Franco Quesito Dal discorso del padrone al discorso del

Transcript

Franco Quesito Dal discorso del padrone al discorso del
1
Franco Quesito
Dal discorso del padrone al discorso del potere globalizzato
Di Freud e del discorso del padrone
L’uso del termine “discorso” - in questo nostro caso - è sostenuto dalla esigenza di
riferirsi ad una pratica descrittiva utile per tentare una definizione di situazioni
storiche e linee di sviluppo, che riguardano l’esercizio delle funzioni di enunciazione
del dire di un osservatore e dalla contemporanea funzione dell’uso dello stesso
termine usata in Lacan nel Seminario XVII, ove “discorso” è un significante appunto
“lacanizzato” per poter diventare una struttura atta a dare scrittura/struttura algebrica
della logica del legame sociale e di come in esso si inserisca, o ne venga reso
inammissibile, il godimento. Rinunciamo quindi ad una derivazione etimologica tale
per cui il discorso consisterebbe in una serie di argomenti interconnessi a mo’ di
metodo d’esposizione oratoria e ne preferiamo l’aspetto capace di una funzione
descrittiva.
Con Freud si è improntato un filone di ricerca teorica – successivamente alla prima
topica e cioè dal 1920 in poi – che eccede l’aspirazione ad iscrivere la neonata
psicoanalisi all’interno del campo dell’intervento medico sulla risoluzione del
sintomo. Dovendo tener in debito conto il panorama scientifico dell’epoca (ovvero la
quasi totale ignoranza circa l’eziologia della sofferenza psichica e ogni tipo di tecnica
dell’intervento terapeutico), non ci può però sfuggire anche l’abissale distanza che
intercorre tra il Freud delle Minute a Fliess – da cui poi si è ricavato il Progetto di
una psicologia, che invito tutti a leggere - e il potente Freud del Mosè, testo ancor
tutto da scoprire.
Nell’iniziale ricerca delle Minute si trovano molti dei punti chiave del lessico
freudiano successivo ma questo è tutto un lavoro di neurologo fatto di cariche e
contro cariche adatte più alla moderna ricerca delle neuro scienze che al Freud dei
casi clinici “che sembrano delle novelle”. Il linguaggio e i concetti trovano una svolta
clamorosa dopo Gli studi sull’isteria e la Traumdeutung e passano da un’impronta
decisamente rivolta al tentativo d’iscrivere la psicoanalisi al campo delle tecniche di
terapia della malattia nervosa – costitutiva del periodo dell’ipnosi – all’abbandono
dell’idea di ritrovare nel cervello le aree della collocazione dell’attività mentale
(tipica di tutto il campo della ricerca neuro scientifica).
Sarebbe un’ottima cosa poter rincorrere nel corso degli scritti freudiani il mutarsi
della sua prospettiva teorico scientifica, ove assai probabilmente anche a lui sfugge la
portata della sua stessa rivoluzione paradigmatica che vorrei semplificare così: egli
passò dalla ricerca endogena del sintomo alla ricerca esogena sul sintomo. Si trattò,
infatti, di sfuggire all’idea dell’esistenza di una causa implicitamente a carico del
somatico per giungere all’ipotesi di un tratto di variabilità presente nel pensare (con
le funzioni del rappresentare, del desiderare, del giudicare e del parlare), che
chiamava in causa il ruolo del sociale quale induttore della struttura culturale del
2
pensiero individuale attraverso le diverse e complementari interazioni
dell’appartenenza di ogni essere umano a sottoinsiemi portatori di un qualche senso
di rappresentazione della realtà, per poi essere il tutto ricompreso all’interno di
insiemi sempre più strutturanti e complessi.
