Federico Fellini. Un`introduzione

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Federico Fellini. Un`introduzione
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Federico Fellini. Un’introduzione
Marta Tibaldi
(slide 1)
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In alcune favole, una delle imprese da compiere è quella di separare una grande quantità di
semi mischiati alla rinfusa, facendone dei piccoli mucchi tutti uguali. Il protagonista, ma di solito
si tratta di una protagonista, è lasciato solo in una stanza e deve compiere l’impresa in un tempo
stabilito.
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Per chi di voi conosce la storia di Amore e Psiche del poeta latino Apuleio , la prima
prova cui Psiche è sottoposta da Venere è proprio quella di separare i semi: “dividi tutti questi diversi
semi, sceglili a uno a uno e fanne tanti mucchietti, in bell’ordine, prima dì sera”. Psiche inizialmente si
dispera, ma ben presto riceve l’aiuto soccorrevole di un gruppo di formiche, che dividono per lei
i semi e le permettono di superare la prova.
Quando Hao-Wei Wang mi ha chiesto di tenere una conferenza su Federico Fellini,
inizialmente mi sono sentita come Psiche di fronte al mucchio di granaglie da separare. Fellini è un
personaggio talmente ampio e complesso, sfaccettato e vario che scegliere cosa scrivere su di lui è
come trovarsi di fronte a un mucchio di semi da separare.
(slide 2) Al pari di Psiche, anch’io mi sono messa all’opera – certamente non
disperata, quanto piuttosto curiosa di vedere in che modo la mia intuizione inconscia (le mie
“formiche”) mi avrebbe aiutato a risolvere la prova. Ho pensato ai diversi aspetti di Fellini, ai
suoi film, ai suoi disegni, al suo libro dei sogni, alla sua vicenda umana etc. e ho deciso di iniziare
questa introduzione partendo da un evento recentissimo e significativo: la presentazione alla
Mostra del Cinema di Venezia, il 12 settembre 2013, del film/documentario dell’ottantunenne
regista italiano Ettore Scola, grande amico di Fellini, dal titolo Che strano chiamarsi Federico!
Si tratta di un omaggio tributato da Scola all’amico più anziano di lui di una decina
d’anni, a venti anni esatti dalla morte di Fellini, avvenuta a Roma nel 1993. Credo che il titolo
che il giornalista italiano Eugenio Scalfari ha dato al suo commosso commento al film - Lacrime,
rimpianti, grandi speranze: Scola ricorda Fellini e il nostro Paese - possa fare bene da traccia a ciò
che voglio raccontare oggi: la storia di Fellini, ma attraverso di lui e i suoi film anche la storia
dell’Italia, con tutti gli sconvolgimenti del tessuto sociale, culturale e rappresentativo dagli anni
1
Apuleio, Le Metamorfosi o L’asino d’oro, Rizzoli: Milano, 2005.
2
dal fascismo alla “neotelevisione”, che Fellini ha documentato intrecciando l’esperienza
onirica e visionaria alla riflessione consapevole, in un linguaggio filmico personalissimo,
profondamente soggettivo e barocco. Fellini in questo senso fu “un creatore che, inquieto, si
mosse fra il realismo e la modernità, la fantasia e la postmodernità.”2
Per gli analisti junghiani Fellini rappresenta anche una miniera di immagini e di simboli e
l’espressione artistica di una creatività inconscia libera e fluida. In questa introduzione cercherò
di mettere in evidenza, oltre al percorso esistenziale e artistico di Fellini, anche i punti di contatto e
le differenze tra il suo processo d’individuazione e quello di Carl Gustav Jung, il padre della
psicologia analitica.
1920-1959
Dalla nascita ai quarant’anni
(slide 3)
(slide 4) Iniziamo dunque dal principio. Federico Fellini nasce il 20 gennaio 1920 a
Rimini, una piccola città di provincia ndll’Emilia Romagna, dove trascorre l’infanzia e la
giovinezza, per trasferirsi poi nel 1939, all’età di 19 anni, a Roma. Il giovane Federico cresce e si
forma dunque in provincia negli anni del ventennio fascista (1922-1943), con tutto ciò che quegli
anni hanno potuto rappresentare in termini cultuali e sociali nell’educazione civile e
sentimentale di un giovane. In Amarcord Fellini darà testimonianza di questa esperienza in modo
personalissimo e creativo.
(slide 5) Fin da piccolo il giovane Federico è appassionatissimo di fumetti, che legge nel
Corriere dei Piccoli, il primo periodico settimanale italiano per ragazzi che pubblica strips. Come
egli stesso ebbe a dire, non si può capire il suo cinema né si possono avvicinare le sue immagini se
non si tiene conto della dimensione espressiva che nasce dai fumetti e dalle caricature, che per
Fellini furono il punto di partenza nella costruzione dei suoi personaggi. Scrive Fellini:
“Il mio cinema non nasce dal cinema: se devo riconoscere delle matrici, le identificherei
proprio nelle strisce americane. In alcuni miei film, non i primi, ho tenuto presente lo stile,
l’atmosfera, la dinamica bloccata nella rigidità, tipici del fumetto: Amarcord, ad esempio, non è
solo un omaggio all’infanzia, ma anche al mondo dei fumetti: è un film stilizzato, con
inquadrature fisse, pochi movimenti di macchina…”.3
(slides 6-7) Grazie alla sua abilità di disegnatore, nel 1937 il proprietario del cinema
Fulgor di Rimini commissiona a Fellini, all’epoca era diciassettenne, una serie di caricature di
2
N. Bou, “Nuovi spazi per sognare. La rappresentazione del desiderio nel cinema di Fellini”, in La
strada di Fellini. Sogni, segnacci, grafi, immagini e modernità del cinema (a cura di G. Frezza e I.
Pintor), Napoli: Liguori, 2012, p. 59.
3
F. Fellini, Fare un film. Con l’Autobiografia di uno spettatore di Italo Calvino, Torino: Einaudi, 1993, p.
3
famosi attori americani per richiamare gli spettatori al cinema. Fellini in questi anni fa anche
caricature ai bagnanti sulla spiaggia di Rimini. L’anno successivo il popolare settimanale italiano
La Domenica del Corriere pubblica le sue prime vignette umoristiche. Ma Federico ha voglia di
lasciare Rimini e così nel 1939, a diciannove anni, si trasferisce a Roma. La sua partenza da
Rimini e il suo arrivo alla Stazione Termini di Roma saranno descritti, rispettivamente, nei film I
vitelloni e in Roma.
