l`imposizione sostitutiva sui redditi di natura finanziaria

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l`imposizione sostitutiva sui redditi di natura finanziaria
L’IMPOSIZIONE SOSTITUTIVA SUI REDDITI DI NATURA FINANZIARIA
Sommario: Introduzione - 1. Il regime della dichiarazione - 2. Il risparmio amministrato - 3. Il risparmio
gestito - 4. Risparmio amministrato e risparmio gestito in un’ottica comparativa - 5. Il regime delle
gestioni patrimoniali collettive - 5.1. Fondi comuni di investimento mobiliare di tipo aperto di diritto
nazionale - 5.2. Società di investimento a capitale variabile (SICAV) - 5.3. Fondi comuni di investimento
mobiliare chiusi - 5.4. I fondi di investimento riservati - 5.5. Fondi comuni di investimento che
investono in beni diversi dagli strumenti finanziari: i fondi istituiti per le operazioni di cartolarizzazione
- 5.6. Il regime degli investitori residenti nelle gestioni estere - 5.7. Il regime degli investitori non
residenti nelle gestioni in Italia: i fondi dedicati.
INTRODUZIONE1
Il D.lgs. n. 461 del 1997 ha previsto tre regimi per l’applicazione dell’imposta sostitutiva sui
redditi finanziari che i contribuenti possono, a certe condizioni adottare: il regime ordinario della
dichiarazione, e i regimi opzionali del risparmio amministrato e del risparmio gestito. Negli ultimi due
elencati, gli intermediari finanziari hanno un ruolo centrale per ciò che concerne l’attività di
accertamento e calcolo dell’imposta, agendo in qualità di paying agents nei confronti del soggetto che ha
investito le proprie attività avvalendosi di loro.
Il sistema del risparmio intermediato costituisce una soluzione al problema dell’accertamento e
della riscossione dei redditi delle attività finanziarie. La ricchezza finanziaria è, infatti, ormai integrata in
un unico mercato mondiale grazie alle reti informatiche, i cui confini si spingono, quindi, ben oltre
quelli nazionali: com’è noto, lo Stato non può invece estendere (oltre un certo limite) il suo potere
d’imposizione fuori del suo territorio. Ne discende che non è più lo Stato a scegliere come tassare la
ricchezza, ma è la ricchezza a scegliere dove essere tassata. Tuttavia, si può notare che la ricchezza
finanziaria si trasferisce, generalmente, attraverso reti di raccolta situate nello Stato di origine, facenti
capo ad investitori istituzionali. In tal senso, la soluzione più adatta ad un contesto finanziario globale, è
proprio quella di incentrare il sistema impositivo sulla figura dell’intermediario, e di favorire la
canalizzazione del risparmio verso di esso. Nella disciplina attuale, tuttavia, i risparmiatori non sono
tenuti a rivolgersi ad intermediari per effettuare i propri investimenti. In assenza di una canalizzazione
obbligatoria2, che sarà probabilmente la soluzione a cui tenderà in futuro il sistema di tassazione dei
redditi finanziari3, l’adozione dei regimi impositivi intermediati, incentivata dalla garanzia dell’anonimato
e dall’esonero di ogni adempimento fiscale, è rimessa alle preferenze del contribuente.
L’imposizione sostitutiva si fonda su due principi impositivi: la tassazione al momento del
realizzo, propria del regime della dichiarazione e del risparmio amministrato, e la tassazione alla
maturazione, prevista per le gestioni, sia individuali sia collettive. Il sistema della tassazione alla
maturazione costituisce un’importante novità della riforma Visco, poiché migliora la neutralità fiscale
Di recente, il Governo ha approvato il D.lgs. n. 344 del 12 dicembre 2003, in attuazione della delega di riforma fiscale
contenuta nella L. n. 80/2003 (riforma Tremonti). Il decreto, oltre a introdurre la nuova imposta sulle società, l’IRES, ha
modificato il TUIR, D.P.R. n. 917 del 1986, introducendo una nuova numerazione degli articoli in esso contenuti. Per
quanto riguarda la disciplina dei redditi finanziari è utile segnalare che gli artt. da 41 a 45 sono ora contenuti nel nuovo
TUIR nel titolo I, capo III dei “redditi di capitale” e corrispondono agli artt. da 44 a 48; le fattispecie dei redditi diversi,
previsti nel vecchio TUIR agli artt. 81-85, ora sono previste agli artt. da 67 a 71 contenuti nel capo VII, titolo I del nuovo
TUIR. Fatta questa precisazione, dato che la lettera delle norme in questione non è stata modificata, nella trattazione che
segue si fa riferimento alla precedente numerazione.
2 Il sistema di canalizzazione obbligatoria del risparmio era una soluzione contemplata anche da Tremonti ministro nel suo
“Libro bianco” del 1994. Cfr. M. C. Guerra, La tassazione dei redditi di capitale in capo alle persone fisiche: problemi e prospettive, in
Riv. dir. fin., vol. LIV, I, 1995.
3 Cfr. M. C. Panzeri, La nuova fiscalità del risparmio: razionalizzazione e prospettive, in Rassegna tributaria, n. 6, 1998; M. C. Guerra,
La tassazione delle attività finanziarie: il ruolo degli intermediari, in Politica economica, n. 2, 1997; M. C. PanzerI, La riforma della
tassazione del risparmio: criteri di delega ed effetti sul sistema della finanza, in Diritto e pratica tributaria, I, 2002; G. C. Carrieri, Le vicende
della tassazione dei redditi delle attività finanziarie in Italia: una rilettura critica, Istituto di studi economici – LUISS, quaderni ISE, 127,
Roma, 2003.
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nelle scelte d’investimento rispetto al principio del realizzo. Infatti, quando la tassazione avviene al
realizzo, non si ha prelievo fintanto che l’attività finanziaria non è venduta; ciò può condizionare le
scelte di portafoglio degli individui, inducendoli a rimandare lo smobilizzo delle attività possedute, solo
per motivi fiscali. Parallelamente, anche il gettito fiscale viene spostato nel tempo, facendolo tendere
praticamente a zero soprattutto per gli ordinamenti che, come il nostro, non prevedono la tassazione
delle plusvalenze nella fase di successione4. Tale conseguenza, nota come lock-in effect (effetto
immobilizzo) è fonte, quindi, di inefficienze che possono essere eliminate attraverso una tassazione alla
maturazione, che colpisca i rendimenti prodotti (maturati) dall’attività finanziaria in ogni periodo
d’imposta.
Il coesistere dei due diversi sistemi5 rende, tuttavia, la tassazione alla maturazione penalizzante
sotto il profilo dell’equità e della neutralità fiscale, se non opportunamente “corretta”. In assenza di un
“equalizzatore”, infatti, gli investitori che scegliessero il regime del risparmio amministrato o quello
della dichiarazione avrebbero un vantaggio rispetto a chi decida per il risparmio gestito, in quanto i
primi potrebbero differire il pagamento dell’imposta fino al momento della realizzazione della
plusvalenza6. La presenza di tali problemi ha reso necessario introdurre uno specifico strumento che,
rendesse equivalenti i due regimi di tassazione: l’“equalizzatore”7, per l’appunto. Per effetto di tale
correttivo, le plusvalenze, i differenziali positivi e gli altri proventi, nonché le relative minusvalenze,
differenziali negativi ed oneri per i quali il periodo intercorrente tra data di acquisto e data di cessione o
rimborso dello strumento finanziario sia superiore a 12 mesi, concorrono a formare il reddito per un
importo rivalutato, ottenuto moltiplicandone l’ammontare per un “fattore di rettifica”, annualmente
determinato dal Ministero delle Finanze8. Sebbene esso sia stato introdotto con il D.lgs. n. 461 d3el
1997, la sua effettiva operatività è stata rinviata ad un successivo intervento normativo. In particolare,
esso è entrato in vigore il 1° gennaio 2001 con effetto retroattivo sui redditi maturati dal 1° luglio 1998.
L’equalizzatore, tuttavia, è stato abrogato nel 2001, con un provvedimento del nuovo governo, a causa
della sua complessità e di alcune iniquità che comportava9. Numerose critiche, infatti, erano state
formulate nei suoi confronti10. Come effetto della soppressione dell’equalizzatore, il regime di
tassazione delle plusvalenze è quindi attualmente misto: alla maturazione per le gestioni patrimoniali,
alla realizzazione negli altri casi.
1. IL REGIME DELLA DICHIARAZIONE
Cfr. S. Biasco, Una valutazione d’insieme della tassazione d’impresa e finanziaria prevista dalla delega fiscale, in Il Fisco, 13/2002; G.
Arachi, Alcune osservazioni sulla proposta di riforma dell’imposizione sui redditi di capitale, in Politica economica, n. 3, 2002, p. 485.
L’imposta sulle successioni è stata abolita dall’art. 13 della L. 383 del 2001 (cd. legge dei 100 giorni).
5 L’applicazione della tassazione alla maturazione si accompagna, tuttavia, a una maggiore complessità amministrativa. Essa
richiede, infatti, che si disponga di una valutazione a prezzi di mercato (mark to market) di tutte le attività soggette a
tassazione. Proprio per evitare di creare oneri eccessivi per i contribuenti, la “riforma Visco” ha permesso che, in molti casi,
la tassazione avvenisse alla realizzazione.
6 Cfr. M. P. Monteduro, M. T. Monteduro, La riforma della tassazione delle attività finanziarie: risultati valutazioni e prospettive, Studi e
analisi, a cura della sezione studi del SECIT, 2000, p. 56.
7 Previsto dall’art. 82, comma 9, del TUIR.
8 Per le formule applicative e il calcolo dei coefficienti di rettifica dell’“equalizzatore” v. il Decreto del Ministero delle
Finanze 4 agosto 2000; v. anche M. P. Monteduro, M. T. Monteduro, cit., 2000, pp. 51 e ss..
