Attenti all`atomo, siamo tutti radioattivi
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Attenti all`atomo, siamo tutti radioattivi
Copia di 6e228950c1f1108dca69cfaeccee831a Pianeta scienza MARTEDÌ 13 MAGGIO 2014 IL PICCOLO Un team di fisici della Sissa e del Politecnico di Torino ha sviluppato e analizzato un modello che simula l’effetto della migrazione sulla biodiversità genetica delle popolazioni e ha scoperto che questo effetto è tutt’altro che banale. Cosa succede quando i fisici giocano (usando strumenti matematici) con la genetica delle popolazioni? Possono scoprire legami inaspettati fra migrazione e biodiversità, per esempio, proprio come ha fatto un gruppo di ricercatori in uno studio pubblicato sulla rivista Physical Review Letters. L’effetto dei flussi migratori sulla biodiversità (intesa come coesistenza di diversi tratti genetici) è una questione aperta: la migrazione aumenta o diminuisce la variabilità genetica delle popolazioni? O il legame è più complesso? L’effetto delle migrazioni sulle biodiversità Immaginiamo una popolazione che viva suddivisa in varie “isole”, separate da bracci di mare. Su ciascuna isola vivono due gruppi, A e B, diversi per un tratto genetico, per esempio gli individui A hanno i capelli biondi, i B li hanno bruni. Se non c’è migrazione fra le isole la biodiversità in ciascuna può variare solo in base a dinamiche “stocastiche” (cioè con una componente casuale), legate all’avvicendarsi delle generazioni. Se però all’interno dell’arcipelago è garantita una certa mobilità, cioè alcuni individui viaggiano e migrano, allora la biodiversità esce dall’”isolamento “ e subisce l’influenza di questo fe- nomeno migratorio. I ricercatori hanno riprodotto questa situazione in un modello matematico e hanno monitorato l’andamento della biodiversità al variare del tasso di migrazione, sfruttando certe analogie con fenomeni fisici di natura completamente diversa. «Siamo partiti da semplici calcoli con ‘carta e penna’ che tenevano conto delle ‘regole’ note nella genetica delle popolazioni. Procedendo con il lavoro però la complessità del modello ci ha spinti a ricorrere a una simulazione al calcolatore del sistema» spiega Pierangelo Lombardo, primo autore della ricerca. «Ci aspettavamo un ri- sultato diverso da quello ottenuto. Anche guardando i dati riportati in lavori precedenti, l’idea più diffusa è che più cresce il tasso di migrazione, più la biodiversità diminuisce». «Il nostro modello invece ha dato un risultato molto diverso», puntualizza Lombardo. «La funzione che lega le due variabili è una curva, dove al crescere della migrazione la biodiversità raggiunge un minimo per poi ricominciare a crescere». «Questo vuol dire che se vogliamo aumentare la biodiversità della popolazione, nelle condizioni descritte sopra, allora potremmo aumentare i tassi di migrazione oltre al valore che fa raggiungere il minimo alla biodiversità» spiega Andrea Gambassi, il professore che ha coordinato lo studio. «Il nostro è naturalmente un modello semplificato, ma tiene conto dei meccanismi essenziali alla base della genetica delle migrazioni». «Questa nostra osservazione può essere utile per guidare la ricerca sul campo», conclude Gambassi. «Il nostro modello infatti può guidare la progettazione di esperimenti per monitorare la relazione fra migrazione e biodiversità e se le osservazioni sperimentali confermassero il nostro modello, questo potrebbe venire ulteriormente raffinato e utilizzato per fare previsioni e quindi controllare il comportamento di semplici popolazioni, per esempio le colonie batteriche». Attenti all’atomo, siamo tutti radioattivi Nel suo ultimo libro Claudio Tuniz del Centro di fisica racconta la storia dell’energia nucleare di Pietro Spirito La radioattività è ovunque. Viviamo immersi in un mondo radioattivo, e le riserve di energia che si nascondono nel nucleo dell’atomo posso distruggere l’umanità o possono salvarla, possono provocare malattie o le possono guarire, possono migliorare il progresso industriale e la sicurezza alimentare o possono creare mostri. Tutto dipende dall’uso che se ne fa. Ce lo ricorda Claudio Tuniz nel libro “L’atomo inquieto Breve storia della radioattività e delle sue applicazioni” (Carocci Editore, pagg. 165, euro 12,00) testo a metà fra racconto e manuale di storia della scienza, con qualche salutare osservazione da