione Ue — si legge nel
documento — dovrebbe quindi riflettere su come utilizzare le politiche esistenti per meglio lottare contro lo spreco alimentare»
Tajani eletto
presidente
del parlamento
europeo
STRASBURGO, 18. «Ringrazio tutti
anche, chi ha votato per gli altri
candidati in questo grande confronto democratico: sarò il presidente di tutti, rispetterò tutti i deputati di tutti i gruppi politici. Voglio dedicare questo risultato alle
vittime del terremoto che ha colpito il mio paese, che stanno ancora
vivendo momenti di grande difficoltà». Queste le prime parole di
Antonio Tajani, eletto ieri presidente del parlamento europeo al quarto turno di voto. Il candidato del
Partito Popolare europeo ha ottenuto al ballottaggio 351 voti contro
i 282 dell’avversario socialdemocratico, Gianni Pittella. Questa mattina c’è stato il passaggio di consegne formale tra Tajani e il suo predecessore Martin Schultz. I due
hanno ricevuto una telefonata del
presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella. Soddisfazione è stata espressa anche dal presidente del consiglio italiano, Paolo
Gentiloni.
La Commissione degli episcopati
della Comunità europea (Comece)
ha diffuso un comunicato salutando l’esito della votazione e auspicando di continuare il dialogo con
il parlamento «per permettere alle
nostre Chiese di offrire un contributo alla costruzione europea».
ROMA, 18. «È giusto che l’Europa
chieda agli stati membri di avere
conti in ordine e finanze a posto,
ma lo stesso rigore dev’essere utilizzato anche quando gli Stati sono inadempienti sull’immigrazione e altri dossier. Il medesimo impegno ci sia insomma per favorire
la crescita e l’occupazione». Questo il messaggio espresso ieri dal
presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, nel corso di
una visita in Grecia, all’indomani
della lettera con cui la Commissione europea ha chiesto all’Italia
misure aggiuntive per la riduzione del debito.
«Da troppo tempo — ha sottolineato il titolare del Quirinale —
attraversiamo gravi difficoltà, che
creano povertà e mettono a rischio il nostro modello di convivenza sociale. Siamo convinti,
greci e italiani insieme, che l’Ue
debba dare primaria importanza a
occupazione e crescita. E concentrarsi in particolare sulle prospettive dei giovani». Mattarella ha
poi definito la Nato «un’organizzazione di straordinaria importanza per la pace e la stabilità».
Stato di emergenza
nel Gambia
BANJUL, 18. Precipita la situazione
in Gambia dove il presidente
Yahya Jammeh — ininterrottamente
al potere dal luglio del 1994 — ha
dichiarato lo stato d’emergenza per
tre mesi, a poche ore dalle sue teoriche dimissioni, a rigore di legge.
Le nazioni dell’Africa occidentale — riunite nel forum economico
Ecowas, sostenute dalle Nazioni
Unite — hanno ripetutamente chiesto a Jammeh di accettare l’esito
del voto e di farsi da parte, concedendo la vittoria al presidente eletto, Adama Barrow.
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
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caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
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te attivate tutte le procedure di
emergenza».
Nelle zone terremotate, nei comuni di Amatrice e Accumoli sepolti dalla neve sono stati segnalati
alcuni crolli. Ad Amatrice è venuto
giù quel poco che restava del campanile della chiesa di Sant’Agostino. Difficilissimo, al momento, fare
una stima dei danni perché i collegamenti sono impossibili. Preoccupazione anche a Roma, dove è stata bloccata la metropolitana e sono
stati fatti evacuare scuole e uffici.
Autobomba nel Mali
colpisce una base militare
Il presidente uscente si è rifiutato di cedere il potere per non meglio precisate «straordinarie interferenze straniere dopo le elezioni di
dicembre negli affari interni del
Gambia». Lo stato d’emergenza,
che vieta ogni manifestazione, può
durare massimo 7 giorni se dichiarato solo dal presidente, 90 se avallato dal parlamento.
Alle elezioni, Barrow, che attualmente si trova in Senegal, ha ottenuto il 43 per cento dei consensi,
contro il 39,6 per cento dei voti del
presidente uscente.
Servizio vaticano: [email protected]
ROMA, 18. Tre forti scosse di terremoto in poco meno di un’ora, tutte
sopra la magnitudo 5, hanno colpito l’Italia centrale, tra L’Aquila e
Rieti, ancora vicino ad Amatrice.
Luoghi già profondamente segnati
dal sisma del 24 agosto e che in
questi giorni sono in piena emergenza a causa della neve.
La prima scossa delle ore 10.25
tra il Lazio, l’Abruzzo e le Marche
è stata avvertita anche a Roma, Firenze, Napoli e in Emilia. La magnitudo è stata di 5.3, secondo le
stime dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv). L’epicentro è stato individuato tra
L’Aquila e Rieti a una profondità
di circa 10 chilometri. Una seconda
forte scossa è avvenuta alle 11.14,
con magnitudo intorno a 5.5. Undici minuti dopo, la terza, con magnitudo pari a 5.3.
«Per fortuna al momento non risultano vittime, ma il susseguirsi di
scosse di tale entità è fattore di allarme per le popolazioni» ha dichiarato il presidente del consiglio
italiano, Paolo Gentiloni, nel corso
di una conferenza stampa a Berlino
con il cancelliere tedesco, Angela
Merkel. Quest’ultima ha assicurato
«qualsiasi tipo di aiuto alle popolazioni colpite». Il capo della protezione civile italiana, Fabrizio
Curcio, ha detto che «sono già sta-
BAMAKO, 18. Un’autobomba è esplosa stamane in un campo militare nei
pressi di Gao, nel nord del Mali,
provocando la morte di una quarantina di persone. La struttura ospita
truppe governative e membri di diverse fazioni armate che, congiuntamente, effettuano pattugliamenti
nella città sotto l’egida dell’O nu.
La notizia dell’esplosione è stata
riferita da un giornalista della Reuters, che al momento della potente
deflagrazione si trovava sul posto. È
poi stata confermata da fonti
dell’Onu. Mancano, al momento,
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
[email protected]
Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
notizie sull’esatto numero delle vittime e dei feriti e sul tipo di mezzo
impiegato per l’attentato, nonché
eventuali rivendicazioni della strage.
Nel 2013, un intervento militare
delle Nazioni Unite a guida francese
aveva permesso di isolare militanti
del cosiddetto stato islamico (Is) e
di Al Qaeda. Ma questi stessi elementi sembrano oggi essere tornati a
colpire nel nord del paese africano.
Ad aumentare la tensione nella regione, anche i continui scambi di
colpi di arma da fuoco tra gruppi di
ribelli e milizie filogovernative.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
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telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
Mosca
sulle tensioni
tra Serbia
e Kosovo
MOSCA, 18. Sul riaccendersi delle tensioni tra Serbia e Kosovo,
è intevenuto ieri il ministro degli esteri russo, Serghei Lavrov.
In una conferenza stampa a
Mosca, il titolare della diplomazia russa ha ricordato come i
Balcani siano stati «più di una
volta fonte di conflitti molto
gravi». Proprio per questo, ha
precisato, «tutti capiscono la necessità di prevenire un confronto
militare» nella regione.
I già tesi rapporti diplomatici
tra Serbia e Kosovo si sono ulteriormente deteriorati nei giorni
scorsi a causa del collegamento
ferroviario tra Belgrado e Kosovska Mitrovica (la parte a
maggioranza serba della città),
che domenica scorsa i serbi
avrebbero voluto riaprire per la
prima volta a 18 anni dalla fine
del conflitto. Ma il convoglio —
decorato con scritte nazionalistiche e patriottiche serbe — è stato bloccato dalle autorità kosovare, che hanno parlato di «provocazione». Le cause di tensione, ha aggiunto Lavrov, «sono
provocate dalle politiche perseguite da coloro che impongono
i cosiddetti valori europei».
Concessionaria di pubblicità
Aziende promotrici della diffusione
Il Sole 24 Ore S.p.A.
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Ivan Ranza, direttore generale
Sede legale
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Agenti della polizia messicana
in azione a Cancún (Ansa)
Militari israeliani uccidono un palestinese che aveva assaltato un posto di blocco
Ancora sangue
in Cisgiordania
Tel Aviv, 19. Ancora violenze in Cisgiordania. Ieri sera un palestinese
ha cercato di accoltellare alcuni soldati israeliani dislocati in un posto
di blocco presso Tulkarem (Cisgiordania). L’uomo è stato colpito dal
fuoco di reazione ed è stato ucciso.
Si tratta del secondo palestinese colpito a morte in Cisgiordania nelle
ultime 24 ore.
Ieri un adolescente palestinese era
stato ucciso a Takua, in prossimità
Catturato
il reclutatore
dell’Is
nello Yemen
SANA’A, 18. La polizia yemenita
ad Aden ha catturato ieri il principale responsabile dell’arruolamento per il cosiddetto stato islamico (Is). È quanto riporta
l’agenzia turca Anadolu, citando
un comunicato dell’unità antiterrorismo yemenita. «Le forze di
sicurezza — recita il testo del comunicato — hanno arrestato il
principale responsabile dell’arruolamento di attentatori suicidi
a favore dell’Is» si legge nella
nota. L’arresto è avvenuto «nel
corso di un’operazione nel quartiere Inmaa, a nord di Aden, dopo una serie di inseguimenti e
monitoraggi».
L’accusato «reclutava ragazzi
giovanissimi attraverso lezioni
nelle moschee o per mezzo dei
social network con la scusa del
jihad e di instaurare la sharia, poi
venivano indirizzati a eseguire attacchi per conto dell’Is», afferma
il comunicato, sottolineando poi
che «l’operazione di polizia è
stata compiuta con la sovrintendenza diretta delle forze della
coalizione internazionale a guida
saudita e del direttore della sicurezza di Aden, Shallal Ali Shayee». L’uomo accusato «ha poi
confessato di aver reclutato 25
elementi per l’Is, cinque dei quali
si sono fatti esplodere ad Aden,
altri venti sono ancora all’interno
della città», così come ha ammesso di «aver sfruttato i suoi contatti con alcuni imam delle moschee per fare il lavaggio del cervello a questi giovani, soprattutto
quelli che vivono in condizioni
difficili».
Intanto, si continua a combattere. Ufficiali della sicurezza yemenita hanno riferito che un razzo lanciato dai ribelli huthi ha
ucciso ieri, nel sud della provincia di Taez, sei civili, tra i quali
anche donne e bambini. L’ordigno ha anche distrutto diverse
abitazioni.
di Betlemme, durante scontri con i
militari.
L’agenzia di stampa palestinese
Maan precisa che l’uomo ucciso al
posto di blocco è stato identificato
come Nidal Daud Mahdawi, 44 anni. L’uomo era sposato con un’araba israeliana, era detentore di una
carta d’identità israeliana ed era padre di cinque figli. Secondo un testimone, avrebbe estratto un coltello
a breve distanza dai militari e di
conseguenza sarebbe stato colpito.
La Maan aggiunge che in quel momento nelle vicinanze del posto di
blocco erano in corso disordini, con
lanci di sassi verso i militari.
È invece di due morti il bilancio
di incidenti avvenuti tra ieri e oggi
nel villaggio beduino di Um el-Hiran, nel deserto del Neghev, dove
reparti della polizia israeliana sono
giunti per assicurare la demolizione
di 14 case illegali. Secondo la polizia, gli incidenti sono iniziati quando un «terrorista islamico» alla guida di un veicolo ha attaccato gli
agenti. L’uomo è stato ucciso. Anche un agente è morto. All’origine
Arrestati
altri 243
militari turchi
ANKARA, 18. La procura di Istanbul ha emesso oggi mandati d’arresto per altri 243 militari, accusati di
legami con la presunta rete golpista
di Fethullah Gülen, considerato la
mente del tentato colpo di stato
del 15 luglio dello scorso anno. Lo
riferisce l’agenzia di stampa statale
Anadolu, secondo cui la polizia antiterrorismo ha avviato operazioni
in 54 province per cercare di catturare i sospetti. I soldati ricercati sono accusati di aver utilizzato
ByLock, una app di messaggistica
per smartphone che, secondo gli
investigatori, veniva impiegata da
decine di migliaia di golpisti per
scambiarsi informazioni criptate.
Il procuratore capo di Diyarbakir ha frattanto chiesto una condanna fino a 142 anni di detenzione per Selattin Demirtas, segretario
e leader del partito filocurdo Hdp,
e dai 30 ai 83 anni di reclusione
per la cosegretaria, Figen Yuksekdag. Per Demirtas — ex candidato
alla presidenza della repubblica —
il pubblico ministero ha chiesto il
massimo della pena prevista, accusandolo di vari reati, tra cui «dirigere una organizzazione terroristica», «incitare all’odio e alla violenza», «avere mostrato solidarietà nei
confronti di criminali».