9 L’equalizzatore è rimasto in vigore dal 1° gennaio 2001 al 3 agosto 2001, quando un’ordinanza del TAR Lazio ne ha deciso
la sospensione; esso è stato poi abrogato dal nuovo governo con il D.L. 350 del 2001, convertito nella L. n. 409 del 23
novembre 2001. Tale intervento normativo costituisce il primo atto del nuovo Esecutivo finalizzato a riformare
complessivamente il sistema dei tributi in Italia, culminato nel 2003 con la legge deleg a n. 80 del 2003 (riforma Tremonti),
che prevede, con riferimento alle gestioni, l’abbandono del principio della tassazione alla maturazione.
10 In particolare, si fa riferimento ai problemi di accertamento dei titoli “over the counter” e degli strumenti derivati, ai
crediti d’imposta “virtuali”. Cfr. M. Odano, Equalizzatore, i danni e le beffe, in Il sole 24 ore, 26/08/2000; M. Piazza, Tassabili
anche le cessioni in perdita, in Il sole 24 ore, 24/08/00, Inserto Norme e Tributi; M. Meazza, R. Sabbatini, Equalizzatore caos per i fondi
esteri, Il sole 24 ore, 24/8/00, Inserto Norme e Tributi; M. Meazza, L’equalizzatore tassa anche le perdite, in Il sole 24 ore, 29/8/00,
Inserto Norme e Tributi. V. inoltre: M. P. Monteduro, M. T. Monteduro, cit., 2000, p. 56; P. Bosi, M. C. Guerra, I tributi
nell’economia italiana, il Mulino, 2002, p. 165; J. Alworth, G. Arachi, R. Hamaui, Adjusting capital income taxation: some lessons from
the italian experience, in Collana ricerche, Banca commerciale italiana, 2002, p. 17.
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Disciplinato dall’art. 5 del D.lgs. n. 461 del 1997 e fondato sulla tassazione al momento del
realizzo, il regime della dichiarazione prevede l’obbligo dell’autoliquidazione in sede di dichiarazione
annuale, a cura del contribuente, dell’imponibile e dell’imposta relativamente alle plusvalenze, redditi e
differenziali positivi previsti dalle lettere da c) a c-quinquies) dell’art. 81 TUIR, realizzati nell’anno.
Del regime della dichiarazione si avvalgono necessariamente i contribuenti che non ricorrono
agli intermediari finanziari (banche, SIM e altri). Gli individui, infatti, non sono tenuti per legge ad
avvalersi degli intermediari per la gestione del proprio risparmio, né sono tenuti a rivolgersi ad essi per
la custodia o il deposito dei propri titoli (con l’ovvia eccezione dei titoli smaterializzati). Se ne avvalgono
inoltre i contribuenti che, pur essendo nella condizione di poterlo fare, non optano per nessuno dei
regimi alternativi.
Il regime della dichiarazione individua, quindi, la situazione in cui il contribuente provvede
personalmente alle scelte d’investimento nonché ai connessi adempimenti fiscali. Esso svolge anche una
funzione di chiusura: evitare che i contribuenti che non ricorrono agli intermediari sfuggano
all’imposizione. E’ evidente, inoltre, che esso non garantisce l’anonimato del contribuente, nei confronti
del quale sarà operativa la disciplina del monitoraggio fiscale, sia interno che esterno.
Il regime della dichiarazione si presenta in ogni caso inderogabile con riferimento alle
plusvalenze realizzate mediante cessione di partecipazioni qualificate di cui alla lettera c) dell’art. 81
TUIR e delle plusvalenze derivanti da cessioni di valute su depositi o conti correnti di cui alla lettera cter) che soddisfano altresì le condizioni del comma 1-ter dello stesso articolo.
I redditi interessati da tale regime sono quindi i redditi diversi di natura finanziaria previsti
dall’art. 81 TUIR, in quanto i redditi di capitale di cui all’art. 41 sono tassati nei confronti degli individui
con l’applicazione di ritenute alla fonte da parte dell’emittente o di imposte sostitutive applicate dagli
intermediari autorizzati. La tassazione, inoltre, avviene al momento del realizzo.
Con riferimento alle modalità di determinazione della base imponibile, essa è costituita dalle
plusvalenze, al netto delle minusvalenze complessivamente conseguite. E’, infatti, consentita la
compensazione di plusvalenze e minusvalenze, con la possibilità di riportare le eventuali minusvalenze
eccedenti nei quattro periodi d’imposta successivi11. La compensazione opera però in modo limitato,
essendo ammessa soltanto tra “masse” reddituali omogenee. In particolare, si distingue una “prima
massa” nella quale rientrano le plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni qualificate, e una
“seconda massa” in cui confluiscono tutti gli altri redditi diversi che sono invece tassati al 12,5%.
Costituiscono eccezione a tale disciplina, le plusvalenze su partecipazioni qualificate detenute per
almeno un anno, per le quali è prevista l’imposizione nell’IRPEF, ma nella misura parziale del 40% e
senza possibilità di deduzione delle plusvalenze realizzate12. Per quelle possedute per periodi inferiori
all’anno, opera il cd. intento speculativo, che implica l’imposizione dell’intera plusvalenza, ma al netto
delle minusvalenze realizzate. In precedenza, era prevista l’imposizione sostitutiva nella misura del 27%
per tutte le plusvalenze da partecipazioni azionarie qualificate. Il nuovo regime ha quindi escluso
l’imposizione sostitutiva per questo tipo di proventi, assoggettandolo a quello ordinario dell’IRPEF.
In forza dei vincoli e degli adempimenti ai quali espone il contribuente, il regime della
dichiarazione risulta, nel confronto con i regimi impositivi opzionali, particolarmente gravoso, non
garantendo inoltre, l’anonimato fiscale dell’investitore.
2. IL RISPARMIO AMMINISTRATO
Il regime del risparmio amministrato, espressamente previsto dall’art. 6 del D.lgs. n. 461 del
1997, costituisce un regime opzionale semplificato, in cui il prelievo delle imposte sui redditi finanziari
viene effettuato da parte dell’intermediario presso il quale i titoli sono depositati in custodia o in
amministrazione.
Cfr. M. F. Ambrosanio, La tassazione delle attività finanziarie e lo sviluppo delle diverse forme di risparmio gestito, in Tendenze e
prospettive del risparmio gestito, a cura di A. Banfi e M. L. DI Battista, 1998, p. 523.
12 Tale disciplina, introdotta dal D.lgs. n. 344 del 2003 con effetto dal periodo d’imposta 2004, si basa sul principio della
“participation exemption”.
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L’intermediario finanziario, con l’esercizio dell’opzione, è investito dell’onere di adempiere tutti
gli obblighi fiscali connessi all’attività di investimento degli strumenti in deposito, agendo quindi come
sostituto d’imposta nei confronti del risparmiatore. Quest’ultimo, conseguentemente, beneficia
dell’anonimato nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, non essendo tenuto a dichiarare i redditi
conseguiti nel regime di amministrazione. Inoltre, poiché gli strumenti finanziari sono affidati in
custodia e non in gestione, il risparmiatore che opti per il risparmio amministrato intende riservarsi il
potere di decidere le proprie scelte di portafoglio.
L’opzione, tuttavia, è esercitabile solo a condizione che sia costituito uno stabile rapporto di
custodia o amministrazione con uno degli intermediari autorizzati a norma di legge (banche, SIM e
altri). Va peraltro, sottolineato che è possibile riscontrare fattispecie per le quali la sussistenza di uno
stabile rapporto con l’intermediario è comunque verificabile anche in assenza di formale contratto di
custodia o amministrazione: è il caso di titoli, quote o certificati che non possono formare oggetto di
autonoma circolazione senza l’intervento dell’intermediario medesimo (ad esempio, titoli non
cartolarizzati). Inoltre, con riferimento alle plusvalenze di cui alla lettera c-quater) e c-quinquies) dell’art.
81 TUIR e a quelle realizzate mediante cessione a termine di valute, l’opzione è esercitabile anche
qualora le banche o SIM intervengano nell’operazione in qualità di intermediari professionali o
controparti (e sempre che sussista un rapporto di custodia, amministrazione o deposito).
Alla presenza di tali condizioni, per essere ammesso all’applicazione dello speciale regime
impositivo, il contribuente è tenuto semplicemente ad indirizzare un’esplicita richiesta in tal senso
all’intermediario autorizzato. Allo stesso modo, la revoca dell’opzione può essere esercitata
comunicando il recesso dal contratto di custodia o amministrazione, ovvero inviando all’intermediario
apposita comunicazione, ed avrà effetto dal periodo d’imposta successivo.
Assoggettabili al regime impositivo del risparmio amministrato sono le plusvalenze realizzate
mediante la cessione di partecipazioni non qualificate, le altre plusvalenze, differenziali e altri proventi
di cui alle lettere da c-bis) a c-quinquies) dell’art. 81 del TUIR, soggetti ad imposta sostitutiva con
aliquota del 12,5%. Sono escluse dall’ambito di applicazione di tale regime, le plusvalenze realizzate
mediante la cessione di partecipazioni qualificate e quelle realizzate mediante la cessione di valute estere
derivanti da depositi e conti correnti, in quanto tali assets originano redditi inderogabilmente sottoposti
al regime impositivo della dichiarazione. In tal senso esiste uno specifico obbligo per il contribuente che
abbia optato per il regime amministrato, di segnalarne all’intermediario il possesso.
I redditi di capitale conseguiti dal contribuente permangono, invece, ordinariamente soggetti ad
imposizione mediante l’applicazione di ritenute alla fonte a titolo d‘imposta o di imposte sostitutive da
parte dei sostituti d’imposta o degli intermediari.
Come per il regime della dichiarazione, anche nel risparmio amministrato la tassazione dei capital
gains avviene al momento del realizzo e al netto di eventuali minusvalenze.
