il rapporto tra adulti e ragazzi

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il rapporto tra adulti e ragazzi
IL RAPPORTO TRA ADULTI E RAGAZZI
NELLA PROSPETTIVA DELL’EDUCAZIONE
Introduzione del dott. Davide Guarneri
Intervenendo in questo lavoro di approfondimento posto all’interno del vostro convegno
ecclesiale, che a sua volta prende le mosse dalle linee pastorali diocesane, nel porgervi il saluto
da parte dell’Associazione Italiana Genitori (A.Ge.), che presiedo, e dell’Associazione
bresciana “Comunità e scuola”, della quale sono il coordinatore, ringrazio dell’invito e, poiché
le mie sollecitazioni al dibattito hanno come sfondo il rapporto fra le generazioni, lascio che
inizialmente le parole del vostro Vescovo ci sollecitino: “invito ad entrare in sintonia con le
persone che vivono la gioia o la conflittualità della vita familiare e con i giovani che
sperimentano il loro oggi prendendo sempre più distanza dalle generazioni che li precedono e,
proprio per questo, domandano una compagnia più adulta e più carica di novità e speranza”1.
E, poco oltre “Chiedo alle comunità di assumere con creatività il compito educativo nel
contesto più ampio del rapporto fra generazioni. È necessario imparare a proporre il cammino
di fede nel concreto della vita dei giovani (scuola, musica, sport, tempo libero…)2
Sull’educazione, sui tempi passati, e sulle difficoltà dei nostri, sono già corposi i due libri delle
lamentazioni e delle buone intenzioni: auspico che il nostro dialogare questa sera sia libero dai
luoghi comuni, dall’eccesso di analisi e di ricerca di colpevoli, da semplificazioni: il Santo
Padre Benedetto XVI, nella sua lettera alla diocesi e alla città di Roma sul compito urgente
dell’educazione3 ci ricorda che verrebbe “spontaneo incolpare le nuove generazioni, come se i
bambini che nascono oggi fossero diversi da quelli che nascevano nel passato”, proseguendo,
un poco più avanti, affermando che “la libertà dell’uomo è sempre nuova, e quindi ciascuna
persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, in proprio, le sue decisioni”.
Poiché per dialogare insieme è importante conoscersi, qualche presentazione. Io sono papà di
Lucilla, Gabriele, Nicola e Irene, sposato con Michela, che è qui con me stasera. Sono, a
Brescia, coordinatore dell’associazione “Comunità e scuola”, realtà che dal 1978 unisce
associazioni di insegnanti, genitori e studenti, collabora con il Vescovo, interloquisce con le
istituzioni, realizzando una sorta di centro studi sulla scuola ( www.comunitaescuola.it )
Sono, inoltre, presidente nazionale dell’Associazione Italiana Genitori (A.Ge.), che vi propongo
non tanto per la sua organizzazione o le sue azioni, quanto per le ragioni e le riflessioni che la
sostanziano, che ritengo possano essere un contributo al nostro pensare questa sera.
L’A.Ge. ( www.age.it) compie quarant’anni: secondo alcune carte che abbiamo ritrovato il
primo atto pubblico sarebbe datato 14 febbraio 1968. Si comprende facilmente il contesto
sociale e culturale che vide i primi passi dell’associazione.
Allora come oggi, l’identità dell’A.Ge. (così ben definita nello Statuto, che all’articolo 4 la
dichiara rispettosa dei valori sanciti dalla Costituzione Italiana, dalle Dichiarazioni universali
dei Diritti dell’Uomo e del Fanciullo e dell’Etica cristiana) è contenuta nelle parole di Ennio
Rosini, il fondatore dell’associazione che, al termine dei suoi anni, disse: “L’AGe è stata una
grande équipe di lavoro, nella quale i genitori si sono dedicati a scoprire e conseguire ciò che
è bene per la crescita dei figli in armonia con il bene di tutta la comunità, con spirito di
collaborazione e di autentico dialogo, insieme a tutte le componenti dei processi educativi.”
