La preghiera di Odisseo a Nausicaa. Omero

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La preghiera di Odisseo a Nausicaa. Omero
La preghiera di Odisseo a Nausicaa. Omero, Odissea VI
148-197
Francesca Razzetti
Destinazione
Questo breve ma significativo brano omerico si può agevolmente inserire nella programmazione
didattica di Autori greci in I liceo o in V ginnasio, oppure è possibile utilizzarlo anche in IV
ginnasio (opportunamente semplificato), in parallelo allo studio dell'epica greca, come primo
contatto con i poemi omerici in lingua originale e magari lavorando sulle diverse traduzioni (in
poesia e in prosa, per esempio).
Contestualizzazione
Nel libro VI Odisseo, partito dall'isola di Calipso, dopo venti giorni di navigazione (di cui gli
ultimi due di tempesta, a causa dell'ira di Poseidone), giunge naufrago a Scheria, terra dei Feaci:
qui incontra la bella figlia di Alcinoo, Nausicaa, con la complicità della dea Atena; la fanciulla,
infatti, ammonita in sogno dalla dea perché le sue nozze sono vicine, si reca con le sue ancelle al
fiume a lavare le vesti e poi si diverte a giocare a palla; gli schiamazzi delle giovani destano
Odisseo, che si era addormentato, sfinito e nudo, sotto un cespuglio: al suo apparire, le ancelle
fuggono spaventate, mentre Nausicaa resta, ispirata da Atena, ad ascoltare le parole che Odisseo
le rivolge quasi in religiosa preghiera.
Testo
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au0ti/ka meili/xion kai\ kerdale/on fa/to mu=qon:
"gounou=mai/ se, a!nassa: qeo/j nu/ tij h} broto/j e0ssi;
ei0 me/n tij qeo/j e0ssi, toi\ ou0rano\n eu0ru\n e!xousin,
A
0 rte/midi/ se e0gw/ ge, Dio\j kou/rh| mega/loio,
ei}do/j te me/geqo/j te fuh/n t 0 a!gxista e0is
5 kw:
ei0 de/ ti/j e0ssi brotw=n, oi4 e0pi\ xqoni\ naieta/ousi,
tri\j ma/karej me\n soi/ ge path\r kai\ po/tnia mh/thr,
tri\j ma/karej de\ kasi/gnhtoi: ma/la pou/ sfisi qumo\j
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ai0en\ e0uf
" rosu/nh|sin i0ai/netai ei#neka sei=o,
leusso/ntwn toio/nde qa/loj xoro\n ei0soixneu=san.
kei=noj d 0 au} peri\ kh=ri maka/rtatoj e!coxon a!llwn,
o#j ke/ s 0 e0ed/ noisi bri/saj oi}ko/nd 0 a0ga/ghtai.
ou0 ga/r pw toiou=ton i!don broto\n o0fqalmoi=sin,
ou!t 0 a!ndr 0 ou!te gunai=ka: se/baj m 0 e!xei ei0soro/wnta.
Dh/lw| dh/ pote toi=on A
0 po/llwnoj para\ bwmw=|
foi/nikoj ne/on e!rnoj a0nerxo/menon e0no/hsa:
h}lqon ga\r kai\ kei=se, polu\j de/ moi e#speto lao/j,
th\n o9do/n, h{| dh\ me/llen e0moi\ kaka\ kh/de 0 e!sesqai:
w4j d 0 au!twj kai\ kei=no i0dw\n e0teqh/pea qumw=,|
dh/n, e0pei\ ou! pw toi=on a0nh/luqen e0k do/ru gai/hj,
w9j se/, gu/nai, a!gamai/ te te/qhpa/ te, dei/dia d 0 ai0nw=j
gou/nwn a#yasqai: xalepo\n de/ me pe/nqoj i9ka/nei.
xqizo\j e0eikostw=| fu/gon h!mati oi!nopa po/nton:
to/fra de/ m 0 ai0ei\ ku=ma fo/rei kraipnai/ te qu/ellai
nh/sou a0p 0 W
0 gugi/hj: nu=n d e) n0 qa/de ka/bbale dai/mwn,
o!fra ti/ pou kai\ th=d| e pa/qw kako/n: ou0 ga\r o0iw
5
pau/sesq ,0 a0ll 0 e!ti polla\ qeoi\ tele/ousi pa/roiqen.
a0lla/, a!nass ,0 e0le/aire: se\ ga\r kaka\ polla\ mogh/saj
e0j prw/thn i9ko/mhn, tw=n d 0 a!llwn ou! tina oi}da
a0nqrw/pwn, oi4 th/nde po/lin kai\ gai=an e!xousin.
a!stu de/ moi dei=con, do\j de\ r9ak/ oj a0mfibale/sqai,
ei! ti/ pou ei!luma spei/rwn e!xej e0nqa/d 0 i0ou=sa.
soi\ de\ qeoi\ to/sa doi=en, o#sa fresi\ sh=s
| i menoina=j
| ,
a!ndra te kai\ oi}kon, kai\ o9mofrosu/nhn o0pa/seian
e0sqlh/n: ou0 me\n ga\r tou= ge krei=sson kai\ a!reion,
h@ o#q 0 o9mofrone/onte noh/masin oi}kon e!xhton
a0nh\r h0de\ gunh/: po/ll 0 a!lgea dusmene/essi,
xa/rmata d 0 eu0mene/th|si: ma/lista de/ t 0 e!kluon au0toi/."