(slide 8) A Roma Fellini si mantiene facendo il vignettista e riesce a entrare nella
redazione del periodico politico umoristico il Marc’Aurelio, giornale con il quale collaborerà fino
al 1942. Intanto nel 1940 l’Italia fascista entra in guerra. Fellini ha iniziato a lavorare anche alla
radio per trasmissioni umoristiche e si sta sempre più affermando come sceneggiatore
cinematografico.
(slides 9–10–11) Durante la guerra, nel 1942, Fellini incontra Giulietta Masina, una
giovane studentessa e attrice dilettante di grande talento. Federico e Giulietta si fidanzeranno dopo
pochissimo tempo e si sposeranno l’anno successivo (1943). Diversissimi in tutto, formeranno
una coppia molto unita, che durerà tutta la vita. Federico confessa che “con la sua aria da folletto
Giulietta gli mette allegria” 4 anche se Giulietta incarna certamente solo un aspetto
dell’immaginario femminile di Fellini. All’opposto ci sono infatti le cosiddette immagini
femminili “felliniane”, come l’amante di 8 ½ interpretata da Sandra Milo, la Gradisca di
Amarcord o le molteplici figure di donne disegnate nel suo Libro dei sogni.
Da un lato c’è dunque “Giulietta”, ovvero la figura ingenua che dà forma al rapporto
magico con il mondo, dall’altro ci sono le amanti, le prostitute, le donne esageratamente sessuate
che incarnano il desiderio maschile: entrambe sono fondamentali nell’immaginario felliniano e
rappresentano due modalità di accesso alla creatività visionaria di Fellini: più infantile e magica,
nel primo caso, piu adolescenziale e reale, nel secondo.
Nei suoi primi film – mi riferisco in particolare a Lo sceicco bianco, La strada, Le notti
di Cabiria - lo sguardo di Fellini si sofferma soprattutto sulla prima immagine femminile, quella
della ragazza ingenua, alle prese con una realtà ostile e deludente. Nei film della maturità
prevarranno invece le donne “felliniane”, in un alternarsi di avvicinamento e di allontanamento,
di desiderio e di paura. In termini junghiani potremmo dire che i film di Fellini mettono in scena la
sua immagine di Anima attraverso raffigurazioni opposte che vanno dalla ragazza ingenua alla
donna sessuata fino a diventare forme impersonali e disincarnate del femminile: si pensi alla
bambola meccanica in Casanova o all’immagine della luna nell’ultimo film La voce della luna.
(slide 12) Ma torniamo alla storia d’Italia. Il 25 luglio 1943 cade il fascismo,
inaugurando un periodo completamente nuovo nella vita sociale e civile degli Italiani. Fellini ne
sarà attentissimo testimone e nei suoi film descriverà il passaggio da un modo bonario di essere
alla volgarità degli anni della “neotelevisione”. Il 4 giugno 1944 gli alleati americani liberano
Roma: Federico ha ventiquattro anni e con alcuni amici disegnatori apre a Via Nazionale il
4
T. Kezich, Federico. Fellini, la vita e i film, Milano: Feltrinelli, 2010, p. 54
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negozio The Funny Face Shop, dove fa le caricature dei soldati americani a Roma. Nel frattempo
Fellini continua a scrivere per il cinema, affermandosi come uno dei migliori sceneggiatori sulla
piazza di Roma. Sua, ad esempio, la sceneggiatura di Roma città aperta (1945) e Paisà (1946) di
Rossellini.
(slide 13) La vita di Federico però non è fatta solo di successi, di allegria, di denaro e di
divertimenti, ma anche di lutti e di prove. Pochi mesi dopo il matrimonio, Giulietta rimane incinta
ma abortisce quasi subito a causa di una caduta. Nel 1945, rimasta di nuovo incinta, dà alla luce
Federichino (Pierfederico), che muore dopo solo due settimane di vita. Si dice che questi
avvenimenti avvicinarono spiritualmente i coniugi, mettendo però una fine prematura al loro
rapporto fisico.
Federico intanto si cimenta nelle sue prime esperienze di regia. Nel 1951 firma con
Alberto Lattuada la regia di Luci del varietà e nello stesso anno inizia la lavorazione del suo primo
vero film da regista Lo sceicco bianco, che uscirà nelle sale nel 1952.
(slides 14-15) Lo sceicco bianco è una storia tutta giocata tra fantasia e realtà, nella quale
sono già riconoscibili alcuni temi portanti della poetica felliniana: la compresenza di illusione e
disillusione, la figura femminile dell’ingenua a confronto con un mondo materialistico e
disincantato. Il film, che è un capolavoro di costruzione scenica, ha un certo successo di pubblico,
ma è disdegnato dalla critica, che ancora non ha compreso la specificità del linguaggio felliniano.
Il film è già la rappresentazione dell’eccezionale capacità di Fellini di declinare insieme il
registro fantastico e immaginale con quello reale, in un sovrapporsi di piani originalissimo e
creativo.
Il riconoscimento ufficiale di Fellini regista e la sua fama dateranno soltanto dal 1953 –
Fellini ha trentatré anni - anno in cui vince il Leone d’argento al Festival del cinema di Venezia
con il suo secondo film I vitelloni.
(slide 16) I vitelloni è un film destinato a lasciare un segno indelebile nella storia del
cinema italiano. La storia ruota intorno a un gruppo di giovani di provincia, prigionieri del loro
piccolo mondo e incapaci di liberarsene. Soltanto uno, Moraldo, che rappresenta la coscienza
critica del gruppo e incarna lo sguardo di Federico – Moraldo è la prima di molte figure di
“doppio”, che Fellini costruirà nei suoi film - alla fine della storia troverà il coraggio di
fuggire. Fellini inizia a mettere in scena in modo fantastico la propria stessa storia e il suo sguardo
sulla realtà, creando personaggi maschili e femminili che di volta in volta incarneranno le sue
esperienze, le sue emozioni, le sue riflessioni.
(slide 17) Fellini ormai è già noto, ma il primo vero grande successo di pubblico lo ottiene
con il suo terzo film La strada (1954). (slides 18-19) Il film narra la storia dello zingaro Zampanò
che compra per pochi soldi Gelsomina, una ragazza ingenua che ha alcune caratteristiche
clownesche. Gelsomina diventa l’assistente di Zampanò che si esibisce per i borghi e i paesi
spezzando le catene con il torace. Durante il loro girovagare Zampanò e Gelsomina incontrano il
Matto, un funambolo che diventa amico di Gelsomina, facendole conoscere affetto e tenerezza.
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Zampanò però lo uccide durante una lite. Gelsomina impazzisce, Zampanò nell’ultima scena del
film realizza ciò che ha fatto e si dispera. Nel film lo sguardo del regista s’identifica con quello
di Gelsomina, il contesto è quello della miseria dell’Italia del dopoguerra. Il film ha volutamente
una conclusione aperta, lasciando allo spettatore l’interrogarsi sulla possibilità di redenzione di
Zampanò.
