INTERVENTO mons. Silvano M. Tomasi

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INTERVENTO mons. Silvano M. Tomasi
Intervento di Mons. S.M. Tomasi 18 giugno 2016
Fatti di Carità: Mons. Tomasi e Papa Francesco
Anzitutto vorrei dire grazie a voi perché senza la vostra presenza e partecipazione tante di queste
attività, che le nostre associazioni promuovono, non andrebbero in porto.
Papa Francesco nella “Laudato sì”, l’ultima enciclica che ha scritto ha sottolineato un punto molto
importante e cioè che oggi i problemi, le soluzioni dei problemi e le situazioni in cui viviamo sono
tutte interconnesse e interdipendenti. Mi pare che questa sia un’affermazione molto importante
perché questa coscienza che siamo tutti in relazione tra di noi, (per quanto alle volte non ne siamo
coscienti) è alla base del desiderio ma anche del dovere e della necessità di lavorare assieme, di
costruire assieme. Viviamo in un momento politico di grande incertezza nel mondo perché c’è
violenza dappertutto, ci sono tanti egoismi che dominano e che vengono legittimati: la
conseguenza è una grande incertezza di valori. Non abbiamo dei punti precisi dentro di noi come
persone, dentro di noi come comunità, che ci guidino verso obiettivi chiari. In questo senso di
indifferenza, quasi di menefreghismo “quando ho preso cura di me stesso ho preso cura di tutti”,
questo soggettivismo molto devastante è alla radice, è la forza che cerca di ammazzare la
speranza.
Ma noi, come cristiani, portiamo un senso di speranza ed è questo uno degli argomenti su cui
papa Francesco insiste continuamente e per cui ha indetto il Giubileo della Misericordia, perché
attraverso la comprensione, il perdono, l’aiuto reciproco, l’amore verso gli altri riusciamo a
mantenere viva la speranza per cambiare il mondo e fermentare di nuovo la società.
Noi cristiani siamo chiamati a diventare lievito che cambia, che trasforma e che fa della cultura
pubblica di nuovo una cultura orientata al bene comune e a costruire qualcosa di positivo invece di
diventare l’espressione di un atomismo generale che fa di ognuno di noi un piccolo mondo chiuso
in se stesso. Quindi la nostra fede diventa la forza che trasforma. Questa capacità di
trasformazione caccia via la paura; i governi dell’Europa occidentale per esempio esprimono, non
tanto i governi ma i nuovi partiti esprimono la paura dell’altro, di quelli che arrivano. Arriva un
milione di persone su 150 milioni, non è un’invasione! Dobbiamo quindi avere la capacità di
riflettere e di far vivere la nostra fede come speranza che trasforma tutto quanto e caccia via la
paura.
In questa maniera si risolvono i conflitti, c’è la speranza di trovare una strada nuova. Mi pare che
siamo qui anche noi in questa sala perché vogliamo essere portatori di speranza, di speranza per
quelli che hanno più bisogno di noi; ma cominciando dalla speranza che diventa una forza creativa
nelle nostro famiglie, nel nostro contesto cittadino, nel lavoro di ogni giorno. Quindi io vedo da vari
punti di vista, ho fatto tante tappe nella mia vita, dal nostro piccolo grande Veneto a New York, da
New York all’Africa, dall’Africa a Ginevra alle Nazioni Unite, adesso a Roma come servizio alla
Santa Sede, mi pare che abbiamo da mantenere viva a e veramente appoggiarci con grande
fiducia a questo senso di speranza che poi viene dal fatto che abbiamo incontrato una persona che
si chiama Gesù che è capace di dare energie al nostro piccolo io, al nostro piccolo mondo e da lì
farci aprire il cuore ai bisogni anche degli altri. Quindi ritorniamo un po’ al punto iniziale da cui sono
partito: con papa Francesco occorre dire che questa interdipendenza, che la globalizzazione rende
più evidente e che esiste di fatto e determina e condiziona tanta parte del nostro lavoro, questa
interdipendenza veramente non possiamo negarla e non possiamo sottrarci ad essa, ma dobbiamo
utilizzare questa nostra capacità di relazionarci con tutti per essere davvero una forza che
trasforma la società e che risponde alle necessità dei più bisognosi perché in questa maniera
facciamo questo nostro piccolo mondo un po’ più bello.