to\n d 0 au} Nausika/a leukw/lenoj a0nti/on hu!da:
"cei=n ,0 e0pei\ ou!te kakw=| ou!t 0 a!froni fwti\ e!oikaj,
Zeu\j d 0 au0to\j ne/mei o!lbon O
0 lu/mpioj a0nqrw/poisin,
e0sqloi=s 0 h0de\ kakoi=sin, o#pwj e0qe/lh|sin, e9ka/stw|:
kai/ pou soi\ ta/ g 0 e!dwke, se\ de\ xrh\ tetla/men e!mphj.
nu=n d ,0 e0pei\ h9mete/rhn te po/lin kai\ gai=an i9ka/neij,
ou!t 0 ou}n e0sqh=toj deuh/seai ou!te teu a!llou,
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w{n e0pe/oix 0 i9ke/thn talapei/rion a0ntia/santa.
a!stu de/ toi dei/cw, e0re/w de/ toi ou!noma law=n:
Fai/hkej me\n th/nde po/lin kai\ gai=an e!xousin,
ei0mi\ d 0 e0gw\ quga/thr megalh/toroj A
0 lkino/oio,
tou= d 0 e0k Faih/kwn e!xetai ka/rtoj te bi/h te."
Traduzione (stichica)
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Subito [Odisseo] dolce e astuta parola disse:
"Ti supplico, signora: sei una dea o una creatura mortale?
Se sei una dea, di quelle che abitano l'ampio cielo,
invero io ad Artemide, figlia del grande Zeus,
per la bellezza, per la statura, per l'aspetto ti giudico in tutto simile;
se invece tu sei una delle creature mortali che abitano sulla terra,
tre volte beati tuo padre e la tua augusta madre,
e tre volte beati i fratelli: certamente molto a loro il cuore
sempre si addolcisce di gioia per te,
quando ammirano un tale virgulto che si accinge alla danza.
Ma felicissimo in cuore, in modo straordinario al di sopra degli altri,
quello che, ricco di doni, ti condurrà nella sua casa.
Infatti non vidi mai una tale creatura mortale coi miei occhi,
né uomo, né donna: stupore mi prende a guardarti.
A Delo una volta presso l'altare di Apollo
un giovane fusto di palma vidi levarsi:
andai infatti anche là, e molta gente mi seguì,
nel viaggio in cui mi dovevano avvenire tristi sventure.
Così ugualmente vedendo anche quello restai stupito nell'animo
a lungo, poiché mai fino ad allora una tale pianta si era innalzata da terra,
come te, o donna, ammiro e resto incantato e temo terribilmente
di toccarti le ginocchia; ma un grave dolore mi giunge.
Ieri, al ventesimo giorno, scampai al mare colore del vino:
fino ad allora, costantemente mi trascinava l'onda e le tempeste violente
lontano dall'isola Ogigia; e ora qui mi gettò un dio,
perché forse io soffra anche qui un male; infatti non penso che
termineranno, ma ancora molti gli dèi ne compiranno prima.
Ma tu, o signora, abbi pietà: giacché dopo aver sofferto molti mali
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vengo supplice davanti a te per prima, non conosco nessuno degli altri
uomini che abitano questa città e questa terra.
Mostrami la città e dammi un cencio da gettarmi addosso,
se mai avevi un telo per i panni venendo qui.
A te gli dèi concedano tante cose quante ne brami nel tuo cuore,
un uomo, una casa e la concordia ti concedano
preziosa: poiché non c'è bene più saldo e prezioso di questo,
di quando concordi nei pensieri gestiscono la casa
un uomo e una donna; grandi dolori per i nemici,
gioie per gli amici; soprattutto essi stessi ne traggono fama".
A lui a sua volta Nausicaa dalle bianche braccia rispose:
"Straniero, poiché non somigli ad un uomo né volgare né stolto,
Zeus Olimpio in persona distribuisce la felicità agli uomini,
a buoni e cattivi, come vuole, a ciascuno;
e a te diede questo destino e bisogna che tu lo sopporti comunque.
Ma ora, poiché arrivi alla nostra città e alla nostra terra,
certo non sarai privo di veste né di qualcun'altra
delle cose di cui è giusto [che non sia privo] un supplice sventurato che ci venga davanti.
Ti mostrerò la città, ti dirò il nome degli abitanti.
I Feaci abitano questa città e la terra,
io sono la figlia del magnanimo Alcinoo,
e da lui è retta la potenza e la forza dei Feaci".
Traduzione d'autore (S. Quasimodo)
E sùbito le disse
soavi, accorte parole: "Ti supplico, o potente,
in ginocchio. Sei tu forse dea o mortale?
Se alcuna delle dee tu sei del vasto cielo,
per la bellezza del volto, e l'alta statura,
e l'armonia delle forme, tu mi sembri Artémide,
figlia del sommo Zeus: tanto le somigli.
Ma se mortale tu sei che vive in terra,
tre volte beato il padre e la nobile madre,
e beati tre volte i fratelli. Certo il loro cuore
è tenero di gioia per te, freschissimo stelo,
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quando muovi alla danza. Ma più di ogni altro,
felice nel cuore chi supera i rivali
coi doni di nozze e ti conduce con sé nella casa,
poi che i miei occhi non videro mai
creatura mortale, né uomo né donna,
simile a te, e stupore mi vince a guardarti.
Un giorno, in Delo, presso l'ara d'Apollo
così, come te, io vidi un giovane stelo di palma
levarsi in alto. Io fui anche là, con molta gente,
nel viaggio da cui mi vennero cupe sventure.
E come allora a vedere la palma rimasi stupito
a lungo nel cuore, perché mai albero uguale
venne sulla terra, così ora ti ammiro,
o donna, e stupisco, e non oso sfiorarti le ginocchia,
anche se grave è il mio tormento.