ARCIDIOCESI DI LUCCA, Linee pastorali “Dalla contemplazione all’annuncio” - 2007-2008, n. 14
Ibid, 15
3
21 gennaio 2008
1
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L’associazione oggi è presente in ogni regione d’Italia, attiva, magari con piccoli gruppi locali,
in molte diocesi; la struttura dell’associazione è di tipo federativo, ed ogni associazione locale
aderisce all’associazione regionale e a quella nazionale.
Ci impegnamo ad essere cittadini che vogliono abitare, da genitori, le scuole, le comunità, i
servizi sociali, gli ospedali, i media: oltre che un diritto conclamato, la cittadinanza è un dovere,
una responsabilità. Poiché nell’essere genitori è implicito, in modo essenziale, categoriale, il
“prendersi cura” dei figli, del loro tempo, del loro spazio. Quindi il prendersi cura della città,
della scuola, dell’educazione.
Il contesto nel quale come genitori, insegnanti, educatori siamo ad operare ha in sé le
caratteristiche della complessità e della globalizzazione, per la quale ogni fenomeno ha risvolti
avvincenti e positivi, nel contempo carichi di preoccupazione, quasi a sfidare le nostre
intelligenze di educatori.
Come negare le molte conquiste nella scienza, nella tecnica, nella medicina, che ci hanno
condotto ad una vita migliore e più longeva? Eppure tali conquiste pongono nuove domande, di
carattere etico, legate al nascere e al morire, al rischio di tecnocrazie che condizionano
l’economia e la politica.
I mezzi di comunicazione ci consentono di essere istantaneamente e continuativamente
connessi al mondo intero. La tecnologia della comunicazione e dell’informazione offre
straordinarie opportunità per il rinnovamento dell’istruzione grazie alla sua capacità di
connettere le persone, di favorire l’accessibilità di aree molto lontane, i suoi costi decrescenti e
il potenziale volume che può veicolare. L’educazione si deve solo difendere di fronte a ciò,
oppure deve essere aperta a queste nuove possibilità e all’uso intelligente e mirato di questi
mezzi? Infatti, gli strumenti di informazione tecnologica da soli non producono
necessariamente istruzione né tantomeno educazione. Essi devono essere accompagnati da un
quadro concettuale che promuova il dialogo, la partecipazione attiva, l’organizzazione del
sapere e una consapevolezza circa l’importanza dei valori.
Al crescere degli strumenti, si moltiplicano le proposte di cultura, si innalza il livello medio
d’istruzione, si ampliano le possibilità di spostamento nel mondo. Molti dei nostri figli hanno
già vissuto qualche settimana in paesi stranieri, possiedono le lingue, utilizzano facilmente un
computer e la rete internet, sono più europei di noi.
Si sono spalancati orizzonti di libertà, nel mondo, dopo la caduta del Muro. Le nostre città sono
sempre più un crogiuolo di culture, di colori: è indicativo che nel 2007 il 9% dei bambini nati in
Italia avesse ambedue i genitori non italiani.
Nel contempo, viviamo il disorientamento e siamo consapevoli che sono da ridefinire
coordinate per il nostro viaggio.
Moltiplicandosi le parole, si moltiplicano le opinioni: e se tutte le opinioni sono ritenute vere,
nessuna lo è. Come è possibile porsi come educatori, se tutto è relativo? Se l’educazione è una
relazione intenzionale che mira all’autonomia e all’identità, ciò è più complesso quando gli
adulti stessi sperimentano appartenenze deboli, un’autonomia spesso proposta come anarchia,
identità incerte oppure, al contrario, contrappositive.
Come negare che la libertà, valore faticosamente acquisito, sia nella crescita personale che nella
storia sociale e politica anche del nostro Paese, dischiude grandi orizzonti, predispone al futuro?
Ma viviamo episodi in cui la libertà è negata, è di qualcuno e non di altri. Magari è di pochi a
scapito di molti.
Dai tempi difficili non si esce contrapponendo forza a forza, quantità a quantità: secondo
l’insegnamento della lettera di Pietro, secondo il magistero di Benedetto XVI, le ragioni della
nostra speranza vanno proposte con la forza del pensiero, con l’articolazione della proposta, con
la quotidiana fatica dell’educazione, della cultura, della progettualità. L’associazionismo è una
forma di impegno e testimonianza del laicato: essere associazione significa avere scelto di
abitare, persino di amare, la storia, la contemporaneità. Infatti questo mondo è già salvato,
anche se ancora soffre nelle doglie del parto. Qui è lo scarto, il già e non ancora, che spinge
all’azione, con speranza. Anzi, l’azione può davvero essere “luogo di apprendimento della
speranza”4.