In particolare, le minusvalenze realizzate vengono computate in diminuzione delle plusvalenze
successivamente ottenute nell’ambito del medesimo rapporto, anche nel corso di successivi esercizi, ma
non oltre il quarto13. Diversamente da quanto si verifica nel regime della dichiarazione, dove la
compensazione delle minusvalenze e differenziali negativi non incontra limiti di sorta, nell’ambito del
risparmio amministrato viene specificamente prevista la compensabilità tra minusvalenze e plusvalenze
realizzate mediante operazioni poste in essere nell’ambito di uno stesso rapporto. Ciò in quanto, a
differenza del regime della dichiarazione, in cui il prelievo avviene in un unico momento e riguarda
l’insieme dei redditi diversi netti, nel regime del risparmio amministrato l’imposta sostitutiva del 12,5%
è prelevata dall’intermediario sulla singola plusvalenza (o provento) realizzata in ogni singola
operazione. Soltanto qualora sia revocata l’opzione o sia chiuso il rapporto, le eventuali minusvalenze e
differenziali non dedotti possono essere computati in diminuzione delle plusvalenze, differenziali
positivi e altri redditi realizzati nell’ambito di altri rapporti intestati allo stesso soggetto o di attività
personalmente gestite dallo stesso in regime dichiarativo.
Secondo un’interpretazione sistematica dei principi della delega, il D.lgs. n. 461 del 1997 ha previsto anche in questo
regime la possibilità di compensazione fra plusvalenze e minusvalenze. Questa scelta è stata dettata dall’opportunità di non
penalizzare eccessivamente il risparmio amministrato, che sarebbe stato l’unico ad essere privato della possibilità di riportare
in avanti eventuali minusvalenze.
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Si può inoltre osservare che, una specifica norma di coordinamento tecnico tra rapporti e regimi
diversi, equipara ad una cessione a titolo oneroso il trasferimento di titoli, quote, certificati o rapporti ad
altro rapporto di custodia o amministrazione intestato ad un soggetto diverso da quello di provenienza,
o ad un rapporto di gestione. Non costituisce invece realizzo di plusvalenze o minusvalenze il prelievo
di titoli, quote o certificati, il trasferimento presso altro rapporto di amministrazione intestato al
medesimo soggetto di provenienza e la revoca dell’opzione per il regime del risparmio amministrato.
Si può notare, infine, che per ragioni di coerenza sistematica, le operazioni di investimento e
disinvestimento poste in essere nell’ambito di un rapporto amministrato non sono soggette al
monitoraggio fiscale, interno e esterno, garantendo in tal modo al contribuente che abbia optato per
l’applicazione della speciale disciplina di beneficiare del pieno anonimato fiscale.
3. IL RISPARMIO GESTITO
Il sistema del risparmio gestito costituisce la principale novità introdotta dal D.lgs. n. 461/1997,
atteso che viene per la prima volta specificamente disciplinato il regime di tassazione delle gestioni
patrimoniali, sia individuali che collettive. La “riforma Visco” ha, infatti, adottato un modello
impositivo uniforme (anche se non in termini assoluti) per le tutte le gestioni, individuali e collettive,
basato sul modello di tassazione “sul risultato netto di gestione” e sul principio di “non concorso” nella
formazione del reddito imponibile dei contribuenti persone fisiche che investono nelle gestioni. Tale
soluzione si inserisce all’interno di due determinanti che caratterizzano la riforma delle attività
finanziarie nel suo complesso: la prima è l’assoggettamento a tassazione di tutti i proventi derivanti
dall’impiego del risparmio, nell’intento di ridurre le possibilità di arbitraggio fiscale derivanti da
asimmetrie impositive; la seconda è l’impostazione dell’intero sistema impositivo delle rendite
finanziarie sul principio di tassazione “sul maturato”, che colpisce i redditi maturati indipendentemente
dal loro effettivo introito. Questo sistema è obbligatorio per le gestioni patrimoniali collettive14
(OICVM) di diritto italiano, mentre per quelle individuali15 la tassazione sull’utile di gestione assume un
carattere opzionale, essendo lasciata all’investitore la possibilità di scegliere per un diverso sistema
impositivo. Rileva inoltre osservare che nelle gestioni individuali il risparmiatore mantiene la titolarità
dei singoli valori mobiliari che compongono il suo portafoglio, al contrario, nelle gestioni collettive il
risparmiatore è proprietario di una quota di un patrimonio indiviso.
Ciò premesso, la nuova disciplina dettata dall’art. 7 D.lgs. n. 461 del 1997 attribuisce, a fini
tributari, una specifica rilevanza al rapporto contrattuale intrattenuto tra il contribuente e lo specifico
intermediario finanziario abilitato alla prestazione del servizio di gestione individuale di patrimoni. Il
legislatore ha opportunamente omesso ogni riferimento circa gli elementi che configurano lo schema
contrattuale della gestione (rientrante in genere nella figura del mandato), lasciando che sia la prassi
degli intermediari a determinarlo. Un tratto imprenscindibile che delimita il campo delle gestioni
rispetto ai rapporti di deposito e custodia di titoli è l’intervento dell’intermediario nella scelta degli
strumenti di investimento, non rilevando tuttavia, ai fini fiscali, l’ampiezza della sua discrezionalità16.
Al pari di quanto si verifica con riferimento al regime del risparmio amministrato, anche
l’applicazione della disciplina del risparmio gestito riveste carattere opzionale, essendo necessario a tal
fine l’esercizio della specifica opzione da parte del cliente. L’intermediario finanziario viene in tal modo
delegato alla conduzione dell’attività di investimento e disinvestimento e all’effettuazione degli
adempimenti fiscali relativi ai redditi di capitale ed ai redditi finanziari facenti capo alla gestione. Il
gestore, quindi, agisce dal punto di vista fiscale come sostituto d’imposta, e di conseguenza l’investitore
beneficia dell’anonimato nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. Le modalità di esercizio
dell’opzione e la revoca sono analoghe a quelle previste nel regime del risparmio amministrato.
Le gestioni patrimoniali collettive (OICVM) sono tipicamente poste in essere da fondi comuni di investimento mobiliare e
dalle SICAV (Società d’investimento a capitale variabile).
15 Le gestioni patrimoniali individuali sono tipicamente poste in essere da banche, SIM e società fiduciarie abilitate secondo
la normativa contenuta nel D.lgs. n. 415 del 1996 (cosiddetto decreto EUROSIM).
16 Ad esempio, configura un rapporto di gestione anche quello in cui si prevede l’autorizzazione preventiva del risparmiatore
per l’effettuazione delle operazioni finanziarie.
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I redditi ammessi al regime del risparmio gestito sono quelli di cui all’art. 81, lettere da c-bis) a cquinquies) del TUIR, incluse le plusvalenze su valute diverse da quelle derivanti da cessioni a termine,
che sono invece escluse dal regime del risparmio amministrato. Fuoriescono dall’ambito di applicazione
del regime le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni qualificate di cui alla lettera c) dell’art.
81 TUIR, per le quali il regime della dichiarazione è inderogabile.
L’ambito oggettivo di applicazione del regime del risparmio gestito si estende inoltre, sino a
ricomprendere taluni redditi di capitale specificamente enucleati dall’art. 41 dello stesso TUIR, che sono
assoggettati a tassazione in base al risultato complessivo maturato, con conseguente disapplicazione
delle ritenute alla fonte e delle imposte sostitutive a favore dell’applicazione dell’imposta sostitutiva ad
opera del soggetto gestore. Nel risparmio gestito si ha quindi, a differenza degli altri regimi impositivi,
una tassazione unitaria e contestuale dei principali redditi di capitale (quelli tassati al 12,5%) e di tutti i
redditi diversi maturati nel periodo d’imposta.
La base imponibile rilevante ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva è costituita dal
risultato netto della gestione maturato nell’anno d’imposta (senza che pertanto assuma rilievo, a tal fine,
il fenomeno della percezione del reddito), determinato come differenza tra il valore del patrimonio
gestito alla fine di ciascun anno solare, al lordo dell’imposta sostitutiva, ed il medesimo valore quale
risulta all’inizio dell’anno.
Dal risultato di gestione, tassato al 12,5%, vanno esclusi quei redditi di capitale per i quali è
prevista una tassazione al 27%, che restano assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (ad
eccezione degli interessi sui conti correnti bancari, la cui giacenza media non ecceda il 5% dell’attivo
gestito, e che non costituiscono quindi investimento finanziario ma la disponibilità liquida fisiologica
della gestione) e, per evitare duplicazioni d’imposta, i redditi, quali i proventi dei fondi comuni, già
assoggettati a imposta in capo ai fondi medesimi.
Il risultato netto da assoggettare ad imposta sostitutiva è determinato algebricamente
dall’intermediario, con compensazione fra plusvalenze, minusvalenze e redditi di capitale, e riporto a
nuovo delle eventuali eccedenze negative agli anni successivi, ma non oltre il quarto. Se il contratto di
gestione viene chiuso, l’eventuale perdita può essere portata in deduzione dal risultato positivo di
un’altra gestione patrimoniale oppure dalle plusvalenze, redditi e differenziali tassabili in regime
dichiarativo ovvero in regime di risparmio amministrato. La predetta compensazione tra il risultato
negativo di un anno e quello positivo degli anni successivi deve essere inoltre realizzata nell’ambito di
ciascun patrimonio gestito da un medesimo intermediario e, pertanto, qualora un contribuente
intrattenga due o più rapporti di gestione con un medesimo intermediario, il risultato negativo di un
contratto non può essere compensato con i risultati positivi degli altri contratti, ma deve essere
compensato con i risultati positivi che da quello stesso contratto potranno derivare nei successivi
periodi d’imposta17. E’ invece possibile computare il risultato negativo della gestione, risultante dopo la
conclusione del relativo contratto, in diminuzione del risultato positivo maturato in capo ad un altro
contratto di gestione (nuovo o già esistente) intestato al medesimo contribuente.
Eventuali conferimenti effettuati durante l’anno non costituiscono utile della gestione, e vanno
quindi sottratti, così come eventuali prelievi effettuati durante l’anno non costituiscono perdite della
gestione e, affinché non comportino una diminuzione fittizia dell’utile di gestione, vanno sommati al
risultato complessivo.
Nel caso in cui il contribuente abbia stipulato un contratto di gestione esercitando al contempo
l’opzione per l’applicazione della speciale disciplina impositiva del risparmio gestito, il conferimento dei
titoli, delle quote, dei certificati e degli altri rapporti deve essere considerato alla stregua di una cessione
a titolo oneroso. Poiché i titoli ed i rapporti vengono assunti in carico dal gestore sulla base del valore
che essi hanno alla data del conferimento, è disposto che le plusvalenze emergenti alla data del
conferimento debbano considerasi realizzate.