Ieri, dopo venti giorni, scampai dal livido mare:
per tutto quel tempo, senza tregua, le onde
e l'impeto delle procelle mi trascinarono
dall'isola di Ogigia; e qui mi gettò un nume,
perché anche su queste rive mi colga sventura.
Non credo finite le mie pene: altre ne pensano gli dèi.
Ma tu, o potente, abbi pietà: dopo tanti dolori,
tu sei la prima che incontro e non conosco alcuno
di quelli che abitano il luogo e la sua terra.
Indicami la città e dammi qualcosa per coprirmi,
se mai, venendo qui, avevi una tela da involgere i panni.
E ti concedano gli dèi quanto desidera il tuo cuore:
uno sposo e una casa e leale concordia,
perché non c'è bene più forte e più valido
quando con armonia d'intenti l'uomo e la donna
reggono una casa. Ne hanno invidia i malvagi,
e gioia chi li ama; ma più loro sono felici".
E a lui così rispose Nausicaa dalle braccia splendenti:
"O straniero, tu non sembri un uomo malvagio
o privo di senno: tu sai che Zeus Olimpio
dà, quando vuole, felicità agli uomini,
ai buoni e ai malvagi; a te diede dolori,
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e dolori devi soffrire. Ora sei nella mia terra,
giungi alla mia città; e avrai certo una veste!
e ogni cosa che ti occorre; come ogni povero
che viene implorando qui da noi.
E ti indicherò la città e il nome del suo popolo.
Là, e in tutta questa terra, vivono i Feaci,
e io sono la figlia del magnanimo Alcinoo
che regge il potere e la forza dei Feaci".
Traduzione in prosa (M.G. Ciani)
«E subito a lei si rivolse con parole suadenti ed accorte: "Signora, io ti supplico. Sei una dea o
una donna? Se appartieni agli dei che possiedono il cielo infinito, ad Artemide io ti assomiglio, la
figlia del sommo Zeus, per il tuo aspetto e l'altezza della figura. Ma se ai mortali che vivono sulla
terra appartieni, allora tre volte felici sono tuo padre e tua madre, tre volte felici i fratelli. il loro
cuore è sempre colmo di gioia quando vedono entrare nelle danze questo fiore bellissimo. Ma
più di tutti al mondo felice colui che, colmandoti di doni nuziali, ti porterà nella sua casa. Io non
ho visto mai, con i miei occhi, una tale bellezza, né uomo né donna. Ti guardo, e lo stupore mi
prende. A Delo un tempo, vicino all'altare di Apollo, vidi levarsi così una giovane palma – giunsi
anche a Delo infatti, e molti mi seguivano nel viaggio che doveva procurarmi crudeli dolori.
Anche allora stupii nell'animo quando la vidi, la terra non ne produsse mai una simile. E così te
io ammiro, e stupisco, e di toccare le tue ginocchia ho molta paura; ma in cuore ho un'angoscia
terribile. Sono scampato al mare colore del vino ieri, ed era il ventesimo giorno da che le onde e
le tempeste impetuose mi trascinavano, dall'isola Ogigia; ora mi ha gettato qui un demone, perché
anche qui io soffra sventure: e non credo che sia finita, prima gli dei mi faranno ancora molto
patire. Abbi pietà, signora. A te per prima, dopo tanto dolore, io vengo supplice, non conosco
nessuno di quelli che vivono in questa città, in questa terra. Dimmi dov'è la città, dammi un
cencio per ricoprirmi, di quelli che avevi per avvolgere i panni, quando sei venuta fin qui. E che
gli dei ti concedano tutto quello che il tuo cuore desidera, una casa, un marito, e un felice accordo
tra voi: nulla è più bello e più prezioso di questo, quando moglie e marito con un'anima sola
governano la loro casa. Provano molta invidia i nemici, gioia invece gli amici. Ed essi acquistano
fama". A lui rispose Nausicaa dalle candide braccia: "Straniero, tu non mi sembri né malvagio né
folle. La fortuna, è Zeus che la distribuisce agli uomini, ai buoni e ai malvagi, come vuole, a
ciascuno. A te ha dato in sorte questo, bisogna che tu lo sopporti. Ma ora, poiché alla nostra città,
alla nostra terra sei giunto, non ti mancheranno le vesti né nessun'altra cosa di ciò che è giusto
riceva un supplice, un infelice. Ti indicherò la città, ti dirò il nome del popolo. Abitano questa
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città e questa terra i Feaci, e io sono la figlia del generoso Alcinoo, che tra i Feaci ha il potere
supremo".»
Note esplicative
148. Le parole di Odisseo sono lusighiere e accorte al contempo (meili/xion kai\ kerdale/on,
cioè, letteralmente, "dolci" [per Nausicaa] e "utili" [per Odisseo], rispettivamente da mei/lion =
"cosa che rende dolce" e ke/rdoj = "guadagno"). Ai vv. 142-147 l'eroe è combattuto fra
l'istintivo gesto di abbracciare le ginocchia della giovane fanciulla, Nausicaa, per supplicarla, e il
pudore per la propria nudità, che lo induce infine a restare discosto da lei e a indirizzarle parole
dolci da lontano: egli è un naufrago privo di tutto e, di conseguenza, bisognoso di tutto; per
questo le sue parole devono necessariamente essere accorte.
au0ti/ka: Odisseo vince immediatamente il suo dubbio, passando all'azione con la sua preghiera a
Nausicaa.
fa/to: indicativo aoristo medio da fhmi/.