Demirtas è stato arrestato lo
scorso novembre, insieme ad altri
nove deputati del partito Hdp.
L’Asia produce 12 milioni
di tonnellate di rifiuti elettronici
TOKYO, 18. La crescita economica
dei paesi dell’est e del sudest asiatico procede, ma insieme al benessere
e ai consumi a crescere sono anche
i rifiuti, in particolare quelli elettronici, che in cinque anni sono aumentati di almeno due terzi, per un
totale di oltre 12 milioni di tonnellate nel 2015. Il quadro emerge da
un rapporto pubblicato dall’università delle Nazioni Unite, il braccio
accademico e per la ricerca dell’Onu con sede a Tokyo.
Nel 2015, si legge nel documento,
i dodici paesi asiatici oggetto dello
studio (Cambogia, Cina, Hong
Kong,
Indonesia,
Giappone,
Malaysia, Filippine, Singapore, Corea del Sud, Taiwan, Thailandia e
Vietnam) hanno prodotto una
quantità di rifiuti elettronici (e-waste) pari a quasi due volte e mezzo
l’altezza della piramide di Cheope,
registrando in media un aumento
del 63 per cento tra il 2010 e il
2015.
Per i ricercatori, i trend responsabili di questo grave aumento sono
principalmente quattro: la maggiore
disponibilità di nuovi dispositivi,
soprattutto di quelli dell’elettronica
di consumo come tablet, smartphone e smartwatch; l’aumento dei
consumatori; i cicli di vita di utilizzo dei prodotti sempre più brevi e
le importazioni di apparecchiature
elettriche ed elettroniche anche di
seconda mano. Il boom asiatico di
e-waste è preoccupante perché secondo le stime Onu questa crescita
supera perfino quella della stessa
popolazione. Un aumento, sottolineano i ricercatori, che impone un
urgente giro di vite contro attività
di riciclaggio improprio (soprattutto discariche illegali e roghi), che
mettono a rischio la salute delle
persone e l’ambiente.
delle tensioni vi sarebbe la decisione
delle autorità di sgomberare il villaggio per costruire nelle stesse terre
un insediamento ebraico. Secondo il
ministro della sicurezza interna,
Ghilad Erdan, per i beduini del Neghev sono stati però approntati estesi piani di sviluppo in altre zone.
Sul piano diplomatico, a pochi
giorni dalla conferenza di Parigi,
l’Unione europea ha rilanciato l’allarme sulla possibilità di un innalzamento delle tensioni in seguito alla
proposta del presidente eletto statunitense, Donald Trump, di spostare
l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. L’Alto rappresentante per la
politica estera e di sicurezza, Federica Mogherini, è tornata ieri a evocare esplicitamente «i timori» che
l’iniziativa di Trump possa innescare
disordini. «Credo che sia molto importante per tutti noi astenerci da
azioni unilaterali, specialmente da
quelle che potrebbero avere gravi
conseguenze nell’opinione pubblica
mondiale» ha detto Federica Mogherini.
All’origine dell’attacco alla procura di Cancún un possibile scontro tra bande criminali
Messico ostaggio dei narcos
CITTÀ DEL MESSICO, 18. Uomini armati hanno attaccato ieri l’ufficio
della procura statale a Cancún in
Messico e quattro persone sono rimaste uccise. L’episodio segue di un
giorno la sparatoria nella vicina Playa del Carmen dove sono morte cinque persone, tra cui l’italiano Daniele Pessina. Le vittime dell’ultimo
attacco nella località turistica sono
un poliziotto e tre degli assalitori.
Altri cinque attentatori sono stati arrestati. Le autorità dello stato di
Quintana Roo affermano che è
troppo presto per sapere se i due attacchi siano collegati.
L’assalto al locale notturno di
Playa del Carmen è stato intanto rivendicato dal gruppo di narcotrafficanti Los Zetas. In un cartello appeso in una strada della località
messicana, e subito rimosso dalla
Boris Johnson nella capitale indiana per rilanciare il dialogo
Se Londra guarda a New Delhi
polizia, gli attentatori hanno minacciato nuovi attacchi scrivendo «ormai siamo anche qui. Questo è l’inizio».
Secondo i media locali, la rivendicazione conferma che l’irruzione
di un uomo armato nel locale fa
parte di un regolamento di conti
nella lotta tra gruppi di narcos. Gli
esperti della lotta alla droga sottolineano che Los Zetas hanno perso
potere e che ormai sono un cartello
frammentato in piccoli gruppi, in
lotta tra di loro per il controllo dei
territori del nordest e sudest del
paese. «Quanto successo al Blue
Parrot fa pensare a una lotta di potere interna per il controllo della distribuzione delle droghe a Playa del
Carmen», ha commentato il quotidiano «El Universal». Gli esperti
non escludono, inoltre, che l’esposizione del cartello possa in realtà essere una manovra per provocare
confusione.
A seguito degli attacchi le autorità locali hanno d’altra parte deciso
di cancellare tutti i festival musicali
in programma nelle prossime settimane.
Obama grazia
la talpa
di Wikileaks
Il ministro degli esteri britannico Johnson a New Delhi (Ap)
NEW DELHI, 18. Il ministro degli
esteri britannico, Boris Johnson, è a
New Delhi in visita ufficiale. Previsti numerosi incontri politici ed
economici legati anche alla strategia di Londra per compensare gli
effetti della Brexit. Lo riferisce
l’agenzia di stampa indiana Ani.
Oltre a incontrare il premier, Narendra Modi, il sottosegretario agli
esteri M.J. Akbar, e il ministro delle finanze, Arun Jaitley, Johnson
dedicherà la seconda parte del suo
viaggio a incontri politici, economici e commerciali nello stato orientale di West Bengala. Nel suo atteso
intervento sulla Brexit, la premier
britannica, Theresa May, ha citato
per due volte l’India come uno dei
principali paesi con cui la Gran
Bretagna firmerà un accordo di libero scambio, rivelando che i negoziati in questo ambito sono già in
fase avanzata. Gli analisti ricordano
che la Brexit preoccupa il governo
indiano perché esistono circa 800
compagnie che usano la Gran Bretagna come base per esportare in
Europa. Molte di esse sono già al
lavoro per cercare alternative.
Concluse le ricerche dell’aereo malese scomparso dai radar nel 2014
Nessuna traccia
KUALA LUMPUR, 18. Tre anni di tentativi infruttuosi, e ora la resa. La ricerca dei resti del volo Malaysia
Airlines 370, scomparso nel nulla
nella notte dell’8 marzo del 2014 e
verosimilmente precipitato nell’oceano Indiano con 239 persone a bordo, è stata dichiarata conclusa.
Uno dei più grandi misteri nella
storia dell’aviazione civile resterà
quindi tale, nonostante circa 150 milioni di dollari spesi per la massiccia
task force di recupero. I governi di
Malaysia, Cina (che perse oltre 150
passeggeri) e Australia (la più vicina
al punto delle ricerche) hanno ammesso di non potere fare più nulla,
dopo avere perlustrato invano oltre
120.000 chilometri quadrati di oceano. Il Boeing 777 sparì dai radar
mentre era in volo tra Pechino e
Kuala Lumpur. Al momento sono
stati recuperati solo sette detriti
dell’aereo.
Operatori durante le ultime ricerche dei resti del volo Malaysia Airlines Flight 370 (Ap)
WASHINGTON, 18. A tre giorni dalla
fine del suo mandato, il presidente
degli Stati Uniti Barack Obama ha
graziato Bradley Manning, 29 anni,
il caporale dell’esercito statunitense
che passò nel 2010 a Julian Assange
circa 700.000 documenti segreti del
dipartimento di stato e della difesa
che Wikileaks rivelò al mondo nel
2010.
Manning, che doveva scontare
una pena a trentacinque anni di reclusione per spionaggio, sarà liberato il prossimo 17 maggio, dopo aver
trascorso in totale sette anni tra detenzione preventiva e pena seguita
alla condanna nel 2013. Il caporale è
stato l’unico a finire in carcere per
la più grande fuga di notizie fino
allo scandalo Nsa-gate di Edwaerd
Snowden. Durante la detenzione,
Manning ha tentato per due volte
di suicidarsi nel carcere militare di
Fort Leavenworth in Kansas.
Julian Assange, co-fondatore di
Wikileaks, ha ringraziato gli attivisti
che hanno sostenuto la sua campagna per ottenere la grazia, ma non
ha fatto alcun accenno alla sua promessa di consegnarsi alla giustizia
statunitense in cambio della clemenza per la cosiddetta talpa. «Grazie a
tutti voi che avete sostenuto la campagna per la grazia di Manning. Il
vostro coraggio e determinazione
hanno reso possibile l’impossibile»,
ha detto Assange secondo quanto
riferito da WikiLeaks.
Al momento Assange resta nel
suo rifugio nell’ambasciata ecuadoregna a Londra dove risiede da giugno 2012 per sfuggire alla richiesta
di estradizione per stupro avanzata
dalla giustizia svedese dopo la denuncia presentata da due donne.
Assange ha sempre rifiutato di recarsi in Svezia perché ritiene che si
tratti di un escamotage per estradarlo negli Stati Uniti dove deve rispondere di accuse molto pesanti
che riguardano la divulgazione di
documenti segreti e rischia decine di
anni di carcere.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
giovedì 19 gennaio 2017
di NATALIE ZEMON DAVIS
ichel de Certeau è conosciuto in Nord America
solo nell’ambiente universitario, ma in Francia era
una celebrità, considerato
un insigne critico culturale, un innovativo
storico della religione di inizio modernità
nonché un pensatore religioso che nella
vita e nel lavoro perseguiva una forma di
cattolicesimo particolarmente impegnata,
aperta e generosa. Al suo funerale a Parigi, nel 1986, tra i banchi della chiesa gesuita di Sant’Ignazio e tra le centinaia di
persone in lutto stipate nella piazza antistante, si diffuse dagli altoparlanti la voce
di Edith Piaf: Non, je ne regrette rien (“No,
non rimpiango niente”). La canzone era
stata preceduta dalla lettura sia della Prima Lettera ai Corinzi, nella quale Paolo
afferma che «Dio ha scelto ciò che nel
mondo è stolto per confondere i sapienti»,
sia della poesia di un mistico del XVII secolo a proposito di un’“anima vagabonda”
alla ricerca dell’amore divino in ogni parte
del mondo. Questi versi, che erano stati
richiesti dallo stesso Michel de Certeau,
suggeriscono quanto singolare fosse la sua
visione spirituale e accademica.
Che scrivesse di follia e misticismo nel
XVII secolo, dei movimenti di resistenza
sudamericani di ieri e di oggi o della pratica della vita quotidiana nel XX secolo, de
Certeau aveva sviluppato uno stile peculiare nell’interpretazione delle relazioni sociali e personali.
A differenza di quanti descrivevano le
società evocando quelle che egli chiamava
le loro omogeneità ed egemonie — ciò che
le unificava e le controllava — de Certeau
intendeva identificare, all’interno dei sistemi di potere e di pensiero, la presenza
creativa e perturbatrice dell’“altro”: l’estraneo, lo straniero, l’alieno, il sovversivo,
l’elemento radicalmente differente. Lo individuò non solo nei modi in cui le persone immaginavano figure distanti da loro
M
Michel de Certeau e la mistica
Il teologo perturbante
cui opere e riflessioni si sono parimenti
concentrate sull’analisi del potere e delle
linee di confine fra le istituzioni. Tutti e
tre furono toccati dalle proteste del Sessantotto. Il concetto chiave nell’interpretazione foucaultiana delle relazioni sociali e
della comunicazione era il potere: appannaggio delle autorità centrali — monarchi,
esperti di medicina, preti — riproduceva il
proprio messaggio nella mente e nella coscienza degli individui.
Quanto a Ratzinger, i movimenti studenteschi del Sessantotto lo portarono a
precisare la sua posizione sul concilio Vaticano II. Dal suo punto di vista, la dottrina della Chiesa non doveva cedere alle
false influenze di secolarismo, relativismo,
pluralismo religioso, soggettivismo e radicalismo economico.
Nato nel 1925 in Savoia, de Certeau da
adolescente ne aveva percorso i sentieri
montani portando messaggi ai combattenti della Resistenza contro
l’occupazione
tedesca.