pamphlet. Tuniz, scienziato del Centro Internazionale di Fisica Teorica “Abdus Salam” di Trieste, nella radioattività e nelle scienze nucleari ci sguazza sin dagli inizi della sua carriera scientifica. E siccome, come tutti i bravi scienziati, non fini- Modello molecolare in un’immagine dell’Archivio Corbis sce di stupirsi di fronte alle meraviglie dell’universo e della nostra Terra, riesce a stupire anche il lettore in questo viaggio a tutto campo intorno all’atomo. Dove scopriamo che, ad esempio, da quando Madame Curie si intossicò per portare a conoscenza dell’umanità le sue scoperte (oggi anche i suoi appunti conservati alla Biblio- teca Nazionale francese sono ancora altamente e pericolosamente radioattivi), sono stati fatti passi da gigante per meglio comprendere e addomesticare l’atomo. Anche se, a volte, bisogna ringraziare persino gli antichi romani: nei rilevatori posizionati dentro il Gran Sasso per intercettare il “doppio decadimento beta” si utilizzano 120 lingotti di piombo recuperati da un relitto di epoca romana, e questo perché quel piombo, dopo duemila anni passati in fondo al mare, è più “puro” e «non ha quella leggera radioattività che caratterizza il piombo appena estratto». Oppure si scopre che gli effetti dell’incidente di Chernobyl del 1986, «il più grave nella storia della produzione di energia nucleare», fa ancora sentire i suoi effetti anche nel Nord Italia: «Nel marzo 2013 scrive Tuniz - sono stati rinvenuti in Piemonte numerosi cinghiali nei cui organi erano presenti tracce di cesio-137 di circa 6.000 Bq/Kg, dieci volte superiori alla soglia attualmente indicata come limite tollerabile». E se negli anni Trenta la radioattività andava così di moda che si vendevano cosmetici al radio e persino giocattoli come la scatola Atomic Energy Lab «completa di sorgenti alfa, beta e gamma», oggi le applicazioni nella medicina e in altri settori della scienza stanno dando slancio alla ricerca. Per esempio nello stabilire l’orologio dell’evoluzione umana: chi siamo stati, da dove veniamo, come siamo cambiati e in quanto tempo. Grazie all’atomo possiamo guardare con maggiore chiarezza nelle finestre del tempo profondo, dove già possiamo vedere uno spicchio di futuro: al momento - ricorda Tuniz l’unico antagonista di Homo sapiens è egli stesso, e siccome è anche l’unico in grado di manipolare l’atomo, «resta da sperare che sappia amministrare con saggezza questa conoscenza». p_spirito ©RIPRODUZIONE RISERVATA Trecento inventori anche da Olanda e Germania Sabato all’Ictp di Miramare si terrà “Mini maker faire”, che arriva per la prima volta in Italia Un garage grande come tutto il Nord Est Italia, con incursioni dalla Slovenia, Croazia, Olanda e dalla Germania: se è vero – Steve Jobs insegna – che le migliori invenzioni partono dal garage di casa, allora quello che stanno allestendo in questi giorni a Trieste, al Centro Internazionale di Fisica Teorica “Abdus Salam”, è un condensato dei migliori garage italiani e ed esteri. È tutto pronto, all’Ictp di Trieste, per la prima italiana dei “maker”, gli inventori. Quelli che si arrovellano per inventare, costruire, automatizzare, robotizzare. Per la prima volta in Italia, in occasione del cin- quantenario del Centro di Fisica Teorica, potranno esporre i loro progetti, le idee e le loro tecnologie in una sorta di fiera dell’ingegno, un format tanto popolare negli Stati Uniti, che quest’anno ha raggiunto anche l’Italia. “Mini maker faire”, la piccola fiera degli inventori, si svolge a Trieste sabato dalle 10 alle 18 all’Ictp di Miramare, in collaborazione con l’Immaginario Scientifico: ingresso gratuito per vedere il prodotto dell’ingegno di 299 makers in 106 stand su una superficie espositiva di 5mila metri quadrati, alcuni nati in centri di ricerca, altri nei garage sotto ca- sa, altri ancora frutto di applicazioni tecnologiche, legate ad esempio al sempre più semplice utilizzo delle stampanti 3D. Per saperne di più e prepararsi all’evento c’è una pagina Facebook (www.facebook. com/triesteminimakerfaire), un sito web (www.makerfairetrieste.it), un account Twitter (@makertrieste) e una serie di video. Insomma, i ragazzi del “Dissemination science” del Centro di Fisica Teorica e l'Immaginario Scientifico hanno fatto le cose in grande, e la risposta non è mancata, tanto che l’installazione dei prototipi e delle invenzioni è già in