149. gounou=mai: gouno/omai = gouna/zomai significa "supplicare"; l'etimologia da gou=na,
go/nu indica propriamente l'atto del supplice di abbracciare le ginocchia di chi sta implorando:
Odisseo, quindi, si trattiene dal concreto abbraccio per timore di spaventare la fanciulla, ma nel
verbo rammenta questo gesto di ossequio e rispetto.
se, a!nassa: il pronome personale è immediatamente specificato dal significativo vocativo
a!nassa, femminile di a!nac, usato da Omero solo in riferimento alle divinità femminili: qui
compare invece, come caso del tutto isolato, in riferimento a un mortale, sia perché Odisseo non
sa ancora con chi sta parlando, sia perché comunque è di fronte a una visione d'incomparabile
bellezza, infine perché per ovvie ragioni egli deve accattivarsi le simpatie della sua interlocutrice,
per ora misteriosa.
e0ssi: "sei", in attico ei}, da ei0mi/. Cfr. Virgilio, Eneide I 326-329 (Enea chiede alla madre Venere,
apparsagli sotto le spoglie di una cacciatrice: "O dea certe, an Phoebi soror? an nympharum
sanguinis una?" "O sei certo una dea, forse sorella di Febo, o una delle ninfe?").
h}: avverbio interrogativo.
broto/j: vocabolo poetico, raramente usato in prosa, appartenente alla radice mor <m(b)ro (cfr.
lat. mortalis) e indicante l'uomo in riferimento alla sua natura mortale.
150. ei0 me/n: in correlazione col v. 153 (ei0 de/).
tij qeo/j... toi\ tij qew=n oi#
toi/: pronome relativo (con omissione del dimostrativo tou/twn), nella forma consueta dopo una
vocale (i di e0ssi).
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151. A
0 rte/midi: Nausicaa era già stata paragonata dal poeta ad Artemide, la più pura tra le dee
(giovane, vergine, dea della caccia), ai vv. 102-109.
se e0gw/: accostamento enfatico dei due pronomi personali riferiti ai protagonisti dell'episodio; si
noti anche il pesante iato che si verifica tra i due e.
152. ei}doj, me/geqoj, fuh/n: accusativi di relazione indicanti rispettivamente "bellezza, alta
statura (caratteristica costante degli dèi e segno di distinzione per gli uomini), figura (nel suo
insieme)". Lo scolio al v. 152 spiega il significato del termine fuh/: fuh\ ga/r e0stin h9 e0k
pa/ntwn melw=n a0nalogi/a ("la proporzione di tutte le membra").
a!gxista: superlativo dell'avverbio a!gxi; letteralmente significa "molto da vicino".
e0is
5 kw: "giudico simile" ei!skw.
153. oi#: pronome relativo (dopo consonante; cfr. nota a toi/ al v. 150)
naieta/ousi: "abitano", dal verbo nai/w, na/ssomai, e!nassa, e0na/sqhn, ne/nasmai (cfr. nao/j,
"tempio")
154. trisma/karej: l'anafora conferisce ai due versi un'atmosfera augurale. La ripresa
virgiliana, spesso citata dai commentatori, di Eneide I 94 (O terque quaterque beati quis ante
ora patrum Troiae sub moenibus altis contigit oppetere! "O tre e quattro volte beati quelli che
incontrarono la morte davanti allo sguardo dei padri sotto le alte mura di Troia!") è in realtà
modellata puntualmente su un altro passo, Odissea V 306-7 (trisma/karej Danaoi\ kai\
tetra/kij).
soi/: dativo etico secondo alcuni interpreti (i più), di possesso secondo altri.
po/tnia: femminile arcaico di po/sij, era usato per le dee e per le donne nobili, appartiene alla
radice indoeuropea *pot- rintracciabile in despo/thj e nel latino potens, possum.
155. ma/la pou: "certo assai", da unire col successivo verbo i0ai/netai (da i0ai/nw).
sfi/si = au0toi=j.
156. ai0e/n = a0ei/.
ei#neka sei=o = e#neka sou=
157. leusso/ntwn: anziché il participio in dativo, concordato con sfi/si (v. 155), come ci si
attenderebbe, vi è questo genitivo non in anacoluto, come alcuni hanno sottolineato, bensì in un
costrutto assoluto privo del soggetto (che, come si sa, nel genitivo assoluto può mancare, qualora
sia facilmente comprensibile dal contesto: qui infatti si può considerare sottinteso un au0tw=n,
desumibile dal già citato sfi/si). Il verbo leu/ssw, leu/sw, e!leusa, della stessa radice di
leuko/j, "candido, bianco brillante", significa "guardare qualcosa di lucente [...] con sguardo
gioioso" (Snell).
qa/loj, -ouj è propriamente il virgulto in fiore (cfr. qa/llw = "fiorire").
ei0soixneu=san: participio aoristo femminile da ei0soixne/w, della stessa radice di oi!xomai,
concordato a senso col neutro qa/loj, riferito a Nausicaa. Si noti l'importanza dello spondeo in
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V sede (verso spondaico), che enfatizza questo participio e, rallentando il ritmo dell'esametro,
sembra rappresentare la prolungata azione dell'ingresso nelle danze.
158. d a
0 u}: dopo il me/n (v. 154) e il de/ (v. 155) qui si introduce il terzo membro, quello più
importante, enfatizzato ancora maggiormente dal cumulo di espressioni superlative (peri/,
maka/rtatoj, e!coxoj a!llwn): tanto grande è la sensazione che avverte Odisseo, talmente
abbagliato dalla visione di Nausicaa da non riuscire quasi a esprimerlo a parole.
peri\: avverbio ("quanto mai").
kh=ri: dativo locativo.