Nel 1944 intraprese gli
studi per il sacerdozio e
nel 1950 entrò nell’ordine gesuita scrivendo a
un amico «Credo che
Dio mi stia chiamando
Anticipiamo ampi stralci di un articolo tratto
in Cina». Tempo addiedall’ultimo numero di «Vita e pensiero». Di
tro il celebre padre geMichel de Certeau è appena uscita la
suita Pierre Teilhard de
traduzione italiana del secondo volume di
Chardin aveva scritto i
Fabula mistica. XVI-XVII secolo (Milano, Jaca
suoi libri di geologia e
Book, 2016, pagine XXXVII + 309, euro 30)
teologia proprio dalla
curata da Silvano Facioni. Secondo l’edizione
Cina, ma nel 1949 il
stabilita da Luce Giard e pubblicata nel 2013
paese era stato occupato
da Gallimard, il libro raccoglie testi inediti o
dai comunisti e ai gesuiparzialmente dati alle stampe e analizza le
ti era stato ordinato di
“scritture mistiche”, trattando del Cusano, di
andarsene. Questa diffiGiovanni della Croce, Surin e Pascal e
coltà aveva forse reso la
arrivando alle glossolalie studiate da
partenza per la Cina anSaussure.
cor più allettante agli
occhi di de Certeau, che
però non riuscì mai a
recarvisi. I suoi studi lo
condussero nel pieno
dell’esplosione del rinstesse (come nel celebre saggio di Michel novamento teologico guidato da Henri de
de Montaigne sui “cannibali” dell’Amaz- Lubac, eroe della Resistenza cattolica, di
zonia), ma anche in comportamenti e cui divenne uno degli studenti prediletti a
gruppi vicini e familiari, nelle onnipresenti Lione. De Lubac scuoteva alla base i pretensioni al centro dell’intera vita sociale, supposti più rigidi e sfidava di continuo i
dalla scuola alle istituzioni religiose, ai confini convenzionali. In un saggio del
mass media.
1946 in cui seguiva i mutamenti di signifiCerto, negli anni sessanta e settanta, cato della parola “soprannaturale” da
quando de Certeau stava acquisendo noto- Agostino in poi, arrivò a sfidare la netta
rietà, in letteratura, filosofia e psicanalisi distinzione fra il regno della natura umacomparivano di continuo nozioni di “alte- na e del mondo naturale, da un lato e,
rità”: la sua originalità consistette nei molteplici modi in cui concepì le figure
dell’“altro” e la loro applicazione in numerosi contesti. Coniò il termine “eterologie”
per descrivere le discipline nelle quali esaminiamo noi stessi in relazione all’alterità:
la storia e l’etnografia, ad esempio, potrebbero essere “scienze dell’altro” se si
confrontassero con le supposizioni spesso
deformanti che includiamo nella nostra
comprensione di epoche e luoghi diversi.
Si occupò delle istituzioni accentratrici del
passato per mostrare come definissero se
stesse escludendo le voci e le convinzioni
divergenti oppure fagocitandole.
Stato e Chiesa, tuttavia, non sono mai
state le uniche fonti di potere e autorità
nel medioevo e in epoca moderna. In movimenti religiosi come il misticismo o nel
persistente sapere popolare, de Certeau vide sempre alternative vitali a quei due ambiti normativi. I suoi eroi sono spesso vagabondi, pellegrini, missionari e nomadi,
come il visionario seicentesco Jean de Labadie, che iniziò da gesuita, passò poi a
predicare in Francia e Svizzera una propria radicale forma di religione riformata e
finì col fondare nei Paesi Bassi una comunità protestante.
Questa prospettiva e la vita stessa di de
Certeau si prestano a interessanti confronti
con quelle di due suoi contemporanei,
Prima pagina di «Catéchisme spirituel» di Jean-Joseph
Michel Foucault e Joseph Ratzinger, le
Vita e pensiero
dall’altro, l’ordine soprannaturale e il divino. Il desiderio di Dio era “naturale” negli
esseri umani, scriveva, ma solo perché Dio
lo aveva infuso: un “prerequisito divino”.
Per quanto soddisfacente questa visione
potesse apparire agli occhi dei cattolici,
membri importanti della gerarchia vaticana temettero che potesse indebolire la distinzione fra la Chiesa spirituale e i problemi mondani della quotidianità. Nel
1950 Pio XII ordinò a de Lubac di interrompere l’insegnamento pubblico e censurò il suo libro sul soprannaturale, cosa che
tuttavia non impedì allo studioso di affermare, con una frase che de Certeau non
dimenticò mai: «La Chiesa deve sempre
lasciare tutte le porte aperte affinché persone di differenti opinioni possano arrivare alla verità».
De Certeau cominciò a scrivere ai tempi
del seminario e sin dalle pubblicazioni iniziali emergono i suoi passi verso la “scienza dell’altro”. Poneva l’esperienza al cuore
della vita religiosa, ma notava come vi fosse un profondo divario fra esperienza e
desiderio spirituale: i credenti aspirano ad
avvicinarsi a Dio, ma spesso lo sentono
assente. Tale alienazione è inevitabile: nella concezione di de Certeau, la presenza
di Dio può essere solo «imperfetta ed effimera», e nondimeno riconoscibile, se si
comprende come i sentimenti umani mutino di minuto in minuto e come gli uomini
fatichino nel trovare le parole per catturare quell’esperienza sino in fondo. Inoltre
ogni esperienza religiosa, non importa
quanto solitaria, è pervasa dalla presenza
di altri, nella storia che ciascuno ha assorbito come nel linguaggio col quale si pensa e si prega.
De Certeau scoprì che l’esperienza di
questa ricerca attraversava il diario spirituale del gesuita rinascimentale Pierre Favre, scritto durante i suoi viaggi di predicazione in Europa negli anni quaranta del
Cinquecento, mentre cercava in se stesso
segni dell’amore di Dio. Oggetto della sua
dissertazione dottorale e da lui tradotto in
francese dal latino e dallo spagnolo, il pellegrinaggio interiore di Favre esemplificava agli occhi di de Certeau «il sentimento
del mistero che scaturisce dall’esperienza».
Per de Certeau, tuttavia, quel mistero non
era abbastanza profondo: fu perciò attratto dai “mistici selvaggi” del XVII secolo, in
particolare dal gesuita Jean-Joseph Surin,
che divenne — disse egli stesso — il suo
“compagno”, «il fantasma che abita la mia
vita». Surin non era un compagno tranquillo: predicatore errante e direttore di
anime, alla ricerca di segni di Dio fra gli
umili, nel 1634 Surin era
stato chiamato a Loudun
per praticare a Giovanna
degli Angeli, priora delle
Orsoline, un esorcismo
contro i demoni che la
possedevano. Riuscì a curarla ma al costo, volontariamente offerto, del suo
stesso, fragile equilibrio
emotivo. Soffrì in silenzio
per quasi vent’anni in
un’infermeria gesuita. Ne
emerse nel 1656 e iniziò a
scrivere con impeto sulla
ricerca mistica, proclamando: «Vorrei la voce di una
tromba, una penna di
bronzo», «Vorrei che dalla
mia penna si sprigionassero fiamme».
De Certeau passò al setaccio varie biblioteche per
ritrovare i manoscritti delle
opere di Surin, assieme alle sue lettere di confessione privata e di guida spirituale: le pubblicò nel 1963
e nel 1966, accompagnate
da ampi commenti e riflessioni. Gli anni sessanta
portarono altre scoperte:
Surin (1654)
nella speranza di collegare
teologia e psicologia, assieme a un piccolo
gruppo di altri gesuiti de Certeau si volse
allo studio della psicanalisi diventando,
nel 1964, uno dei membri fondatori
dell’École freudienne di Parigi, l’istituto di
Jacques Lacan. De Certeau elaborò però
una propria versione dei concetti sociali e
storici di “altro”, superando gli esempi e
le rigide categorie di Lacan. Alla morte
nel 1981 del grande psicanalista, de Certeau lo descrisse come un girovago stravagante, che dava il proprio meglio
nell’espressione delle proprie idee e nella
pratica della psicanalisi, ma si rivelava un
fallimento quando si lasciava prendere
dalle faide infuocate delle istituzioni che
aveva fondato.
Di particolare importanza, in quegli anni sessanta, furono i cambiamenti introdotti dal concilio Vaticano II. Da Parigi,
de Certeau rispose con entusiasmo: a suo
avviso le riforme sostenute dal concilio co-
lavoravano a contatto con i poveri e ritenevano che la Chiesa dovesse lottare contro la miseria sociale nella stessa misura in
cui si impegnava per salvare le anime. Rimase molto colpito dalle forme di spiritualità popolare osservate durante i suoi
viaggi e in quei movimenti messianici ed
estatici non vide comportamenti aberranti
che la Chiesa dovesse estirpare, bensì «la
voce interiore di un continente ancora culturalmente cattolico». Scrisse anche parole
di condanna per la pratica della tortura
sotto la dittatura militare in Brasile.
Nel 1968 de Certeau interpretò il movimento studentesco con un’altra “rottura”
creativa e nell’estate scrisse su un periodico gesuita: «Lo scorso maggio la parola è
stata presa come nel 1789 è stata presa la
Bastiglia. La piazzaforte occupata è quel
sapere detenuto dai dispensatori di cultura, destinato a mantenere l’integrazione o
la reclusione degli studenti lavoratori e
operai entro un sistema che prestabilisce
la loro funzione» (in La prise de parole.
Pour une nouvelle culture, 1968; trad. it. La
presa della parola e altri scritti politici, 2007,
pp. 37-38).
Come aveva visto i mistici del XVII secolo alla difficoltosa ricerca di una lingua
che potesse comunicare la loro esperienza,
e così come aveva sollecitato la Chiesa a
sviluppare forme molteplici di espressione
per dar voce alla spiritualità moderna, allo
stesso modo avvertiva ora che gli studenti
protestavano per ampliare il proprio diritto di parola, in alcuni casi «mettendo in
discussione l’intero sistema».
Questo discorso venne però presto “ricatturato” dalle istituzioni governative e
Maximino Cerezo, «Cena» (XX secolo)
stituivano una “rottura” creativa con gli
inflessibili schemi gerarchici del passato.
Per esprimere l’esperienza delle persone,
esse invocavano «molteplici linguaggi di
fede» invece del remoto linguaggio clericale. De Certeau riteneva che il Vaticano
II avrebbe dovuto portare la Chiesa a immergersi completamente nelle tematiche
del mondo moderno, riconoscendo quanto
ancora avesse da imparare su guerra e violenza, controllo delle nascite, tutto ciò che
accadeva nelle città e su stampa e televisione (le reazioni di de Certeau al concilio
Da adolescente
aveva percorso i sentieri della Savoia
portando messaggi
ai combattenti della resistenza
contro l’occupazione tedesca
Vaticano II sono state pubblicate nella rivista gesuita «Christus», 12, 1965, pp. 147163, e 13, 1966, pp. 101-119; una sintesi si
trova in François Dosse, Michel de
Certeau: le marcheur blessé, 2002, cap. 8).
Questo doveva essere il compito della
Chiesa, non solo in Europa ma in tutto il
mondo. Questo, pensava de Certeau, era
stato lo spirito di Ignazio di Loyola e dei
suoi compagni gesuiti all’inizio del XVI secolo. E tale sarebbe stato anche l’obiettivo
di de Certeau fra il 1966 e il 1968 e negli
anni successivi, durante i quali viaggiò
spesso in America latina — soprattutto in
Brasile e in Messico — attirato dai sacerdoti della teologia della liberazione, che
accademiche che, disse de Certeau, invece
di creare quella struttura pluralistica «invocata dagli eventi [del Maggio]», ovviamente restaurarono l’ordine gerarchico.
Tuttavia, sosteneva, lo storico potrebbe tener viva la speranza di cambiamento, fornendo un resoconto lucido delle relazioni
fra le istituzioni esistenti e gli studenti “altri”. Nel 1971 fu chiesto a de Certeau di
inviare all’Institut Catholique di Parigi alcuni testi per un dottorato in teologia (ne
possedeva già uno in studi religiosi): il
suo saggio sul significato del cristianesimo
fu respinto ma, invece di
modificarlo per soddisfare i
requisiti della facoltà, de
Certeau lo pubblicò col titolo La rupture instauratrice.
Seguirono altri saggi e persino un dibattito radiofonico
con l’intellettuale cattolico
progressista Jean-Marie Domenach. Gesù Cristo, sosteneva de Certeau, è la figura
centrale, l’Altro, presente ma
anche assente; la sua venuta
e la sua morte hanno fondato il cristianesimo, ma l’evento significativo non è la
crocefissione bensì il sepolcro vuoto. «Il
“seguitemi” di Gesù viene da una voce
eclissata, ormai irrecuperabile per sempre».