Va rilevato, infine, che all’interno della disciplina del risparmio gestito non trova applicazione lo
specifico meccanismo di equalizzazione18, mentre le operazioni di investimento e disinvestimento poste
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Cfr. la C. M. n. 165/E del 24 giugno 1998.
Recentemente abrogato dall’art. 10 del D. L. n. 350 del 2001, convertito in L. n. 409 del 2001.
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in essere non sono soggette al monitoraggio fiscale, tanto interno quanto esterno, ciò che consente al
contribuente di godere del pieno anonimato.
Dall’analisi fino ad ora svolta, si può affermare che la “riforma Visco” si sia mossa, con
l’adozione della tassazione sull’utile di gestione, nella direzione dell’uniformazione del prelievo dei
redditi finanziari, anche se non in modo assoluto, poiché alcuni redditi di capitale, come visto, non
partecipano alla determinazione del risultato di gestione complessivo. Tale sistema comunque, oltre a
garantire l’uniformità della tassazione dei redditi finanziari, comporta l’irrilevanza, quanto alle modalità
di atteggiamento del prelievo, della distinzione giuridica tra redditi di capitale e redditi diversi. E’
evidente in tal senso, che, differentemente da quanto sostenuto da alcuni autori19, il regime delle
gestioni costituisce la prova della compatibilità con il nostro ordinamento tributario di una nozione
economica, e quindi unitaria, dei redditi finanziari.
Da un punto di vista teorico, il modello di tassazione sull’utile di gestione è, quindi, in grado di
realizzare condizioni di generalità ed omogeneità dell’imposizione e favorire equità, neutralità e
semplicità del prelievo.
Questo sistema presenta dei vantaggi rispetto ad un modello di tassazione fondato sul ricorso a
ritenute alla fonte a titolo d’imposta o sull’utilizzo di informazioni trasmesse dagli intermediari al fisco20.
Infatti, oltre alla maggiore semplicità di applicazione, l’utile di gestione non incontra i limiti operativi
della ritenuta alla fonte, la quale può riferirsi solo a singole transazioni, senza tener conto dei
collegamenti che esistono fra le stesse, e soltanto rispetto a flussi di reddito positivi, senza che si
riconosca alcuna deduzione per le perdite realizzate.
La tassazione sull’utile di gestione può inoltre svolgere, in un contesto finanziario
internazionale, l’importante funzione di garantire che un prelievo sui redditi di capitale e sulle
plusvalenze abbia comunque luogo, senza che la sua capacità di fornire gettito sia condizionata
all’efficacia dei controlli svolti dall’Amministrazione finanziaria.
Tuttavia, la tassazione secondo l’utile di gestione incontra alcune difficoltà applicative e
incongruenze.
In primo luogo, è da rilevare che sotto il profilo del gettito erariale il meccanismo del risultato
netto di gestione, basato sul principio del maturato, determina alcune distorsioni. Il gettito dell’imposta
sostitutiva derivante dalle gestioni si presenta infatti molto volatile, data la sensibilità all’andamento dei
mercati.
Allo stato della disciplina attuale, può accadere che, essendo esclusa la compensazione di alcune
passività finanziarie dal risultato di gestione, contribuenti complessivamente in perdita possano essere
comunque aggettati ad un prelievo positivo. Inoltre, la compensazione tra il risultato negativo di un
anno e quello positivo degli anni successivi deve essere realizzata nell’ambito di ciascun patrimonio
gestito da un medesimo intermediario21. Ne consegue che la misurazione sull’utile di gestione in capo al
singolo intermediario può ridurre la capacità di diversificare il proprio portafoglio in termini di rischio
di mercato e rischio di credito. Infatti il risparmiatore che volesse acquistare un fondo che investe in
emerging markets non potrebbe compensare le potenziali perdite su questo investimento con le eventuali
plusvalenze realizzate su un altro fondo con una struttura di rischio diversa22. Tali inconvenienti non si
presentano invece nel regime della dichiarazione, che permette la ricostruzione della situazione
reddituale complessiva del contribuente, anche nel caso in cui lo stesso divida il proprio patrimonio
affidandolo in gestione a intermediari diversi o amministrandone direttamente una parte. Quello
dichiarativo è quindi l’unico regime che impedisce tassazioni positive anche di fronte a redditi
complessivamente negativi23.
Tuttavia, di fronte all’inconveniente rappresentato dalla riconduzione a tassazione degli
incrementi di valore non realizzati, in conseguenza dell’applicazione del principio di tassazione sul
Cfr. F. Gallo, Tassazione delle attività finanziarie e problematiche dell’elusione, in La tassazione delle attività finanziarie, a cura di G.
Muraro e N. Sartor, 1995.
20 Cfr. M. C. Guerra, cit., 1997.
21 Cfr. la C. M. n. 165/E del 24 giugno 1998.
22 Cfr. J. Alworth, R. Hamaui, S. Lovisolo, G. Quarantini, Ancora sulla tassazione dei redditi da capitale, in La finanza pubblica
italiana, a cura di L. Bernardi, 1997, pp. 199 e ss..
23 Cfr. M. C. Guerra, cit., 1997, p. 245.
19
7
maturato24, la disciplina del risparmio gestito consente (anche se con riferimento al singolo rapporto di
gestione) la compensazione tra plusvalenze e minusvalenze derivanti da diverse forme d’investimento,
e, per tale via, l’ottimizzazione del carico fiscale gravante sulla gestione. Può così accadere che,
nell’ipotesi di flessione delle quotazioni di borsa, le eventuali plusvalenze maturate sullo stock dei titoli
obbligazionari possano essere compensate con le minusvalenze realizzate sulla massa dei titoli azionari.
4. RISPARMIO AMMINISTRATO E RISPARMIO GESTITO IN UN’OTTICA COMPARATIVA
Il legislatore della riforma ha, come visto, introdotto un sistema di tassazione del risparmio
intermediato di tipo duale.
Una domanda che può essere formulata al riguardo, è sui motivi che hanno portato ad adottare
il doppio regime anziché un unico sistema. Come osserva puntualmente G. Ancidoni, questa scelta è
stata indotta da ragioni di cautela, ritenendo preferibile limitare quanto più possibile l’impatto della
riforma sui contribuenti25. L’introduzione di un unico regime, quale quello della tassazione secondo il
modello innovativo del risultato di gestione, avrebbe, infatti, potuto causare sui contribuenti un
eccessivo effetto iniziale di disorientamento. Si è pertanto preferito intraprendere la strada della
gradualità, proprio per lasciare al risparmiatore la più ampia libertà di scelta nel modo di corrispondere
l’imposta, ponendo l’unificazione del risparmio intermediato tra gli obiettivi di medio periodo26. In tal
senso, il regime del risparmio amministrato, dotato di caratteristiche intermedie rispetto a quelle del
regime ordinario di dichiarazione annuale ed a quelle del risparmio gestito, potrebbe dunque
configurarsi come un sistema transitorio27.
Le differenze principali tra i due regimi di tassazione riguardano due aspetti essenzialmente,
quali il momento della tassazione dei proventi e l’ambito della compensabilità fra redditi e perdite.
Rispetto al momento di applicazione dell’imposta, il regime del risparmio gestito attua in pieno
il principio di tassazione sul maturato, in quanto prevede l’imponibilità, anno dopo anno, degli
incrementi di valore di un dato patrimonio finanziario, man mano che gli stessi incrementi si formano.
Viceversa, nel regime del risparmio amministrato le plusvalenze e gli altri guadagni di capitale scontano
il prelievo solo al momento dell’effettivo realizzo, a seguito di operazioni di disinvestimento. Al fine di
compensare il vantaggio finanziario che nel regime del risparmio amministrato si realizza per effetto del
rinvio della tassazione rispetto al momento in cui il plusvalore può considerarsi maturato, era stato
necessario prevedere un apposito coefficiente di rettifica, il cosiddetto equalizzatore, che è stato
recentemente abrogato dal D.L. 350 del 2001.
La diversità nel momento di applicazione del prelievo si riflette anche sulla rilevanza delle
minusvalenze: infatti, mentre nel regime del risparmio amministrato queste diventano fiscalmente
deducibili solo se effettivamente subite per effetto di operazioni di disinvestimento, nel caso del
risparmio gestito sono prese in considerazione anche le semplici minusvalenze “da valutazione”, purché
riscontrabili alla data di determinazione del risultato netto di gestione.
Occorre comunque rilevare che il sistema di tassazione previsto per il risparmio gestito, se da un
lato contribuisce ad attenuare il noto effetto di lock-in per le plusvalenze finanziarie, dall’altro può
determinare l’applicazione del prelievo su imponibili solo temporanei, qualora le plusvalenze maturate
La tassazione secondo il maturato può causare inoltre problemi di liquidità per il contribuente, il quale potrebbe essere
costretto ad uno smobilizzo dell’attività tassata per pagare le imposte. In tal senso, è agevole rilevare che la posizione del
contribuente che ha maturato una plusvalenza non è equivalente a quella del contribuente che l’ha realizzata e quindi
dispone della liquidità necessaria al pagamento dell’imposta. I problemi di liquidità potrebbero assumere un certo rilievo
soprattutto per i gestori di patrimoni individuali, e proprio il D.lgs. n. 46 del 1997 contiene precise disposizioni in merito alle
modalità alternative di reperimento della liquidità necessaria al pagamento dell’imposta. In particolare è previsto che, nel
caso in cui le disponibilità liquide esistenti nel patrimonio gestito al momento del versamento dell’imposta non siano
sufficienti, il soggetto gestore, anche in deroga al regolamento di gestione, debba procedere a disinvestire strumenti
finanziari; in alternativa è data la facoltà al contribuente di fornire al gestore le disponibilità liquide necessarie al pagamento
dell’imposta.
25 Cfr. G. Ancidoni, Il regime del risparmio amministrato e del risparmio gestito in un’ottica comparativa, in Bancaria, 1999, p. 4.
26 Connesso con tale obiettivo era quello dell’unificazione delle aliquote (intorno al 19%), la cui realizzazione era
condizionata al miglioramento della finanza pubblica nel medio periodo.