159. ke/ = a!n, regge il successivo congiuntivo aoristo a0ga/ghtai.
bri/saj: participio aoristo di bri/qw, "prevalere".
e0ed/ noisi: e!dnon, -ou propriamente indica il "dono nuziale".
I vv. 153-159 sono stati imitati da Ovidio, Metamorfosi IV 320 ss. e da Monti, Feroniade I 141149.
160. i!don: aoristo senza aumento (= ei}don). Il dativo strumentale o0fqalmoi=sin rafforza la
percezione indicata dal verbo i!don; i due termini costituiscono una clausola formulare, qui
inframmezzata da broto/n.
161. se/baj... ei0soro/wnta: emistichio formulare. se/baj indica in Omero il "rispetto"
religioso, la "venerazione", il "timore reverenziale" che si prova davanti a qualcosa di
straordinario; appartiene alla radice seb- / sem- comune al verbo se/bw = "onorare" (cfr.
eu0sebh/j "pio" e a0sebe/w = "essere empio") e a semno/j, "venerando"; ei0soro/wnta è forma
distratta (cioè la vocale lunga esito di contrazione è preceduta da vocale breve dello stesso
timbro).
162. Dh/lw|: dativo locativo; probabilmente Odisseo andò a Delo durante il viaggio da Aulide
a Troia. "Secondo il mito, nella piccola isola delle Cicladi, prima vagante nel mar Egeo e poi resa
stabile per aver dato ricetto a Latona quando doveva dare alla luce Apollo e Artemide, sorse un
temenos o sacro recinto, presso l'altare del quale s'innalzava una palma, cui si sarebbe appoggiata
Latona nel momento del parto" (L. Arcese).
e0teqh/pea: indicativo piuccheperfetto epico (e0teqh/pein) da e!tafon, "restare stupito".
163. foi/nikoj: la palma, importata in Grecia probabilmente dai Fenici (da cui ne derivò il
nome), era piuttosto rara e suscitava per questo l'ammirazione dei Greci. Cicerone, De legibus 1,
1, 2, testimonia di aver visto a Delo una "palma di Ulisse", ancora mostrata ai visitatori. Per la
palma come simbolo di gioventù in fiore cfr. il Cantico dei Cantici VII 8 ("La tua statura
rassomiglia a una palma").
a0nerxo/menon: participio predicativo retto dal verbo di percezione e0no/hsa e concordato con ne/on
e!rnoj.
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e0no/hsa: aoristo indicativo di noe/w, verbo che non indica semplicemente l'azione di vedere, ma
più propriamente significa "intendere, penetrare": comprende cioè "anche l'attività spirituale che
accompagna il vedere" (Snell); cfr. il latino animadverto.
È stata notata da Marzullo la particolarità di questa similitudine, che compare all'interno di un
discorso diretto e non come di consueto lungo la narrazione epica.
164. e#speto: aoristo indicativo di e#pomai, derivante dalla radice indeuropea *sekw-, da cui
anche il latino sequor.
lao/j: velata allusione di Odisseo alla sua funzione di capo militare e quindi al suo rango nobile.
165. me/llen: come di consueto me/llw regge l'infinito futuro (e!sesqai), per indicare il
compiersi del destino.
166. e0teqh/pea: indicativo piuccheperfetto con valore di imperfetto, dalla radice taf- (perfetto
te/qhpa).
qumw=:| dativo locativo; qumo/j è lo "spirito" nel senso di "ciò che provoca le emozioni; in genere
sede della gioia, del piacere, dell'amore, della compassione, dell'ira e così via di tutti i moti
dell'animo" (B. Snell); diversamente, no/oj è "l'organo che fa sorgere le immagini, che le suscita"
(cfr. anche la nota al v. 163).
167. dh/n: "a lungo"; si noti la posizione enfatica in inizio verso e forte enjambement.
a0nh/luqen = a0nh=lqen. Ancora lo stesso preverbio a0na/ unito al verbo di moto, come già al v. 163
(a0nerxo/menon): l'idea che intende rendere il poeta è quella dello slanciarsi verso l'alto, propria di
una giovane pianta.
do/ru: propriamente questo termine designa un "asse di legno", o anche una "lancia", ma qui
indica il fusto dell'albero.
168. gu/nai: finalmente, dopo una lunga serie di lusinghiere parole (dal v. 153), Odisseo
ammette di aver riconosciuto la natura umana della fanciulla che ha davanti, pur se si tratta di una
umanità di singolare eccezionalità, come mostrano i tre verbi disposti in climax ascendente al v.
168 e indicanti rispettivamente stupore, incanto e paura.
dei/dia = de/dia.
169. = a# y asqai: infinito aoristo da a#ptw, costruito come verbo di contatto col genitivo
gou/nwn.
pe/nqoj: "dolore", "lutto"; parola ancora oggi esistente, col medesimo significato, in greco
moderno, deriva dalla stessa radice pe/nq- / ponq- di pa/sxw.
170. e0eikostw=| = e0ikostw=|: il viaggio di Ulisse da Ogigia, l'isola di Calipso, a Scheria, terra
dei Feaci, era durato venti giorni, secondo le disposizioni di Zeus (V 34). Dopo l'iniziale captatio
benevolentiae (cioè le lodi indirizzate a Nausicaa per disporla favorevolmente nei suoi riguardi),
Odisseo racconta in sintesi le sue ultime vicende, per ispirarle pietà e ottenere l'aiuto che gli
serve.