Eppure il cristiano vuole credere, vuole
correre il rischio, e così intraprende un
percorso verso Cristo: il carattere della vita cristiana, tuttavia, dev’essere compreso
alla luce delle circostanze storiche. Nel
mondo secolarizzato del tardo XX secolo —
spiegava de Certeau — con strutture non
religiose ovunque dominanti, le istituzioni
della Chiesa non potevano essere il solo
luogo dell’azione cristiana nel mondo.
giovedì 19 gennaio 2017
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 5
Femke Hiemstra
«Gufo e pappagalli» (XX secolo)
Una risposta alla fragilità psichica dell’occidente di fronte alla violenza
Sperare ancora
in mezzo al tumulto
di JEAN-CLAUDE GUILLEBAUD
on il ritorno del terrorismo e
della guerra, i «discorsi sulla
guerra» si moltiplicano, fino
a produrre una scoraggiante
cacofonia. Ci spiacerebbe aggiungere un’analisi a questa superfluità di
“raccomandazioni”. Ci limitiamo quindi a
ricordare due elementi che, riflettendoci
bene, ci danno un motivo per sperare.
Persino in mezzo a simili abomini. Lo
scrivo senza il minimo buonismo.
C
Persone riunite davanti al memorial effimero per le vittime della strage
Constatiamo innanzitutto che, da settant’anni, noi europei ci eravamo abituati
a considerare la pace come la condizione
naturale di una società. Di fatto, se si
escludono le — ormai lontane — guerre
coloniali degli anni cinquanta e sessanta e
Da lungo tempo abbiamo disimparato
a pensare la guerra al fine di fronteggiarla
Tutto ciò ha permesso che venisse alla luce
l’incredibile vulnerabilità delle nostre società
le tragiche ma brevi atrocità nell’ex-Jugoslavia tra il 1992 e il 1995, è da sette decenni che l’Europa non conosce la guerra
sul proprio suolo.
Improvvisamente, con l’Ucraina, la Siria, l’Iraq e il jihadismo omicida in mezzo
a noi, varie tragedie intricate ci riportano
con i piedi per terra. La violenza, soprattutto quella bellica, ridiviene brutalmente
quel che è: una componente “naturale”
delle nostre società, a cui il filosofo cristiano René Girard ha dedicato l’intera
sua opera. Diciamolo chiaramente, abituati alla pace qui da noi, abbiamo finito
col pensare che fosse la condizione naturale di una società. Girard ci ricorda che,
proprio al contrario, è la violenza a essere
effettivamente la condizione “naturale”
del mondo, e che va dunque contenuta,
combattuta (anche in noi stessi), scongiurata, “guardata a vista”.
Questo ritorno della guerra in Europa
ha preso alla sprovvista i dirigenti del
vecchio continente. Questi hanno a volte
esitato nelle loro prime reazioni, che sono
state disordinate. Invece di rassicurare i
cittadini, hanno a volte — involontariamente — contribuito a
spaventarli ancora di
più come ha fatto la
grande stampa. Da
lungo tempo, abbiamo
“disimparato” a pensare la guerra al fine di
fronteggiarla. Tutto ciò
ha permesso che venisse alla luce l’incredibile vulnerabilità delle
nostre società.
Resta da capire perché questa fragilità, soprattutto psichica, si
sia aggravata così tanto. In Francia, tanto
per fare un esempio, i
crimini orribili del Bataclan (13 novembre
2015) o di Nizza (14
luglio 2016) sono bastati a far vacillare per
un momento lo stato.
Eppure, in passato,
violenze dieci volte o
cento volte più grandi
furono vissute con immenso dolore ma con
più sangue freddo.
Penso ai bombardamenti su Londra nel
1941 da parte della
Luftwaffe nazista che
ogni notte mietevano
diverse centinaia di vittime. E che non hanno
mai piegato gli inglesi.
Una
costatazione
analoga si può fare
comparando i bilanci
di due guerre molto
lunghe:
quella
del
Vietnam che è durata
dieci anni (1965-1975) e
quella dell’Iraq che ne
è durata undici (20032014). Eppure, la comdel Bataclan
mozione, il dolore, il
lutto, la collera suscitati negli Stati Uniti dalla conta delle vittime — civili e militari —
da una parte e dall’altra è stata di un’intensità analoga. Anche se il costo della
guerra del Vietnam è stato dodici volte
più alto di quello dell’Iraq, trent’anni
dopo.
Ciò significa che in Occidente la sensibilità collettiva alla violenza bellica è cresciuta considerevolmente. Ora ci commuove e ci indigna molto più che in un
vicino passato. Benché a volte ci siano
delle interruzioni, anzi delle brevi marce
indietro, il senso di questa evoluzione è
chiaro: stiamo diventando allergici alla
violenza. Incluso alla violenza quotidiana,
urbana, quella di tutti i giorni. Anche se
nel lungo termine sta diminuendo — come osservano gli storici — abbiamo la
sensazione che stia aumentando. È la nostra “percezione”, non la realtà, a essere
cambiata.
Perché? Fedelmente a René Girard
(scomparso il 5 novembre 2015), suggerisco una spiegazione. Anzi riprendo la terminologia di questo grande filosofo: è
l’azione costante, permanente, impercettibile del “fermento evangelico” a salvarci
poco a poco dalla violenza sfrenata, sia
essa vendicatrice o semplicemente barbara. Questa “buona novella” è tanto più
preziosa in quanto, ovunque attorno a
noi, Dio viene strumentalizzato dai violenti o arruolato a forza in barbari massacri.
Dal medioevo all’età moderna
Il bestiario
del Papa
di GIOVANNI CERRO
egli ultimi decenni
la ricerca storiografica ha compiuto notevoli passi in
avanti nell’analisi
della ricca simbologia degli animali in relazione al papato. Un
contributo determinante in questa direzione è stato offerto dagli studiosi italiani, tra i quali
occupa un posto di rilievo Agostino Paravicini Bagliani, autore
del recente Il bestiario del papa
(Torino, Einaudi, 2016, pagine
378, euro 32), in cui attraverso la
rilettura di un ampio ventaglio
di fonti testuali e iconografiche
esplora il rapporto simbolico e
metaforico che unisce papato e
animali tra medioevo ed età moderna.
Il lettore è accompagnato in
un percorso strutturato in tre
parti. Nella prima ci si occupa
N
pappagallo che l’avevano acclamato vincitore e imperator.
Stando a una cronaca del X secolo, persino l’imperatore di Bisanzio era solito farsi accompagnare a banchetti e cerimonie ufficiali da un pappagallo. Con
l’alto medioevo l’eloquenza di
questo animale diventa oggetto
di elogi anche in ambiente cristiano: Teodolfo di Orléans, abate di Fleury, lo ritiene in grado
di rivaleggiare con le muse di
Omero e l’anonimo monaco autore dell’Ecbasis captivi, una parodia epica sul mondo animale,
paragona la voce del pappagallo
alla melodia dell’arpa di Davide.
Nella Roma papale il pappagallo fa la sua comparsa intorno
al 1280 negli affreschi dell’ala del
Palazzo apostolico fatta costruire
co, dono del re del Portogallo
Manuele I. Sbarcato a Roma
dopo un avventuroso viaggio in
nave, accompagnato da un ammaestratore indiano e un custode saraceno, il pachiderma restò
per lungo tempo impresso nella
memoria dei romani per la sua
bellezza e maestosità.
Il Papa era particolarmente
attento all’incolumità di Annone
— questo è il nome che fu assegnato all’elefante — e per non
procurargli danni alle zampe si
rifiutò di inviarlo alla corte medicea di Firenze e presso il re di
Francia in visita a Bologna. Se il
pappagallo e l’elefante possono
apparire animali esotici, un quadro più intimo e familiare ci
giunge da Musetta, la cagnolina
di Pio II.
Un rex Dalamarcie
donò a Leone IX un pappagallo
in grado di ripetere la frase
«vado dal Papa»
e di chiamarlo per nome
di due figure la cui connotazione simbolica pare essere molto
antica, come la colomba e il
drago, mentre nella seconda si
prendono in considerazione gli
animali tradizionalmente legati
all’autorappresentazione del ruolo dei Pontefici, il cavallo e
l’elefante su tutti. La terza, infine, è dedicata al rovesciamento
parodico e polemico subito da
alcuni di questi simboli tanto
nelle cosiddette profezie papali
quanto nelle satire nate in ambito protestante.
Curiosa e forse poco nota è la
storia del pappagallo, le cui origini risalgono all’XI secolo. In
una delle Vitae di Leone IX, attribuita a Guiberto di Toul, si
racconta che un certo “rex Dalamarcie” — forse identificabile
con Stefano I re di Croazia e di
Dalmazia — inviò al Papa in dono un pappagallo, in grado non
soltanto di ripetere la frase «vado dal Papa», ma anche di chiamarlo per nome.
E questo senza che nessuno
glielo avesse insegnato. Quando
il Papa rientrava nel suo appartamento privato, la compagnia
del pappagallo lo rincuorava e
lo confortava, dandogli sollievo
rispetto alle gravose preoccupazioni quotidiane.
Se è difficile rintracciare un
antecedente storico in cui sia assegnata al pappagallo la funzione di consolare l’uomo, nella
letteratura latina esistono invece
esempi in cui gli è riconosciuta
la capacità di annunciare personaggi di rango: Marziale celebra
l’abilità del volatile nel salutare
l’imperatore e Macrobio narra
che Augusto, dopo la battaglia
di Azio, acquistò un corvo e un
Raffaello Sanzio, «Dio crea gli animali» (1518-1519)
e decorare da Niccolò III e che
poi prenderà il nome di Sala vecchia degli svizzeri. Con Bonifacio VIII l’utilizzo del pappagallo
come motivo decorativo si intensifica, tanto che in alcuni pregiati
tessuti in seta di Lucca il suo
stemma è rappresentato tra pappagalli verdi e l’animale si ritrova
in molti paramenti da lui donati
alla cattedrale di Anagni, sua città natale. All’inizio del Quattrocento si ha per la prima volta
notizia di una sala del pappagallo nel Palazzo apostolico, in cui
il Papa riuniva i cardinali in concistoro, si preparava prima di
partecipare a cerimonie solenni,
riceveva principi e sovrani e impartiva benedizioni.
La funzione del pappagallo
rinvia dunque a gesti e rituali di
sovranità, che hanno lo scopo di
separare la sfera privata da quella pubblica. Sarà con Leone X
che questo simbolismo raggiungerà il suo apogeo: basti pensare
alla rappresentazione sulla porta
della Sala del pappagallo, opera
di Raffaello e della sua scuola,
in cui Giovanni Battista ha lo
sguardo rivolto verso un piccolo
pappagallo sudamericano. Si
tratta evidentemente di un riferimento al Papa come rappresentante di Cristo sulla terra.
A Leone X si deve non solo
l’istituzione di un vero e proprio
serraglio nel cortile del Belvedere, ma anche l’introduzione alla
corte papale di un elefante bian-
Secondo la testimonianza dello stesso Enea Silvio Piccolomini nei suoi Commentarii, la cucciola amava mettersi nei guai.
Un giorno, mentre il Papa era
impegnato in giardino ad ascoltare delle ambascerie, cadde in
una cisterna e fu tratta in salvo
con difficoltà; l’indomani fu
morsa da un grosso cercopiteco,
che la lasciò in fin di vita. Musetta morì una decina di giorni
dopo cadendo da una finestra
della residenza papale e Pio II
trasse spunto dalla sua storia
per richiamare, con un efficace
exemplum, alla virtù della prudenza.
D all’originale disamina di Paravicini Bagliani emerge tanto la
persistenza di alcuni animali
simbolici, che nel corso del tempo hanno assunto funzioni diverse, quanto la transitorietà di
altri, che con il mutare delle
pratiche istituzionali e politiche
e delle sensibilità religiose si sono avviati verso un declino a
volte repentino, a volte graduale, fino a scomparire del tutto.
La lunga tradizione del rapporto tra Pontefici e animali
sembra oggi aver messo da parte
le complesse elaborazioni simboliche del passato per guadagnare invece una connotazione
più concreta, improntata all’impegno e al rispetto verso il creato, come dimostra la recente enciclica Laudato si’ di Papa Francesco.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
giovedì 19 gennaio 2017
Dipinto nella chiesa Stavropoleos a Bucarest
raffigurante il primo concilio di Costantinopoli tenutosi nel 381
di ANDREA PALMIERI*
Dal 15 al 22 settembre 2016 ha
avuto luogo a Chieti — su invito
dell’arcivescovo di Chieti-Vasto,
monsignor Bruno Forte, membro
della commissione, e con il sostegno della Conferenza episcopale italiana — la quattordicesima sessione plenaria della Commissione mista internazionale
per il dialogo teologico tra la
Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Alla vigilia regnava un clima di attesa e di incertezza. A
distanza di quasi nove anni
dall’ultimo documento della
Commissione mista internazionale, molti desideravano che si
giungesse alla pubblicazione di
un nuovo testo che mostrasse
che il dialogo teologico non si
era arenato. Tuttavia, visto il risultato deludente delle ultime tre
precedenti sessioni plenarie (Paphos 2009, Vienna 2010 e Amman 2014), ci si chiedeva se la
bozza di documento, redatta nel
corso della sessione plenaria di
Amman e rivista dal Comitato di
coordinamento della commissione riunitosi a Roma nel 2015,
avrebbe ottenuto il consenso di
tutti i membri.