27 Cfr. M. C. Panzeri, cit., 1998, p. 1490.
24
8
(ma non realizzate) vengano poi meno a seguito di diminuzioni di valore delle attività. In tal caso
possono determinarsi incertezze sulla possibilità e sui tempi di recupero delle imposte già pagate, ma in
concreto non dovute. La possibilità, attualmente prevista, del riporto in avanti delle perdite nel limite di
quattro anni può non dare garanzie sufficienti per un rapido ed effettivo recupero del prelievo.
Un rimedio al problema descritto potrebbe consistere nell’introduzione di semplici meccanismi
che consentano, nell’ipotesi di perdite nette di gestione, un agevole recupero delle imposte già pagate
sugli utili maturati negli anni precedenti28. Ciò potrebbe avvenire attraverso il riconoscimento, in
alternativa al riporto in avanti della perdita, di un credito d’imposta rimborsato direttamente
dall’intermediario, che lo porterebbe in riduzione delle imposte sostitutive che quest’ultimo deve versare
all’erario, ovvero in alternativa, utilizzabile dal contribuente, in sede di dichiarazione dei redditi, a
scomputo delle imposte personali dovute.
La caratteristica distintiva del regime del risparmio gestito è inoltre, la compensazione che
potremmo definire “eterogenea”, la possibilità cioè di compensare le minusvalenze, oltre che con le
plusvalenze, anche con i redditi di capitale. Si tratta di una radicale innovazione, che ha consentito, nella
sostanza, di individuare nell’“utile netto di gestione” la base imponibile dell’imposta sostitutiva.
La compensazione eterogenea è, come si afferma nella stessa relazione la decreto delegato,
frutto di un’interpretazione sistematica delle disposizioni di delega. La possibilità in esame, unica nel
panorama europeo, assume particolare significato nell’ottica della neutralità del prelievo e della
conseguente riduzione delle asimmetrie impositive, in quanto muove nella direzione di abbandonare la
tradizionale distinzione tra redditi di capitale e redditi diversi (plusvalenze). Il venir meno di tale
distinzione è coerente con l’evoluzione intervenuta nell’attività di impiego del risparmio, che ormai vede
l’utilizzo, accanto a strumenti tradizionali, di strumenti finanziari innovativi29. E’ ben noto agli operatori
che è possibile combinare questi ultimi strumenti in modo tale da riprodurre, attraverso una sequenza di
operazioni diverse, un investimento “sintetico” con caratteristiche del tutto analoghe, sotto il profilo
economico, a quelle proprie di uno strumento tradizionale. Il regime del risparmio gestito consente,
grazie appunto alla possibilità di compensare anche i redditi di capitale con le eventuali minusvalenze o
perdite, di tassare allo stesso modo il reddito derivante dallo strumento tradizionale a quello, di fatto
identico, dello strumento “sintetico” ottenuto attraverso la combinazione di molteplici prodotti di
finanza innovativa.
Non è consentita, tuttavia, la possibilità di compensare plusvalenze e minusvalenze emergenti da
più rapporti in regime di risparmio amministrato in essere presso diversi intermediari né quelle derivanti
da un rapporto in regime di risparmio amministrato e da una gestione individuale, anche presso uno
stesso intermediario. Su questo tema sono state avanzate proposte volte a consentire, soprattutto con
riferimento al regime del risparmio amministrato, un ampliamento delle possibilità di compensazione.
La mancata previsione della possibilità di compensare minusvalenze e plusvalenze derivanti da rapporti
in regime di risparmio amministrato detenuti dal contribuente presso diversi intermediari potrebbe
comportare nel tempo effetti distorsivi, in quanto, da un lato, il risparmiatore viene tassato sulle
plusvalenze realizzate nell’ambito di un dato rapporto e, dall’altro, non ha la possibilità di far valere il
“credito d’imposta potenziale” insito nelle minusvalenze, se non nel corso di un periodo temporale più
ampio. Qualora, poi, i corsi dei titoli detenuti nel rapporto “minusvalente” presentano un andamento
discendente per un lungo periodo (superiore a cinque anni), tale “credito d’imposta potenziale” può
essere anche definitivamente perduto.
In ogni caso, la stessa normativa lascia dei margini al contribuente per organizzare la gestione
delle proprie attività finanziarie in un’ottica di ottimizzazione fiscale: è infatti sempre possibile optare
per il regime di dichiarazione in cui più ampi sono i margini di compensazione. Di fatto, le scelte degli
investitori in ordine alle modalità di detenzione delle attività finanziarie sono influenzate peraltro, anche
da elementi non sempre legati ai profili economici e fina nziari, quali la garanzia dell’anonimato e il
desiderio di minimizzare gli adempimenti amministrativi.
Gli elementi di criticità nell’attuale sistema di compensazione si potrebbero riflettere anche
sull’assetto organizzativo degli intermediari, influenzandone le modalità di offerta dei prodotti sul
28
29
Cfr. G. Ancidoni, cit., 1999.
Cfr. G. Ancidoni, cit., 1999.
9
mercato. I minori vantaggi per la clientela, in termini di compensazione, potrebbero incidere sulle scelte
strategiche degli intermediari, nel costante dilemma tra generalità e specializzazione dell’offerta
all’interno del gruppo. E’ necessario quanto più possibile evitare condizionamenti di tipo fiscale
nell’industria del risparmio.
Per ovviare a tali inconvenienti l’A. ipotizza due proposte30.
La prima, di carattere generale, è la soluzione della certificazione: per consentire la
compensabilità tra più conti presso intermediari diversi, si potrebbe prevedere che il contribuente possa
azzerare (o ridurre) il proprio plafond di minusvalenze presso un intermediario per trasferirlo a un
rapporto acceso presso un altro intermediario. Il trasferimento potrebbe essere concretamente attuato
attraverso il rilascio all’investitore di un’apposita certificazione da parte dell’intermediario, dalla quale
risulti l’ammontare delle minusvalenze residue (e i relativi anni di formazione) da utilizzare per
compensare plusvalenze conseguite nell’ambito di altri rapporti. Si tratta a ben vedere, di un sistema già
in parte contemplato dalle disposizioni di riforma, anche se limitatamente all’ipotesi di chiusura del
rapporto ovvero di revoca dell’opzione: in questo caso, la minusvalenza può infatti essere portata in
deduzione, sempre entro il limite temporale dei quattro anni successivi a quello del realizzo, dalle
plusvalenze imponibili in sede di dichiarazione annuale, ovvero dalle plusvalenze conseguite nell’ambito
di un altro rapporto in regime di risparmio amministrato. La seconda soluzione prospettata è quella
della compensabilità tra conti accesi presso società dello stesso gruppo bancario. Essa consentirebbe di
tener conto delle diverse opzioni strutturali degli intermediari, evitando condizionamenti di natura
fiscale che si frappongono alla specializzazione operativa delle singole componenti del gruppo.
QUADRO SINOTTICO DEI TRE REGIMI IMPOSITIVI DEI REDDITI FINANZIARI
Regime della
dichiarazione
Risparmio
amministrato
(opzionale)
Risparmio gestito
(opzionale)
Imposta sostitutiva
Imposta sostitutiva
Risultato di gestione
Imposta sostitutiva
(interessi su liquidità
nel risultato di
gestione)
Dichiarazione
analitica
Dichiarazione
analitica
Opzione non
ammessa
Imposta sulla
singola operazione
Opzione non
ammessa
Risultato di gestione
Contro redditi
diversi tassati alla
stessa aliquota
4 anni
Alla dichiarazione
per plusvalenze
realizzate
Contro redditi
diversi
Risultato di gestione
4 anni
Al realizzo
4 anni
Alla maturazione
- Redditi di capitale
- Tassati al 12,5%
Imposta sostitutiva
- Tassati al 27%
Imposta sostitutiva
- Redditi diversi
- Plusvalenze
tassate al 27%
- Plusvalenze non
qualificate e derivati
tassati al 12,5%
- Deducibilità
minusvalenze e
perdite
- Riporto perdite
- Timing della
tassazione
(realizzazione o
maturazione)
- Accertamento
Segnalazioni al
Anonimato
fisco, monitoraggio
Anonimato
5. IL REGIME DELLE GESTIONI PATRIMONIALI COLLETTIVE
30
Cfr. G. Ancidoni, cit., 1999.
10
Il D.lgs. n. 461 del 1997, ha adottato un modello impositivo uniforme per le gestioni individuali
e collettive. Si tratta di una soluzione coerente con il riconoscimento, intervenuto con il Testo Unico
della Finanza31, del modello del “gestore unico”, vale a dire della società di gestione che può
contemporaneamente operare nei segmenti sia delle gestioni individuali sia di quelle collettive. La scelta
del modello unico di tassazione per i gestori del risparmio non si riscontra nelle esperienze degli altri
Paesi industrializzati e costituisce, nelle strategie di riassetto organizzativo e commerciale degli
intermediari nazionali, un punto di forza del nostro sistema rispetto agli operatori esteri32.
In precedenza, la tassazione degli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICVM)
prevedeva l’effettuazione di una ritenuta sulle diverse forme di investimento e l’applicazione di
un’imposta patrimoniale in misura variabile (dallo 0,05% allo 0,5%) secondo la composizione del
portafoglio.
Per effetto delle nuove disposizioni, il regime fiscale dei predetti organismi d’investimento
prevede, conformemente al trattamento fiscale delle gestioni individuali, l’applicazione di un’imposta
sostitutiva del 12,5% sul risultato netto di gestione maturato, con possibilità di compensare il risultato
negativo di un periodo d’imposta con quello degli anni successivi.
La tassazione inoltre, avviene sempre all’origine, cioè direttamente in capo al fondo comune
d’investimento. I fondi sono diventati, come gli intermediari e le altre imprese, “lordisti”: non
subiscono più le ritenute alla fonte o le imposte sostitutive previste per i redditi di capitale, interessi e
dividendi. Nella disciplina precedente, invece, erano “nettisti”, in quanto subivano il prelievo alla fonte
a titolo definitivo sui redditi di capitale, mentre le plusvalenze erano escluse dalla tassazione.