In questa via anche la funzione – ammesso che ve ne sia una – della psicoanalisi virò
nel pensiero Freudiano dall’iniziale pretesa di funzionalità terapeutica sul modello
medico, alla successiva esigenza di interrogare le strutture dei legami sociali. In tal
senso rimando ogni curiosità alla lettura del Breve compendio di psicoanalisi del
1923 e al successivo Resistenza alla psicoanalisi che sono dei veri manifesti
freudiani circa gli sviluppi futuri di una psicoanalisi svincolata dalla presa della
lettura del sintomo quale accidente da eliminare e dell’impegno per gli psicoanalisti
del futuro ad usare la psicoanalisi quale strumento d’interpretazione dei legami
sociali. La curiosità di Freud per tale direzione della sua ricerca è già testimoniata in
Totem e tabù (1913) e da Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921) e sarà di qui
che avverrà la costruzione teorica del concetto di Super-Io, oggetto ancora
prigioniero della sua duplice funzione distinta in Ideale dell’Io e Io ideale che sortirà
unificata nella seconda topica. Forse non è ancora chiaro ed in tal caso vale la pena di
esplicitarlo: nella seconda topica Freud introduce la questione della nevrosi nel
campo dei legami sociali e apre il campo dell’esistenza del conflitto Io e l’Altro quale
conflitto che non ha soluzione, e in Il disagio della civiltà (1929) pagherà il pegno di
un soggetto a cui vengono chiesti continui sacrifici pulsionali e a cui viene permesso
magari lo scampo della sublimazione.
La riflessione intorno al Discorso del padrone s’apre proprio di qui, dal terreno della
definizione freudiana della nevrosi, ovvero in quel “non puoi”, presentato in L’Io e
l’Es (1922), che ha per evidente protagonista il triangolo edipico, ove il padre
funziona da interdetto del desiderio pulsionale incestuoso del figlio e
contemporaneamente però instaura il tempo della Legge, l’elemento nevrotico del
discorso civile.
È – e deve esserlo chiaramente onde non mescolare l’elemento temporale in una
miscellanea ove il prima e il dopo si confondono – noto che il tempo della vita di
Freud termina il 23 settembre 1939 ed sarebbe quindi ingiusto imputargli ciò che
avverrà nel tempo successivo. In quel tempo storicamente determinato la domanda
sociale all’individuo (perlomeno restando nel terreno dell’occidente) fu pertinente
con questa questione del divieto, della rinuncia ad un soddisfacimento pulsionale
immediato in cambio della gratificazione dell’approvazione del sociale ed è in questo
senso che assume significato la questione della sublimazione come meccanismo di
difesa, ovvero di una scelta operativa ove al soggetto sociale resta lo scampo di
mettere la propria energia pulsionale censurata al servizio di un'impresa socialmente
accettata onde averne una gratificazione, grazie alla plasticità della libido
nell’impossibile – o per lo meno complicata – afferrabilità dell’oggetto nel percorso
pulsionale di fonte-spinta-oggetto-meta.
3
Questo curioso preambolo serve ad introdurre il Discorso del padrone di Lacan nel
campo del disagio della civiltà, trovando una continuità diretta nel lavoro dell’uno e
dell’altro, che magari per qualcuno è scontata ma per altri non lo è affatto.
Questa continuità è messa in discussione prevalentemente dall’uso di lemmi diversi
ed è noto che Lacan applica alla sua teoria una matematizzazione i cui simboli sono
poi appunto di difficile, incerta e lenta decifrabilità; ciò – pensiamo –sia dovuto più
alla sua capacità di articolare la complessità attraverso una costante messa in
questione di ogni questione, che alla volontà di circoscrivere in un matema una
definizione impossibile. L’attesa è quindi quella di provocare la costante revisione
del detto attraverso l’imprecisione volontaria della matrice. D’altro canto il matema è
appunto un discorso senza parole; ove il discorso parlato produce malinteso esso non
è che una struttura vuota atta a trasmettere la struttura del discorso, cioè un supporto
per il pensiero che vi trova conto delle posizioni della struttura dei legami sociali:
quasi una matrice dell’atto di prendere parola. Anche per questo quindi ci
permettiamo questa ribalderia, quella di usare senza troppa cautela il punto di arrivo
storico dell’uno come riconquista dell’altro: entrambi adatti a dare il via alla nostra
personale proposta teorica.