In questo film si possono notare nuovamente alcuni elementi portanti della poetica
felliniana di questo periodo: la ragazza ingenua, simile a quella de Lo sceicco bianco, che è già
anche un clown, il Matto, un funambolo che si muove nell’aria, Zampanò che raffigura la miseria
materiale e morale e l’eventuale redenzione. All’epoca i critici vollero vedere nella storia di
Gelsomina e Zampanò una metafora del rapporto tra il maschio brutale e la donna umiliata e
sottomessa, ma Fellini ne contestò l’interpretazione: “Credo che il film l’ho fatto perché mi
sono innamorato di quella bambina-vecchina un po’ matta e un po’ santa, di quell’arruffato,
buffo, sgraziato e tenerissimo clown che ho chiamato Gelsomina e che ancora oggi riesce a farmi
ingobbire di malinconia quando sento il motivo della sua tromba”.5
La Strada vince il Leone d’argento a Venezia nel 1955 e fa conquistare a Fellini il primo
Oscar come migliore film straniero. A trentacinque anni il riminese e ormai è consacrato regista di
fama internazionale.
(slide 20) Nel 1955 Fellini gira Il bidone, un film nel quale alcuni giovani mettono in atto
un raggiro ai danni di ingenui contadini, e nel 1956 Le notti di Cabiria, la storia di una prostituta in
cerca dell’amore, con il quale vince il suo secondo Oscar. La strada (1954), Il bidone (1955) e
Le notti di Cabiria (1956) sono la trilogia che porta il regista oltre il neorealismo italiano - ovvero
al di là di quel cinema che raccontava storie delle classi marginali nel dopoguerra italiano –
proiettandolo verso la narrazione fantastica del suo rapporto con la realtà che lo circonda,
attingendo a piene mani alle immagini inconsce, ai sogni e alle fantasie spontanee.
In Italia le critiche al film sono estremamente favorevoli e c’è chi parla de Le notti di
Cabiria come del capolavoro di Fellini. Giulietta considererà Cabiria il personaggio della sua vita,
e il film le varrà a Cannes il premio quale migliore attrice. Fellini intanto vince il suo secondo
Oscar e ottiene di nuovo il plauso internazionale.
(slides 21-22) Le notti di Cabiria si inserisce in un momento della storia politica e civile
italiana molto particolare. All’epoca in Italia è infatti in atto un accesissimo dibattito sulla
necessità di abolire le case di tolleranza - dibatitto che sfocerà, grazie alla Legge Merlin del 1955,
alla chiusura delle cosiddette “case chiuse”. Fellini è chiamato dentro questa polemica suo
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malgrado, infatti le intenzioni di questo come di tutti i suoi film, non sono politiche , ma
esprimono piuttosto l’esigenza di raccontare in modo fantastico a una realtà in trasformazione.
5
F.Fellini, Fare un film. Con l’Autobiografia di uno spettatore di Italo Calvino, cit., p. 60.
Per una valutazione della dimensione politica dei film di Fellini si veda A. Minuz, Viaggio al termine
dell’Italia. Fellini politico, Soveria Mannelli: Rubbettino, 2012.
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6
(slide 23) Se guardiamo a questo primo periodo della produzione artistica di Fellini dal
punto di vista del processo individuativo di cui parla Jung, possiamo dire che il regista riminese,
che ha ormai trentacinque anni, sta visibilmente entrando in una diversa fase della sua esistenza,
quella caratterizzata dalla necessità di integrare zone sempre più ampie del proprio immaginario
inconscio personale e archetipico, nei loro aspetti sia positivi che negativi. Alle soglie degli anni
Sessanta questa prima fase di confronto con le sue immagini inconsce e con i sogni si sta
concludendo ma nel frattempo un altro lutto segna la sua esistenza: muore suo padre Urbano.
Per quanto riguarda il rapporto tra realtà, fantasia e capacità visionaria che ha
caratterizzato l’atteggiamento estetico di Fellini e la sua ricerca filmica di questi anni, il migliore
modo per definirlo è quello che ci offre Fellini stesso:
“Penso che tutti da bambini abbiamo con la realtà un rapporto sfumato, emozionale,
sognato; tutto è fantastico per il bambino, perché sconosciuto, mai visto, mai sperimentato, il
mondo si presenta ai suoi occhi totalmente privo di intenzioni, di significati, vuoto di sintesi
concettuali, di elaborazioni simboliche: è solo un gigantesco spettacolo, gratuito e meraviglioso,
una sorta di sconfinata ameba respirante dove tutto abita, soggetto e oggetto, confusi in un unico
flusso inarrestabile, visionario e inconsapevole, affascinante e terrorizzante, dal quale non è ancora
emerso lo spartiacque, il confine della coscienza. […] Queste visioni infantili se continuassero con
la maturità probabilmente inghiottirebbero ogni capacità di pensare e di agire. Non si tratta di
restare in perenne contemplazione delle proprie fantasie infantili. L’importante sarebbe ritrovare
7
sul piano della consapevolezza la facoltà visionaria”.
Possiamo dire che tutto il cinema di
Fellini e il suo rapporto con le fantasie inconsce sarà improntato a questa costante ricerca di una
facoltà visionaria consapevole, capace di testimoniare i mutamenti di una nazione, di un’epoca e
personali attraverso una capacità creativa eccezionale e un registro visionario personalissimo. La
facoltà visionaria consapevole rimarrà elemento costante della sua poetica nel corso del tempo, pur
cambiando i temi di osservazione: dal conflitto tra fantasia e realtà al rapporto con le donne e ciò
che esse rappresentano, dalla riflessione sul tempo che passa, sulla malattia e sulla morte, al
processo creativo in un mondo che perde sempre più la capacità di sognare.
In termini junghiani si potrebbe dire che il percorso filmico di Fellini è stato una sorta di
lunghissima e complessa esperienza d’immaginazione attiva, un lungo grande sogno sognato e
rappresentato per l’intera durata della sua vita e la testimonianza visibile del suo processo
d’individuazione. In questa prima fase, il rapporto felice con le immagini e la fantasia creativa si
esprime ancora e soprattutto attraverso la ricerca della gioia e dell’allegria, seppure nel confronto
con un mondo che sta cambiando in peggio. Successivamente i film di Fellini esploreranno e
daranno forma anche agli aspetti oscuri del sognare, pur nella costante ricerca di una possibile
“redenzione” degli aspetti creativi della facoltà visionaria.