Nel confronto tra il nuovo e il vecchio sistema di tassazione dei fondi, si può agevolmente
rilevare che una valutazione dei rendimenti al lordo delle imposte garantisce una maggiore trasparenza e
favorisce la confrontabilità tra fondi, soprattutto rispetto a quelli esteri. Tuttavia, in termini di carico
fiscale, il nuovo regime garantisce risultati migliori quando i proventi siano costituiti unicamente da
interessi. Qualora, invece, al rendimento lordo del fondo concorrano anche plusvalenze e dividendi, il
precedente sistema di tassazione avrebbe garantito un’imposizione inferiore (e quindi un maggiore
rendimento per i risparmiatori), anche con una quota non rilevante di plusvalenze33.
Rilevante, inoltre, è che alle gestioni non spetta in nessun caso il credito d’imposta sui dividendi,
i quali vengono incassati dal gestore al lordo delle ritenute alla fonte. È questa un’eccezione al principio
della neutralità fiscale tra investimenti diretti e investimenti “gestiti”. Gli effetti di tale deroga sono
tuttavia più apparenti che reali, tenuto conto che l’ammontare dei dividendi in genere costituisce, anche
nei fondi prevalentemente azionari, una quota minimale nella formazione del risultato di gestione34.
Accanto alla possibilità di compensazione, al fine di attenuare gli effetti distorsivi che il principio
di tassazione sul maturato determina in un possibile contesto di instabilità finanziaria, è consentito il
riporto delle eventuali perdite di gestione ad esercizi successivi, senza limiti di tempo. Per i fondi,
inoltre, in alternativa al riporto in avanti della perdita, è concessa la possibilità di cedere le “perdite
fiscali” agli organismi di investimento collettivo gestiti dalla medesima società di gestione, nell’ambito
del gruppo di appartenenza, con ulteriore attenuazione degli effetti finanziari negativi derivanti dalla
tassazione delle plusvalenze secondo il principio del maturato.
Questi accorgimenti non operano invece nel regime delle gestioni patrimoniali individuali, nel
quale la compensabilità delle perdite limitata a quattro periodi d’imposta potrebbe non essere sufficiente
per compensare lo svantaggio derivante da un prolungato corso negativo dei mercati finanziari35. Non è
inoltre possibile trasferire l’eventuale “credito d’imposta” a deduzione delle plusvalenze realizzate su un
altro rapporto, ad esclusione dell’ipotesi di sua chiusura o di revoca dell’opzione e a condizione che sia
intestato al medesimo soggetto. E’ evidente che la non compensabilità tra i diversi tipi di conto può
incidere sulle scelte della clientela e quindi sulle strategie di offerta degli intermediari, in particolar modo
D.lgs. n. 58 del 1998.
Cfr. A. Magliocco, D. Pitaro, G. Ricotti, A. Sanelli, La tassazione del risparmio gestito e integrazione finanziaria europea, in
Quaderni di ricerca giuridica, Banca d’Italia, n. 50, 1999.
33 Cfr. G. Ancidoni, cit., 1999.
34 Cfr. G. Ancidoni, cit., 1999.
35 Cfr. G. Ancidoni, cit., 1999.
31
32
11
per quelli che abbiano prescelto la strada dell’outsourcing o una più marcata specializzazione verso i
segmenti di mercato più volatili36.
La necessità di individuare ulteriori meccanismi di contenimento degli effetti distorsivi in tema
di compensazione è stata già segnalata in dottrina37. In particolare, uno dei rimedi proposti per le
gestioni individuali prevede, in alternativa al riporto in avanti per quattro anni, la trasformazione delle
perdite di gestione in un “bonus” immediatamente liquidabile, secondo modalità analoghe a quelle già
previste per i fondi. Per i fondi, infatti, considerato il riconoscimento della facoltà di cessione
“orizzontale” delle perdite tra organismi facenti capo ad una medesima società di gestione e la
possibilità di riporto in avanti delle stesse senza limiti temporali, la rilevanza della questione risulta
attenuata. Un possibile miglioramento potrebbe comunque essere di attribuire ai fondi la facoltà di
trasformare i risultati negativi di gestione in “bonus” cedibili anche a soggetti esterni al gruppo.
Per quanto concerne i riflessi che l’evidenziazione di un risultato negativo genera sul valore della
quota, l’eventuale debito o risparmio d’imposta che matura in un esercizio non incide, né in
diminuzione né in aumento, sulla determinazione della base imponibile dello stesso periodo d’imposta,
mentre concorre a formare il valore della quota38.
Ciò significa che, in caso di risultato positivo della gestione, nel calcolo del valore unitario della
quota l’imposta sostitutiva dovuta deve essere detratta dal valore del patrimonio netto, mentre non
rileva ai fini della determinazione del risultato della gestione. Di contro, qualora il risultato della
gestione sia negativo, il relativo risparmio d’imposta, ferma restando la sua irrilevanza per la
determinazione del risultato della gestione, deve essere computato, ai fini del calcolo del valore della
quota, in aumento del valore attivo del fondo.
Tale meccanismo di valorizzazione della singola quota, impedisce che si possano produrre
indebiti vantaggi a favore di quei partecipanti che, avendo sottoscritto le quote in un periodo di gestione
negativa, avrebbero potuto beneficiare, in successivi periodi d’imposta con risultati positivi,
dell’esistenza di perdite pregresse che il fondo può compensare.
L’applicazione della suddetta disciplina, tuttavia poteva generare, prima delle modifiche
introdotte dal D.lgs. n. 505 del 1999, alcune incongruenze.
Il risparmio d’imposta, infatti, non costituisce, in caso di cessazione del fondo, un’attività
trasformabile in denaro al pari delle altre voci dell’attivo. L’unica possibilità di utilizzo in tal caso, non
essendo il risultato negativo riportabile in avanti per diminuire futuri risultati positivi, è la cessione che
evidenzi, sempre al termine del periodo d’imposta, un debito d’imposta. Pertanto, qualora non risulti
utilizzabile neppure quest’ultima possibilità, poteva accadere che, alla chiusura dell’attività dell’OICVM,
la somma rimborsabile ai possessori delle quote fosse inferiore al valore effettivo della quota; ne
conseguiva che il sottoscrittore non poteva in alcun modo beneficiare “pro-quota” delle minusvalenze
maturate in capo all’organismo d’investimento.
Il D.lgs. n. 505 del 1999 è specificamente intervenuto sul punto, prevedendo che, se alla
chiusura del fondo non è possibile utilizzare il risultato negativo (e, quindi, liquidare il risparmio
d’imposta), i partecipanti al fondo, previo rilascio di apposita certificazione39 da parte della società di
gestione, possono computare l’importo netto di detto risultato negativo (spettante pro-quota) in
diminuzione delle plusvalenze imponibili, in sede di dichiarazione IRPEF o realizzate in costanza di
regime amministrato, o dal risultato di gestione maturato in caso di apertura di un rapporto di gestione
individuale di portafoglio intestato allo stesso soggetto, e in ogni caso per non più di quattro periodi
d’imposta.
Il D.lgs. n. 505 del 1999 ha anche introdotto una disciplina fiscale particolare per gli OICVM
che detengono partecipazioni qualificate40. Tali organismi sono assoggettati ad un’imposta sostitutiva
del 27% sulla parte del risultato della gestione riferibile alle partecipazioni qualificate. Il fine perseguito è
Cfr. A. Magliocco, D. Pitaro, G. Ricotti, A. Sanelli, cit., 1999.
Cfr. G. Ancidoni, cit., 1999; Cfr. R. Hamaui, G. Quarantini, La riforma fiscale delle attività finanziarie in Italia, in Collana ricerche,
Banca commerciale italiana, 1998.
38 Cfr. Circolare ASSOGESTIONI, n. 1992 del 28 luglio 2000.
39 In dottrina, G. Ancidoni aveva prospettato tale soluzione per le gestioni, anche individuali, cfr. G. Ancidoni, cit., 1999.
40 Il comma 4, art. 8, del citato decreto, limita peraltro l’ambito di operatività della disposizione in commento agli OICVM
che abbiano meno di 500 partecipanti.
36
37
12
di assicurare una necessaria omogeneità di trattamento tra la disciplina fiscale dell’investimento diretto a
quella dell’investimento indiretto in partecipazioni qualificate attraverso gli OICVM41. La norma, ha
inoltre una finalità antielusiva, tendendo ad evitare che soggetti non esercenti l’attività d’impresa
possano promuovere la costituzione di OICVM, rivolgendosi ad un intermediario a ciò abilitato al solo
scopo di beneficiare dell’applicazione dell’imposta sostitutiva nella misura del 12,5%, in luogo di quella
più onerosa del 27%, che si rende applicabile nel caso in cui le partecipazioni siano detenute
direttamente dai partecipanti.
Ai fini dell’applicazione della disciplina in questione, al comma 2 del citato art. 8, viene dettata
una specifica definizione di partecipazione qualificata, intendendosi tale quella che, anche attraverso il
possesso di titoli o diritti42 consente per ciascun fondo l’acquisto di una partecipazione in misura
superiore al 10% (se si tratta di partecipazioni negoziate nei mercati regolamentati) o al 50% (per le altre
partecipazioni) del capitale con diritto di voto della società partecipata.
5.1. FONDI COMUNI DI INVESTIMENTO MOBILIARE DI TIPO APERTO DI DIRITTO NAZIONALE43
La novità di maggior rilievo in tema di disposizioni applicabili ai fondi comuni d’investimento
mobiliare di tipo aperto di diritto nazionale è costituita dall’abrogazione della previgente imposizione di
carattere patrimoniale.
Dal 1° luglio 1998, in luogo della predetta imposta patrimoniale si rende applicabile
l’imposizione sostitutiva nella misura del 12,5% sul risultato della gestione del fondo maturato in
ciascun anno.
A tal fine, la base imponibile è assunta in misura pa ri alla differenza tra il valore del patrimonio
netto del fondo alla fine dell’anno, al lordo dell’imposta sostitutiva, aumentato dei rimborsi e dei
proventi eventualmente distribuiti nel corso dell’anno e diminuito delle sottoscrizioni effettuate
nell’anno ed il valore dello stesso all’inizio dell’anno, aumentato dei proventi derivanti dalla
partecipazione ad OICVM soggetti ad imposizione sostitutiva (trattasi dei proventi e degli incrementi di
valore dei fondi aperti italiani, delle SICAV italiane, dei fondi “lussemburghesi storici” e dei fondi chiusi
italiani), nonché dei proventi esenti e di quelli soggetti a ritenuta a titolo definitivo.