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oi!nopa: "del colore del vino" (da oi}noj e dalla radice o0p-), quindi secondo alcuni "scintillante",
secondo altri "cupo".
171. e0fo/rei: imperfetto da fore/w, intensivo di fe/rw.
172. ka/bbale = kata/bale, con apocope della preposizione e assimilazione del tau.
173. o!fra ... pa/qw: proposizione finale, col verbo al congiuntivo aoristo (da pa/sxw).
174. pau/sesq 0= pau/sesqai, infinito futuro di pau/omai, da intendersi con kako/n (v. 173)
come soggetto, oppure anche in senso assoluto (["non penso che] troverò pace"). Odisseo è
provato, sia fisicamente sia psicologicamente, dalle sventure patite e non nutre alcuna fiducia che
esse siano giunte alla fine.
tele/ousi: futuro non contratto di tele/w.
pa/roiqen: avverbio di tempo.
175. Comincia la perorazione di Odisseo, che chiede alla sua interlocutrice di essere pietosa e
di offrirgli soccorso: significativamente, Odisseo ripete qui l'apostrofe a!nassa (v. 149) e pone
in principio di frase il pronome personale se/ (v. 175).
mogh/saj: participio aoristo di moge/w.
176. e0j prw/thn: la preposizione regge l'apposizione prw/thn, mentre in forte prolessi c'è se/
nel verso precedente, quasi a sottolineare l'importanza di Nausicaa in quanto prima persona con
cui Odisseo parla sull'isola di Scheria e per questo ancor più vincolata ai doveri della ceni/a;
come Odisseo insiste qui su questo primato di Nausicaa, così la ragazza, quando Odisseo sta per
lasciare l'isola (VIII 462), glielo ricorderà.
i9ko/mhn: aoristo indicativo di i9kne/omai (della stessa radice di i9ke/thj e di i9kano/j).
177. po/lin: è la città nel senso di "nucleo abitato"; con gai=a invece s'intende il "territorio" e
a!stu (v. 178) è la "rocca".
178. dei=con: imperativo aoristo di dei/knumi.
do/j: imperativo aoristo di di/dwmi.
a0mfibale/sqai: infinito aoristo medio di a0mfiba/llw con valore finale.
179. Le richieste di Odisseo sono modestissime: ha già chiesto (v. 178) un'indicazione, ora
domanda un cencio qualunque (r9a/koj) in cui avvolgere il proprio corpo nudo.ei!luma, -toj
hapax da ei0lu/w ("avvolgo").
spei/rwn da spei=ron, -ou ("cencio").
e!xej: imperfetto senza aumento.
180. Cfr. Plauto, Pseudolo IV 1, 25-26: Tantum tibi di boni immortales duint, quantum tu tibi
optes.
doi=en: aoristo ottativo (desiderativo) da di/dwmi.
fresi/: frh/n indica propriamente il "diaframma", quindi il "petto" e, in particolare, tutto ciò che
nel petto ha sede ("animo, cuore" e tutta la sfera delle "passioni"), oppure anche la "mente" come
centro dell'attività razionale.
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menoina=j
| : propriamente "brami, desideri ardentemente".
181. o0pa/seian: ottativo aoristo di o0pa/zw, con valore desiderativo.
182. e0sqlh/n: l'aggettivo è ricchissimo di positività ("bello, santo, beato"), accentuata anche
dall'efficace posizione in inizio verso.
tou=: prolettico spiegato dai vv. 183-184 (h@ o#q .0 ..).
krei=sson kai\ a!reion: scil. e0sti/. In krei=sson è implicita l'idea di forza (cfr. kra/toj), mentre in
a!reion è più marcata l'idea della virtù (cfr. a0reth/).
183. o#q 0= o#te. Cfr. la medesima considerazione ripresa da Euripide, Medea 14-15: h#per
megi/sth gi/gnetai swthri/a, o#tan gunh\ pro\j a!ndra mh\ dixostath=| ("Questa è la più grande
salvezza, quando la moglie non è in disaccordo col marito").
o0mofrone/onte: participio duale da o0mofrone/w.
e!xhton: congiuntivo eventuale espresso al duale.
185. eu0 m ene/ t h| s i: eu0mene/thj è l'amico, mentre dusmenh/j (v. 184) è il nemico; questa
menzione di amici e nemici coi sentimenti che in essi rispettivamente suscita un determinato
comportamento è tipica dell'etica aristocratica: cfr. Solone nell'elegia alle Muse (fr. 1 D. 5: ei}nai
de\ gluku\n w{de fi/lois 0 e0xqroi=si de\ pikro/n, "essere dolce agli amici e amaro ai nemici") e
Saffo fr. 5 V. (kai\ fi/loisi oisi xa/ran ge/nesqai... e!xqroisi, "gioia per i suoi amici, [dolore]
per i nemici).
e! k luon: aoristo di klu/w con valore gnomico (cfr. il latino bene audire). Altri interpreti
intendono diversamente: "ma soprattutto lo sentono (= ai0sqa/nontai negli scoli, cioè "se ne
rendono conto") essi stessi" [quale bene sia la concordia] e quindi "sono felici" (Quasimodo).
187. e!oikaj: perfetto con valore di presente.
188. La proposizione causale iniziata al v. precedente resta sospesa, come accade altrove
nell'Odissea (cfr. p.es. VIII 236 o XIV 149).
190. tetla/men = tetla/nai, infinito perfetto con valore di presente dalla radice tla-, parte
costitutiva della figura di Odisseo, come mostra il suo epiteto polu/tlaj.
e!mphj = e!mpaj.