Il contesto va dunque interpretato, e in esso sono da cogliere le domande che orientano le
linee dell’agire.
Un luogo centrale nell'educazione dei giovani è la scuola, o meglio, il sistema
d’istruzione e formazione, un luogo, come gli altri ambiti di vita, innervato nella complessità: la
vivono gli insegnanti (alla ricerca di identità, poiché l’opera di trasmissione delle conoscenze e
della cultura non è più una richiesta prioritaria), la vivono gli allievi (frastornati dalle mille
proposte e anche dalle lusinghe di una società che li vuole già adulti), la vivono i genitori
(appartenenti a famiglie assai differenziate: stabili, di fatto, di seconda composizione…).
Lo scenario educativo è inoltre caratterizzato, oggi, da molteplici agenzie formative (famiglia,
scuola, sport, oratorio, tempo libero, biblioteche, corsi) e il 60% delle competenze dei ragazzi
proviene dall’esterno della scuola: dunque, una direzione da seguire è il lavoro di comunità, la
realizzazione di un contesto educativo, che comprenda la scuola e la coinvolga in una rete
più ampia.
La famiglia è luogo di continuità: accompagna il bambino dalla nascita in tutti gli ambienti che
attraversa. È il porto in cui ogni giorno si ritorna. È collegamento fra i mondi che vivono
intorno ai ragazzi (pensiamo ai genitori che si rapportano con la scuola, con le amministrazioni
comunali, o le parrocchie).
In questa logica reticolare (una rete che non costringe, ma accoglie, previene, orienta) sono
interessanti tutte le esperienze di progettazione partecipata, di tavoli e forum sociali ed
educativi, di dialogo tra le generazioni, di integrazione del volontariato e del privato sociale nel
servizio pubblico, di lavoro per la qualità della vita dei bambini in ogni luogo di vita (gli
ospedali, lo sport, l’ambiente naturale, la salute nel suo insieme, o altro ancora). Nello specifico
della scuola estremamente interessanti sono i Patti di corresponsabilità educativa tra scuola e
genitori, previsti dal modificato Statuto delle Studentesse e degli Studenti 5, da non ridurre ad
una presa d’atto delle norme in vigore nella scuola o delle sanzioni pecuniarie a carico dei
genitori per atti di vandalismo dei figli.
Giungendo sempre più vicino al tema di questa serata, il rapporto fra le generazioni, ecco
alcune considerazioni per il nostro dialogo
- Partiamo dalla connessione semantica fra generare/genitori = dare la vita.
Generazione indica un legame di ascendenza e di discendenza, ed è assai diverso e di più
che “riprodurre”. E’ dare la vita, portare alla luce una persona. Da ciò due compiti per i
genitori: il compito della CURA ed il compito di MANTENERE VIVA
RINNOVANDOLA LA MEMORIA FAMILIARE, la duplice eredità del ramo paterno e
materno.
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“Come stanno” oggi queste due generazioni? Qualcuno parla di “genitori bambini,
padri di figli già adulti”. Qualcuno evoca il “bambino sovrano”, seduto su un fragile
trono d’argilla, bambino idolo della famiglia emozionale-affettiva. La strategia familiare
è caratterizzata dallo stare il più possibile “al di qua” (cfr. E. Scabini, CISF): al di qua
cfr. BENEDETTO XVI, Lettera enciclica Spe salvi, 2007 p. 66 dell’edizione Libreria Editrice Vaticana
D.P.R. 21 novembre 2007, n. 235 pubblicato in Gazzetta Ufficiale 18 dicembre 2007, n. 293.
delle difficoltà che si incontrano fuori. Fuori c’è una società di adulti-anziani che non
accoglie i giovani e si auto conserva, quindi in famiglia realizziamo un clima altamente
supportivo, scarsamente conflittuale e di buona intimità emotiva. Solo genitori adulti
vivi fanno diventare grandi i figli! Dunque, oggi, chi è giovane e chi è vecchio? Chi è
vivo? Chi sta, dove? (sovrapposizione di generazioni, variabilità, disturbi della
comunicazione e dell’affettività). La nuova generazione è vita, è provocazione, e così
deve essere. La generazione adulta è testimonianza, baluardo, faro. Ne siamo
consapevoli?