Ai sensi dell’art. 5, comma 1, lettera d) della L. n. 77 del 1983 la società di gestione deve redigere
giornalmente un prospetto dal quale devono obbligatoriamente risultare il valore unitario delle quote di
partecipazione ed il valore complessivo netto del fondo. Il calcolo dell’imposta sostitutiva deve essere
effettuato con la stessa periodicità con la quale la società di gestione procede al calcolo del valore delle
singole quote, rilevando contestualmente l’incremento imponibile del patrimonio che deriva dalle
diverse componenti reddituali, l’imposta dovuta sull’incremento e, di conseguenza, il patrimonio netto
da assumere per la valorizzazione delle quote in circolazione44.
Il risultato negativo di gestione può essere computato in diminuzione dal risultato della gestione
dei periodi d’imposta successivi, per l’intero importo che in essi trovi capienza e senza alcun limite
temporale, oppure può essere utilizzato, in tutto o in parte, dalla società di gestione in diminuzione del
risultato di gestione di altri fondi gestiti dalla stessa società, a partire dal medesimo periodo d’imposta in
cui è maturato il risultato negativo. Le compensazioni in concreto operate devono risultare da apposita
dichiarazione da prodursi a cura della società di gestione. Si può affermare, sostanzialmente, che in tal
Cfr. P. Anello, M. G. Corvaglia, Integrata la disciplina dei capital gains, in Corriere tributario, n. 34, 2000; Circolare
ASSOGESTIONI, n. 1992 del 28 luglio 2000.
42 Come ad esempio warrants di sottoscrizione o di acquisto, opzioni, obbligazioni convertibili.
43 La differenza caratterizzante la natura “chiusa” o “aperta” di un fondo comune d’investimento concerne le modalità
previste per il rimborso delle quote sottoscritte dai partecipanti: nel caso dei fondi “aperti” (di cui alla L. n. 77 del 1983) tale
rimborso può essere chiesto in qualsiasi tempo nei giorni di apertura della borsa; nel caso dei fondi “chiusi” (anche
immobiliari) il rimborso deve avvenire alla scadenza prevista nell’operazione di investimento, i cui limiti massimi e minimi di
durata sono previsti dalla legge.
44 Cfr. C. M. 165/E del 24 giugno 1998.
41
13
caso sorga a favore della gestione un “credito d’imposta”, pari al 12,5% del risultato negativo
maturato45.
Quanto ai riflessi impositivi sui soggetti residenti che abbiano sottoscritto quote di fondi
comuni, i proventi derivanti dalla partecipazione al fondo sono esclusi da qualunque forma di
imposizione in capo al sottoscrittore, indipendentemente dalla circostanza che i medesimi proventi
vengano distribuiti o destinati all’accumulazione. Il rendimento per il risparmiatore è, quindi, un
rendimento netto al pari di quello degli altri strumenti finanziari di più larga diffusione, in primo luogo
dei titoli di Stato. La posizione del risparmiatore nei confronti del fisco è del tutto anonima, non
essendo previste segnalazioni da parte dei gestori all’Amministrazione finanziaria. Entrambi questi
elementi, semplicità e anonimato, costituiscono un sicuro incentivo allo sviluppo del mercato dell’asset
management.
Se per converso, le partecipazioni ai fondi sono state assunte nell’esercizio di imprese
commerciali, il comma 3 dell’art. 9 del D.lgs. n. 461 del 1997 prescrive che i relativi proventi
concorrano a formare il reddito soltanto nell’esercizio in cui sono percepiti, ancorché l’imprenditore li
abbia iscritti in bilancio indipendentemente dalla percezione. In relazione a tali provvedimenti,
correlativamente, l’imprenditore ha diritto ad un credito d’imposta pari al 15% dei proventi stessi,
commisurato all’incremento di valore della quota rilevato dai prospetti giornalieri riferibili ai giorni in
cui sono avvenute le operazioni di acquisto e di cessione. Ne deriva che, nel caso in cui l’imprenditore
abbia conseguito un reddito superiore al reddito di capitale, il credito d’imposta non compete sulla parte
del reddito che eccede il suddetto provento.
5.2. SOCIETÀ DI INVESTIMENTO A CAPITALE VARIABILE (SICAV)
Le disposizioni tributarie in materia di SICAV sono previste dal comma 2 dell’art. 8 del D.lgs. n.
84 del 1992. In generale, per tali organismi trovano applicazione le disposizioni esaminate
precedentemente con riferimento ai fondi comuni aperti.
Esistono tuttavia alcune significative differenze derivanti dalla particolarità della forma societaria
con cui si realizzano le SICAV. In questo caso, infatti, l’investitore non sottoscrive semplicemente una
quota di patrimonio, ma delle azioni vere e proprie che, pur atteggiandosi in modo peculiare rispetto a
quelle delle S.P.A. ordinarie, attribuiscono formalmente gli stessi diritti in capo al socio, compresa la
partecipazione alle scelte gestionali attraverso l’esercizio del diritto di voto. Vi è però da sottolineare,
che queste diversità, pur non trascurabili, non valgono ad oscurare la sostanziale equivalenza economica
tra le SICAV e gli altri OICVM.
Per quanto concerne gli obblighi di dichiarazione relativi al risultato di gestione conseguito, la
SICAV deve riportare in apposita dichiarazione i dati necessari per la determinazione dell’imposta
sostitutiva dovuta. Tale dichiarazione deve essere presentata entro un mese dalla data di approvazione
del bilancio.
Alle SICAV si applica inoltre la disposizione di cui all’art. 7 della tabella allegata al Testo Unico
imposta di registro, concernente i fondi comuni d’investimento di natura contrattuale, che esenta
dall’obbligo di registrazione gli atti relativi alla costituzione delle SICAV, alla sottoscrizione ed al
rimborso delle azioni, nonché alle operazioni di emissione e di estinzione dei certificati.
Ai proventi distribuiti dalle SICAV non si applicano le disposizioni di cui all’art. 27 del D.P.R. n.
600 del 1973, concernenti l’applicazione delle ritenute alla fonte sui dividendi, e neppure le disposizioni
della L. n. 1745 del 1962, concernenti la disciplina obbligatoria della nominatività obbligatoria dei titoli
azionari, garantendosi in tal modo l’anonimato del socio investitore.
5.3. FONDI COMUNI DI INVESTIMENTO MOBILIARE CHIUSI
La disciplina dei fondi in questione ricalca sostanzialmente quella prevista per i fondi mobiliari
aperti. La differenza di maggior rilievo consiste nella diversa periodicità, stabilita dall’art. 5 comma 1,
Cfr. P. Monarca, J. Bloch, Il riordino della tassazione dei redditi finanziari, Le monografie del Corriere Tributario, supplemento al
Corriere Tributario n. 39 del 12 ottobre 1998, p. 63.
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lettera c) della L. n. 344 del 1993, con la quale è prevista la redazione del prospetto riguardante il calcolo
del patrimonio netto dei fondi chiusi, che risulta semestrale per questi ultimi e giornaliera, per converso,
per i fondi aperti. Nel prospetto semestrale la società di gestione del fondo è tenuta ad indicare, tra
l’altro, l’ammontare dell’imposta sostitutiva maturata nel primo semestre di gestione del fondo o, in
alternativa, il credito d’imposta, qualora emerga un risultato negativo.
5.4. I FONDI DI INVESTIMENTO RISERVATI
La normativa regolamentare in materia di fondi comuni d’investimento consente l’istituzione di
fondi (aperti o chiusi) riservati a investitori qualificati (art. 15 Regolamento n. 228 del 1999).
La circostanza che le quote possano essere sottoscritte o acquistate soltanto dai soggetti
appartenenti alle categorie di investitori qualificati indicati nel regolamento non è di ostacolo
all’applicazione delle ordinarie disposizioni fiscali. Pertanto ai fondi “riservati” si applicano le
disposizioni previste per i fondi comuni d’investimento aperti oppure chiusi46.
5.5. FONDI COMUNI DI INVESTIMENTO CHE INVESTONO IN BENI DIVERSI DAGLI STRUMENTI
FINANZIARI: I FONDI ISTITUITI PER LE OPERAZIONI DI CARTOLARIZZAZIONE.
Le società di gestione del risparmio possono istituire fondi comuni che investono in beni diversi
dagli strumenti finanziari e dai depositi bancari a condizione che per essi esista un mercato o abbiano
un valore determinabile con certezza con una periodicità almeno semestrale.
Per questi fondi sussistono, tuttavia, evidenti problemi fiscali, dovuti al fatto che il D.lgs. n. 461
del 1997 è applicabile solo agli organismi di natura mobiliare, ossia quelli che hanno per oggetto
l’investimento in strumenti finanziari. Ne deriva che per tale tipologia di fondi non è applicabile
l’imposta sostitutiva nella misura del 12,5% e più in generale il regime previsto per i fondi di
investimento mobiliare.
L’unica disposizione che, in via interpretativa può ritenersi applicabile, è l’art. 41 lettera g) del
TUIR che prevede che è reddito di capitale il reddito “derivante dalla gestione, nell’interesse collettivo di pluralità
di soggetti, di masse patrimoniali costituite con somme di denaro e beni affidati da terzi o provenienti dai relativi
investimenti” e cioè il provento corrisposto da un OICVM47. Pertanto, ove non sia prevista
nell’ordinamento una imposizione sostitutiva o una ritenuta a titolo d’imposta, se il reddito erogato
dall’organismo è percepito da un soggetto che non esercita un’impresa commerciale, concorre a
formare il reddito complessivo del percettore come reddito di capitale, con l’applicazione di una
ritenuta a titolo d’acconto da parte del soggetto che corrisponde il reddito (art. 26 D.P.R. n. 600 del
1973).