Galileo. Koch. Jenner. Pasteur. Marconi. Fleming... Precursori dell’odierna schiera di ricercatori che con impegno strenuo e generoso (e spesso oscuro) profondono ogni giorno scienza, intelletto e fatica imprimendo svolte decisive al vivere civile. Incoraggiare la ricerca significa optare in concreto per il progresso del benessere sociale. La Fondazione lo crede da sempre. corso all’Ictp, con una settimana di anticipo. È già tutto esaurito, inoltre, per le attività didattiche riservate alle scuole, che sono comunque invitate a visitare liberamente gli stand e assistere agli incontri e alle conferenze. Ma cosa si potrà vedere alla Maker Faire? Tanti robot, perché l’automazione resta uno dei settori applicativi nei quali gli inventori si cimentano con grande entusiasmo, progetti di stampa in 3D, con una mostra di stampe tridimensionali, strumenti per aiutare in cucina, ma anche cose che non ci si aspetta, come abiti realizzati con materiali da riciclo, ma an- che un cinema costruito in una automobile. Ancora, corsi di guida su biciclette elettriche (le più piccole del mondo) e numerose attività per ragazzi, le marmellate prodotte da George, l’Application 51 presente alla fiera, ovvero una slow cooker progettato in garage, che cucina per ore e ore senza bisogno di supervisione. Tra i temi della fiera, quello degli “artigiani digitali”, ovvero la riscoperta degli antichi mestieri, delle cose fatte a mano, ma riviste grazie all’aiuto della tecnologia e della digitalizzazione. In tempi di start up, occasioni per riflettere e ispirarsi cercando nuovi mercati. QUESTA PAGINA È REALIZZATA IN COLLABORAZIONE CON 27 AL MICROSCOPIO Biologia sintetica in equilibrio fra iperboli e realtà di MAURO GIACCA È stata data molta enfasi la scorsa settimana sui media nazionali a un articolo, pubblicato dalla rivista Nature, che mostra come sia possibile generare un organismo il cui Dna, oltre ai propri 4 costituenti naturali (i nucleotidi A, G, C e T) includa anche 2 nucleotidi artificiali, ampliando quindi le possibilità del codice genetico. L’articolo, firmato da un gruppo di ricercatori della Scripps Clinic di San Diego, è stato ripreso in maniera roboante sulla stampa (“L’uomo fa il primo passo per costruire la vita”, Corriere, in prima pagina; “La vita artificiale è più vicina”, La Stampa) e commentato in maniera spesso veemente (ad esempio, “Prospettiva sconvolgente. Così si gioca con l’esistenza”, Corriere). In realtà il lavoro eseguito non è per il momento molto di più che una prova concettuale di principio, senza grandi prospettive immediate di applicazione pratica. La ricerca si inserisce nel filone della cosiddetta “biologia sintetica”, che cerca di generare nuovi sistemi biologici in maniera razionale. Dal momento che le funzioni naturali delle cellule hanno delle strutture modulari, l’idea è che, mettendo insieme moduli di provenienza diversa, si possano ottenere nuove applicazioni. Alcuni ingegneri sintetici disegnano circuiti genetici per costruire microbi che emettono luce in maniera sincrona o producano a comando sostanze che detossificano l’ambiente, altri mettono insieme pezzetti di Dna, sintetizzato per via chimica in laboratorio, per costruire interi genomi che portino geni di possibile interesse, altri ancora fabbricano cromosomi artificiali e li immettono nelle cellule del lievito. La realtà è però che la biologia sintetica è nata soltanto una quindicina di anni fa, e non è per nulla chiaro dove possa arrivare. La costruzione sintetica più vicina all’applicazione è attualmente quella per produrre in maniera semplificata nelle cellule di lievito l’artemisina, un farmaco antimalarico che ora viene estratto dalle piante di artemisia. Ma la maggior parte delle altre applicazioni, anche se culturalmente interessanti, sembrano ancora abbastanza lontane dall’applicazione, specialmente in medicina. Enfatizzare i progressi di questa disciplina in maniera spropositata non soltanto è inappropriato, ma è anche dannoso perché rischia di fomentare paure ingiustificate (già gruppi di ambientalisti stanno osteggiando questi esperimenti, paventando futuristici danni per la salute e l’ambiente). La viscerale opposizione popolare scatenata una ventina di anni fa da un inopportuno marketing a favore dell’uso degli Ogm dovrebbe invece insegnare, sia ai biologi sentitici che ai comunicatori, prudenza e umiltà.