1959-1967
7
F. Fellini, Fare un film. Con l’Autobiografia di uno spettatore di Italo Calvino, cit., pp. 87-88.
7
Gli anni della maturità
(slide 24)
Alla fine degli anni Cinquanta inizia una seconda fase della vita professionale e artistica di
Fellini. E’ il periodo che va dai suoi quarant’anni ai cinquanta circa.
Ormai noto e apprezzato a livello internazionale, già vincitore di due Oscar e di numerosi
premi, nel 1959 si accinge a girare La dolce vita. Fellini vive ormai da lungo tempo a Roma, una
città dove si respira un’aria che lo inquieta. Il “miracolo economico” italiano ha portato
ricchezza nella città ma anche molta decadenza. La città si muove tra ricchezza, ostentazione e
decadenza. La dolce vita testimonierà questo cambiamento.
Apparentemente il tema del film è la descrizione della café-society e del mondo del
dopoguerra, ma in realtà è “una drammatica allegoria sul deserto che sta dietro la facciata di un
carnevale perpetuo” (K. p. 199). La Roma rappresentata da via Veneto è un universo del tutto
effimero e Marcello Rubini (Marcello Mastroianni), un giornalista che frequenta il jet-set romano,
è un “doppio” di Fellini che insegue una felicità irraggiungibile raccontando il gusto e il
disgusto per il mondo in cui vive. Il film, costruito intorno a quattro feste, è caratterizzato da
“un’opprimente dimensione onirica […], che termina sempre con un doloroso ritorno alla
realtà”8. Sognare non rappresenta più la gioiosa incursione in un mondo fantastico, ma diventa
anche il confronto i fantasmi angosciosi, oscuri e distruttivi, con l’altra faccia delle immagini
oniriche,.
(slide 25) La dolce vita è un film decisamente innovativo e di rottura sul piano del
costume e non manca di provocare scandalo negli ambienti clericali e di destra. Il cardinale
Giovanbattista Montini, futuro papa Paolo VI, scaglia l’anatema sul film che è giudicato
immorale, mentre sul fronte della sinistra, malgrado in precedenza ci fosse stata ostilità nei
confronti di Fellini, si mobilita in difesa del film. Queste diverse reazioni “fotografano l’Italia
alla svolta degli anni sessanta e confermano il carattere rivoluzionario del film sul piano del
costume”9. La dolce vita vince a Cannes la Palma d’oro.
(slide 26) Famosa in tutto il mondo la scena in cui Anita Ekberg, fasciata in un vestito
nero e con un cappello da prete in testa, entra nella Fontana di Trevi con Marcello Mastroianni.
In questi anni Fellini prova una grande curiosità nei confronti dei fenomeni insoliti e
parapsicologici. Va in cerca di personaggi che si dicono dotati di particolari facoltà, ma in realtà
l’incontro si rivela, come scrive Fellini stesso, “poco interessante: cessata l’esaltazione, ti
trovi di fronte a un essere vuoto, a un vestito. Ciò che dovrebbe veramente interessare è vedere
come alcune di queste creature riescono a salvare la loro individualità”.10
8
A. Quintana, Maestri del cinema. Federico Fellini, Paris: Chaiers du Cinema Sarl, p. 37
T. Kezich, Federico. Fellini, la vita e i film, cit., p. 208
10
Ibidem.
9
8
Fellini ribadisce una volta ancora l’importanza di un rapporto consapevole con il potere
creativo (e distruttivo) dell’inconscio e in questo svela una propria attitudine “junghiana” ante
litteram. La sua ricerca filmica ruoterà tutta intorno alla necessità di costruire un rapporto cosciente
e individuale con le immagini del profondo, che altrimenti rischiano di svuotare e di annientare la
personalità individuale. Della frequentazione di Fellini con personaggi che operano nel campo
della parapsicologia, ne rimane traccia, ad esempio, nel miracolo raccontato ne La Dolce vita.
(slide 27) E’ proprio in questa fase della sua vita e della sua produzione che Fellini
incontra la psicologia analitica di Carl Gustav Jung e comincia a trascrivere e a illustrare i propri
sogni in quello che diventerà Il libro dei sogni. E’ il 1961.
Se La dolce vita era stato un film rivoluzionario sul piano del costume e aveva messo
Fellini al centro dell’attenzione, La dolce vita segna una svolta anche nella vita di Fellini. Dopo
avere avuto la maggior parte dei premi cinematografici di tutto il mondo, il mondo del cinema
italiano gli si schiera contro: “l’invidia, sentimento che nell’ambiente alligna in forma
patologica, non consente alla maggior parte dei colleghi nessuna lucidità di giudizio.”11 Questi
fatti e le vicende dolorose che lo hanno già segnato spingono Fellini a entrare in analisi.
(slide 28) Si tratta di un’analisi junghiana che effettuerà con il medico Ernst Bernhard,
ebreo berlinese rifugiato a Roma, fondatore, nello stesso anno in cui Fellini inizia la sua analisi,
dell’Associazione Italiana di Psicologia Analitica (AIPA). A quanto ne sappiamo Fellini va
regolarmente da Bernhard, che abita in Via Gregoriana, dietro Piazza di Spagna, tre volte alla
settimana per quattro anni. La sua analisi durerà fino alla morte di Bernhard, avvenuta nel 1965.
La scomparsa del suo analista sarà un grave colpo per Fellini.
Fellini ricorderà Bernhard sempre con affetto, raccontando come gli avesse ispirato un
sentimento di grande pace: “Ho incontrato per mia fortuna un uomo saggio e buono che senza
deludermi nell’ansia di vedere in maniera fantastica i paesaggi del mondo magico ha spostato il
mio punto di vista. La cosa in seguito non ha perso di fascino, ma ne ha acquistato uno meno vago
e angoscioso: guardare a queste cose non come a un mondo sconosciuto fuori di te, ma come a un
mondo dentro di te. In maniera non magica, ma psicologica: in uno sforzo di familiarizzazione.
Chi veramente sa e ha realizzato se stesso è capace di tornare, senza rischi per l’igiene mentale,
12
alla spontaneità più miracolosa della vita.”
Fellini ha avuto un fugace incontro con la psicoanalisi già alcuni anni prima, nel 1954,
subito dopo la lavorazione di La Strada. Durante le riprese Fellini aveva cominciato a soffrire di
una grave forma d’insonnia ed era caduto in una profonda depressione. All’epoca, Giulietta
Masina, che si era resa conto del grave disagio del marito, aveva chiamato lo psichiatra e analista
freudiano Emilio Servadio.
11
Ivi, p. 211.
12
Ivi, p. 91.