Nella riunione di Chieti, i cui
lavori sono stati presieduti
dall’arcivescovo di Telmessos,
Iob Getcha, del patriarcato ecumenico di Costantinopoli, e dal
cardinale Kurt Koch, presidente
del Pontificio consiglio per la
promozione dell’unità dei cristiani, erano presenti due rappresentanti delle quattordici Chiese ortodosse autocefale (fatta eccezione del patriarcato di Bulgaria,
assente) e ventisei rappresentanti
cattolici provenienti da diversi
Paesi. Con il consenso di tutti i
partecipanti (soltanto la Chiesa
ortodossa di Georgia ha espresso
il proprio dissenso su alcuni paragrafi), è stata decisa la pubblicazione del testo, che dal luogo
dove si sono svolti i lavori verrà
chiamato “Documento di Chieti”. Il testo, intitolato Sinodalità e
primato nel primo millennio. Verso
una comune comprensione nel servizio all’unità della Chiesa, contiene
una presentazione condivisa da
cattolici e ortodossi delle modalità con le quali sinodalità e primato si articolavano nella vita
della Chiesa del primo millennio. In tal modo, il testo prosegue la riflessione sul tema del
primato nella Chiesa universale,
inaugurata con il documento dal
titolo Le conseguenze ecclesiologiche
e canoniche della natura sacramentale della Chiesa. Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità, approvato nella sessione plenaria di
Ravenna (2007), dove cattolici e
ortodossi affermavano insieme,
per la prima volta, la necessità di
un primato al livello di Chiesa
universale e concordavano sul
fatto che questo primato spettasse alla sede di Roma e al suo vescovo, mentre riconoscevano ancora aperta la questione relativa
alla modalità di esercizio del primato, ai fondamenti scritturistici
e alle interpretazioni storiche.
Il documento di Chieti, per la
sua brevità (comprende solo ventuno paragrafi) e per il suo stile,
per così dire, pragmatico, potrebbe apparire teologicamente
povero. Tuttavia — attraverso alcuni riferimenti impliciti a principi teologici ampiamente trattati
in documenti approvati in anteriori sessioni plenarie (si vedano,
a esempio, le riflessioni sulla teologia trinitaria del documento di
Monaco 1982 e sulla teologia eucaristica del documento di Bari
1987) — il testo mostra di radicarsi solidamente nelle fondamenta teologiche e sacramentarie
dei precedenti documenti. Particolarmente evidente è il rapporto
del documento di Chieti con
quello di Ravenna. Il nuovo testo non solo riprende i temi centrali (la relazione di interdipendenza fra sinodalità e primato
nella vita della Chiesa), ma ripropone la medesima struttura
del testo antecedente. La definizione di sinodalità e di primato
offerta nei numeri 3 e 4 del documento di Chieti riecheggia
senza dubbio quella proposta in
maniera decisamente più articolata dal documento di Ravenna.
La triplice attualizzazione del
Sinodalità e primato nel documento di Chieti
Sulla base
di una comune eredità
rapporto tra sinodalità e primato
a livello locale, regionale e universale, compiuta dal documento
di Ravenna, è ripresa dal testo di
Chieti con delle significative precisazioni. In quest’ultimo, infatti,
si preferisce non parlare più di
tre livelli, ma si si specifica che
la triplice attualizzazione del
rapporto tra sinodalità e primato
si realizza nella Chiesa locale,
nella comunione regionale delle
Chiese e nella Chiesa universale.
L’adozione di un linguaggio teologico più preciso per descrivere
le molteplici espressioni della vita della Chiesa ha il grande merito di rendere più chiaro che tra
le diverse realtà di Chiesa prese
in esame esiste solo una debole
analogia e che l’interdipendenza
fra sinodalità e primato, indubbiamente presente in ciascuna
delle tre realtà, si concretizza in
forme molto diverse.
Una novità di rilievo nel documento di Chieti rispetto al testo di Ravenna è quella di descrivere come l’interdipendenza
tra sinodalità e primato si sia
realizzata di fatto nelle strutture
della Chiesa del primo millennio. La preoccupazione di attenersi strettamente ai dati storici
del primo millennio pervade tutto il testo, nel quale si evita accuratamente di usare espressioni
che si riferiscono piuttosto
all’evoluzione del secondo millennio, quali a esempio primato
di giurisdizione, autocefalia, eccetera. Gli aspetti della realtà ecclesiale del primo millennio vengono citati nel documento come
mere testimonianze storiche senza aggiungere alcuna interpretazione di carattere dogmatico,
sulle quali cattolici e ortodossi
spesso divergono. Tutto ciò però
non consente di definire il documento di Chieti come un testo
esclusivamente storico. Assolutamente centrale nella dinamica di
tutto il testo è l’affermazione
presente nel numero 6, con la
quale si sostiene la necessità di
riflettere sulla storia, perché in
essa Dio rivela se stesso, e si ricorda che la liturgia, la spiritualità, le istituzioni e i canoni della
Chiesa hanno sempre una dimensione sia storica sia teologica. Se è vero che il primato appartiene all’essere della Chiesa
così come è stata voluta da Dio,
e non si fonda semplicemente su
una mera opportunità pratica finalizzata al buon funzionamento
delle istituzioni ecclesiastiche, è
altrettanto vero che lo sviluppo
storico delle istituzioni ecclesiastiche non è privo di valore teologico. Poiché, per noi cristiani,
il fatto che Dio si rivela nella
storia è un dato di fede, dobbiamo saper cogliere i segni della
sua presenza e della sua azione
nella storia della Chiesa. Soltanto integrando l’approccio storico
e quello teologico-speculativo è
possibile individuare nella prassi,
secondo la quale il primato della
Chiesa di Roma era esercitato
nel primo millennio, alcuni elementi non solo ispirativi ma normativi circa la modalità di esercizio di un primato universale che
possa essere accettato oggi sia
dai cattolici sia dagli ortodossi.
In tale prospettiva, la parte
più delicata del documento di
Chieti è proprio quella che riguarda il rapporto tra sinodalità
e primato nella Chiesa a livello
universale (cfr. n. 15-19), perché
tocca le questioni ecumenicamente più rilevanti. Si può facilmente comprendere la difficoltà
con la quale la commissione abbia raggiunto un consenso su
questo punto. La tematica in oggetto è al cuore stesso del contenzioso storico tra cattolici e ortodossi, soprattutto per come esso si è sviluppato nel secondo
millennio. Il lavoro della Commissione mista internazionale è
in qualche modo condizionato
da secoli di dispute e polemiche
sulla questione del primato del
vescovo di Roma, nel corso dei
quali le posizioni si sono radicalizzate finendo con l’apparire
quasi inconciliabili. Tali posizio-
ni radicali sono spesso ancora vive nella coscienza di una parte
di pastori e fedeli, che, per questo motivo, guardano con grande
sospetto il lavoro della Commissione mista internazionale.
Evitando accuratamente di aggiungere una valutazione, il documento di Chieti registra il fatto che, tra il quarto e il settimo
secolo, viene riconosciuto, e stabilito anche attraverso alcuni canoni dei concili ecumenici, un
ordine fra le cinque sedi patriarcali, tra le quali la sede di Roma
occupava il primo posto esercitando un primato di onore (cfr.
n. 15). Inoltre, si afferma che, a
partire dal quarto secolo, in occidente il primato del vescovo di
Roma veniva compreso sempre
più decisamente come una prerogativa legata al suo essere successore di Pietro, il primo degli
apostoli. Il documento riconosce
che questa interpretazione non
fu mai adottata dalle Chiese di
oriente, che su questo punto avevano una lettura differente della
Scrittura e dei Padri (cfr. n. 16).
Apparentemente, qui ci si trova
di fronte a una divergenza sostanziale di interpretazioni, il cui
riconoscimento non farebbe che
ampliare la distanza che separa
cattolici e ortodossi su tale questione. In realtà, il prendere atto
da parte dei cattolici e degli ortodossi della coesistenza nel primo millennio di due diverse tradizioni che giustificavano diversamente il primato della sede di
Roma e del suo vescovo, senza
che ciò per molti secoli causasse
una rottura della comunione tra
le Chiese di oriente e occidente,
è un significativo passo in avanti. Naturalmente, alcune questioni meritano di essere ulteriormente approfondite insieme da
cattolici e ortodossi, in particolare quella del vero significato
dell’espressione “primato d’onore” nelle fonti del primo millennio e quella del fondamento
scritturistico del primato di san
Pietro nella letteratura patristica
di oriente e occidente.
Dopo l’affermazione del primato della sede di Roma, il documento di Chieti presenta sinteticamente le forme concrete di
esercizio di tale primato nel primo millennio. Innanzitutto, nel
numero 17 si ricorda la prassi di
nominare nei dittici liturgici i
nomi dei patriarchi secondo il
loro ordine. Ciò presuppone il
diritto del vescovo della prima
sede di presiedere nel caso di
concelebrazione liturgica tra i vescovi delle principali sedi. In secondo luogo, è riconosciuto che
il vescovo di Roma ha esercitato
un ruolo essenziale di cooperazione per la ricezione dei concili
come ecumenici attraverso il suo
accordo, espresso per mezzo dei
suoi legati o post factum (cfr. n.
18). Infine, è menzionata la possibilità della sede di Roma di ricevere appelli provenienti anche
da Chiese dell’oriente, non giudicando in merito alla questione
dell’appello ma rimandando il
giudizio di merito al sinodo delle Chiese vicine di colui che si
riteneva ingiustamente condannato dal proprio sinodo, così come regolato dal canone 3 del
concilio di Sardica (cfr. n. 19). È
importante sottolineare che il
documento di Chieti afferma
con chiarezza che queste prerogative della sede di Roma erano
esercitate dal vescovo di Roma
sempre nel contesto della sinodalità, ossia in stretta relazione
con i vescovi delle altre sedi
principali del primo millennio
oppure insieme al sinodo della
Chiesa di Roma (cfr. n. 17-19).
In tal modo, si riconosce che anche nella Chiesa a livello universale durante il primo millennio
la sinodalità e il primato erano
legati da un nesso inscindibile.
In conclusione, il documento
presenta la comune eredità dei
principi teologici, delle istituzioni canoniche e della pratica liturgica del primo millennio come
necessario punto di riferimento e
fonte di ispirazione per il superamento della divisione esistente
tra cattolici e ortodossi (cfr. n.
20-21). Il primo millennio, dunque, non è visto come “l’età
d’oro” alla quale tornare. Questo
sarebbe un obiettivo ingenuo e
irrealizzabile. La vera sfida che
attende i cristiani di oriente e occidente è quella di capire come,
sulla base di questa eredità comune, sia giusto esercitare oggi e
in futuro sinodalità e primato, rispettando la loro reciproca interdipendenza. Da questo punto di
vista, lo studio realizzato a Chieti dalla Commissione mista internazionale costituisce un significativo passo in avanti in quanto
favorisce una più profonda riflessione sui temi della sinodalità e
del primato, e della loro reciproca relazione, sia nel mondo cattolico che nel mondo ortodosso.
In entrambi i casi, alcune recenti
esperienze concrete, come la celebrazione del concilio panortodosso con tutte le difficoltà della
vigilia, da un lato, e l’impegno
profuso da Papa Francesco per
ridare nuovo impulso alla sinodalità all’interno della Chiesa
cattolica, dall’altro, mostrano
quanto sia importante e urgente
tale riflessione.
*Sotto-segretario del Pontificio
consiglio per la promozione
dell’unità dei cristiani
Ufficio delle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice
Conversione di san Paolo
Vespri presieduti da Papa Francesco
INDICAZIONI
Mercoledì 25 gennaio 2017, alle ore 17.30, nella Basilica di San Paolo fuori le
Mura, il Santo Padre Francesco presiederà la celebrazione dei Secondi Vespri
della solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, a conclusione della
Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani sul tema: «L’amore di Cristo
ci spinge verso la riconciliazione» (cfr. 2 Cor 5, 14-20).
Prenderanno parte alla celebrazione i Rappresentanti delle altre Chiese e
Comunità ecclesiali presenti a Roma. Sono invitati, in modo particolare, il
clero e i fedeli della diocesi di Roma.
I Cardinali, i Vescovi, i Sacerdoti e i Religiosi, che desiderano partecipare
alla celebrazione, indossando l’abito corale loro proprio, sono pregati di trovarsi per le ore 17 presso l’Altare della Confessione per occupare il posto che
verrà loro indicato dai cerimonieri pontifici.