Com’è noto i matemi dei quattro discorsi di Lacan del Seminario L’inverso della
psicoanalisi sono composti da quattro termini algebrici che vanno ad occupare
quattro posti in quattro configurazioni entro e intorno a cui ruotano nell’insieme dei
quattro discorsi. I quattro posti sono strutturati in modo che abbiano tra di loro delle
relazioni, o non le abbiano, e definiscano sempre una struttura discorsiva:
agente
Altro
verità
produzione
 il termine agente nomina il posto che, nel quadro discorsivo, definisce
l’elemento decisivo nel dare una direzione generale al discorso stesso;
4
 il posto dell’Altro è il luogo dell’alterità (inteso come un luogo altro) a cui il
discorso s’indirizza;
 produzione segnala l’inassimilabile, il prodotto del discorso e, nello stesso
tempo, anche il suo scarto;
 verità è il posto che fonda il discorso. La verità è un luogo accessibile solo
attraverso la funzione del taglio discorsivo, ossia in un “semi-detto”; il dire è
un evento che si trova nell’effetto di ciò che ci determina: il sapere inconscio.
Avendo giocoforza dovuto dare uno spazio rappresentativo ai tetrapodi lacaniani, ora
si tratta di dare un senso nell’articolazione del Discorso del padrone che è strutturato
con:
S1
S2
S
a
Dichiariamo apertamente che non è questo il luogo per approfondire tutta la logica
dei quattro discorsi, mentre è ovviamente necessario aprire la questione definendo
che cosa significano i segni algebrici presenti, anche se questa operazione non è poi
così scontata.
S1 nel luogo dell’agente (parte superiore sinistra della formula) funziona come un
significante imperativo che fonda il discorso del padrone.
Questa situazione fa del discorso del padrone un discorso univoco, segnato dalla
volontà di dominio. Il matema di questo discorso mostra la divisione soggettiva nel
luogo della verità, ossia un misconoscimento (S sotto la barra) della verità, della
determinazione di S1 perché la posizione di dominio si sostenga.
Il livello superiore del matema (S1 − S2)1 mostra il tentativo di costituire una rete
misconoscendo S2, una scrittura della suggestione, di una parola destinata ad
affascinare, a dominare.
Dal lato del padrone è in gioco il desiderio, non si tratta di un desiderio di sapere ma
di un desiderio che la cosa funzioni.
Nella parte inferiore della formula, si trova una linea di disgiunzione che indica
impotenza tra S e a3.
1
S2, il sapere: Il significante S2 riguarda il luogo del sapere, è il significante di fronte al quale S1 rappresenta
il soggetto per un altro significante, e in concatenazione con esso si struttura la catena significante minima
(S1 − S2).
2
S, il soggetto diviso: Il soggetto è un risultato del rapporto di S1 (il significante che rappresenta il soggetto)
con l’altro significante.
3
L’oggetto a: è uno dei concetti più complicati della teoria di Lacan e comunque lo si dica è sempre
destinato a restare insufficiente. Qui ne tentiamo due aspetti: 1) Un effetto di perdita: l’oggetto a come
mancanza; l’oggetto a, in quanto causa del desiderio, è la mancanza che si localizza logicamente prima.
5
Considerando il discorso del padrone dalla prospettiva della costituzione del soggetto
dell’inconscio, cioè di un soggetto che ha rinunciato al godimento (all’incesto)
forzato dalla proibizione che comporta la castrazione simbolica, resta infine che
tuttavia questo si può procurare un modo parziale di godimento (plusgodere).
In questo senso il godimento è fondamentalmente proibito ed egli può ottenerne solo
delle briciole come plusgodere.
Volendo riassumere potremmo dire che il soggetto barrato S nel posto della verità e
latente rispetto all’agente S1, che rappresenta il significante padrone, è privo di ogni
sapere rispetto a ciò che muove il discorso, mentre l’agente, in relazione con il sapere
S2, tenta la mossa del dominio e produce un desiderio inerente alla mancanza e
dominato dal godimento costruito sul sintomo; quest’ultimo, infine, non ha relazione
alcuna con la verità e con il soggetto della mancanza, se non quella sconosciuta della
costruzione di un sintomo.
Freud aveva segnalato in Psicologia delle masse ed analisi dell’ Io che l’individuale e
il collettivo partecipano della stessa logica. Ne Il seminario, Libro XVII, Lacan mette
in evidenza che il discorso del padrone ha la stessa struttura dell’inconscio. Così
come accade nel sociale, nell’inconscio comandano i significanti padroni e gli altri
obbediscono.