9
Gli incontri di Fellini con Servadio non furono però molti perché, come racconta un suo
biografo, “il rapporto freudiano fra analista e paziente […] imbarazzava [Fellini], il suono
dell’orologio che annuncia lo scadere del tempo gli sembrava una cesura burocratica, steso sul
lettino provava una soffocante sensazione di claustrofobia.”13 Si narra anche che un giorno,
durante un temporale, Fellini fuggì letteralmente dalla stanza d’analisi. Sotto l’acqua, incontrò
per strada una bellissima donna che gli offrì di ripararsi sotto il proprio ombrello. Tra Fellini e la
sconosciuta iniziò, da quello stesso pomeriggio, una storia di incontri che durarono alcuni anni.
L’esperienza junghiana con il Ernst Bernhard è molto diversa da quella con Servadio.
Sensibile alla dimensione misteriosa dell’esistenza, durante le sedute Bernhard utilizza l’ I
Ching come libro oracolare e concentra la propria attenzione sui sogni, che considera più
importanti del pensiero in stato di veglia. Fellini, che è un assiduo frequentatore del mondo onirico,
delle fantasie e dell’immaginazione, si trova completamente a suo agio nella relazione con
Bernhard e inizia a osservare, a trascrivere e a illustrare i propri sogni in due grandi libri mastri di
diverso formato che diventeranno in seguito Il libro dei sogni.14
Il primo “librone” - così lo chiama Fellini – copre un periodo che va dal 1960 al
1968, il secondo, dal 1973 al 1990. Mancano i sogni compresi tra il 1968 e il 1973, non si sa se
perché in quel periodo Fellini smise di scriverli oppure perché un libro intermedio è andato perso.
Per la ricchezza e la complessità dei temi, il libro dei sogni di Fellini richiederebbe
senz’altro una trattazione a parte. Si può però affermare che l’attenzione sistematica ai sogni e
la loro trascrizione corrisponde a una svolta decisiva nel cinema di Fellini, che da questo momento
diventerà sempre più consapevolmente onirico, alla costante ricerca espressiva di quella
“spontaneità miracolosa della vita”, che va oltre l’angoscia della realtà. Fellini amava dire che
“i sogni sono il cinematografo degli indigenti”15 e che i sogni sono sempre stati parti integranti
delle sue fantasie e dei suoi film.
Questo periodo e il suo rapporto con le immagini inconsce può bene essere riassunto dalle
parole che Fellini dedica a Jung e alla psicologia analitica:
“Ciò che ammiro sconfinatamente in Jung è l’avere saputo trovare un punto
d’incontro tra scienza e magia, tra razionalità e fantasia: il consentirci di attraversare la vita
abbandonandosi alla seduzione del mistero con il confronto di saperlo assimilabile dalla ragione.
[…] Di Jung ammiro e invido l’onestà incrollabile alla quale non è mai venuto meno. Eppure
Jung mi sembra che non sia amato né ammirato come dovrebbe: l’umanità ha avuto nel nostro
secolo un tale compagno di viaggio per circondarlo, nella maggior parte dei casi, di una diffidenza
16
stolida.” […] “Qualche anno fa lessi e non completamente un libro di Jung, La realtà
dell’anima17: allora mi parve di capire ben poco. Più tardi mi capitò in mano il saggio di Jung su
13
Ivi, p. 158.
F. Fellini, Il libro dei sogni, Milano: Rizzoli, 2007.
15
Ivi, p. 15.
16
F. Fellini, Fare un film, cit., p. 92.
17
Fellini fa riferimento al volume C.G. Jung, La realtà dell’anima, pubblicato da Astrolabio-Ubaldini,
che raccoglie dieci saggi di C.G. Jung.
14
10
Picasso e ne rimasi abbagliato: non avevo mai incontrato un pensiero più lucido, umano e religioso
in un senso che mi era sconosciuto. E’ stato come l’aprirsi di panorami sconosciuti, la scoperta
di nuove prospettive da cui guardare la vita, la possibilità di fruire delle sue esperienze in modo
più coraggioso, più vasto, di recuperare tante energie e tanti materiali sepolti sotto le macerie di
timori, inconsapevolezze, ferite trascurate.”18
(slide 29) In questo clima di rapporto consapevole con i sogni e con la creatività
visionaria, nel 1962 Fellini gira 8 ½. Ha appena terminato le riprese di Le tentazioni del dottor
Antonio (1961) un episodio del film Boccaccio ’70 nel quale descrive il conflitto tra morale
repressiva e desiderio sessuale in modo del tutto libero, innovativo e creativo.
(slides 30-31) 8 ½ è la riflessione di Fellini sul cinema e sull’esperienza di regia
attraverso il personaggio di Guido Anselmi (Marcello Mastroianni), di nuovo un suo doppio, alle
prese con un immaginario che sta prendendo caratteristiche sempre più angosciose. I critici
considerano 8 ½ il massimo punto d’arrivo della carriera di Fellini e senza dubbio il film è una
delle opere più ammirate e amate della storia del cinema, un’esplosione di vitalità e di genialità
nella quale la dimensione della soggettività di Fellini e la sua rappresentazione diventano centrali:
“[…] in 8 ½ il massimo dell’autobiografia coincide con il massimo dell’oggettività, verità e
menzogna sono due facce della stessa cosa. Il film, come narrazione della vita e dei problemi di
Fellini, è attendibile fino al punto in cui diventa completamente fantastico.”19
A questo punto della sua carriera, a Fellini non interessa più che i suoi film siano belli o
20
brutti, ciò che gli importa e che siano “vitali.” Il conflitto tra fantasia creativa e realtà è ancora
fondamentalmente in equilibrio.
(slide 32) Segue la regia di Giulietta degli spiriti (1965). Se 8 ½, ruota tutto intorno al
personaggio maschile di Marcello Rubini (Marcello Mastroianni), Giulietta degli spiriti (1965),
interpretato da Giulietta Masina, ne è la controparte femminile. Si tratta della storia di una donna
soffocata dalla famiglia, i cui fantasmi interni popolano la scena. Il film è la descrizione di un
viaggio interiore femminile alla ricerca della propria verità attraverso lo spiritismo.
Come si diceva, in questi anni Fellini ha sviluppato un’intensa curiosità per i fenomeni
occulti – come non ricordare, a questo proposito, che anche per Jung il primo interesse fu
l’esperienza spiritica della cugina Helene Preiswerk?21 - ed è convinto che “il cinema è
un’arte particolarmente adatta a perforare la comune realtà e a evocarne un’altra, metafisica e
22
ultrasensibile.” Fellini come Jung sono molto interessati alla dimensione misteriosa
dell’esistenza e ai fenomeni paranormali e cercano di coglierne le dinamiche e i segreti, il primo
attraverso i film, il secondo attraverso un percorso di riflessione psichica. Si potrebbe dire che per
18
Fellini, F., Fare un film, cit., p. 92.
T. Kezich, Federico. Fellini, la vita e i film, cit., p. 235.
20
Ivi, p. 234.