192. teu = tino/j
deuh/seai = deh/sh|, da deu/w = de/w.
193. e0pe/oix 0 = e0pe/oike, "si addice, conviene" (perfetto con valore di presente).
i9ke/thn: il supplice era sacro per i Greci e aiutarlo era un dovere per chi lo aveva davanti
a0ntia/santa da a0ntia/w).
talapei/ r ion: talapei/rioj, -on deriva da tla/w e pei/ra, cioè "sventurato, in quanto
sopporta prove".
194. Verso costruito in chiasmo.
dei/cw: futuro di dei/knumi.
e0re/w = e0rw= futuro di ei!rw.
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196. Formalmente ricalcato su questa presentazione è l'attacco del fr. 1 W. di Archiloco: ei0mi\
d 0e0gw\ qera/pwn...
Breve commento
Nella letteratura egiziana del II millennio a.C. era diffusa la leggenda del cosiddetto
"marinaio naufragato": il protagonista, un viaggiatore per mare, dopo aver fatto naufragio,
approdava a una terra dai tratti fantastici, abitata da un popolo pacifico e ospitale e veniva aiutato
da una principessa del luogo, che poi si rivelava essere destinata a lui come sposa. Nella
letteratura fiabesca e nel folclore, inoltre, era presente un altro tema tipico, quello dell'arrivo di un
pretendente sconosciuto, che alla fine vinceva su tutti gli avversari e si rivelava nobile,
conquistando la sua sposa. Anche l'Odissea si richiama a questi elementi noti all'immaginario
collettivo; con il VI libro, infatti, inizia la narrazione degli eventi nella terra dei Feaci, dove
Odisseo arriva nuovamente solo e privo di mezzi: tipici dunque il tema del naufragio,
dell'approdo in terra straniera, dell'ospitalità; tuttavia, vi è la significativa originalità dell'accenno
alle nozze, che rimangono sempre nell'ambito dell'attesa e della speranza, senza giungere alla
realizzazione.
Odisseo non chiede immediatamente l'aiuto di cui ha davvero vitale bisogno, né tedia
Nausicaa illustrando la lunga serie delle sue disavventure: prima elogia la giovane che ha davanti
con parole sublimi, esattamente come sublime ella gli appare, al punto che non osa neppure
avvicinarsi a lei per supplicarla gettandosi alle sue ginocchia (vv. 149-169). Successivamente
accenna brevemente alle vicissitudini che gli impongono di mendicare ora l'aiuto della ragazza
(vv. 170-177). Solo dopo Odisseo chiede per sé, e chiede in realtà ben poco: le informazioni sul
luogo dov'è giunto e sui suoi abitanti e un misero cencio con cui coprirsi (vv. 178-179). In
cambio di tale modesto aiuto, egli augura alla giovane il futuro radioso che qualunque sua
coetanea potrebbe desiderare (vv. 180-185). Il discorso di Odisseo non è dunque soltanto un
capolavoro di abilità persuasiva e di fine retorica, ma è anche una prova della sua grande
sensibilità: è sicuramente presente l'intento adulatorio, ma va segnalata anche la spontanea
ammirazione per la bellezza in fiore della giovane Nausicaa. Lo scopo del protagonista è ottenere
buona accoglienza presso il popolo che abita quella terra sconosciuta; ma poiché egli incontra
una fanciulla, inevitabilmente deve far appello a ulteriori risorse: in primis ricorre perciò alla
lusinga, con le lodi della sua bellezza, poi peraltro accenna anche alla gioia della sua famiglia,
quindi menziona il proprio triste destino per ottenere compassione, e chiede il minimo aiuto
possibile per sé, infine si mostra finemente consapevole dei desideri della ragazza e le augura la
piena realizzazione dei suoi sogni, indubitabilmente con somma abilità, ma con non minore
delicatezza.
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Commenti (d'autore)
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"L'unico caso in cui [in Omero] si trova rappresentato il nascere e il crescere del sentimento
amoroso è quello di Nausicaa, che gode naturalmente le simpatie di tutta la critica moderna.
Nel suo caso Omero non solo parla dell'evolversi di un sentimento privato dominante ed
esclusivo, ma lo mette al centro del racconto, rinnovando risolutamente per questo la tecnica
della narrazione epica: l'episodio del libro VI dell'Odissea è retto da un pensiero che si era
già visto nascere e crescere nella mente della fanciulla prima dell'incontro, il quale è
raccontato e osservato dalla parte di lei. Nella vicenda del ritorno di Odisseo Nausicaa è
soltanto una figura strutturale episodica che poi scompare, è un personaggio di raccordo.
Basterebbe dunque un cenno alla sua funzione positiva nei piani del reduce. Invece il poeta
fa dei suoi vagheggiamenti amorosi il motivo dominante di tutto l'episodio. All'inizio del
canto si capisce subito che Nausicaa è il personaggio assolutamente centrale. Il racconto
comincia da lei: c'è una lunga panoramica, come si direbbe oggi, che accompagna il viaggio
di Atena, che abbraccia tutta la città e finisce col fissarsi sul letto di Nausicaa. [...] Ma sul
piano sentimentale non c'è alcuna comunicazione fra i due: Odisseo non corrisponde, né
finge di corrispondere, né lusinga, né tradisce la fanciulla: non mostra neppure di
comprenderla, non si sa neppure cosa pensi di lei. Eppure egli è civile e cortese, per naturale
cortesia rivolge a lei il primo discorso; ma non fa nulla che possa fornire lo spunto per uno
scioglimento patetico" (F. Codino).