Città del Vaticano, 18 gennaio 2017
Mons. Guido Marini
Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie
Per i componenti la Cappella Pontificia sarà a disposizione un servizio
pullman, con partenza dalla piazza antistante l’ingresso dell’Aula Paolo VI,
alle ore 16.30. Quanti desiderano usufruire del servizio sono pregati di darne
comunicazione all’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, entro lunedì 23 gennaio.
Attiva dopo la rivoluzione del 1917
La commissione pro russi del circolo San Pietro
Un angolo di Russia nel cuore di Roma: anzi due. Grazie
al circolo San Pietro, infatti, nei primi anni Venti del secolo
scorso furono aperte nell’Urbe due case per accogliere le
persone in fuga dalle persecuzioni conseguenti alla rivoluzione bolscevica del 1917.
Lo racconta l’ultimo numero della pubblica semestrale
dell’antico sodalizio («Bollettino del Circolo San Pietro»,
2016, secondo semestre), ricordando la storia e l’attività della commissione pro russi, istituita per diretto impulso di Papa Pio XI, che diede seguito anche al desiderio del predecessore Benedetto XV di alleviare le pene di quelle popolazioni che subivano le conseguenze del primo conflitto mondiale.
L’autore dell’articolo, Davide Ciotola, partendo dalle carte della XIV sezione dell’archivio storico del circolo San Pietro, vi racconta come il “motore” della struttura che gestiva
gli aiuti fosse Paolo Croci, diciassettesimo presidente del
sodalizio. Fu lui infatti a garantirne il pieno funzionamento
fino al 1934. Una quindicina di anni di attività in tutto, durante i quali i profughi vennero registrati nei fascicoli
dell’accoglienza e valutati nei loro bisogni urgenti o essenziali, e, di conseguenza, ricevettero aiuti commisurati alle
concrete esigenze effettive, coerentemente con l’economia
delle risorse assegnate alla commissione. Tra queste, appunto, anche due residenze, donate da Giovanni Torlonia per
intercessione del cardinale Pietro Gasparri: la prima, attiva
dal 1921 al 1926, a Villa Albani, sulla via Salaria; la seconda
— venuta meno l’altra struttura a causa di una demolizione
effettuata per far posto a una nuova linea tramviaria — in
alcuni locali di Salita di Sant’Onofrio, dal 1926 al 1934.
Tra i personaggi che raccomandavano gli esuli all’attenzione del circolo vi furono alti prelati vaticani, generali di
ordini monastici e madri superiore, suore o sacerdoti, funzionari laici, politici, ambasciatori, medici e professionisti o
persone semplicemente interessate alle condizioni in cui vivevano alcune persone o intere famiglie. Si creò così una
circolazione di informazioni, che ebbe i propri cardini in alcuni personaggi come il principe Aleksandr Michajlovic
Volkonskij (1866-1934), ufficiale fino al grado di colonnello
e diplomatico di carriera; in Italia per rappresentanza, allo
scoppiare della Rivoluzione di Ottobre vi rimase da esule.
Divenne uno dei responsabili del Circolo russo, all’epoca in
via delle Colonnette, e allacciò relazioni col sodalizio cattolico romano cercando di aiutare i suoi compatrioti. Alcuni
dei quali presero da lui le distanze nel momento in cui decise di convertirsi al cattolicesimo, facendosi ordinare sacerdote di rito bizantino il 6 luglio 1930.
Altra persona molto attiva fu il gesuita francese MichelJoseph Bourguignon d’Herbigny (1880-1957): preside del
Pontificio istituto orientale, poi consacrato in segreto vesco-
vo di Ilio dall’allora nunzio in Germania, Eugenio Pacelli, e
infine presidente della Pontificia commissione per la Russia, fu uno dei principali protagonisti della politica del Vaticano nei confronti dell’Unione Sovietica nella prima metà
del Novecento.
Tra gli aiuti offerti dalla commissione del circolo San
Pietro, i più richiesti furono naturalmente quelli in denaro,
soprattutto per pagare l’affitto delle abitazioni. Gli istituti
religiosi da parte loro accolsero gli esuli in dormitori e per
strappare dalla strada i più giovani offrirono il sostegno necessario per portare a compimento tutto il ciclo di studi. E
nel 1927, in uno di questi casi, ci fu la diretta richiesta di
sussidio a beneficio di un giovane russo da parte dell’assistente ecclesiastico nazionale della Federazione universitaria
cattolica italiana (Fuci) Giovanni Battista Montini.
Da parte loro i profughi più adulti si ingegnarono come
possibile per poter lavorare e si ritrovarono, senza guardare
all’originaria classe sociale, a impegnarsi nelle occupazioni
più diverse, nei cantieri edili e nella muratoria in genere,
negli alberghi come portieri o custodi, e qualcuno riuscì anche a iniziare un’attività imprenditoriale. Le donne cercarono impiego come segretarie, dattilografe o magari insegnanti di lingue, altre facendosi assumere come dame di compagnia nelle famiglie romane più abbienti.
L’OSSERVATORE ROMANO
giovedì 19 gennaio 2017
pagina 7
Impegno pastorale in Bangladesh
Incontro alle famiglie
più lontane
MANILA, 18. Un invito a compiere
atti di misericordia è stato rivolto
dall’arcivescovo di Manila, cardinale
Luis Antonio G. Tagle, agli oltre
cinquemila partecipanti al IV Congresso apostolico mondiale della
Misericordia (Wacom4), in corso di
svolgimento nella capitale delle Filippine, Manila. Un «pellegrinaggio
di misericordia», durante le giornate
del congresso, condurrà i numerosi
delegati a visitare diversi luoghi santi dell’arcipelago asiatico, da Manila
a Batangas, da Bulacan a Bataan,
oltre a orfanotrofi, centri di accoglienza, popolazioni indigene, bambini di strada, anziani, donne e tossicodipendenti.
«Non siete voi a compiere gli atti
di misericordia — ha detto il porporato rivolgendosi ai presenti — ma è
opera di Gesù. Quindi, non ci si deve vantare di compiere tali atti.
L’unica cosa di cui ci si può vantare
è di avere bisogno della misericordia
di Dio». L’arcivescovo di Manila ha
esortato i partecipanti al Wacom4 a
non avere paura di aprire il proprio
cuore a Cristo. «Non c’è alcun bisogno di nascondersi o di vergognarsi». E ha invitato tutti i presenti a
essere come Maria, «attenta verso
chi ha bisogno».
Durante il Congresso, che si concluderà venerdì prossimo, si parlerà
non solo di «devozione per la Misericordia Divina», ma anche della
difficile situazione in cui versa il
paese, che sta vivendo una crisi «in
tema di diritti umani». Il riferimento di monsignor Ruperto C. Santos,
vescovo di Balanga, è alle vittime
della campagna contro il narcotraffico lanciata dalle autorità, che ha fat-
Il cardinale Tagle al quarto Congresso apostolico della Misericordia
Carità
e attenzione alla vita
to registrare migliaia di morti. «La
misericordia — ha spiegato monsignor Santos — è legata alla vita e la
vita è legata all’ambiente. In generale, si deve sempre amare la vita. Essa va vissuta fino in fondo e va anche difesa, promossa e rispettata».
Il Wacom4 si svolge ogni tre anni
e riunisce personalità ecclesiastiche,
intellettuali e semplici fedeli. A Manila
stanno
prendendo
parte
all’evento vescovi, sacerdoti, religiosi, suore e battezzati di tutto il mondo. Papa Francesco ha nominato il
cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, come inviato speciale. La Chiesa ha presentato l’incontro mondiale come occasione per
compiere un «pellegrinaggio della
misericordia», che porterà i parteci-
panti ogni giorno in un luogo sacro
diverso.
Per il vescovo Santos, responsabile della commissione per i migranti
della Conferenza episcopale filippina, questo evento globale garantirà
anche e soprattutto un «processo di
cicatrizzazione» per il Paese, diventando «fonte di speranza per quelli
che sono considerati i più piccoli, i
perduti, gli ultimi».
In apertura dei lavori congressuali, è intervenuto anche monsignor
Broderick S. Pabillo, vescovo ausiliare di Manila, il quale ha sottolineato che la Chiesa nelle Filippine
non può restare silente e inerme di
fronte alla conta governativa delle
vittime della guerra al narcotraffico,
che ha ormai superato quota seimila
in cinque mesi. La Chiesa, ha avvertito il presule, è vicina al dolore delle loro famiglie, in particolare quelle
povere, che hanno perduto i loro cari senza poter nemmeno contare su
un giusto processo. «Non possiamo
restare muti — ha spiegato il vescovo
ausiliare — perché questo è un altro
modo per terrorizzare le persone.
Adesso, è davvero giunto il momento di farsi sentire» e ha invitato anch’egli i fedeli e le persone di buona
volontà «ad agire contro la violazione dei diritti umani, senza aspettare
che la conta aumenti».
Il presule si augura che il paese
abbia imparato qualcosa dalle esperienze del passato e che quindi non
ripeta gli stessi errori commessi allora.
Appello dell’episcopato del Kenya al personale sanitario in sciopero
Il diritto all’assistenza sanitaria
va garantito
NAIROBI, 18. Un nuovo appello a
medici e infermieri affinché assicurino i servizi essenziali ai pazienti in pericolo di vita e a tutti
quelli che necessitano di cure urgenti è stato diffuso nei giorni
scorsi dai vescovi del Kenya. Il
personale sanitario delle strutture
pubbliche, infatti, è in sciopero
dal 5 dicembre scorso e la situazione non accenna a placarsi. La
protesta del personale sanitario
sta causando gravissime sofferenze ai pazienti e molte persone —
riferisce il blog di Amecea News
— sono decedute a causa della
mancata assistenza. La situazione
peggiore è quella che si vive nei
villaggi distanti alcuni chilometri
dai presidi ospedalieri, dove la
gente non riesce a ricevere alcun
tipo di servizio, con conseguenze
drammatiche per i più deboli.
L’episcopato keniano aveva già
rivolto un pressante appello agli
operatori
sanitari
affinché
vengano garantiti i servizi essenziali. Alla base della protesta c’è
il mancato aumento dello stipendio previsto dal contratto nazionale siglato nel 2013. I sindacati
hanno minacciato di prolungare
ulteriormente lo sciopero ed
I vescovi sugli scontri fra agricoltori e pastori
Per ristabilire la pace sociale in Nigeria
ABUJA, 18. «I continui scontri tra
agricoltori e pastori sono un chiaro
segno che il vecchio metodo di allevamento, attraverso le cosiddette
“vie del bestiame” e le riserve di pascolo, è obsoleto e insostenibile. Da
qui la necessità urgente che i proprietari terrieri affittino le loro terre
ai pastori per poter creare degli allevamenti». Lo ha affermato monsignor Mathew Man-oso Ndagoso, arcivescovo di Kaduna (Nigeria), intervenendo sulla grave crisi in corso
nella regione di Kaduna sconvolta
da mesi dalle razzie perpetrate dai
pastori fulani nei confronti delle popolazioni sedentarie.
Monsignor Ndagoso, parlando
durante la cerimonia di ordinazione
e di insediamento del vescovo di
Shendam, Philip Davou Dung, ha
sottolineato come l’origine delle violenze vada individuata nella ricerca
di pascoli per il bestiame. E, come
riferisce l’agenzia Fides, ha esortato
«tutte le parti coinvolte a fare il necessario per consentire la creazione
di un ambiente favorevole per la
graduale istituzione di fattorie da
parte di autorità locali, comunità e
singoli individui, e per contribuire a
contenere la violenza che minaccia
quotidianamente l’esistenza sociale
del nostro Paese».
Ricordando una recente dichiarazione congiunta dei vescovi cattolici
della provincia ecclesiastica di Kaduna Monsignor Ndagoso ha detto:
«Il dibattito sul conflitto in corso è
in sostanza un dibattito sul futuro
della nostra sopravvivenza umana e
dell’ambiente, oltre che del nostro
Paese. Dobbiamo abbandonare la
vecchia pratica di pastori che si
muovono in massa in tutto il paese,
soprattutto in considerazione delle
violenze che comportano. Oggi, intere comunità sono state distrutte e
la rabbia nel Paese è palpabile. Siamo convinti che l’unica via da seguire da parte del governo è quella di
arrestare il movimento dei pastori e
dei loro animali, esplorando le opzioni per la creazione di ranch invece di riserve di pascolo».
Negli ultimi tre mesi, in più della
metà del territorio della parte meridionale dello stato di Kaduna si è
registrata un’intensificazione degli
attacchi da parte del Fulani Herdsmen Terrorist (Fht), gruppo terroristico di etnia fulani. «In occidente
— ha dichiarato monsignor Joseph
Danlami Bagobiri, vescovo di Kafanchan, nello stato di Kaduna —
questo gruppo è quasi sconosciuto,
ma è responsabile da settembre ad
oggi dell’incendio di cinquantatré
villaggi, della morte di oltre ottocento persone, del ferimento di altre
cinquantasette, della distruzione di
1422 case e di sedici chiese».
estenderlo anche alle strutture
private.