21
Cfr. C.G. Jung, Psicologia dei cosiddetti fenomeni occulti, in Opere, vol. 1, Torino: Boringhieri, 1970,
pp. 15-98.
22
T. Kezich, Federico. Fellini, la vita e i film, cit., p. 248.
19
11
Fellini il processo di individuazione è stato soprattutto di tipo estroverso e artistico, mentre per
Jung è stato psicologico e introverso.
A questo proposito tra la fine della lavorazione di 8 ½ e la regia di Giulietta degli spiriti,
sotto proposta e controllo medico, Fellini si sottopone a un esperimento con l’ LSD 25, un
allucinogeno sintetico. L’esperimento non lascerà una particolare impressione a Fellini né avrà
una particolare ricaduta sul suo modo di fare film, rinforzando in lui la convinzione che si debba
sviluppare un rapporto consapevole con l’immaginario profondo e che un’esplosione
incontrollata di immagini inconsce non solo non serva al processo creativo ma possa essere
pericoloso per l’integrità dell’artista.
A differenza di 8 ½, che fa vincere a Fellini il suo terzo Oscar, Giulietta degli spiriti
(1965) riceve un’accoglienza tiepida e nessun festival lo accetta. Fellini è inquieto e nel 1967 ha
un primo infarto, che lo obbliga a vari mesi di degenza in ospedale. Fellini ha quarantasette anni.
(slide 33) E’ in questo momento che Fellini pensa alla sceneggiatura di Il viaggio di G.
Mastorna, film mai portato a compimento sia per difficoltà oggettive, sia per i suoi problemi di
salute. Significativa la storia, che avrebbe dovuto ruotare intorno a una riflessione sull’ “essere
morti”:
Giuseppe Mastorna è un clown che suona il violino e il violoncello. E’ in aereo verso
una capitale nordeuropea non meglio identificata. C’è un atterraggio di emergenza. Mastorna è
alloggiato in un albergo in una foresta, illuminato da candele. Una danzatrice del ventre si sta
esibendo in un conturbante spettacolo, ma mentre danza è colta dalle doglie e partorisce. Mastorna
torna nella propria stanza e accende la televisione: l’annunciatrice, che parla tedesco, annuncia
che c’è stato un disastro aereo sulle montagne e che non ci sono superstiti.23
La storia si interrompe a questo punto, ma dalle note di sceneggiatura di Fellini si intuisce
che il disastro aereo di cui si parla nel telegiornale e che non ha fatto superstiti riguarda l’aereo
di Mastorna: egli è dunque morto e il suo sguardo è quello dall’Aldilà.
(slide 34) In questo clima di riflessione sulla morte, Fellini ha una fantasia catastrofica a
occhi aperti: “per un attimo ha la sensazione di vedersi crollare addosso tutto intero il duomo di
Colonia, un mattone dopo l’altro, e quando riprende coscienza si accorge di avere fatto un balzo
24
di quattro metri. Lo strano episodio lascia il protagonista frastornato e impaurito.” Anche in
questo caso viene alla mente un parallelo con Jung e il sogno della cattedrale di Basilea, raccontato
25
in Ricordi, sogni e riflessioni . Mentre per Jung quel sogno significò giungere all’esperienza
dell’illuminazione e della beatitudine, per Fellini invece il sogno del duomo di Colonia rimane
incomprensibile, incompiuto e angoscioso e non porta alla possibilità di elaborare la realtà psichica
del “dopo”.
23
Cfr. F. Fellini, Il viaggio di G. Mastorna, (a cura di E. Cavazzoni. Prefazione di V. Mollica), Macerata:
Quodlibet, 2008.
24
T. Kezich, Federico. Fellini, la vita e i film, cit., p. 263.
25
C.G. Jung, Ricordi, sogni, riflessioni di C.G. Jung, (a cura di A. Jaffé), Milano: Rizzoli 1961.
12
Da questo punto di vista potremmo notare di nuovo una differenza significativa tra il
percorso individuativo e di confronto con le immagini inconsce di Fellini e quello di Jung.
Quest’ultimo riuscirà infatti a integrare il proprio difficilissimo confronto con l’Ombra e la
morte raggiungendo l’esperienza della totalità. Fellini approderà invece al silenzio espressivo,
decidendo, dopo avere girato La voce della luna (1990), di non girare più alcun film.
1967-1993
Gli anni della malattia, la morte e il “grande futuro”
(slides 35)
Negli anni compresi tra il 1967 e il 1993 – sono gli anni in cui Fellini ha i due infarti e
poi i due ictus che lo porteranno alla morte – il regista riminese è particolarmente produttivo e nei
suoi film si confronta con i temi della vecchiaia, della malattia e con un passato di fantasia magica
e innocente ormai irrimediabilmente perduto. La dimensione onirica è centrale, anche se i sogni di
Fellini di questi anni sono per larga parte di contenuto sgradevole: “l’intero libro dei sogni è
26
attraversato dalla presenza della morte, o quanto meno, del rischio, del pericolo, del disagio.”
Gira Toby Damnit (1968), un episodio del film Tre passi nel delirio, tratto da un racconto
di Edgar Allan Poe; Block-notes di un regista (1968), un documentario per la televisione
americana che è una sorta di meta-discorso sul processo creativo; il Fellini Satyricon (1969), un
ideale prolungamento de La dolce vita nel quale la dimensione onirica è ancora più accentuata;
Roma (1971), una storia raccontata sui tre registri del mito, dell’attualità e dell’inconscio;
Amarcord (1972), il film nel quale Fellini reinventa la propria adolescenza e per il quale vince il
suo quarto Oscar. In questi anni Fellini realizzerà anche Il Casanova di Federico Fellini (1976), La
città delle donne (1979), Prova d’orchestra (1978), E la nave va (1983), Ginger e Fred (1985),
Intervista (1987) e infine La voce della luna (1990).
(slide 36) Durante le riprese di Toby Damnit Fellini ripete che il regista deve individuare
“le prospettive del buio”. Fellini è entrato in una fase produttiva nella quale prevale “lo
sbigottimento di ritrovarsi accanto alla macchina da presa come un sopravvissuto.”27
Ma concentriamoci su Fellini Satyricon (1969), Roma (1972) e Amarcord (1973).
(slide 37) Per quanto riguarda il Fellini Satyricon (1969) Fellini trova una grande
somiglianza tra la Roma decadente di Petronio e il mondo attuale, “con questa smania buia di
godere la vita, la stessa violenza, la stessa vacanza di principi, la stessa disperazione, la stessa
26
T. Kezich, Somnii Explanatio ovvero In quel regno dove tutto è possibile, in F. Fellini, Il libro dei sogni,
Milano: Rizzoli, 2007, p.11.