Del discorso capitalista
Questa correlazione tra individuale e collettivo, stabilita da Freud e accolta nel
contesto del Discorso del padrone da Lacan stesso, ha portato Freud a scrivere uno
dei suoi tanti testi capolavoro. In Il disagio della civiltà la questione della rinuncia
pulsionale richiesta dal contesto sociale ed elaborata nella duplice forma del sintomo
e/o della sublimazione diventa elemento esplicito della clinica freudiana; nella clinica
di Lacan però il Discorso del padrone rappresenta solo una tappa della sua teoria.
Nel 1973, Lacan pubblicò Televisione, che venne tradotto in italiano e pubblicato con
il titolo Radiofonia, Televisione, ove stabilisce una variazione al suo Discorso del
padrone, si tratta del Discorso capitalista, ove egli, applicando non più il famoso
“mezzo giro” ma bensì un’inversione tra l’algebra dell’agente e della verità, apre tutta
una nuova questione a carico della verità e del soggetto barrato.
S1
S2
S
a
discorso del padrone
S
S2
S1
a
discorso del capitalista
Riguarda l’oggetto perduto, in quanto motore del desiderio. Ovvero, non è un oggetto mira ma un oggetto
che sveglia il desiderio; 2) Detto con le parole di Freud, l’oggetto a riguarda l’aspetto economico della
struttura del discorso, l’elemento extrasignificante relativo alla pulsione e al godimento.
6
Lacan opera uno scambio tra il sopra e il sotto della barra che divide il rapporto tra
l’agente e la verità tenendo però l’andamento del loro rapporto, così com’è
testimoniato dal verso del vettore che cambia direzione.
La variazione formale comporta un’alterazione profonda nel funzionamento generale
della formula.
L’agente non è più il significante S1, come nel discorso del padrone, ma il soggetto
barrato. L’S si è messo nel posto dell’agente e opera sul significante padrone
collocato sotto, nel luogo della verità. Questa inversione del vettore comporta il
rifiuto della verità del discorso perché l’agente, rifiutando la determinazione che
riceve dalla verità, passa a comandarla, visto l’orientamento del vettore verso il
basso.
Per quanto riguarda i termini, il soggetto fa parvenza di padrone e appare come se
fosse libero da S1. È come se il potere del significante come causa (nel luogo della
verità) dipendesse dal soggetto, ossia, la parvenza determina la verità, come a dire
che non c’è altra verità che la propria, è il soggetto al potere, un soggetto che non è
soggetto a nessun S1, che non è soggetto a nessuna determinazione o limite. Si tratta
della posizione del capitalismo del consumismo che ha bisogno di soggetti che non
si vergognino del loro godimento, che non trovano limite al loro consumo inteso
come godimento; non esisterebbe così una contraddizione tra ideale e godimento.
Il discorso capitalista funziona in una circolarità senza interruzioni, senza soluzione
di continuità: il capitalismo anziché mettere un limite, spinge al godimento
proponendo degli oggetti di soddisfacimento nella realtà.
La logica discorsiva del capitalismo ha generato una circolarità nel consumo senza
limiti, producendo nel soggetto l’illusione dell’incontro con l’oggetto di
soddisfacimento. Come si vede nel matema del discorso capitalista, l’agente
s’indirizza al sapere che produce la ricerca scientifica per produrre degli oggetti:
l’oggetto a è nel posto della produzione. Il mercato produce e offre dappertutto
innumerevoli articoli tecnologici che sono pubblicizzati con promesse di felicità,
illudendo il soggetto di suturare la propria mancanza.
Nel luogo della produzione compare un oggetto del mercato che si offre per suturare
la mancanza. Tutto ciò rimanda alla clinica delle moderne dipendenze, ove il soggetto
consuma un prodotto che offre il mercato e, mentre lo consuma, consuma se stesso.
S1 collocato sotto la barra che lo separa da S, presuppone che S 1 sia nel luogo della
verità, ossia, si sa “a priori” che S1 è la verità, non c’è possibilità di metterlo in
questione. La sbarra di separazione riguarda ciò che il soggetto misconosce: che la
verità che lo muove non sia interrogabile.