Profonda preoccupazione per
le sofferenze provocate dall’astensione dal lavoro è stata dunque
espressa in una dichiarazione a
firma di monsignor Philip A.
Anyolo, vescovo di Homabay e
presidente della Kenya Conference of Catholic Bishops (Kccb).
Il presule ha ringraziato il personale delle strutture sanitarie
pubbliche e private che, nonostante le difficoltà economiche,
continua a rispondere con professionalità alle emergenze mediche.
«Siamo consapevoli — ha affermato il vescovo di Homabay —
dei turni di lavoro pesanti che
state affrontando e che nonostante tutto continuate ad aiutare chi
ha bisogno. Ringraziamo anche
le istituzioni sanitarie private e
quelle non statali che continuano
a rispondere alle emergenze mediche, salvando vite umane nonostante le sollecitazioni sulle vostre
risorse, specialmente quando le
persone colpite non possono pagare completamente i costi delle
cure».
I vescovi keniani hanno rivolto
un pressante appello anche a
governo, sindacati e lavoratori
perché «facciano delle scelte e
intraprendano delle azioni per far
sì che il normale servizio sanitario
sia ristabilito senza ulteriori
ritardi».
In un precedente messaggio rivolto ai medici e diffuso
dall’agenzia Fides, i vescovi avevano sottolineato «di condividere» la delusione «sul mancato rispetto del contratto collettivo»,
ma avevano anche ricordato che
«non è giusto da parte loro abbandonare i pazienti innocenti a
una tale sofferenza». Per questo,
il mese scorso, i presuli hanno invitato «i medici che hanno giurato di proteggere la vita a riconsiderare la loro posizione e a non
impegnarsi in azioni che la minacciano. È molto doloroso il fatto che non abbiamo ancora visto
alcun piano coerente da parte
delle autorità per far interrompere lo sciopero».
DACCA, 18. «Il nostro principale
obiettivo pastorale è prenderci cura
delle famiglie, perché la famiglia è
una piccola Chiesa, è la radice della
Chiesa». Parole di Patrick D’Rozario, arcivescovo di Dhaka, presidente della Conferenza episcopale del
Bangladesh e primo cardinale del
paese asiatico, il quale incontrando
un gruppo di operatori pastorali
diocesani — una cinquantina di sacerdoti, venti suore e una trentina
di fedeli laici — ha rilanciato con vigore lo spirito missionario. «Andate
alla ricerca delle case dei cristiani
più lontane dalle vostre parrocchie
e fategli visita», ha detto il porporato ricordando in particolare, come
riferisce l’agenzia AsiaNews, l’importanza fondamentale della pastorale familiare. Tanto più in un Paese a maggioranza islamica, dove i
cristiani rappresentano appena lo
0,6 per cento della popolazione —
su un totale di oltre 160 milioni di
abitanti — e numerosi sono i matrimoni misti. «Portate la gioia del
Vangelo nelle famiglie. I suoi membri — ha detto — hanno bisogno di
vicinanza e consiglio spirituale».
Il cardinale arcivescovo di Dhaka
ha invitato a riscoprire il significato
autentico del legame matrimoniale.
«Molte persone — ha detto — pensano che il matrimonio sia solo una
tradizione sociale. Essi non sanno
che è una chiamata di Dio. La famiglia è lo specchio dell’amore di
Dio. Per questo non è solo un fatto
di tradizione, ma segno tangibile di
Dio». Il porporato ha sottolineato
che «ci sono molte famiglie cristiane ferite. Esse hanno bisogno di
amore e compassione. Perciò voi —
sacerdoti, fratelli e suore — dovete
far loro visita, ascoltare e condividere le loro parole». Allo stesso
tempo i fedeli «vogliono ascoltare
parole di speranza. C’è bisogno di
persone religiose che si prendano
cura di loro». La famiglia infatti
costituisce le fondamenta della
Chiesa.
Il cardinale D’Rozario ha osservato come nel Paese asiatico servano «molti più operatori formati a
rispondere al meglio ai bisogni del
nostro popolo». E ha poi ricordato
le parole di Papa Francesco: «Tutti
noi dobbiamo pregare almeno due
minuti al giorno in famiglia; il marito pregherà per la moglie, la moglie pregherà per il marito, i figli
pregheranno per i loro genitori.
Tutti devono pregare l’uno per l’altro e sentire la presenza di Dio nella propria vita».
Una preoccupazione, quella della
pastorale familiare che, non va dimenticato, deve fare i conti anche
con le gravi necessità e le condizioni di estrema povertà di larghe fasce di popolazione.
In particolare, come evidenziato
da una recente ricerca, i bambini
delle baraccopoli bengalesi spesso
sono costretti a lavorare più di sessanta ore alla settimana nelle fabbriche tessili di grandi marche internazionali. Il 15 per cento dei minori tra 6 e 14 anni dei quartieri più
poveri di Dacca non va a scuola
perché lavora a tempo pieno. E la
cifra sale al cinquanta per cento tra
i ragazzi con più di 14 anni.
Gruppi di fedeli
nell’aula Paolo VI
All’udienza generale di mercoledì
18 gennaio, nell’aula Paolo VI,
erano presenti i seguenti gruppi:
Dall’Italia: Pellegrinaggio delle Suore Agostiniane Serve di
Gesù e Maria; Associazione
italiana Notai cattolici, con
l’Arcivescovo di Assisi, monsignor Domenico Sorrentino;
Associazione Stella Maris, di
Cervia e Milano Marittima;
Associazione volontari ospedalieri, di Taranto; Associazione Evento People Dance,
di Vibo Valentia; Federazione
nobili europei uniti, di Roma;
Istituti riuniti di assistenza sociale, di Roma; Collegio geometri e geometri laureati, di
Potenza e Matera; Soci Circolo Unione, di Bari; Liceo
Amaldi, di Alzano Lombardo;
Istituto Fermi, di Barcellona
Pozzo di Gotto; gruppi di fedeli da Santo Stefano di Magra, Acicatena.
Texas; Priests and deacons
from St Paul Seminary, St
Paul, Minnesota; Students
and faculty from: Catholic
Theological Union, Chicago,
Illinois; California State University, San Marcos; St
Mary’s
College,
Moraga,
California; Loras Catholic
College,
Dubuque,
Iowa;
Wellesley College, Massachusetts; St Augustine High
School, San Diego, California.
Dalla Germania: Società
sportiva Lupi, di Wolfsburg.
Dalla Bosnia ed Erzegovina:
Bambini ospiti dell’Associazione «Luciano Lama», di
Enna.
Coppie di sposi novelli.
I polacchi: Pracownicy Liceum Ogólnokształcącego nr
1 w Łukowie; osoby niepełnosprawne z Warsztatu Terapii
Zajęciowej w Kuźnicy Grabowskiej; pielgrzymi indywidualni.
De France: Lycée du SacréCœur,
d’Aix-en-Provence;
Collège Vauban, de Strasbourg; groupe de pèlerins de
Nouvelle Caledonie.
From New Zealand: Pilgrims
from St John the Evangelist
Parish, Otara, Auckland.
From the United States of
America: Pilgrims from: Diocese of Palm Beach, Florida;
Diocese
of
Lansing,
Michigan; St Paul Apostle
Parish, California; Cathedral
of St Augustine, St Augustine, Florida; St Jude Parish, Peoria, Illinois; St John
Vianney Parish, Houston,
Aus
der
Bundesrepublik
Deutschland: Pilgergruppe aus
der Pfarrgemeinde St. Klara,
Neustadt an der Weinstrasse;
Delegation der Evangelischen
Kirche in Deutschland.
De España: Instituto «Italica», de Santiponce; Instituto
Maestro Don José Jurado
Espada, de Sevilla; Instituto
Profesor Andrés Bojollo, de
Puente Genil; Instituto La
Granja,
Heras
Cantabria;
Alumnos del Master en Radio
de la Fundación Cope, de
Madrid.
De Argentina: grupos de peregrinos.
Do Brasil: The Brazilian
Tropical Violins, do Rio de
Janeiro.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
giovedì 19 gennaio 2017
All’udienza generale Papa Francesco parla del profeta Giona
La preghiera dei pagani
«Quando le cose diventano buie,
occorre più preghiera! E ci sarà più
speranza». È la lezione tratta dalla
rilettura della vicenda del profeta
Giona offerta da Papa Francesco
all’udienza generale di mercoledì 18
gennaio, nell’aula Paolo VI.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno.
Nella Sacra Scrittura, tra i profeti di
Israele, spicca una figura un po’
anomala, un profeta che tenta di sottrarsi alla chiamata del Signore rifiutando di mettersi al servizio del piano divino di salvezza. Si tratta del
profeta Giona, di cui si narra la storia in un piccolo libretto di soli
quattro capitoli, una sorta di parabola portatrice di un grande insegnamento, quello della misericordia di
Dio che perdona.
Giona è un profeta “in uscita” ed
anche un profeta in fuga! È un profeta in uscita che Dio invia “in periferia”, a Ninive, per convertire gli
abitanti di quella grande città. Ma
Ninive, per un israelita come Giona,
rappresentava una realtà minacciosa,
il nemico che metteva in pericolo la
stessa Gerusalemme, e dunque da
distruggere, non certo da salvare.
Perciò, quando Dio manda Giona a
predicare in quella città, il profeta,
che conosce la bontà del Signore e il
suo desiderio di perdonare, cerca di
sottrarsi al suo compito e fugge.
Durante la sua fuga, il profeta entra in contatto con dei pagani, i marinai della nave su cui si era imbarcato per allontanarsi da Dio e dalla
sua missione. E fugge lontano, perché Ninive era nella zona dell’Iraq e
lui fugge in Spagna, fugge sul serio.
Ed è proprio il comportamento di
questi uomini pagani, come poi sarà
quello degli abitanti di Ninive, che
ci permette oggi di riflettere un poco sulla speranza che, davanti al pericolo e alla morte, si esprime in preghiera.
Infatti, durante la traversata in
mare, scoppia una tremenda tempesta, e Giona scende nella stiva della
nave e si abbandona al sonno. I marinai invece, vedendosi perduti, «invocarono ciascuno il proprio dio»:
erano pagani (Gn 1, 5). Il capitano
della nave sveglia Giona dicendogli:
«Che cosa fai così addormentato?
Alzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio
si darà pensiero di noi e non periremo» (Gn 1, 6).
La reazione di questi “pagani” è la
giusta reazione davanti alla morte,
davanti al pericolo; perché è allora
che l’uomo fa completa esperienza
della propria fragilità e del proprio
bisogno di salvezza. L’istintivo orrore del morire svela la necessità di
sperare nel Dio della vita. «Forse Dio
si darà pensiero di noi e non periremo»: sono le parole della speranza
che diventa preghiera, quella supplica
colma di angoscia che sale alle labbra dell’uomo davanti a un imminente pericolo di morte.
Troppo facilmente noi disdegniamo il rivolgerci a Dio nel bisogno
come se fosse solo una preghiera interessata, e perciò imperfetta. Ma
Dio conosce la nostra debolezza, sa
che ci ricordiamo di Lui per chiedere aiuto, e con il sorriso indulgente
di un padre, Dio risponde benevolmente.
Quando Giona, riconoscendo le
proprie responsabilità, si fa gettare
in mare per salvare i suoi compagni
di viaggio, la tempesta si placa. La
morte incombente ha portato quegli
uomini pagani alla preghiera, ha fatto sì che il profeta, nonostante tutto,
vivesse la propria vocazione al servizio degli altri accettando di sacrificarsi per loro, e ora conduce i sopravvissuti al riconoscimento del vero Signore e alla lode. I marinai, che
avevano pregato in preda alla paura
rivolgendosi ai loro dèi, ora, con sincero timore del Signore, riconoscono
il vero Dio e offrono sacrifici e sciolgono voti. La speranza, che li aveva
indotti a pregare per non morire, si
rivela ancora più potente e opera
una realtà che va anche al di là di
quanto essi speravano: non solo non
periscono nella tempesta, ma si
aprono al riconoscimento del vero e
unico Signore del cielo e della terra.
Successivamente, anche gli abitanti di Ninive, davanti alla prospettiva
di essere distrutti, pregheranno, spinti
dalla speranza nel perdono di Dio. Faranno penitenza, invocheranno il Signore e si convertiranno a Lui, a cominciare dal re, che, come il capitano della nave, dà voce alla speranza
dicendo: «Chi sa che Dio non cambi, [...] e noi non abbiamo a perire!»