27
T. Kezich, Federico. Fellini, la vita e i film, cit., p. 277.
13
28
fatuità” La Roma evocata da Fellini è una Roma spettrale, emblema di una civiltà in crisi che
distrugge se stessa. Il film inscena una romanità vissuta in chiave decisamente ipnagogica. Fellini
definisce il suo Satyricon “un film di fantascienza del passato ”29 e per la prima volta confessa
di provare una profonda nostalgia per il proprio stesso passato. Fellini ha quarantanove anni.
Girare questo “favolone suggestivo e misterioso”30, un film diverso da quelli precedenti,
fa però riscoprire a Fellini “un piacere, un fervore gioioso” che temeva perduti. “Mi pare di
sentire che la mia voglia di fare cinema non si è esaurita.”31 La crisi personale che ha vissuto in
questi anni, si trasforma ora nella necessità leggere la realtà in modo globale, penetrandone il
mistero. Filmare è sempre più sognare.
(slides 38-39-40) Nel 1972, dopo avere girato I clowns, un “filmetto” – così lo
definisce il regista - per la televisione, Fellini si cimenta con Roma, la città metafora della grande
madre prostituta. Si tratta di un film nel quale tre livelli di rappresentazione si intrecciano e si
sovrappongono: Roma la città eterna, Roma reale e Roma come sogno e proiezione
dell’inconscio di Fellini. Anche Roma è un film sulla morte e descrive una città ben lontana da
quella raccontata ne La dolce vita. Il film inizialmente non riscuote particolari consensi, sollevando
una polemica con le femministe per un manifesto nel quale è raffigurata una ragazza carponi con le
mammelle della lupa capitolina. Ben presto diventa invece una delle opere più ammirate di Fellini.
(slide 41) Un anno dopo gira Amarcord (1973), film dedicato alla propria adolescenza
rivisitata. Il titolo in dialetto romagnolo significa “Mi ricordo”. Rimini e i ricordi
dell’adolescenza di Fellini sono narrati come dimensione della memoria, su un registro
totalmente soggettivo. Il ricordare di Fellini in Amarcord è infatti un inventare che attinge a piene
mani alla tecnica del fumetto e alle caricature. Per un momento i fantasmi che hanno popolato
l’immaginario di Fellini negli ultimi anni e negli ultimi film sembrano dissipati. Fellini riesce a
coniugare in modo assolutamente geniale la dimensione personale dei suoi ricordi a quella
archetipica, rendendo i personaggi riminesi dei caratteri universali.
Il successo del film è enorme e Fellini raggiunge l’apice della propria produzione e del
proprio stile. Il film ottiene l’Oscar, il quarto dopo La strada, Le notti di Cabiria e 8 ½.
Fellini commenta così il proprio film:
“Amarcord voleva essere il commiato definitivo da Rimini. […] Soprattutto Amarcord
voleva essere l’addio a una certa stagione della vita, quell’inguaribile adolescenza che rischia
di possederci per sempre, e con la quale io non ho ancora capito bene che si deve fare, se
portarsela appresso fino alla fine, o archiviarla in qualche modo.”32
28
Ivi, p. 105.
Ivi, p. 279
30
Ivi, p. 107.
31
Ivi, p. 105.
32
Ivi, pp. 151-152.
29
14
L’entusiasmo legato al successo di Amarcord porta i produttori a proporre nuovi
contratti a Fellini. Dino De Laurentis si aggiudica il progetto su Casanova, un titolo che, a detta di
Fellini, era stato “buttato lì” e che porta a “una firma incautamente posta a un contratto
incautamente proposto.” 33 Casanova incarna per Fellini il progetto di rappresentare “una
marionetta funerea”, un uomo che ha perso la propria vitalità. Fellini è di nuovo catturato dal
mistero della morte e con il Casanova conduce lo spettatore “in un mondo spettrale, i cui desideri
si congelano, i personaggi divengono automi e il tempo della giovinezza sparisce
34
nell’eternità.”
(slide 42) A differenza di Amarcord, Casanova di Fellini è un fiasco. Il Casanova, come il
successivo La città delle donne (1980), sono due opere “allucinate” che descrivono l’incontro
tra il maschio e la dimensione femminile nei suoi aspetti più inquietanti e mortiferi, in una forma
visionaria portata alle sue estreme conseguenze. Fellini ha immaginato l’antieroe Casanova come
“un vitellone invecchiato”, che dà forma a una discesa nel mondo dei morti in un continuo
confronto con i propri fantasmi. Il regista confessa che avrebbe voluto fare “un film totale”
ovvero “un film con una sola immagine, estremamente fissa e continuamente ricca di
35
movimento.” Fellini cerca sempre più di penetrare il mistero dell’ignoto e di raffigurarlo
attraverso le immagini.
In giro per il mondo il film semina “sconcerto, antipatia e anche rabbia”. In Italia e sul
mercato americano il film non è affatto apprezzato, mentre in Giappone riscuote grande successo.
In questo momento l’Oriente sembra molto più capace di cogliere l’universo onirico felliniano
e di capirne la profondità e la grandezza di quanto non avvenga in Italia e in Occidente.
(slide 43) Le vicissitudini del Casanova fanno crescere in Fellini un grande risentimento,
che sarà espresso in Prova d’orchestra (1978), il film più appassionato, concitato e politico della
sua produzione. Il film è “una favola politica sulla disciplina e il potere della creazione
36
artistica” ma è anche la rappresentazione del “crollo generale della speranza che dopo la metà
degli anni settanta viene chiamato riflusso.”37 L’orchestra diventa metafora del mondo e i
musicisti incarnano personaggi detestabili. Il film suscita un vivace dibattito politico, che tende ad
attribuire al film significati che Fellini non intendeva dargli. Forse il film è semplicemente
l’espressione del pessimismo che in questo momento invade il regista.
(slide 44) Un’altalena di critiche e di consensi ma, in generale, una tiepida accoglienza
accompagnano anche l’uscita del film successivo, La città delle donne (1977), la storia di un
sogno-incubo del protagonista Snaporaz (Marcello Mastroianni) che si ritrova in un albergo dove
c’è un congresso di femministe. Le femministe contestano il film, Fellini intanto sta di nuovo
33
34
35
T. Kezich, Federico. Fellini, la vita e i film, cit., p. 307.
A. Quintana, Maestri del cinema. Federico Fellini, cit., p. 76
T. Kezich. Federico. Fellini, la vita e i film, cit., p. 317.
Ivi, p. 81.