Un mito dell’antica Roma ci suggerisce altre riflessioni. “Mentre Cura stava
attraversando un fiume, vide del fango argilloso. Lo raccolse pensosa e cominciò a
dargli forma. Ora, mentre stava riflettendo su ciò che aveva fatto, si avvicinò Giove.
Cura gli chiese di dare lo spirito di vita a ciò che aveva fatto e Giove acconsentì
volentieri. Ma quando Cura pretese di imporre il suo nome a ciò che aveva fatto, Giove
glielo proibì e volle che fosse imposto il suo nome. Mentre Cura e Giove disputavano sul
nome intervenne Terra, reclamando che, a ciò che era stato fatto, fosse imposto il
proprio nome, perché essa, la Terra, gli aveva dato parte del proprio corpo. I disputanti
elessero Saturno a giudice, il quale comunicò ai contendenti la seguente decisione: - Tu,
Giove, che hai dato lo spirito, al momento della morte riceverai lo spirito. Tu Terra, che
hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu Cura che per prima diede forma a
questo essere, finché esso vive lo possieda Cura. Per quanto riguarda il nome, si
chiami homo poiché è stato tratto da “humus” .
Cura è pensosa quando dà forma al fango. Dare forma equivale a definire un limite: la cura
sa accettare il limite, ma è tesa alla ricerca di soluzioni possibili affinché il limite non
condizioni la qualità della vita della persona. Saturno affida a Cura l’essere creato: ‘finché
esso vive’ : il limite della curabilità dell’uomo è solo la morte. Uomo, ha diritto alla cura.
Prenderci ‘cura’ della persona umana significa farsi carico di tutte le dimensioni di cui è
costituita, e per tutta la vita
Dal mito di Cura all’I CARE milaniano: l’educatore non può non interessarsi a tutto, non
può non suscitare interesse per tutto.
-
L’EDUCAZIONE (emergenza? Problema? Avventura? Diritto/dovere?) è uno snodo
ineludibile. Ci pare di cogliere questo invito nelle parole del Santo Padre, inviate alla
Diocesi di Roma: “Quando sono scosse le fondamenta e vengono a mancare le certezze
essenziali, il bisogno di valori torna a farsi sentire in modo impellente: così, in
concreto, aumenta oggi la domanda di un'educazione che sia davvero tale. La chiedono
i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli; la chiedono tanti
insegnanti, che vivono la triste esperienza del degrado delle loro scuole; la chiede la
società nel suo complesso, che vede messe in dubbio le basi stesse della convivenza; la
chiedono nel loro intimo gli stessi ragazzi e giovani, che non vogliono essere lasciati
soli di fronte alle sfide della vita.”6
I riflessi della parola sono molteplici, ed aprono spiragli di approfondimento. EX DUCERE, e da ciò TRARRE FUORI, ESTRARRE, ma anche CONDURRE, FAVORIRE,
FAR ESPRIMERE
L’educazione non ha misteri…perché essa stessa è mistero! È un mistero di misteri: mistero
d’amore, mistero d’impegno, mistero di vita, mistero di lotta, mistero di sofferenza, mistero
di successo, mistero di gioia.
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6
BENEDETTO XVI, ibid
Dunque educare significa far emergere la verità del soggetto, quello che la persona è, in
negativo e positivo, anche se non lo sa (principio di realtà), così che possa sviluppare al meglio
le proprie risorse e possibilità. Educare è allora sollecitare, accompagnare (CUM PANIS,
condividere il pane del cammino) alla conoscenza di sé, è aiutare a rinascere consapevolmente,
sapendo che la sostanza di ogni vita porta con sé e dentro sé il riferimento essenziale al Signore,
all’immagine e somiglianza (capax Dei)
- “i grandi valori del passato non hanno carattere ereditario” ci dice Benedetto XVI nella
lettera sopra citata.