(Gn 3, 9). Anche per loro, come per
l’equipaggio nella tempesta, aver af-
frontato la morte ed esserne usciti
salvi li ha portati alla verità. Così,
sotto la misericordia divina, e ancor
più alla luce del mistero pasquale, la
morte può diventare, come è stato
per san Francesco d’Assisi, “nostra
sorella morte” e rappresentare, per
ogni uomo e per ciascuno di noi, la
sorprendente occasione di conoscere
la speranza e di incontrare il Signore. Che il Signore ci faccia capire
questo legame fra preghiera e speranza. La preghiera ti porta avanti
nella speranza e quando le cose diventano buie, occorre più preghiera!
E ci sarà più speranza. Grazie.
Nei saluti ai fedeli il Pontefice ricorda l’inizio della settimana ecumenica
«Comunione, riconciliazione e unità
sono possibili»: lo ha ribadito il
Pontefice salutando come di consueto
i gruppi di fedeli al termine
dell’udienza generale del 18 gennaio,
giorno in cui ha inizio la settimana
dedicata alla preghiera per l’unità
dei cristiani.
Saluto cordialmente i pellegrini di
lingua francese, in particolare i
giovani venuti dalla Francia e i
pellegrini della Nuova Caledonia.
Oggi inizia la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. La nostra speranza di unità si esprime
attraverso la nostra preghiera, è
una speranza che non delude. Vi
invito a pregare per questa intenzione. Dio vi benedica.
Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza,
specialmente quelli provenienti da
Nuova Zelanda, Filippine, Canada
e Stati Uniti d’America. Su tutti
voi e sulle vostre famiglie invoco
la gioia e la pace del Signore nostro Gesù Cristo. Dio vi benedica!
Rivolgo un saluto ai pellegrini
di lingua tedesca. All’inizio della
Settimana di Preghiera per l’Unità
dei Cristiani, in particolare do un
cordiale benvenuto alla delegazione dell’Itinerario Europeo Ecumenico, guidata dalla Signora Preside Annette Kurschus. Cari fratelli
e sorelle, la vostra tappa a Roma è
un importante segno ecumenico,
che esprime la comunione raggiunta tra noi attraverso il cammino di dialogo nei decenni scorsi.
Il Vangelo di Cristo è al centro
della nostra vita e unisce persone
che parlano lingue diverse, abitano in Paesi diversi e vivono la fede
in comunità diverse.
Ricordo con commozione la
preghiera ecumenica a Lund, in
Svezia, il 31 ottobre scorso. Nello
spirito di quella commemorazione
comune della Riforma, noi guardiamo più a ciò che ci unisce che
a ciò che ci divide, e continuiamo
il cammino insieme per approfondire la nostra comunione e darle
una forma sempre più visibile.
In Europa questa comune fede
in Cristo è come un filo verde di
speranza: apparteniamo gli uni
agli altri. Comunione, riconciliazione e unità sono possibili. Come
cristiani, abbiamo la responsabilità
di questo messaggio e dobbiamo
testimoniarlo con la nostra vita.
Dio benedica questa volontà di
unione e custodisca tutte le persone che camminano sulla strada
dell’unità.
Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en par-
Unità possibile
ticular a los grupos provenientes
de España y Latinoamérica. En la
oración, nuestra esperanza no se
ve defraudada. En esta Semana de
oración que hoy iniciamos pidamos insistentemente al Padre por
la unidad de todos los cristianos.
Que Dios los bendiga.
Con sentimenti di grata stima vi
saluto, carissimi pellegrini di lingua portoghese, in particolare voi,
giovani del gruppo «The Brazilian
Tropical Violins», ricordando a tutti
che oggi inizia l’Ottavario di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, un
motivo in più di appello alla nostra comunione di preghiere e di
speranze. Il movimento ecumenico
va fruttificando, con la grazia di
Dio. Il Padre celeste continui a riversare le sue benedizioni sulle orme di tutti i suoi figli. Sorelle e
fratelli carissimi, servite la causa
dell’unità e della pace!
Rivolgo un cordiale benvenuto
ai pellegrini di lingua araba, in
particolare a quelli provenienti dal
Medio Oriente! Cari fratelli e sorelle, la preghiera è la chiave che
apre il cuore misericordioso di
Dio. È la più grande forza della
Chiesa, che non dobbiamo mai lasciare. Siate “perseveranti e concordi nella preghiera” come la
Madonna e gli Apostoli! Il Signore vi benedica!
Saluto cordialmente i pellegrini
polacchi. Fratelli e sorelle, oggi
inizia la Settimana di Preghiera
per l’Unità dei Cristiani, il cui
motto è per noi una sfida: L’amore
di Cristo ci spinge verso la riconciliazione. Preghiamo il Signore affinché tutte le Comunità cristiane,
conoscendo meglio la propria storia, teologia e diritto si aprano
sempre di più alla riconciliazione.
Ci pervada lo Spirito di benevolenza e comprensione, come anche
la voglia di collaborare. A Voi qui
presenti e a coloro che si uniscono
attraverso la preghiera, imparto di
cuore la Benedizione.
Saluto i pellegrini croati! Con
particolare gioia sono lieto di accogliere i bambini e i giovani della
Bosnia ed Erzegovina, insieme con
le famiglie ospitanti della Sicilia.
Cari ragazzi, trascorrendo il tempo
insieme come fratelli e sorelle nelle
famiglie che vi ospitano, avete
l’opportunità di crescere in un clima di speranza. Solo così, voi giovani cattolici, ortodossi e musulmani, potrete salvare la speranza
per vivere in un mondo più fraterno, giusto e pacifico, più sincero e
più a misura d’uomo. Rimanete
sempre saldi nella fede e pregate
per la pace e l’unità del vostro
Paese e del mondo intero. Ringrazio di cuore le famiglie ospitanti
per l’esempio di amore e di solidarietà cristiana: gli orfani vanno
sempre difesi, protetti e accolti
con amore. Vi assicuro la mia spirituale vicinanza e imparto a tutti
voi la Benedizione Apostolica.
Rivolgo un cordiale benvenuto
ai pellegrini di lingua italiana. Saluto il pellegrinaggio delle Suore
Agostiniane Serve di Gesù e di
Maria, i Religiosi Agostiniani e
l’Associazione Notai Cattolici, accompagnata dall’Arcivescovo di
Assisi, Mons. Domenico Sorrentino. A tutti formulo l’auspicio che
la visita alla Città Eterna stimoli
ciascuno ad approfondire la Parola
di Dio per poter riconoscere in
Gesù il Salvatore.
Saluto infine i giovani, i malati
e gli sposi novelli. Oggi inizia la
Settimana di preghiera per l’unità
dei cristiani, che quest’anno ci fa
riflettere sull’amore di Cristo che
spinge alla riconciliazione. Cari
giovani, pregate affinché tutti i cristiani tornino ad essere un’unica
famiglia; cari ammalati, offrite le
vostre sofferenze per la causa
dell’unità della Chiesa; e voi, cari
sposi novelli, fate esperienza
dell’amore gratuito come è quello
di Dio per l’umanità.
Michelangelo, «Il profeta Giona» (1512, Cappella Sistina)
In aiuto delle vittime
della tratta
Una residenza in stile casa-famiglia
ospiterà dal prossimo aprile a Baton
Rouge, in Louisiana, ragazze minori
vittime della tratta di esseri umani. Il
progetto “Metanoia manor” è stato
presentato a Papa Francesco durante
l’udienza generale, svoltasi nell’aula
Paolo VI alla presenza di circa seimila
fedeli. Se ne occuperanno la
parrocchia di Zachary e quattro suore
Ospedaliere della misericordia:
Norma, Alexandrine, Ann Maria e
Ruth. Le religiose si prenderanno
cura delle adolescenti in modo da
offrire loro un luogo sicuro dove
superare i traumi subiti e ritrovare la
speranza. Ad affiancarle una équipe
di professionisti, formata da medici,
infermieri, assistenti sociali, educatori
e volontari che presteranno servizio
nella struttura, il cui nome
“Metanoia” richiama il cambiamento
di vita, di mentalità, di cuore.
L’opera vuole essere un segno
tangibile di misericordia in ricordo
dell’anno giubilare appena concluso.
Il governatore della Louisiana, John
Bel Edwards, ha presentato al Papa il
progetto e ha chiesto la benedizione
di una targa che verrà collocata nella
struttura. Erano presenti anche padre
Jeff Bayhi e suor Paola Iacovone,
superiora generale delle Ospedaliere
della misericordia, con alcuni
volontari. Un’altra opera di carità
illustrata al Pontefice riguarda i
minorenni. Si tratta del progetto di
accoglienza dell’associazione Luciano
Lama, che da venticinque anni offre
una vacanza umanitaria ai bambini
vittime della guerra nelle zone della
ex-Jugoslavia che si trovano negli
orfanotrofi della Bosnia ed
Erzegovina. I ragazzi vengono
ospitati per un mese, due volte
all’anno. Infine, tra gli altri gruppi
presenti all’udienza, da segnalare i
350 membri dell’Associazione italiana
notai cattolici, che ha sede
nell’Istituto serafico di Assisi. Ad
accompagnarli l’arcivescovo-vescovo
di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo
Tadino, monsignor Domenico
Sorrentino, con il presidente del
sodalizio Dante Cogliandro.
Due camper per bambini e anziani di periferia
Ha il nome di un fiore, il “nontiscordardime”, l’iniziativa promossa da Vicariato di
Roma, ospedale pediatrico Bambino Gesù e
Cooperativa operatori sanitari associati (Osa)
in collaborazione con l’Università cattolica
del Sacro Cuore. Si tratta di due unità mobi-
li che si occupano di portare informazione,
prevenzione e cura ai bambini e agli anziani
nelle periferie romane. Papa Francesco le ha
benedette — alla presenza dell’arcivescovo
Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di
Stato — prima dell’udienza generale di mercoledì 18, nel cortile alle
spalle dell’aula Paolo VI.
L’unità mobile per gli
anziani entrerà in servizio
effettivo il 28 gennaio, nella parrocchia di San Filippo Neri alla Pineta Sacchetti, ed è stata donata
dal Papa grazie ai fondi
dell’obolo di San Pietro.
L’altra unità, alla quale il
Pontefice ha in parte contribuito, è già in servizio
dall’anno scorso e ha assistito fino a oggi 983 bambini. Come spiega la dottoressa Rosaria Giampaolo,
responsabile del dipartimento pediatrico dell’ospedale Bambino Gesù, il
camper ha già visitato circa
diecimila ragazzi delle parrocchie romane
delle zone della Tiburtina, Borghesiana, Casilina e Castel Romano. In particolare nelle
parrocchie di Santa Maria della Fiducia e
Santa Maria dell’Ospitalità, i medici del nosocomio pediatrico e gli infermieri della cooperativa Osa hanno prestato un servizio di
prevenzione capillare, individuando cento
adolescenti bisognosi di ulteriori esami diagnostici in ospedale. Alcuni di loro sono stati ricoverati e salvati proprio grazie al pronto
intervento.
Il progetto è stato reso possibile attraverso
il sostegno della Banca di credito cooperativo di Roma e del Fondo sviluppo Confcooperative. Esso trova ispirazione proprio dalle
parole pronunciate da Papa Francesco in occasione dell’udienza del 28 febbraio scorso
alle Confcooperative: «Come sarebbe bello
se, partendo da Roma, tra le cooperative, le
parrocchie e gli ospedali, penso al Bambino
Gesù, potesse nascere una rete efficace di assistenza e di solidarietà». Si tratta quindi, ha
spiegato don Andrea Manto, direttore del
centro per la pastorale sanitaria e familiare
del Vicariato di Roma, di due iniziative nate
come espressione concreta delle opere di mi-
sericordia raccomandate durante il giubileo
conclusosi lo scorso novembre.
L’unità mobile destinata ai bambini svolge
ogni settimana attività di presidio sanitario
territoriale e di assistenza medica primaria
per tutti i minori. Ma non solo: gli operatori
aiutano anche le loro famiglie in difficoltà,
soprattutto quelle che non hanno assistenza
sanitaria o hanno perso il lavoro. Il camper
per gli anziani è la naturale prosecuzione dei
centri di ascolto socio-sanitari già operanti in
alcune parrocchie della periferia romana, dove psicologi, assistenti sociali e volontari parrocchiani e della cooperativa Osa prestano
servizio. Entro l’anno l’unità mobile girerà
per venti parrocchie, promuovendo dodici
campagne di medicina preventiva a tema. Se
ne occuperanno medici, infermieri della cooperativa e specializzandi dell’Università cattolica del Sacro Cuore.
Alla benedizione dei camper erano presenti Giuseppe Milanese, presidente della cooperativa Osa e di FederazioneSanità Confcooperative, Maurizio Gardini, presidente di
Fondosviluppo, ed Eugenio Saputo, vicesindaco di San Felice al Circeo.