Del discorso del potere globalizzato
A questi due snodi dello stesso discorso intendo aggiungere uno snodo ulteriore che
dovrebbe permetterci di entrare nel tema della contemporaneità. Dal matema del
Discorso capitalista è possibile ottenere ancora un ulteriore passaggio che – visti gli
ultimi sviluppi delle società globalizzate – chiamo il Discorso del potere
globalizzato.
7
Si tratta di scambiare di posto alle due algebre lacaniane:
S2
S
a
S1
Ricominciamo quindi daccapo il nostro discorso. S2, il sapere, il tesoro dei
significanti, nel posto dell’agente sembra volere rappresentare il campo del desiderio
e della mancanza che a tiene nel posto della verità e, in un certo senso se ci riuscisse,
si tratterebbe di un’operazione per cui la somma del sapere influenzerebbe la ricerca
della verità della mancanza, ma nel nostro caso la barra esclude senza alcun dubbio
tale possibilità, che diviene invece una rappresentazione della confusione, essendo S 2
privato di una relazione con un significante padrone capace di istituire il senso stesso
della rappresentanza dei significanti, oltre che avvenire che a – dal posto della verità
– non è affatto in grado di dare un senso all’azione, mentre spinge sul soggetto
barrato e sulla sua mancanza, senza però ottenere altro che l’idealizzazione di un
soggetto preda dell’alterità e incapace di costruire un pensiero collettivo. S2 è in
relazione con S che si trova a rappresentare, nel posto dell’Altro, la mancanza come
mancanza di una forza progettuale del soggetto in quanto soggetto diviso nella sua
impotenza. La barra che divide il rapporto tra l’Altro e la produzione – rappresentato
da un S1 isolato e impossibilitato a dare luogo alla catena significante – implica che
ogni significante di padronanza non ha più alcuna idealità e tutto si muove in una
implicazione priva di progettualità, ovvero in un continuo tempo al presente.
Questo matema è in grado di rappresentare il percorso del capitale globalizzato in un
mondo nel quale il significante padrone tiene il posto della produzione (del danaro e
della ricchezza, o della povertà) e per questo non ha in conto rapporto alcuno con
nulla che non sia la sua moltiplicazione, di fronte alla quale cadono le barriere e
soprattutto gli ideali di solidarietà e di comunità. La clinica in questo matema
equivale a raccontare la distruzione del legame sociale.
La complessità del cambiamento in corso è caratterizzata dal paradigma
dell’atomizzazione della società in insiemi piccoli e tendenti all’individualismo, con
la conseguente perdita di una dimensione riferita a qualcosa che abbia a che fare con
uno scopo superiore. Si tratta di un individuo centrato su di sé e allontanato
dall’interesse per gli altri e per il sociale. In tal senso quindi la descrizione del sociale
si specifica nel prendere atto del cambiamento in corso, ovvero, se l’uomo si trova
ripiegato su se stesso e quindi sordo al richiamo degli scopi più prettamente collettivi,
se la società non ha più nulla di sacrale e gli assetti sociali e i modi dell’agire non
sono più fondati sul “sacro” della Legge, nulla ostacola più la de/regolazione dei
valori ordinativi della struttura sociale, che possono essere invece soppiantati da
scelte che privilegiano l’aspetto strumentale più economicamente favorevole dei
mezzi a disposizione, piuttosto che l’aspetto più socialmente e collettivamente
8
democratico. Ciò viene a corrispondere sul piano politico all’interessante definizione
di Tocqueville del: “il dispotismo morbido”, che non è una tirannia del terrore e
dell’oppressione, ma un governo mite e paternalistico, che conserva, anche solo
formalmente, le forme democratiche della società civile. Di fatto però ogni cosa viene
ad essere governata da “un potere immenso e tutelare” su cui i cittadini avranno uno
scarso controllo e il singolo cittadino – nel declino della partecipazione e delle
associazioni laterali che la veicolano – è “solo” e impotente di fronte al gigantesco
Stato burocratico del dispotismo morbido, si aprono così le storie dell’individuo solo
nella disperazione nella sua impotenza.