È il tema della TRADITIO fra generazioni: i valori non passano dalla meccanica della
ereditarietà, sono da ricomprendere. Poiché non ci si educa da sé (è questo un mito
dell’ideologia liberale-contrattualistica), c’è un dovere della generazione adulta di consegnare i
valori, dopo averli custoditi.
“Quando sono scosse le fondamenta (il giusto che può fare? Dice il Salmo) il bisogno di valori
emerge impellente”, prosegue Benedetto XVI.
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Quali sono i valori nei quali noi adulti crediamo e che soprattutto pratichiamo?
Tornino i volti: i valori si praticano, non si impongono, non si insegnano (siamo nel
tempo di fuga dalle relazioni, pur nel tempo dell’ipertrofia della comunicazione)
Dobbiamo sollecitare la voglia di sapere e capire: ci interessa solo l’accumulo di
informazioni? (cfr. Freud “crisi dell’epistemefilia”). L’educazione è questione di
SENSO. Stimolare i perché curiosi (3 anni), i perché dubbiosi (9-10 anni), i perché
provocatori (14-16 anni).
Affrontare la fatica: “cosa soffia nella mente dei ragazzi? Una nuova dea, la Facilità.
Una truffa che rischia d’impoverire tragicamente i nostri giorni. Un demone travestito
che soppianta il più benevolo nume della Semplicità, concepita come complessità risolta
nella fatica quotidiana. Al suo posto domina l’idiotismo analfabeta e televisivo, la
mitologia dell’abbronzatura perenne e del sorriso sui volti dei nuovi modelli giunti in
alto senza tirocinio. Un paesaggio senza pena in cui nessuno è mai sudato perché non
conosce l’eroismo richiesto dalla metamorfosi di ogni anima in crescita.” (M. Lodoli,
insegnante ed editorialista di “Repubblica”, 2002)
V’è in campo una delicatissima tensione fra un massimo possibile di libertà e un
massimo possibile di disciplina. È una corda tesa. L’autorità non è il potere (AUGEO,
verbo radice di AUCTORITAS, significa promuovere, far crescere)
Propongo anche una “educazione all’inutile”, al gusto di vivere relazioni ed esperienze
non necessariamente “utili”, “funzionali”
Propongo un’educazione allo stupore di fronte al mistero: “fai come Dio, diventa uomo”.
Nell’uomo le dimensioni dell’affetto, della scoperta, delle emozioni, della ricerca… non
si racchiudono solo nel cervello.
Qualche spunto conclusivo
a) risveglio, rilancio: non partiamo da zero. Il grande ruolo degli adulti. “Si comincia ad
educare un figlio cento anni prima che nasca”. C’è un’educazione di generazione in
generazione. Il modo in cui gli adulti vivono le propria relazioni e organizzano la vita
(familiare, comunitaria…) diventa un modello fondamentale
- vivere l'uno accanto all'altro nella fiducia reciproca.
- gioia di credere e stupore per il creato
- Raccontare…
-
Attenzione alla scelta di tempi e luoghi della vita
relazioni sociali (apertura o chiusura?), attenzioni agli altri, ai poveri, al mondo
b) si educa solo insieme (insieme dei soggetti, insieme degli ambiti e delle pastorali). Uscire
dalla
dimensione
duale
(adulto/bambino;
genitore/figlio;
insegnante/alunno;
catechista/catecumeno): un’antropologia trinitaria ci suggerisce che l’educazione è sempre
relazione, comunicazione, movimento, comunità. L’antropologia trinitaria ci suggerisce anche il
metodo, la solidarietà, l’associarci, l’unità.
c) la verità è testimoniata nella gioia e nella speranza. Perché “educativo” corrisponde spesso,
nella prassi, a “molte riunioni”, “solo doveri”, “solo serietà”?
d) il LOGOS prima della PAROLA (prerequisiti….cultura). Vi sono prerequisiti, segni del
Verbo, presenti nell’uomo, nella natura, nella cultura. Dobbiamo saperli cogliere.
e) il nucleo dell’educare è l’incontro con Gesù che trasforma la vita. “Amatevi come io ho
amato voi”, dice Gesù. E Gesù non è un’idea, una filosofia: è persona da incontrare con tutto il
cuore, la mente, il corpo.