Naturalmente, resta ferma l’applicazione delle altre disposizioni sull’imposizione dei redditi
diversi di natura finanziaria. Non vi è dubbio, infatti, che le plusvalenze e minusvalenze relative alle
quote dei fondi in commento costituiscano redditi diversi a norma dell’art. 81, comma 1, lettera c-ter)
del TUIR.
Un discorso specifico meritano i fondi istituiti per attuare operazioni di cartolarizzazione di cui
alla L. n. 130 del 1999.
Le disposizioni civilistiche consentono, infatti, di istituire appositi “fondi” per la
cartolarizzazione dei crediti. In tal caso, il fondo comune, analogamente alle società di cartolarizzazione
di cui all’art. 3 della L. 130 del 1999, rappresenta uno degli strumenti previsti dal legislatore per
realizzare le operazioni di “securitization”. Tuttavia, alla comunanza del fine non corrispondono
disposizioni fiscali omogenee. Infatti, fermo restando che il fondo è tassato allo stesso modo
indipendentemente dalla circostanza che sia costituito nell’ambito del patrimonio della società di
cartolarizzazione ovvero della società di gestione del risparmio (si tratta, in entrambi i casi, di patrimoni
separati ed autonomi), sussistono notevoli differenze in merito al regime dei proventi percepiti dai
partecipanti.
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Cfr. Circolare ASSOGESTIONI, n. 1992 del 28 luglio 2000.
Cfr. Circolare ASSOGESTIONI, n. 1992 del 28 luglio 2000.
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In particolare, l’art. 6 della L. n. 130 del 1999 e l’art. 5 del D.lgs. n. 461 del 1997 riservano ai
proventi derivanti dai titoli emessi dalle società di cartolarizzazione, che siano percepiti da soggetti non
esercenti attività d’impresa, l’imposizione sostitutiva nella misura del 12,5%; diversamente, per i
proventi conseguiti attraverso i fondi comuni, trattandosi di proventi relativi a titoli che non possono
essere assimilati alle obbligazioni di società, è prevista la piena imposizione personale.
Non vi è dubbio che tale regime rappresenta una penalizzazione per i fondi comuni
d’investimento specializzati.
5.6. IL REGIME DEGLI INVESTITORI RESIDENTI NELLE GESTIONI ESTERE
Gli investimenti effettuati da residenti in fondi esteri (diversi da quelli lussemburghesi cosiddetti
“storici”, il cui trattamento fiscale è equiparato a quello dei fondi italiani), sono sottoposti ad un regime
articolato in funzione della natura del fondo.
A differenza di quanto si è visto per gli organismi di investimento collettivo del risparmio
(OICR) di diritto italiano, nel caso dei proventi derivanti da organismi esteri, il legislatore della riforma
ha sostanzialmente confermato il preesistente impianto normativo. In linea con gli obiettivi
fondamentali di generalità e neutralità del prelievo, il nuovo sistema fiscale si propone di conseguire,
con riferimento agli investitori persone fisiche residenti, l’uniformità di trattamento tra i redditi di fonte
interna e quelli di fonte estera.
Il meccanismo attraverso il quale tale obiettivo viene conseguito in Italia è l’applicazione della
“ritenuta d’ingresso”, cioè del prelievo (in misura generalmente pari a quella cui sono soggetti gli stessi
redditi conseguiti all’interno) applicato dall’intermediario residente che interviene quale collettore dei
flussi finanziari. È questo un principio basilare che tende a neutralizzare, in un’economia aperta alla
libera circolazione dei capitali, gli effetti di riduzione del gettito erariale per i paesi esportatori netti di
capitali, che si determinerebbero nel caso di esclusiva imposizione nel paese della fonte.
Analogamente a quanto accadeva nel regime previgente, i proventi derivanti da investimenti in
fondi comunitari “armonizzati” (è il caso degli OICVM situati negli Stati membri dell’UE, conformi alle
direttive comunitarie, le cui quote sono collocate all’estero oppure nel territorio dello Stato ai sensi della
L. n. 77 del 1983) sono assoggettati ad una ritenuta definitiva alla fonte del 12,5%, a cura
dell’intermediario (residente) che provvede al pagamento dei proventi medesimi, ovvero al riacquisto od
alla negoziazione delle quote o azioni48. Per le imprese, la ritenuta costituisce un acconto dell’imposta
sul reddito. È interessante rilevare la circostanza che la ritenuta d’ingresso non si applica negli eventuali
passaggi all’interno dei fondi “multicompartimentali”, ma solo all’atto della percezione dei proventi, con
un effetto di differimento dell’imposizione (tax deferral).
Nell’ipotesi in cui l’investimento in quote di fondi comunitari “armonizzati” si realizzi senza
l’intervento di un soggetto residente in Italia, il legislatore ha confermato, per i soggetti diversi dalle
imprese, la tassazione dei proventi (distribuiti o derivanti dal disinvestimento) nella dichiarazione
annuale, con l’aliquota proporzionale del 12,5%.
Se l’investimento all’estero riguarda fondi “non armonizzati”, i relativi proventi sono
assoggettati a tassazione personale progressiva in capo al percettore al momento del realizzo e, quindi,
con riferimento agli stessi non trovano applicazione i regimi di tassazione separata o di imposizione
sostitutiva. Nel caso in cui il contribuente percepisca in Italia i proventi in esame per il tramite di
soggetti residenti incaricati del pagamento dei proventi medesimi, ovvero del riacquisto o della
negoziazione delle azioni o quote, sui proventi in questione i soggetti incaricati sono tenuti ad operare
una ritenuta del 12,5% a titolo d’acconto delle imposte sui redditi dovute dai contribuenti in base alla
dichiarazione. La principale difficoltà che emerge per la tassazione dei fondi “non armonizzati” è
determinare caso per caso la linea di confine fra questi fondi comuni (di norma fondi chiusi) e le società
estere.
Da quanto precede emerge come il regime impositivo interno non presenta, sotto il profilo
teorico, né particolari vantaggi né svantaggi per l’investimento del risparmio italiano all’estero. Una
Cfr. la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 7 maggio 2002, n. 139/E e le circolari ASSOGESTIONI 2818 del 7
dicembre 2000 e 855 del 16 maggio 2002.
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compiuta valutazione della convenienza relativa ad investire tramite OICR di diritto estero da parte dei
residenti italiani, deve tuttavia basarsi anche sul trattamento fiscale dei fondi nel paese di insediamento e
negli stati in cui vengono effettuati gli investimenti49.
5.7. IL REGIME DEGLI INVESTITORI NON RESIDENTI NELLE GESTIONI IN ITALIA: I FONDI DEDICATI
I proventi derivanti dalla partecipazione a OICR di diritto italiano, conseguiti da investitori
(persone fisiche e imprese) residenti all’estero sono erogati senza applicazione di alcuna ritenuta.
Peraltro, i medesimi proventi scontano l’imposta sostitutiva assolta a monte dal gestore nella misura del
12,5%.
Al fine di evitare penalizzazioni per l’industria italiana dell’asset management e di accrescere il
grado di attrattività del risparmio “esogeno”, il trattamento fiscale dell’investimento in fondi italiani da
parte di soggetti non residenti è stato equiparato a quello diretto, attraverso il riconoscimento ai non
residenti di un rimborso d’imposta pari al 15% dei proventi derivanti dalla partecipazione al fondo. Il
rimborso, il cui ammontare copre interamente l’imposta sul risultato di gestione del fondo
corrispondente alla quota detenuta dall’investitore, è concesso esclusivamente ai soggetti non residenti
che godono dei requisiti previsti per l’esenzione da imposte dei redditi finanziari nell’ipotesi di
investimento diretto.
Tra l’altro, il regime di esenzione per i non residenti è stato oggetto di una recente modifica, che
ha interessato in particolare l’art. 6 D.lgs. n. 239 del 1996. Nella sua attuale formulazione, esso dispone
che l’esonero dall’imposta sostitutiva sui proventi dei titoli pubblici e privati percepiti da soggetti non
residenti si applica a prescindere dal requisito della non residenza negli Stati o territori non appartenenti
all’UE aventi un regime fiscale privilegiato (paesi della cosiddetta “black list”). In tal senso, quindi, anche
i soggetti residenti in un “paradiso fiscale” fruiscono dell’esenzione, a condizione però che il proprio
paese consenta un adeguato scambio d’informazioni. Tale normativa, è applicabile anche agli OICVM,
per effetto del rinvio all’art. 6 del D.lgs. n. 239/1996 contenuto nelle disposizioni che ne disciplinano il
regime fiscale.
Sempre nell’ottica di rendere appetibile l’investimento in OICR italiani per gli investitori non
residenti, il legislatore della riforma ha introdotto un regime fiscale di particolare favore per i cosiddetti
“fondi dedicati”50. Si tratta di organismi di investimento collettivo di diritto italiano le cui quote sono
sottoscritte esclusivamente da soggetti non residenti che godono dei requisiti previsti per il rimborso.
Tali organismi, pur conservando la qualifica di “lordisti” ai fini dell’applicazione dei prelievi alla fonte,
non scontano l’imposta sostitutiva sul risultato di gestione e possono in tal modo erogare i proventi al
lordo di qualunque forma di prelievo.
Questa modifica elimina in radice la penalizzazione dell’investimento “intermediato” che si
aveva nel precedente regime di esenzione condizionata per i fondi. In altri termini, nel nuovo quadro
normativo gli investitori della “black list” potrebbero essere spinti, negli investimenti in Italia, a preferire
le forme di investimento diretto (i depositi amministrati) piuttosto che i fondi51. Inoltre, il nuovo regime
di esenzione risolve la questione della disparità di trattamento degli OICR esteri, che fruiscono ora
indistintamente dell’esenzione. Si può osservare in tal senso che ciò può influire positivamente sul
grado di attrattività della nostra piazza finanziaria.
Dr. Luigi Stefanucci
Cfr. A. Magliocco, D. Pitaro, G. Ricotti, A. Sanelli, cit., 1999.
Cfr. A. Magliocco, D. Pitaro, G. Ricotti, A. Sanelli, cit., 1999.
51 Cfr. A. Magliocco, D. Pitaro, G. Ricotti, A. Sanelli, cit., 1999.
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