37
T. Kezich, Federico. Fellini, la vita e i film, cit., p. 324.
36
15
male, soffre di insonnia e ha incubi. Ha il sogno ricorrente di essere solo su una zattera in mezzo al
mare con intorno le pinne dei pescecani…
(slide 45) Dopo cinque anni Fellini gira E la nave va (1982), un film che riscuote ampio
plauso della critica. E’ la storia di un funerale e di un naufragio, in realtà è un film che raffigura
l’atto funebre del cinema. Fellini ha sessantadue anni e mette in scena un sogno di sconfitta e di
morte, dove centrale diventa il tema della sopravvivenza. Nel film si salveranno dal naufragio
finale soltanto il narratore e un rinoceronte. Ma E la nave va è anche e soprattutto un film
traboccante di animazione e colori ed è girato magistralmente.
(slides 46) Il naufragio de E la nave va è lo stesso naufragio del mondo dello spettacolo
che Fellini rappresenterà di nuovo in Ginger e Fred, la storia due personaggi ormai anziani che
incarnano ciò che è andato irrimediabilmente perduto. Il film è una critica indiretta alle televisioni
commerciali, che si sono affermate in Italia alla fine degli anni Settanta, dando forma a un mondo
di rappresentazioni sciatte, brutali e maleducate. Nel film Fellini raffigura l’esigenza di vivere e
di essere creativi, comunque e a qualsiasi costo.
Intanto sul versante privato Fellini deve affrontare un altro lutto e la malattia. Nel 1984
muore sua madre Ida e nel 1985, mentre gira Ginger e Fred, ha un secondo infarto. Fellini non
smette di girare, sempre alla ricerca di nuove immagini per la sua creatività. (slide 47) E’ del
1987 Intervista, un film costruito tra presente e passato nel quale Fellini è in scena con i suoi
personaggi. E’ un gioco di specchi dal quale emerge l’autoritratto di Fellini regista all’opera.
Il film è bene accolto al Festival di Cannes.
(slide 48) Passano altri due anni e nel 1989 Fellini firma la regia di La voce della luna, il
suo ultimo film. La storia ruota intorno al personaggio di Ivo Salvini (Roberto Benigni) che sente
le voci del profondo che gli parlano dai pozzi. La storia si svolge in una cittadina di provincia che
ha perso ogni traccia del proprio passato. Ivo cerca la realtà nascosta e la verità del mistero dietro
la realtà apparente, ma nessuno gli presta ascolto. Si tratta di un film che cerca di ricostruire un
universo poetico nella confusione, nel rumore e nella volgarità del presente.
(slide 49) Malgrado la sua dimensione poetica, il film si rivela un fallimento. Dopo questa
alternanza di successi e insuccessi, Fellini decide allora che è giunto il momento di porre fine alla
propria carriera artistica e sceglie programmaticamente il silenzio per comunicare ciò che ormai
sembra impossibile dire attraverso i film. In realtà non smetterà di girare e la sua ultima impresa
sarà combattere le interruzioni pubblicitarie della televisione commerciale che smembrano i film,
denunciando quel “rumore” televisivo che distrugge il rapporto con l’immaginazione
profonda.
Mentre in questo momento l’Italia e l’Occidente sembrano non essere più capaci di
apprezzare i film di Fellini, il Giappone nel 1990 gli tributa il Praemium imperiale, il massimo
riconoscimento asiatico ai maestri delle arti visive. Fellini va a ritirare il premio a Tokyo, dove
apprezza moltissimo la cortesia orientale, la discrezione e l’abitudine al silenzio, caratteristiche
tanto lontane dalla chiassosa volgarità italiana. Durante la momentanea ritrovata serenità a
16
confronto con l’Oriente, un altro grave lutto colpisce però Fellini: muore il fratello Riccardo, con
cui il regista non si frequentava da anni. Federico è tormentato dai rimorsi. Pur in una gravissima
crisi personale, Fellini cerca di esprimere ancora la propria creatività girando tre spot pubblicitari
per la Banca di Roma, tre raccontini che sono una sorta di testamento spirituale del regista, un
momento di gioia creativa giocata tra angoscia e bisogno di sicurezza. I tre piccoli racconti
attingono direttamente ad alcuni dei sogni che Fellini ha trascritto e illustrato nel suo “librone”
dei sogni.
Gli ultimi anni della vita di Fellini sono senza dubbio caratterizzati da una crescente
malinconia e dalla difficoltà di attingere nuova energia vitale dalla realtà dei sogni a causa
dell’insonnia resistente che lo rende psicologicamente impotente. Fellini lentamente rinuncia a
capire la realtà misteriosa dell’inconscio, così come profeticamente aveva sognato il 20 agosto
1984: “Tutto ciò che possiamo fare è tentare di raggiungere la consapevolezza che siamo parte di
questo imperscrutabile mistero che è il creato. Ubbidiamo alle sue leggi inconoscibili, ai suoi ritmi,
ai suoi mutamenti. Siamo misteri tra i misteri.”38 La rassegnata accettazione dell’inconoscibile
lo porta ora a “una disperazione serena.”39
(slide 50) Nel 1993 Fellini riceve il suo quinto Oscar, quello alla carriera, ma nello stesso
anno è colpito da due ictus che lo paralizzano nella metà del corpo. Morirà poco dopo a Roma.
Giulietta Masina, già malata, si spegnerà cinque mesi dopo.
(slide 51) Folle di persone salutano il regista nello studio 5 di Cinecittà, la casa creativa di
Fellini, dove è allestita la camera ardente. A livello collettivo accade ora ciò che il regista si era
prefigurato di ritorno da Hollywood, dopo avere ricevuto l’Oscar alla carriera, ovvero il
superamento della sua morte:
(slide 52) “[Ora] non posso più neanche morire perché ormai ho ricevuto tante di quelle
gratificazioni per cui a che scopo morire? Ecco, forse questo mi garantisce un’immortalità nel
senso che non serve più morire perché tutto il bene possibile, tutte le manifestazioni di affetto e di
stima sono già avvenute in quest’occasione…”40
(slides 53) I giornali di tutto il mondo riconoscono ora all’unisono la genialità artistica
del Maestro e uno di questi titola “Per Fellini comincia ora un grande futuro”: quel grande
futuro che, ad esempio, ci vede oggi qui, a onorare insieme la sua originalissima capacità di dare
forma visibile alla creatività visionaria, nella consapevolezza che il sogno e la creatività inconscia
sono stati per Fellini, come per Jung, la vera prima materia del loro percorso personale e artistico.
Grazie.
38
F. Fellini, Il libro dei sogni, cit., p. 16.
T. Kezich, Somnii Explanatio ovvero In quel regno in cui tutto è possibile, cit., p. 15.
40
T. Kezich, Federico. Fellini, la vita e i film, cit., pp. 381-82
39
17
Bibliografia
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19
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