"Nausicaa è lieta dei suoi giochi fanciulleschi e però già teneramente ansiosa del proprio
avvenire: e nell'atto di immaginare il futuro sposo, essa svela un inconscio sospiro d'amore
per il maturo eroe gravido di sventure. Nausicaa è il primo sorriso dopo tanti dolori per
Odisseo, ed è il presagio della loro fine; [...] è meraviglioso il fascino di questo episodio
quando lo si consideri nella sua autonoma dimensione, che si afferma soprattutto nella vivida
raffigurazione dei freschi palpiti della giovane. Nell'incontro con Nausicaa all'ideologia
eroica subentra una più palpitante e puntuale attenzione ai sentimenti della vita quotidiana"
(D. Del Corno).
"Somma delicatezza ed intima raffinatezza di sentimento dell'uomo nell'incontro fatale con
una donna si rivelano nel mirabile dialogo d'Odisseo con Nausicaa, dell'uomo esperto con
l'ingenua fanciulla" (W. Jaeger).
"La poesia qui ci dà una delle orazioni più stupende che una voce umana possa per virtù di
arte profferire. Una vergine pura, bella, sta ferma e intrepida ad aspettare. Un uomo làcero,
sconvolto, lordo di salsedine, con un ramo solo che ne copre la nudità, si avanza a parlare.
Nessun maestro di eloquenza avrebbe potuto suggerire i modi di quella orazione. Omero, il
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poeta, li insegnò a tutti con insuperabile esempio. Analizzato è stato quel discorso da critici e
interpreti di valore che ne hanno illuminato gli accorgimenti e le bellezze. Dovrebbe Ulisse
parlare di sé, ignoto com'è, alla nobile vergine; ma non si presenta: parla di lui lo stato in cui
si trova: nessun uomo potrebbe apparire in più desolante miseria. Tutto gli manca; ma egli
non chiederà che un cencio per ricoprirsi. Nient'altro: quello che può chiedere un mendico
che abbia tenuto uno scettro. Di lei sola parla, nello stupendo esordio: di lei sola, la cui vista
pare gli abbia fatto scordare ogni altra cosa" (C. Marchesi).
"Il tono qui è smorzato, dolorosamente malinconico, teso tra aneliti passati e futuri, tra
ricordo ed augurio. La nostalgia si rivela ancora la chiave di tutta l'Odissea, poema di un
no/stoj, del ritorno alle cose perdute o lontane" (B. Marzullo).
"Senza inutili frasi, guardandosi bene dalla compassione declamatoria, ma con parole
discrete, piene di triste rassegnazione, Nausicaa rivela il suo animo di giovinetta. La sua felice
giovinezza non le fa dimenticare che felicità e sventura vengono dagli dèi. Dolcemente, le sue
parole e il suo sguardo rasserenano Ulisse, gli insegnano l'accettazione: gli dèi danno gioie e
dolori, come credono; a Ulisse non han dato che tribolazioni: bisogna inchinarsi alla loro
volontà; ella accoglierà il supplice e lo salverà" (C. Moeller).
"Disposto a suo favore l'animo di Nausicaa, conveniva che Odisseo le ispirasse una
vantaggiosa opinione di se medesimo. Un meno accorto poeta gli avrebbe fatto dire per
avventura: Io sono Ulisse, re di Itaca, famoso per tutto il mondo; con una bella tirata di titoli
all'uso dei principi, al modo ad un di presso con che Virgilio fa parlare il suo eroe, quando si
scontra con Venere sotto le sembianze di Amazzone sul lido di Cartagine: sum pius Aeneas
fama super aethera notus. Ma Virgilio per quel che a me pare è rimasto questa volta assai
inferiore ad Omero per l'artificio. Se l'eroe dell'Odissea avesse parlato come quello
dell'Eneide, avrebbe acquistato difficilmente credenza" (V. Monti).
"I vv. 154-159 hanno viva e precisa intonazione lirica, sono un breve canto di nozze, un
epitalamio in cui già par di sentire la delicatezza di Saffo" (A. Presta).
"Nella preghiera di Ulisse a Nausicaa l'ispirazione raggiunge compiuta espressione poetica,
in note di delicata gentilissima melodia. L'omaggio deferente alla giovanile grazia della ignota
che sul principio ha accenti di trasognato attonito stupore (v. 149), poi si colorisce via via di
inflessioni più calde, in un rapimento estatico e dolcemente commosso (vv. 153-154), fino a
osar di levar lo sguardo fino a lei, alla intimità della sua vita di fanciulla (vv. 155; 157) e
penetrare nel chiuso giardino dei suoi sogni più segreti (v. 159). Traspare da questi versi un
atteggiamento di fronte alla donna che mi pare unico nella letteratura antica; per trovare un
tono di così spirituale gentilezza bisogna discendere fino al Dolce Stil Novo" (L.A. Stella).
"Né mai la sventura ebbe una voce sì luminosa come quella della preghiera di Ulisse a
Nausicaa e un simile conforto come nella risposta della fanciulla al naufrago. Il senso
romantico della redenzione del dolore, del misero, che è tale nell'esteriorità, ma racchiude, nel
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segreto, tesori di grandezza e saviezza, ed è lui stesso un tale che fu sovrano un giorno; il
naufrago che parla nobilmente e di lui si innamora la donna che è felice pure, ciò sarà anche
Enea e Didone; ma si sente subito, nel poeta romano, la grandezza della tragedia e la
pesantezza della storia di cui Enea e Didone sono gli schiavi. Qui c'è una levità, un senso
primaverile, la liberazione" (E. Turolla).
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